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In Ucraina la pace può attendere, Crosetto già parla di nono decreto armi

Crosetto tira dritto. Intervenendo alla Camera sulla proroga all’invio di armi decisa dal Consiglio dei ministri a dicembre scorso, il ministro alla Difesa ha ribadito la linea del governo. “Il nostro sostegno all’Ucraina resta forte e totalmente inalterato”. Anche se “parrebbe giunto il momento” del dialogo, ha aggiunto, “che affianchi gli aiuti che stiamo portando avanti perché si rilevano una serie di segnali importanti che giungono da entrambe le parti in causa. Le dichiarazioni di diversi interlocutori russi evidenziano una lenta e progressiva maturazione di una disponibilità al dialogo per porre fine alla guerra. In Ucrainail fronte interno appare meno compatto che nel passato nel sostenere la politica del presidente Zelensky”.

Crosetto si porta avanti sul decreto armi

“Vorrei non ci fosse bisogno di un nono, e poi di un decimo pacchetto di aiuti militari, vorrei che l’ottavo fosse l’ultimo e che il prossimo fosse di aiuti umanitari, utile a ricostruire scuole e ospedali”, ha detto il ministro della Difesa. “Lo stesso vale per Israele – ha proseguito -, la richiesta che smettano di cadere bombe sui civili palestinesi la faccio ogni giorno e non sui giornali ma al mio collega israeliano. Siano stati tra i primi a mandare aiuti e continueremo a farlo, perché ci siamo assunti la responsabilità di fare la cosa giusta che non è mai quella facile”.

Il Movimento 5 Stelle ha presentato una risoluzione in cui chiedeva di “interrompere immediatamente la fornitura di materiali d’armamento alle autorità governative ucraine, ferme restando le misure destinate agli aiuti umanitari” e che impegnava il governo “a voler comunicare preventivamente al Parlamento l’indirizzo politico da assumere in occasione di consessi internazionali con riferimento all’evoluzione del conflitto Russia-Ucraina”. I 5S chiedevano anche al governo di “intraprendere tutte le azioni necessarie atte a scongiurare la distrazione delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza a favore del cofinanziamento dell’industria della difesa”.

La risoluzione è stata bocciata, come quella di Alleanza Verdi e Sinistra. È passata invece la risoluzione del Partito democratico che chiedeva di “sostenere il ruolo dell’Italia in un rinnovato e più incisivo impegno diplomatico e politico dell’Unione europea, in collaborazione con gli alleati Nato e in un quadro multilaterale, anche con l’auspicio di poter ospitare una futura conferenza di pace a Roma, per mettere in campo tutte le iniziative utili al perseguimento di una pace giusta e sicura”. Nella risoluzione dei dem si prevede la conferma di “tutti gli impegni assunti dall’Italia nel quadro dell’azione multilaterale”. Per questo il ministro non ha espresso parere contrario.

Approvata anche la risoluzione presentata da Italia viva, Azione e Più Europa. Al Senato invece più della discussione sull’invio di armi in Ucraina a tenere banco è stato il derby di Coppa Italia tra Roma e Lazio. La conferenza dei capigruppo ha deciso di limitare il dibattito per far finire i lavori in tempo per la partita di calcio che era in programma alle 18. I tifosi dell’una e dell’altra squadra hanno chiesto di fermare in anticipo i lavori dell’Aula per poter assistere tranquillamente alla partita. Alcuni senatori – che preferiscono rimanere anonimi – raccontano di una decisione presa “all’unisono” dai gruppi parlamentari. Impossibile sapere di chi sia stata l’idea. “Non cercate il pelo nell’uovo”, dice un senatore al telefono. Al mattino il governo aveva garantito di voler “mantenere un costante dialogo con il Parlamento in riferimento all’andamento del conflitto e sugli sviluppi politici e diplomatici”. Giorni di derby esclusi.

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Vannacci politico dilettante, ma in ottima compagnia

Andrà a finire come si sapeva fin dall’inizio. Il generale Roberto Vannacci – ultimamente anche scrittore – segna un ulteriore passo verso la sua fragorosa entrata in politica meritata grazie all’attività di troll sovranista in modalità letteraria. È passato solo un giorno da quando il leader della Lega e ministro delle Infrastrutture Salvini gli ha aperto le porte offrendogli una candidatura per le prossime elezioni europee e così il prode Vannacci decide di rilasciare in un’intervista a Il Messaggero in cui raccoglie felice l’amo.

