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Non solo Albania, il Decreto Piantedosi sotto la lente della Corte costituzionale

Preparatevi perché tra poco i “giudici comunisti” rischiano di essere evocati anche su un altro tema. Il cosiddetto decreto Piantedosi infatti è sotto esame della Corte costituzionale. La norma, pensata per “gestire” i flussi migratori, ha introdotto sanzioni severe contro le Ong che operano soccorsi in mare. Tra queste, multe da 2.000 a 10.000 euro e un fermo amministrativo di venti giorni per le navi che non rispettano le direttive delle autorità italiane o straniere.

Il cuore giuridico della questione è l’automatismo delle sanzioni che non consente alcuna discrezionalità ai giudici nel valutare le circostanze concrete. Un dispositivo che agisce come una trappola, privando i soccorritori della possibilità di difendersi con fatti e numeri.

Decreto Piantedosi: il nodo dell’automatismo delle sanzioni

La vicenda della nave Ocean Viking è emblematica. Il 6 febbraio 2024, la nave umanitaria ha effettuato quattro operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, l’ultima in acque internazionali, nella zona Sar libica. Durante il salvataggio, l’equipaggio ha affrontato le minacce della cosiddetta Guardia costiera libica. La nave ha portato i migranti in salvo a Brindisi ma una volta arrivata in porto, le autorità italiane hanno applicato la sanzione prevista dal Decreto Piantedosi: fermo amministrativo e multa. La ragione? Non aver rispettato le indicazioni della Guardia costiera libica, che si era dichiarata competente per l’operazione di soccorso.

Il Tribunale di Brindisi ha sospeso il provvedimento in attesa del giudizio costituzionale. La questione principale sollevata riguarda l’articolo 1, comma 2-sexies del decreto: l’automatismo delle sanzioni. Secondo il giudice la norma sottrae al magistrato la possibilità di valutare le circostanze di fatto e diritto del caso specifico, violando così il principio di proporzionalità sancito dall’articolo 3 della Costituzione. In pratica la sanzione scatta in automatico senza possibilità di apprezzare il contesto, come se tutte le situazioni fossero uguali, cancellando di fatto la possibilità di graduare le punizioni. Una nave che non rispetta i documenti di sicurezza può subire la stessa sanzione di chi salva migranti in condizioni di emergenza, senza margine di interpretazione.

Il decreto è stato pensato dal governo per contrastare l’immigrazione clandestina e dare una risposta forte all’Europa. Ma l’effetto è stato colpire duramente chi presta soccorso in mare. La nave Ocean Viking ha salvato vite ma è stata punita per non essersi piegata alle richieste della cosiddetta Guardia costiera libica. Qui sorge un altro problema: la Libia può essere considerata un porto sicuro? Secondo il diritto internazionale, assolutamente no. La giurisprudenza italiana ha già escluso che la Libia possa offrire garanzie di sicurezza per i migranti, citando le condizioni inumane nei centri di detenzione libici. La Convenzione di Amburgo, ratificata dall’Italia, impone di soccorrere e portare i naufraghi in un luogo sicuro, e la Libia non risponde a questo criterio.

Corte costituzionale: un giudizio che può cambiare le carte in tavola

Il Tribunale di Brindisi ha sottolineato che il decreto Piantedosi appare quindi in conflitto con il principio del non-refoulement, sancito dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra che vieta il respingimento di persone verso paesi dove rischiano persecuzioni o trattamenti inumani. Eppure, la nave è stata sanzionata perché non ha rispettato gli ordini di un’autorità, quella libica, che non è in grado di garantire la sicurezza dei migranti. La Corte costituzionale dovrà ora stabilire se questo decreto rispetta i principi della Costituzione italiana e del diritto internazionale.

La questione è di grande rilevanza, perché il Decreto non è solo un provvedimento amministrativo. È un atto politico che mette l’Italia in una posizione delicata sul piano dei diritti umani, Ora tocca alla Corte e le reazioni potrebbero essere la fotocopia di quelle di queste ore. 

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