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Teatro online intervista sullo spettacolo “Odio gli indifferenti”

Una giullarata politica. Dov’è inapplicata, se non tradita, la Costituzione italiana? Che Italia sarebbe quella in cui la politica tutta si ripromettesse di applicare la Costituzione? Come sarebbe un Paese fondato sulla rendita se domattina dovesse svegliarsi davvero fondato sul lavoro? Cosa accadrebbe se i cittadini dovessero rendersi conto che la sovranità appartiene al popolo e non vale fare di tutto per esserne chiamato a risponderne?

https://youtube.com/watch?v=OwfSTpBwZ

A tutte queste domande cerca di rispondere Odio gli indifferenti, in scena al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 21 gennaio. Scritto da Giulio Cavalliche ne firma anche la regia con Renato Sarti, lo spettacolo vede protagonisti lo stesso Giulio Cavalli e l’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris.

A tu per tu con Giulio Cavalli e Luigi De Magistris

L’Italia e la Costituzione. Perché non viene rispettata e perché andrebbe invece rispettata in tutto e per tutto?

Giulio Cavalli: La risposta da giullare è che non la rispettano perché non sono capaci di farlo, se dovessi essere cattivo. Secondo me, perché la Costituzione nel corso degli anni è diventata un po’ come i copioni per noi che veniamo dalla Commedia dell’Arte, quindi è semplicemente un suggerimento, è un canovaccio di intenti. E’ diventata più un vessillo da proteggere piuttosto che da studiare. Infatti, quando mi è capitato per lavoro di rileggere alcuni articoli della Costituzione nella sua interezza, ho pensato veramente che sarebbe stato tragicomico immaginare in scena un Paese in cui diventi obbligatorio non tanto confidare nella Costituzione, ma rispettarla in tutto e per tutto. 

Qual è l’intento del vostro spettacolo rispetto alla Costituzione italiana?

Luigi De Magistris: Processare i traditori della Costituzione e anche smascherare i suoi pseudoapplicatori, perché c’è un orientamento del pensiero diffuso nel nostro Paese secondo il quale basta definirsi antifascisti per essere dei bravi difensori della Costituzione. Invece purtroppo la Costituzione è stata massacrata in questi anni perché non ci sono stati bravi custodi e attenti applicatori. La Costituzione ha invece dentro l’antidoto, che è quello della fratellanza, della solidarietà, della giustizia sociale, economica, ambientale, della libertà, dell’uguaglianza, del ripudiare la guerra. Non dico che è il libro della felicità e dei sogni, ma è il libro che ci hanno consegnato quelli che sono morti, che sono stati torturati e arrestati. Quindi noi vogliamo anche far capire agli spettatori il dovere di ognuno e di ognuna di provare ad attuare la Costituzione, non solo a difenderla.

A chi appartiene veramente la sovranità?

Giulio Cavalli: La sovranità appartiene a un circolo endogamico in ogni campo e in ogni mestiere in cui molto spesso per entrare bisogna dimostrare di essere ricattabili, così alla pari degli altri, in cui l’obiettivo principale è l’autopreservazione degli equilibri in essere rispetto a qualsiasi altra apertura. Quindi purtroppo credo all’oligarchia nei diversi campi.

Possiamo e dobbiamo davvero derubricare i protagonisti della politica italiana di oggi come avvelenatori della Costituzione?

Luigi De Magistris: In gran parte sì. Però si fa un grosso errore se si pensa che gli attentatori alla Costituzione siano solo quelli che lo fanno in modo più muscolare ed evidente. Anzi, quelli sono forse anche più facilmente attaccabili: pensiamo a Berlusconi e ad altri. Invece se vediamo la storia degli ultimi trent’anni, questo tradimento è venuto da una bella fetta della classe dirigente politica verticale del nostro Paese. Abbiamo avuto più esempi virtuosi nel basso della politica, più tra i sindaci, gli amministratori e i luoghi di prossimità. Più si sale e più c’è il tradimento.

Ma c’è bisogno di scriverlo ancora Certo, va ripetuto ogni giorno

Ma c’è bisogno di scriverlo ancora Certo, va ripetuto ogni giorno, finché non si ha contezza della gravità della situazione. Scriviamolo quindi che il 2023 è stato globalmente l’anno più caldo mai registrato dal 1850. Inoltre, lo scorso è stato il novembre con la temperatura più anomala di cui si abbia traccia. Situazioni simili, ammonisce l’organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), si riproporranno con frequenza e intensità sempre maggiori. 

