La signora Livia ha ottantadue anni e la testa lucida, ma le gambe appannate. Mauro è un giovane alpino di sessantaquattro che le abita accanto e ogni tanto scende a fare le commissioni per tutti e due. L’altro giorno Mauro doveva andare alla Posta e ha chiesto a Livia se aveva bisogno di qualcosa. Lei gli ha messo in mano 112 euro. «Sono per il canone Rai». Mauro le ha spiegato che non era il caso: «Hai più di 75 anni e una pensione sociale senza altri redditi: sei esentata». Livia ha insistito: «Posso permettermelo». «Ma se non arrivi a 500 euro di pensione!». «Tanti stanno peggio di me. I miei soldi serviranno a coprire quelli che non metteranno loro e a migliorare i conti della Rai, che nonostante tutto mi tiene compagnia». Pare faccia lo stesso con certe medicine che paga anche quando non dovrebbe, perché chi è fatto così è così sempre, nella vita.
Non sarei capace di ragionare come Livia. E ho le mie ragioni, sia chiaro. Il canone viene evaso in massa, ci sono regioni dove i pochi che lo pagano vengono considerati marziani. E andare in soccorso dei bilanci della tv pubblica equivale a battersi per salvare l’onore di una anziana meretrice: un’impresa assurda, oltre che disperata. Però non sono le persone come me a tenere in piedi questa baracca chiamata Italia. Sono quelle come Livia. Che non lanciano accuse, non cercano alibi, non fanno paragoni. Hanno un’idea di comunità nella testa e le rimangono fedeli con rettitudine, senza sentirsi né vittime né eroi. Semplicemente normali. Il solito, bravo Gramellini.