Prima Vannacci ci fa sapere di avere i polpastrelli caldi per un secondo libro dopo ‘Un mondo al contrario’, record di incassi e polemiche: “Ebbene potrebbe essere, tra qualche tempo. Ma non dico altro, nella mia professione la sorpresa gioca un ruolo decisivo”, dice il generale. Quali siano le linee nemiche che potrebbero essere debellate dall’uscita del suo libello sarebbe curioso capirlo. Poi ci fa sapere che “non si può trascendere” dall’Europa che lui sogna “configurata in base ai nostri interessi nazionali”, praticamente una specie di dependance in subaffitto.

E infine Vanancci dice: “Io ho solo un cruccio. Passare da un settore in cui sono un professionista affermato, l’esercito e il mondo militare, a un settore come la politica, in cui sono un dilettante. Di politica invece non mi sono mai occupato, e dunque mi prendo del tempo e ringrazio chi mi ha offerto un’alternativa”. Su questo lo rassicuriamo noi: in una selva di pistoleri allegri, pregiudicati perseveranti, imprenditori falliti ma ministri e professionisti della boutade, il generale ha le carte in regola per fare la sua porca figura.

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Rivista Blam recensisce “I mangiafemmine”

Giulio Cavalli, giornalista e autore teatrale che dal 2007 vive sotto scorta per il suo impegno nella lotta contro le mafie, firma con I mangiafemmine (Fandango, 2023) la sua opera più paradossale e provocatoria, completando la trilogia di romanzi distopici ambientati nell’immaginario Paese di DF. Dopo i misteriosi ritrovamenti dei cadaveri di Carnaio (Fandango, 2018) e la diffusione incontrollata di focolai di empatia e sentimentalismi di Nuovissimo testamento(Fandango, 2021), in I mangiafemmine Cavalli racconta la decisione del governo di DF di legalizzare il femminicidio parificandolo a un’attività venatoria che ha lo scopo di ristabilire l’equilibrio tra i generi.

I mangiafemmine di Giulio Cavalli: la trama del libro

Valerio Corti, candidato premier per la coalizione dei conservatori di destra, è ormai certo della vittoria alle imminenti elezioni politiche di DF e non si cura delle donne che ogni giorno sono ammazzate da mariti, compagni, amanti o ex fidanzati. Tutti i sondaggi sono a suo favore e la campagna elettorale procede senza intoppi, fino a quando non commette un grave errore di comunicazione nel commentare l’ennesimo femminicidio avvenuto nel Paese. Infatti, mentre le femministe manifestano nelle piazze per denunciare il massacro e l’opinione pubblica si domanda cosa farà il governo per risolvere il problema, Valerio Corti sostiene che le donne per bene non corrono alcun rischio e afferma che non intende occuparsi del problema, perché da secoli «agli uomini capita di ammazzare le donne e alle donne capita di ammazzare gli uomini». Per non compromettere la campagna elettorale e per sedare le polemiche, la coalizione impone a Corti di farsi da parte e candida come premier Marzia Rizzo che, in quanto donna, risulta meno attaccabile. Come da pronostico, i conservatori vincono le elezioni e presentano il decreto-legge n. 55 che stabilisce «misure straordinarie per la regolamentazione temporanea dell’attività venatoria speciale/straordinaria del femminicidio», legalizzando attraverso una serie di norme l’uccisione delle donne. Durante il voto in parlamento, i democratici non contestano la proposta e si limitano a chiedere maggiore chiarezza sulle regole che gli uomini dovranno seguire per rispettare la legge. L’unica a preoccuparsi delle effettive conseguenze di questo decreto è la giornalista di «Df Unita», Clementina Merlin, che crede che solo una rivoluzione culturale potrà salvare le donne dalla violenza degli uomini.