C’è una probabilità pari al 66%, secondo l’agenzia Onu, che tra il 2023 e il 2027 la temperatura media superi la soglia di 1,5 gradi centigradi fissata dall’accordo di Parigi per almeno un anno. Mentre la probabilità sale al 98% che uno di questi anni nonché il quinquennio nel suo complesso siano i più caldi mai registrati.

Il 2023 è stato l’unico anno in cui il 100% dei giorni ha registrato un’anomalia (segue il 2019, con 363 giorni su 365). Inoltre lo scorso è stato anche l’anno con più giorni con oltre 1,5 gradi centigradi di anomalia: oltre il 47% del totale. Sono 192 i giorni in cui l’anomalia è stata compresa tra il grado e il grado e mezzo e ben 173 quelli in cui ha superato la soglia del grado e mezzo. Una cifra, quest’ultima, particolarmente notevole e preoccupante, se pensiamo che il valore più alto, finora, erano stati i 77 giorni del 2016. Due giorni, ovvero il 17 e il 18 novembre, hanno addirittura superato la soglia dei 2 gradi – quella scongiurata dall’accordo di Parigi per via degli effetti irrecuperabili che avrebbe sull’ambiente. Vedete senso di urgenza in giro?

Buon lunedì. 

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Show di Salvini al processo Open Arms, comizio in aula con le solite bugie. Dalla Guardia costiera libica al numero dei morti in mare, tutte le balle del ministro

L’allergia al processo e la passione per il comizio. Il ministro Matteo Salvini si è presentato ieri a Palermo per il processo che lo vede imputato di sequestro persona per avere rinchiuso 147 migranti sulla nave della Ong Open Arms in porto nell’agosto del 2019. Incurante delle fasi processuali come un influencer qualsiasi Salvini ha pensato che l’occasione di impersonare la parte della vittima fosse ghiottissima e si è esibito in un lungo monologo, quasi un’ora, rubando la scena all’accusa, al giudice e soprattutto alla giustizia.

Film già visto

Con il suo copione sotto il braccio l’attuale ministro delle Infrastrutture (ai tempi al Viminale) ha spiegato di avere “ripercorso tutto quello che è accaduto in questa vicenda. Era mio dovere e mio puntiglio sottoporre al tribunale alcuni elementi”. Il leader della Lega ci tiene a dire che “la politica in tema di immigrazione, che puntava a contrastare il traffico di esseri umani, era condivisa da tutto il governo.

Dal presidente del Consiglio Conte e dai ministri Di Maio e Toninelli”. Qui cade il primo mattone della propaganda: Salvini da mesi si professa martire unico fiero della decisione di far bollire i naufraghi sulla nave, provando a capitalizzare anche nell’ultima campagna elettorale il suo gesto. Giunto in Aula il suo temperamento si è annacquato e quel gesto solitario è diventato una responsabilità collettiva. Il ministro ha provato a trascinare nel processo anche l’Unione europea.

“Io ho solo adeguato il mio comportamento alle indicazioni europee – dice il ministro -. Era stato il Consiglio europeo a dire che non bisognava interferire nelle operazioni della guardia costiera libica, in quest’aula ho invece sentito dire che la guardia costiera libica non è affidabile”. Il leader della Lega deve essersi distratto negli ultimi mesi perdendosi la relazione dell’Onu, presentata dal segretario Antonio Gueterres in persona, in cui si certificano le violenza in Libia anche della cosiddetta Guardia costiera di Tripoli se non addirittura il doppio ruolo di alcuni suoi uomini militari di giorno e trafficanti di notte.

Ma la bugia che sanguina è quella pronunciata dal ministro sui morti nel Mediterraneo di quell’anno: “Durante la mia gestione del ministero dell’Interno sono diminuiti in maniera considerevole gli sbarchi e soprattutto i morti, di questa cosa ne vado orgoglioso innanzitutto come genitore. Meno sbarchi e meno morti, cosa che non è accaduta dopo”, dice Salvini. Il crollo degli sbarchi in Italia, tornati a crescere negli ultimi anni, era il risultato dei mortiferi accordi presi con la Libia nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti (Pd).

