Insomma l’economia è diventata da tempo il metro di giudizio della riuscita di un popolo. Non piace ma è così. E allora tutti a sciorinare numeri (avete notato che la ripresa è stata annunciata già una decina di volte da questo Governo, no?) e tutti a fantasticare dietro al feticcio del PIL. Io che lavoro con le parole non mi ci ritrovo ma questo srebbe il meno se non fosse che non ci si ritrova ultimamente chiunque abbia a che vedere con la felicità e la dignità. E quando ci illustrano i numeri continuano a parlare di un fatturato che non è reale poiché troppo appesantito dall’economia illegale che dopa la prestazione come nei peggiori sportivi olimpionici. Così oggi esce un articolo su Repubblica che dovrebbe almeno far vacillare le sicurezze dei capi di partito e dovrebbe rimettere in sesto le priorità e invece (scommettiamo?) rimarrà letto e incustodito come tutti gli altri:
Come una metastasi, l’economia nera, quella che reinveste, riciclandolo, il denaro pompato dal crimine, divora il Paese con percentuali di crescita spettacolari. Il denaro sporco immesso nel nostro circuito finanziario ed economico – secondo quanto documentato dalla Guardia di Finanza – ha abbondantemente superato nel 2013 il 10 per cento del Pil, ed è stimato in 170 miliardi di euro l’anno (75 dei quali sottratti al Fisco). Con margini di ricavo che oscillano tra i 17,7 e i 33,7 miliardi di euro e con una divisione del mercato che, sempre su base annuale, vede in cima all’istogramma della redditività il narcotraffico (7,7 miliardi di euro), seguito dalle estorsioni (4,7 miliardi), lo sfruttamento della prostituzione (4,6 miliardi) e la contraffazione (4,5 miliardi).
Il lavoro della Finanza ha consentito negli ultimi dodici mesi di sottrarre a questa immensa torta 3 miliardi di euro (si tratta del valore dei beni sequestrati alla criminalità organizzata). Un dato in sé lusinghiero e tuttavia infinitesimale se tradotto in percentuale (meno del 2 per cento) rispetto a quel valore assoluto – 170 miliardi – che definisce appunto il perimetro dell’economia criminale. Le mafie italiane e il loro fiorentissimo indotto di illegalità e riciclaggio nelle sue diverse forme – dall’usuraio di quartiere, alle società finanziarie, ai broker assicurativi – lavorano infatti in un mercato dei capitali aperto che cammina assai più rapido degli strumenti legislativi o amministrativi costruiti per aggredirlo. E a dimostrarlo basterebbero le 86 mila segnalazioni di operazioni finanziarie sospette girate nel 2013 dall’Uif della Banca d’Italia alla Polizia valutaria, il 40 per cento in più del 2012.