Una distopia iperrealistica che diventa specchio della nostra società

«Il problema non sono solo gli uomini che uccidono o che stuprano, il problema sono anche gli uomini che non uccidono e non stuprano ma hanno il terrore di avere prima o poi il bisogno di farlo. Nella loro testa è sempre la reazione sbagliata a una rabbia giusta. E se non delegittimiamo quella rabbia, la nostra salvezza dipenderà sempre dal buon cuore del nostro nemico».

I mangiafemmine è romanzo distopico e allo stesso tempo iperrealistico in cui il Paese immaginario di DF appare uno specchio della nostra società. Valerio Corti e Marzia Romano rappresentano l’ipocrisia di una classe politica che fonda i propri successi solo sulle apparenze e su strategie di comunicazione che curano gli slogan della campagna elettorale, le risposte confezionate per i giornalisti, il power dressing e il tono di voce basso per sembrare più carismatico. I racconti dei femminicidi che si susseguono nel romanzo riprendono dinamiche che ritroviamo anche nei fatti di cronaca reali, come la ricerca di una giustificazione al comportamento degli uomini e la colpevolizzazione delle vittime. Frida, «moglie ingrata, eternamente insoddisfatta», è uccisa dal marito Tullio, mangiafemmine allontanato dall’ufficio perché abusava delle stagiste. Sonia dopo anni di violenze subite dal marito Gianni decide di lasciarlo e lui, incapace di accettare la fine della loro storia, la ammazza prima di suicidarsi. La sedicenne Beatrice festeggia un anno di fidanzamento con Mario che, mosso dalla gelosia, le stringe le mani sul collo fino a farla smettere di respirare. Con il decreto Mangiafemmine le donne sono paragonate a un capo di selvaggina in sovrannumero di cui è necessario disfarsi, seguendo precise regole igieniche e comportamentali, come ricorda lo spot lanciato sulla televisione di Stato: «[…] la nuova legge voluta dal governo impone la tutela e il rispetto delle donne, in difesa dei diritti che per lo Stato di DF sono una priorità. Per questo […] l’abbattimento della femmina deve essere autorizzato dal comando provinciale del Corpo forestale di DF, dopo avere presentato la documentazione».

La scrittura di Giulio Cavalli in I mangiafemmine

Ispirandosi a Margaret Atwood, Roberto Bolaño e José Saramago, con uno stile crudo e diretto, Giulio Cavalli porta all’estremo quella narrazione distorta dei femminicidi ancora ampiamente diffusa nella mentalità comune. Il romanzo si caratterizza, inoltre, per un’accurata ricerca sul linguaggio che dimostra come il patriarcato sia ben evidente anche nella scelta delle parole. I conservatori, infatti, rifiutano di adottare il termine femminicidio per indicare quelli che per loro sono comuni uxoricidi, mentre Marzia Rizzo, premier del governo più patriarcaledella storia di DF, ribadisce ai giornalisti che il suo sarà un governo femminile e non femminista.

A cura di Francesca Cocchi

Meloni e Renzi candidati Ue. Per fregare gli elettori

Matteo Salvini ci fa sapere di non avere intenzione di candidarsi alle prossime elezioni europee. “Io penso per me, io non mi candido, ci tengo a continuare a fare il ministro”, ha detto durante l’ospitata alla trasmissione Quarta Repubblica su Rete 4.

Abbiamo una presidente del Consiglio che decide di candidarsi per un ruolo che non ricoprirà mai

Non bisogna essere fini analisti politici per capire che il leader della Lega teme la distanza che il suo partito accumulerà su Fratelli d’Italia, ancora di più se la presidente del Consiglio Giorgia Meloni scioglierà la riserva decidendo di correre in prima persona. Sì, c’è una presidente del Consiglio che decide di candidarsi per un ruolo che non ricoprirà mai. Ricorda quel vecchio disegno della carota fissata con un bastone di fronte al muso del mulo per convincerlo a correre nella speranza vana di raggiungerla.

Giorgia Meloni è la carota. Chi ripete di volersi candidare è il leader di se stesso Matteo Renzi che anche ieri ha rilanciato l’idea di essere capolista con il suo ennesimo partito (che fantasiosamente dovrebbe chiamarsi “Centro”): “Sono molto fiducioso perché voterà per noi anche chi vuole un’Italia in cui si cambi questo Governo e cambi anche questa opposizione inconcludente. Ci siamo, sarà una sfida bellissima”, spiega.