Salvini ha semplicemente proseguito nel solco di quanto fatto dal suo predecessore. Ma il numero di morti pur essendo diminuito in assoluto è aumentato in rapporto al numero delle partenze dalla Libia. “Il rischio di attraversare il Mediterraneo è triplicato”, si legge in uno studio pubblicato nel 2020 e realizzato da Eugenio Cusumano, ricercatore in Relazioni internazionali dell’Università di Leiden, nei Paesi Bassi, e da Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), basandosi su dati dell’Unhcr e dell’Oim. Tra giugno e dicembre 2018 è morto o è andato disperso il 5,7 per cento dei migranti partiti dalla Libia, tra gennaio e agosto 2019 il 6,7 per cento. Tra gennaio 2016 e maggio 2018 la percentuale era del 2 per cento circa. Secondo i due ricercatori, inoltre, l’instabilità politica del Nord Africa e il meteo sono i due fattori che incidono di più nell’influenzare le partenze dei migranti.

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I ricchi non piangono mai, l’1% dei Paperoni paga sempre meno tasse. Imposte regressive per i più abbienti mentre i redditi continuano a diminuire

I poveri si impoveriscono ma per i ricchi il presente è sempre radioso. Le disuguaglianze dei redditi italiani sono cresciute a favore dell’1% più ricco che, in proporzione, paga meno tasse rispetto al restante 99% dei contribuenti. Lo dice uno studio congiunto di Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Università di Milano-Bicocca, pubblicato dalla rivista scientifica Journal of the European Economic Association.

Nel suo complesso, il sistema fiscale italiano appare “blandamente progressivo” e, come sottolineano ricercatrici e ricercatori in questo studio, “diventa addirittura regressivo” per il 5% degli italiani più abbienti, che pagano un’aliquota effettiva inferiore al 95% dei contribuenti. Lo studio ha inoltre confermato che esistono importanti differenze in relazione alla tipologia di reddito prevalente: sono i lavoratori dipendenti a pagare più imposte, seguiti dai lavoratori autonomi, dai pensionati e, infine, da chi percepisce soprattutto rendite finanziarie e locazioni immobiliari.

Le stime

Lo studio stima che dal 2004 al 2015, mentre il reddito nazionale reale si riduceva del 15%, il 50% più povero degli italiani subiva la maggiore perdita con un calo di circa il 30%. All’interno del 50% più povero, ad essere più colpiti sono giovani tra i 18 e i 35 anni, che hanno perso circa il 42% del loro reddito. La disuguaglianza di genere risulta significativa per ogni classe di reddito e raggiunge valori estremi nell’1% più ricco della distribuzione, dove le donne guadagnano circa la metà degli uomini”.

Lo studio della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università di Milano-Bicocca mostra che il 50% più povero degli italiani maggiorenni detiene meno del 17% del reddito nazionale e vive con meno di 13 mila euro all’anno. Invece, sottolinea Elisa Palagi, autrice dello studio e ricercatrice di Economia alla Scuola Superiore Sant’Anna “l’1% più ricco del Paese detiene circa il 12% del reddito nazionale, cioè una media di 310 mila euro all’anno, ottenuti soprattutto da redditi finanziari, profitti societari e redditi da lavoro autonomo, in gran parte derivante dal ruolo di amministratori societari.

Solo una ridottissima parte dei redditi dei più ricchi è ottenuta grazie ai redditi da lavoro dipendente”. In particolare, i 50 mila italiani che compongono lo 0.1% più ricco del Paese detengono il 4.5% del reddito nazionale con entrate medie superiori al milione di euro annuo, cifra che potrebbe essere raggiunta dal 50% più povero soltanto risparmiando l’intero reddito per 76 anni.

La minore incidenza fiscale per i redditi più elevati è spiegata principalmente da fattori come l’effettiva regressività dell’Iva (che grava meno sui cittadini abbienti che risparmiano di più; dal minor peso dei contributi sociali per i redditi superiori ai 100 mila euro; dalla maggiore rilevanza per i contribuenti più ricchi delle rendite finanziarie e dei redditi da locazioni immobiliari, tassati con un’aliquota del 12% o del 26%.

Le conclusioni

In conclusione, lo studio ha messo in luce “la necessità di avviare una profonda e seria discussione sullo stato attuale del sistema fiscale italiano. L’evidenza di una regressività che favorisce solo le fasce di reddito più elevate – secondo autrici e autori dello studio – sottolinea l’urgenza di riforme mirate che non penalizzino i redditi più bassi, ma mirino a correggere gli squilibri presenti riducendo le disuguaglianze e promuovendo una distribuzione del carico fiscale in modo proporzionato”. La flat tax e la riduzione delle aliquote vanno nella direzione diametralmente opposta.

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Inc… nero con Vannacci. Crosetto cade dal pero

Fonti della Difesa dicono che il ministro Guido Crosetto sarebbe “incazzato nero” con il generale Roberto Vannacci. Al ministro non va giù che un generale ancora in servizio nell’esercito sia in tour permanente per presentare il suo libro “Il mondo al contrario” (autopubblicato prima di essere ripubblicato da Il Cerchio) usato come randello per guadagnare visibilità politica.

Alla Difesa, scrive Il Fatto, pensano che “l’attuale attività pubblica del generale Vannacci non ha più nulla a che fare con la semplice presentazione di un libro o con il dibattito culturale sulle sue idee, ma evidenzia l’intenzione di costruirsi un percorso politico fatto di prese di posizione che nulla hanno a che vedere con le leggi, gli ordinamenti e il decoro che ogni militare è tenuto a rispettare”. Inoltre il generale due giorni fa ha annunciato l’uscita di un nuovo libro, questa volta autobiografico, che potrebbe essere il suo volano per la candidatura alle europee con la Lega di Salvini che diventa ogni giorno più certa. A quanto pare nessuno alla Difesa sapeva di questa nuova opera e non è mai pervenuta la richiesta di autorizzazione riservata ai militari in servizio.

Vannacci dal canto suo promette di “fare tutto quello che serve” (con un non trascurabile ritardo) ma è evidente che il rapporto con il ministro sia ormai deteriorato. Rimane un dubbio a noi spettatori: ma non è proprio Crosetto il ministro che dovrebbe vigilare e limitare le improvvide uscite di Vannacci? E ancora, non è stato proprio Crosetto a permettere che il generale venisse addirittura promosso dopo avere guadagnato la ribalta con le sue castronerie in salsa letteraria

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Le destre ci sono riuscite: torna l’impunità della politica

L’ultimo in ordine di tempo è l’emendamento all’articolo 268 del Codice di procedura penale presentato dal senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin e approvato dalla Commissione Giustizia dopo una riformulazione del governo. Nella trascrizione della polizia giudiziaria devono essere “esclusi i nominativi di persone estranee alle indagini, alle quali è garantito l’anonimato”. Se si indaga quindi su un’illecito non sapremo mai chi siano le sponde amichevoli e le frequentazioni dei soggetti coinvolti. La stampa quindi non avrebbe il diritto – secondo il governo – di informare che Tommaso Verdini, figlio dell’ex parlamentare Denis, provava ad aumentare la potenza delle proprie entrature per gli appalti Anas rivendendosi come “cognato” del ministro Matteo Salvini né che il nome del ministro veniva usato per provare a “oliare” i rapporti. In Commissione galleggia tra le modifiche che devono essere votate anche l’idea di vietare ai magistrati di riportare “i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione”.

Bavagli e bavaglini

A questo si aggiunge il famoso “emendamento Costa” (dal cognome del deputato di Azione) votato di gran lena dal governo che vieta ai giornalisti di riportare frasi virgolettate di un dialogo che non sia stato “riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento”. In sostanza le conversazioni citate negli atti dei pm (che sono pubblici) diventano privati per la stampa, delegando il tutto alla libera interpretazione dei giornalisti che dovranno assumersi la responsabilità di “sintetizzare” i dialoghi esponendosi al rischio concreto di essere querelati a ogni passo.

La minuziosa opera di smantellamento della giustizia in nome del garantismo del governo Meloni sta riuscendo lì dove nemmeno Silvio Berlusconi sognava di arrivare. Quando il ddl Nordio diventerà legge dall’ordinamento italiano scomparirà anche il reato di abuso d’ufficio in controtendenza alle linee guide europee. L’Italia avrà il primato di avere cancellato un reato che l’Europa chiede per tutti gli Stati membri, inteso nella definizione della convenzione Onu contro la corruzione: il “fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un’altra persona o entità”.