Par di capire che anche lui non abbia voglia di andare a Bruxelles. Ieri la vicepresidente del Senato Mariolina Castellone, del M5S, ha spiegato che Giuseppe Conte non sarà in lista: “Non inganniamo gli elettori per qualche voto in più”, ha spiegato. La leader del Pd Elly Schlein ci starebbe pensando. Candidarsi per un ruolo che non si ha intenzione di rivestire è una truffa. La soluzione sarebbe semplice: recuperare rispetto per le istituzioni e lasciare Meloni e Renzi nel loro narcisismo.

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Sgarbi quotidiani

Ora c’è anche un sottosegretario alla cultura indagato per auto riciclaggio di beni culturali (art. 518-septies del codice penale). Vittorio Sgarbi è accusato dalla Procura di Macerata in merito alla vicenda di un quadro caravaggesco del Seicento attribuito al senese Rutilio Manetti, La cattura di San Pietro. Il dipinto fu trafugato nel 2013 dal Castello di Buriasco, nel Torinese e riapparve in una mostra a Lucca nel 2021, di proprietà di Sgarbi.

L’inchiesta è partita dalla trasmissione Report e dal Fatto quotidiano che fa sapere che Sgarbi rischia il rinvio a giudizio nell’indagine partita a Siracusa nel 2020 e trasferita dalla Procura di Imperia in merito alla vicenda riguardante l’esportazione, ritenuta illecita, di un quadro all’estero attribuito al Valentin De Boulogne, anche questo poi riprodotto come “clone” nel laboratorio di Correggio dove ieri sono stati i carabinieri per ascoltare i due titolari come persone informate sui fatti.

Le versioni del sottosegretario sulla provenienza del suo dipinto sono state diverse: prima ha detto di averlo trovato nel sottotetto della sua Villa Maidalchina acquistata nel 2000 dalla madre, poi ha cambiato versione parlando di una intercapendine e infine si è ricordato di un sottoscala. Del resto scegliere un critico e mercante d’arte come come sottosegretario alla Cultura, così come un’imprenditrice nel turismo come ministra al Turismo (Daniela Santanchè) nonché nominare ministro alla Difesa l’ex presidente della Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza è inevitabilmente scivoloso. Lo capiscono tutti, tranne Giorgia Meloni. 

Buon mercoledì. 

Foto di Vittorio Sgarbi Di Pietro Luca Cassarino – https://www.flickr.com/photos/184568471@N07/50349038387/, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=94156391

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Meloni tace sul raduno della vergogna ad Acca Larentia

Inutile aspettare anche solo un cenno di riprovazione dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La cerimonia del ‘presente’ seguito dai saluti romani ad Acca Larentia, Roma, e rimbalzata in video, nei giornali e nel web, è il substrato politico e culturale da cui Meloni proviene. È il luogo in cui si è formata la classe dirigente che viene dal Msi. Commemorare i militanti morti 45 anni fa nel quartiere Tuscolano è un rito obbligato che si ripete ogni anno con i dirigenti di oggi e di allora sempre in prima fila. È questo il non detto di queste ore in cui i commentatori e i giornali fanno i conti con l’imbarazzo di raccontare un “centrodestra” di governo che affonda le radici nel fascismo con tutte le sue declinazioni.

La cerimonia del “presente” seguito dai saluti romani ad Acca Larentia è il substrato politico e culturale da cui Meloni proviene

Anche il 2024 si apre con le opposizioni che chiedono chiarimenti al governo puntando il ministro all’Interno Matteo Piantedosi. A non convincere Elly Schlein e gli altri partiti di opposizione, è la presenza sul posto delle forze dell’ordine – riprese anch’esse dai telefonini – che avrebbero assistito inermi ai saluti fascisti. Non solo: il Partito democratico del Lazio, con il segretario Enzo Foschi, denuncia la presenza di istituzioni regionali e nazionali nel piazzale della storica sezione del Movimento Sociale. E la consigliera Emanuela Droghei chiama in causa il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, a suo dire presente ai saluti. Rocca smentisce e annuncia querela contro Droghei.