Nei giorni scorsi il portavoce della commissione europea per la Giustizia, Christian Wigand, ha detto che la commissione è a conoscenza della proposta di legge italiana e ne sta seguendo gli sviluppi con attenzione. Wigand ha avvertito che l’approvazione della norma potrebbe avere “un’impatto sulla lotta alla corruzione” e “la lotta alla corruzione è una priorità assoluta per la Commissione. Abbiamo adottato un pacchetto di misure anticorruzione a maggio per rafforzare la prevenzione e la lotta alla corruzione”.

Tornano l’impunità e i soprusi del potere

Come ha spiegato in un’intervista a Repubblica l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato – ora senatore del M5S – con la cancellazione del reato non potrebbero più essere perseguite “tutte le manipolazioni di concorsi pubblici grazie alle quali i vincitori sono selezionati non per merito ma per nepotismo e fedeltà. E ancora tutti i casi di favoritismo per ragioni clientelari destinati ad alimentare il voto di scambio”. Non si tratta solo di un reato spia, le 3.600 condanne inflitte dicono che si tratta di un reato che ha portato a chiare condanne definitive. Tra gli obiettivi del ministro Nordio c’è poi un alto grande sogno del berlusconismo che fu: la riduzione del numero di intercettazione che, a dire del ministro, “costerebbero troppo”. Il ministro è smentito dai numeri visto che il valore dei beni provento di attività illecite è dieci volte superiore rispetto alla spesa per le intercettazioni. La riduzione delle intercettazioni non è altro che l’ennesimo favore all’impunità della zona grigia e dei colletti bianchi.

A proposito di garantismo e di garanzie è al vaglio della Camera l’introduzione di un collegio di tre giudici per decidere sulle custodie cautelari in carcere. Un capolavoro di inefficienza se si pensa alla carenza di personale soprattutto nei piccoli tribunali che dovranno fare i conti anche con il regime di incompatibilità. è stato sempre un grande sogno di Silvio Berlusconi anche la separazione della carriere che questo governo sta provando a riproporre. Il sogno dei pubblici ministeri sotto lo stretto controllo dell’esecutivo politico è irrinunciabile anche per Giorgia Meloni e i suoi. Intanto sarà introdotto l’obbligo di avvisare una persona se deve essere arrestata se l’arresto viene chiesto per reati commessi “con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale”: uno novità che ha il profumo di voler garantire anche in questo caso soprattutto i colletti bianchi. Fare peggio dei governi Berlusconi sembrava pressoché impossibile ma il governo Meloni ce la sta mettendo tutta per riuscirci.

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A proposito di femminicidi, dodicesimo giorno dell’anno

Igor Moser e Ester Palmieri si stavano separando. Ieri lui l’ha uccisa in un’abitazione a Valfloriana (in Trentino) e poi con la sua auto si è rintanato in un casolare di sua proprietà dove si è tolto la vita impiccandosi. La coppia aveva tre bambini di età compresa tra i cinque e i dieci anni. In quei momenti si trovavano all’asilo e a scuola. A scoprire il cadavere sono stati i familiari della donna. Ester sarebbe morta dissanguata a causa delle ferite ricevute probabilmente da un coltello. Il corpo di Igor Moser è stato trovato invece nel sottotetto dell’appartamento in cui viveva, al civico 2 di via Valle, a Castello Molina di Fiemme. Secondo quanto trapela l’uomo non avrebbe accettato la separazione e, al culmine dell’ennesimo litigio, avrebbe ucciso la compagna. Possesso, insomma. Siamo alle solite. Non accettando la separazione lui ha voluto decidere della vita di lei fino all’ultimo, fino all’estremo. 

A Villa Iconicella di Lanciano, in provincia di Chieti, ieri è stato arrestato Aldo Di Nunzio, ex vigile del fuoco di 71 anni. Sua moglie Annamaria D’Eliseo, 60 anni, bidella in una scuola, era stata trovata impiccata con un cavo elettrico il 17 luglio del 2022. Il marito si è sempre professato innocente e ha sempre dichiarato di aver trovato la moglie senza vita, dicendosi convinto che si fosse suicidata. Le indagini invece hanno appurato che i cavi elettrici con cui Annamaria si era impiccata non avrebbero potuto sostenerne il peso e quindi tantomeno ucciderla. Nuovi video e audio inchiodano il marito. 

Siamo al dodicesimo giorno dall’inizio dell’anno.

Buon venerdì. 

Nella foto: Ester Palmieri (immagine dal suo profilo facebook)

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Babbo Meloni su Report, già pronta la polemica

La prossima polemica arriverà con la prossima puntata di Report, potete metterci la firma. Il 14 gennaio la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci racconterà di Francesco Meloni, il padre della premier morto nel 2012. Come anticipato da Repubblica la trasmissione Rai indagherà sui rapporti di Francesco – detto Franco (Meloni) – con il re della droga Michele Senese, boss campano con una fiorente attività nella capitale.

A parlare in un’intervista è Nunzio Perrella, collaboratore di giustizia ed ex camorrista che ha fatto scattare diverse indagini sulla gestione dei rifiuti in Campania. Perrella ama le luci della ribalta: qualche anno fa si era prestato come “agente provocatore” per fare emergere alcuni funzionari corrotti nella pubblica amministrazione. Anche in quel caso, come spesso accade da noi, i cultori del garantismo peloso si interessarono più al pentito che aveva scoperchiato un sistema illecito che ai corrotti. Perrella sostiene di aver chiesto quantitativi di hashish al boss Michele Senese detto ‘O Pazzo e questo avrebbe fatto riferimento a un uomo che con una barca a vela faceva viaggi tra la Spagna e il Marocco fino all’Italia e che il pentito riconosce in Francesco Meloni, arrestato il 25 settembre 1995 nel porto di Maò a Minorca con 1.500 chili di hashish.

La responsabilità penale – lo sanno anche i sassi – è personale. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni in diverse occasioni ha raccontato di non avere più voluto avere rapporti con il padre fin dall’età di 11 anni. Il giornalismo ha ovviamente il compito di indagare, meglio ancora se scopre. Ma vedrete che l’occasione sarà buona per randellare Report e Ranucci. E lo faranno gli stessi che difendono il diritto di appostarsi sotto casa di Fedez per le uova di Pasqua della moglie.

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Silurato pure Sinibaldi: il Centro per il libro al monarchico Colella

“Un’occupazione, una propensione famelica che non guarda al lavoro, alle competenze, alle biografie”. Usa parole dure Marino Sinibaldi appena fatto fuori dal governo di Giorgia Meloni dal Centro per il libro e per la letteratura. La sua presidenza triennale era scaduta l’8 gennaio ma tutto (e tutti) lasciava intendere che sarebbe stata rinnovata per non stralciare il filo del buon lavoro fatto fin qui. Sinibaldi critica anche il metodo con cui gli è stata comunicata la decisione: una telefonata proprio mentre stava raggiungendo la sede romana del Cepell per una riunione: “Quella telefonata è arrivata senza nessun preavviso. In 24 ore mi hanno sostituito dimostrando un’intenzione famelica che non mi aspettavo”, dice nella sua intervista a caldo a Repubblica.

Silurato Sinibaldi, arriva Colella

Lo stile greve del governo è sempre lo stesso: poche righe via mail o poche parole dette al telefono per interrompere percorsi culturali avviati. L’egemonia culturale si esprime soprattutto estirpando i presunti avversari da ogni angolo culturale. Non conta che l’ormai ex presidente stesse lavorando a un incontro europeo sulle politiche della lettura in occasione della Fiera di Francoforte del 2024, dove l’Italia sarà ospite d’onore e a un progetto per il sostegno alle traduzioni dei libri italiani all’estero. “Mancavano solo i libri e si sono presi anche i libri. Complici le feste natalizie, hanno fatto fuori dal Centro per il libro e la lettura Marino Sinibaldi, una delle personalità più popolari della cultura del nostro Paese che ha speso la sua vita per invogliare il grande pubblico alla lettura dei libri”, dice Sandro Ruotolo, responsabile cultura del Partito democratico.