Per le opposizioni rimane, tuttavia, il caso di una manifestazione che in coro definiscono “inaccettabile”. Lo dice, ad esempio, Carlo Calenda: “Questa è una vergogna inaccettabile in una democrazia europea”. A interrogare il ministro oltre a Schlein è anche Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra che si chiede “come sia stato possibile che si sia permessa questa sceneggiata fascista. La glorificazione e la celebrazione di simboli e gesti inneggianti al fascismo sono inaccettabili e vanno contro i valori fondamentali della democrazia e della convivenza civile”.

Dal M5S al Pd la condanna dell’evento è unanime. Pronte le interrogazioni, con Giorgia sparita dai radar

Alcuni parlamentari sottolineano poi la differenza nel trattamento riservato dalle forze dell’ordine al solitario contestatore del teatro La Scala: “Vista la prontezza con cui alla Scala le forze dell’ordine sono intervenute per un urlo (innocuo), sono in attesa che il ministero dell’Interno comunichi di aver provveduto ad aver attivato le stesse procedure seguite dalla Digos alla Scala di Milano e a passare le riprese alla magistratura per le necessarie identificazioni”, dice il capogruppo di Iv al Senato, Enrico Borghi. Per Riccardo Magi, segretario di +Europa, “il ministro Piantedosi dovrebbe chiarire perché questo diverso trattamento tra chi afferma un principio costituzionale e chi invece della Costituzione italiana se ne frega”.

Nel Centrodestra solo Forza Italia prende le distanze. Ma sulle radici culturali della premier nessuno fiata

Dal Movimento 5 Stelle filtra indignazione per “l’oscenità” rappresentata da saluti romani che, viene spiegato, sembrano troppo facilmente metabolizzati dalla politica. “Il saluto romano è espressione di un’ideologia generatrice di morte e di sopraffazione, che ha portato il nostro Paese alla distruzione. Non ha nulla a che vedere con la commemorazione, il cordoglio e la pietà per chi è morto. Su questo non possono esserci dubbi ed è doveroso che ci sia unanimità tra le forze politiche nel respingere e condannare ogni rigurgito di violenza, da chiunque arrivi”, spiega la presidente M5S della Vigilanza Rai, Barbara Floridia. Nella maggioranza solo il presidente di Forza Italia Antonio Tajani rivendica l’antifascismo del suo partito e ricorda che la legge italiana vieta l’apologia del fascismo. Ma sulle radici della presidente del Consiglio sembra non interrogarsi nessuno.

Leggi anche: Invece di condannare i saluti romani, La Russa preferisce attendere la Cassazione: “Ci sono sentenze contrastanti, non è sempre reato”

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Record di morti da idrossiclorochina. La cura anti-Covid osannata dai No Vax

Sono quasi 17mila le persone che potrebbero essere morte dopo aver assunto idrossiclorochina durante la prima ondata di Covid-19, secondo uno studio di ricercatori francesi. Il farmaco anti-malaria è stato prescritto ad alcuni pazienti ricoverati in ospedale con Covid-19 durante la prima ondata della pandemia, “nonostante l’assenza di prove che ne documentino i benefici clinici”, sottolineano i ricercatori nel loro articolo, pubblicato nel numero di febbraio di Biomedicine & Pharmacotherapy.

Sarebbero quasi 17mila le morti accertate per effetti avversi causati dall’assunzione di idrossiclorochina contro il Covid

I ricercatori hanno stimato che circa 16.990 persone in sei paesi – Francia, Belgio, Italia, Spagna, Turchia e Stati Uniti – potrebbero essere morte per l’errata terapia. La cifra deriva da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature nel 2021 che ha riportato un aumento dell’11% del tasso di mortalità, legato alla sua prescrizione contro il Covid-19, a causa dei potenziali effetti avversi come i disturbi cardiaci e il mancato utilizzo di altri trattamenti efficaci. I ricercatori delle università di Lione, Francia, e Québec, Canada, hanno utilizzato questa cifra per analizzare i dati di ospedalizzazione per il Covid in ciascuno dei sei paesi, l’esposizione all’idrossiclorochina e l’aumento del rischio relativo di morte legato al farmaco. Gli studiosi nelle loro conclusioni dello specificano che la cifra potrebbe essere molto più alta dato che lo studio riguarda solo sei paesi da marzo a luglio 2020, quando il farmaco è stato prescritto molto di più.