“Questo governo di destra – aggiunge Ruotolo – ha un solo un obiettivo: piazzare i suoi uomini dovunque sia possibile, hanno solo fame di potere. Non c’entrano biografie, curriculum, storie, ma solo appartenenza. La scelta del nuovo presidente è caduta su Adriano Monti Buzzetti Colella, tra gli organizzatori della mostra su Tolkien, l’icona della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Stiamo diventando un Paese sempre più povero, omologato e senza punti di vista diversi”. Per il dem Nicola Zingaretti “ci rimette l’Italia e la nostra cultura”. A sostituire un riconosciuto professionista del settore con un curriculum sterminato arriva il giornalista professionista (è vice caporedattore alla redazione cultura del Tg2) e direttore della rivista Dimensione cosmica, amante dell’horror di Lovecraft, tra gli organizzatori della mostra su Tolkien. Noto anche per le sue posizioni apertamente monarchiche: definì il referendum del 2 giugno 1946 ispirato a “dinamiche truffaldine e di fatto golpiste”.

Fantasy

Sul genere fantastico usato dalla destra come leva per scardinare l’esistente ieri è intervenuta anche la scrittrice e giornalista Loredana Lipperini: “Questo ostinato e obsoleto scherno del fantastico come identificativo della cultura di destra, e per questo immondizia, è sciocco, disinformato e dannoso”, scrive. Come ricorda Sinibaldi, il Cepell gestisce “circa 4 milioni di finanziamenti”. Tra le attività che promuove, “ci sono i Patti per la lettura e il sostegno a festival e associazioni culturali. Un lavoro quotidiano per sostenere il libro diffuso che in questi tre anni, funestati dalla pandemia, mi sembra di aver curato al meglio. L’industria editoriale, anche grazie all’impegno del ministero, è sopravvissuta bene al virus. È verosimile che la destra voglia ora costruire una nuova rete di festival culturali ‘identitari’ con una matrice politica forte“.

Il suo ruolo non prevede compensi. Diranno: “anche la sinistra ha sempre fatto così”. Falso. Il precedente direttore del Centro per il Libro, Angelo Piero Cappello, nominato come me da Franceschini, era di destra. Sinibaldi, sia chiaro, non è intoccabile, come tutti. A colpire è soprattutto il metodo di sostituzione totale nel mondo culturale dove a costruire egemonia dovrebbero essere le idee più delle appartenenze. Così coloro che si proclamano difensori della cultura italiani appaiono con l’unico obiettivo di sostituire chiunque ovunque. Eccola la sostituzione etnica.

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Acca Larentia: chiederanno scusa, si può scommettere

Per capire quanto c’entri il partito di Fratelli d’Italia con i saluti fascisti durante la commemorazione di Acca Larentia potrebbe essere utile farsi un giro sul canale Telegram del Blocco studentesco, la formazione giovanile di estrema destra di Casapound che è tra gli organizzatori della commemorazione che ogni anno si ripete di fronte alla sede dell’ex Msi. Il gruppo ha condiviso un articolo di Repubblica in cui il vice presidente della Camera di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli spiega che le persone nel filmato che ha fatto il giro del mondo “sono persone di varia provenienza, cani sciolti, organizzazioni extraparlamentari. Non hanno niente a che vedere con FdI”. Il commento di Blocco studentesco è chiaro: “Dopo l’infamia, l’ipocrisia”, scrivono, prendendosela anche con lo scrittore e giornalista Marcello Veneziani che aveva definito i presenti come “cretini”. 

Facile immaginare che l’ipocrisia di cui parlano i giovani di Casapound sia la mimetizzazione di chi come Giorgia Meloni nel 2009 da ministra della Gioventù si presentava alla cerimonia accompagnata dall’ex leader di Forza nuova Giuliano Castellino (appena condannato per l’assalto alla Cgil del 9 ottobre del 2021). Il senso di tradimento di una parte dell’estrema destra è la certificazione dell’ipocrisia di un governo che nega l’innegabile per apparire potabile. 

C’è da scommettere che in molti nel partito di Giorgia Meloni muoiano dalla voglia di scusarsi per quest’improvvisa moderazione simulata resa obbligata dalle circostanze. Lo faranno – si può scommettere – quando saranno all’opposizione. 

Buon giovedì. 

Nella foto: militanti di Blocco studentesco (Wikipedia)

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