Trump nei suoi interventi quotidiani dalla Casa Bianca sul coronavirus esortava gli americani a prendere l’idrossiclorochina

“Cosa c’è da perdere? Prendetela”. Era l’inizio dei aprile del 2020 quando l’allora presidente Usa Donald Trump nei suoi interventi quotidiani dalla Casa Bianca sul coronavirus esortava gli americani a prendere l’idrossiclorochina. Trump si vantava di avere a disposizione 29 ml del farmaco sempre a disposizione. Nessun dubbio di fronte ai giornalisti che gli chiedevano se non fosse il caso di aspettare il completamento degli studi clinici. In quegli stessi giorni il dottor Anthony Fauci, il principale medico di malattie infettive Usa, aveva ripetutamente avvertito che non ci fossero prove conclusive a sostegno dell’uso del farmaco. Alla domanda se dovesse essere considerato un trattamento per il Covid-19, disse il 24 marzo: “La risposta è no”.

In Italia tra i più ferventi sostenitori dell’idrossicolorichina spiccava nel 2020 l’attuale vice premier Salvini

In Italia tra i più ferventi sostenitori dell’idrossicolorichina spiccava nel 2020 l’attuale vice presidente del Consiglio e ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini. “Con idrossiclorochina si evitano ospedalizzazioni e lockdown”, disse Salvini il 3 novembre di quell’anno definendo il secondo governo Conte “molto confuso e che naviga a vista”: “una proposta concreta: un protocollo di cure a domicilio, – disse il leader della Lega – con il ricorso a farmaci dal costo irrisorio come l’idrossiclorochina, per evitare l’affollamento degli ospedali ed i lockdown”.

Lo studio condotto in sei Paesi tra cui l’Italia

Parole ripetute da Salvini anche il giorno successivo, il 4 novembre 2020, ospite de L’aria che tira su La7 (“Non faccio pubblicità ma c’è l’idrossiclorichina che ha salvato migliaia di vite”) che indignarono tra gli altri anche il virologo Roberto Burioni che intervenne per spiegare che “l’idrossiclorochina è inefficace e pure pericolosa, come dimostrato da ampissimi studi”. Lo studio uscito in questi giorni parla chiaro. Nella classifica della mortalità indotta da idrossiclorochina per paese utilizzando la stima del tasso di mortalità dalla meta-analisi di coorti incluse svettano gli Stati Uniti con 12.739 morti. Francia e Belgio si assestano su 199 e 240 morti a testa mentre l’Italia (1.822) con la Spagna (1.895) schizza a quasi 2.000.

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Ricchi e poveri, tutto immobile

Il 5% delle famiglie italiane possiede quasi la metà della ricchezza italiana. Lo scrive in un’analisi la Banca d’Italia che certifica l’immobilismo della disuguaglianza del nostro Paese: “Il cinque per cento delle famiglie italiane più ricche possiede circa il 46 per cento della ricchezza netta totale“, scrive l’istituto di via Nazionale nel suo documento pubblicato ieri. 

“I principali indici di disuguaglianza siano rimasti sostanzialmente stabili tra il 2017 e il 2022, dopo essere aumentati tra il 2010 e il 2016”, scrive l’istituto, ma “il valore mediano della ricchezza netta, che è sceso da quasi 200mila euro a poco più di 150mila euro” fa pensare che le disuguaglianze economiche e sociali siano in possibile aumento. 

Le famiglie italiane hanno visto questo calo della propria ricchezza, a partire dalla crisi dei debiti sovrani, senza più riuscire a tornare ai livelli di benessere e ricchezza del 2011. Complessivamente nell’area dell’Euro la ricchezza netta mediana ha raggiunto un minimo di circa 100mila euro nel 2013 per poi salire gradualmente fino a superare i 140mila euro nel 2022.

Ultimo appiglio la casa. La metà della ricchezza degli italiani è rappresentata dalle abitazioni: nello specifico, le case di proprietà rappresentano i tre quarti della ricchezza per le famiglie sotto la mediana, vale a dire per il 50 per cento più povero.

Italiani attaccati alla loro “roba” dal sapore verghiano come unica possibilità di ricchezza. Dovrebbero essere numeri al centro del dibattito politico se i partiti non vedessero la ridistribuzione come un pericoloso smottamento del rassicurante status quo. Così la notizia rimane relegata in fondo alla pagina.

Buon martedì. 

Nella foto: Centro di accoglienza e mensa dei poveri, Napoli (Adobe stock)

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Macelleria palestinese. I più colpiti sono i bambini. Dieci under 18 amputati ogni giorno

Più di 10 bambini al giorno, in media, hanno perso una o entrambe le gambe a Gaza dall’inizio del conflitto tre mesi fa. Lo dichiara Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini e garantire loro un futuro.

Più di 10 bambini al giorno, in media, hanno perso una o entrambe le gambe a Gaza dall’inizio del conflitto tre mesi fa

Dal 7 ottobre, secondo l’Unicef, a più di 1.000 bambini sono state amputate una o entrambe le gambe. Molte di queste operazioni sui bambini, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), sono state effettuate senza anestesia, a causa della paralisi del sistema sanitario nella Striscia causata dal conflitto e della grave carenza di medici, infermieri e forniture mediche come anestetici e antibiotici.

Solo 13 dei 36 ospedali di Gaza rimangono parzialmente funzionanti, ma operano in modo limitato e instabile a seconda della possibilità di accesso al carburante e alle forniture mediche di base in ogni giorno. I nove ospedali parzialmente funzionanti nel sud stanno operando al triplo della loro capacità, nonostante debbano affrontare carenze critiche di forniture di base e di carburante. Inoltre, secondo l’Oms, solo il 30% dei medici di Gaza in servizio prima del conflitto lavora ancora.

Ieri, sempre l’Oms, ha dichiarato di essere stata costretta ad annullare una missione per portare forniture mediche nel nord di Gaza per mancate garanzie di sicurezza. È la quarta volta. Come ha ricordato ieri Matteo Villa dell’Ispi, di tutte le persone che rischiano di morire per fame al mondo, l’Onu stima che l’80% si trovi oggi nella Striscia di Gaza. La situazione tragica non ha nemmeno lontanamente un senso strategico a livello militare e a livello politico. È un feroce infierire.

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Raffaele Oriani e “la vergogna di tutti su Gaza”

Raffaele Oriani interrompe la sua collaborazione a Repubblica dopo 12 anni. Contro il modo di Repubblica e di gran parte della stampa europea di raccontare cosa sta succedendo a Gaza.

“Care colleghe e colleghi -ha scritto nella sua lettera alla redazione- ci tengo a farvi sapere che a malincuore interrompo la mia collaborazione con il Venerdì. Collaboro con il newsmagazine di Repubblica ormai da dodici anni ed è sempre un grande onore vedere i propri articoli pubblicati su questo splendido settimanale. Eppure chiudo qua, perché la strage in corso a Gaza è accompagnata dall’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica (oggi due famiglie massacrate in ultima riga a pagina 15). Sono 90 giorni che non capisco. Muoiono e vengono mutilate migliaia di persone, travolte da una piena di violenza che ci vuole pigrizia a chiamare guerra. Penso che raramente si sia vista una cosa del genere, così, sotto gli occhi di tutti. E penso che tutto questo non abbia nulla a che fare con Israele, né con la  Palestina, né con la geopolitica, ma solo con i limiti della nostra tenuta etica. Magari fra decenni, ma in tanti si domanderanno dove eravamo, cosa facevamo, cosa pensavamo mentre decine di migliaia di persone finivano sotto le macerie. Quanto accaduto il 7 ottobre è la vergogna di Hamas, quanto avviene dall’8 ottobre è la vergogna di noi tutti ( su questo il libro di left La strage dei bambini ndr). Questo massacro ha una scorta mediatica che lo rende possibile. Questa scorta siamo noi. Non avendo alcuna possibilità di cambiare le cose, con colpevole ritardo mi chiamo fuori”.

Che poi, a pensarci bene, Oriani è uno che “si chiama dentro” mentre molti comodamente ne stanno fuori.

Buon lunedì.

 

In apertura una foto dal profilo twitter del repoter palestinese Motaz Azaiza, please follow @azaizamotaz9

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