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L’Italia e l’abuso dei minori stranieri. Ancora

È successo, ancora. La Cedu ha ordinato al Governo italiano di trasferire un minore di 15 anni trattenuto dall’inizio di ottobre nel centro di Restinco in provincia di Brindisi, in un adeguato centro per minori non accompagnati. Lo ha reso noto l’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), specificando che la decisione “si aggiunge alla lunga serie di sentenze della Corte Europea per i Diritti Umani e le Libertà fondamentali contro l’Italia”. Con la decisione cautelare del 19 dicembre, la Corte “ha specificato che tale nuovo centro dovrà garantire al minore i diritti sino ad oggi negati tra cui tutta l’assistenza necessaria, compreso, a titolo esemplificativo, il rilascio di validi documenti di identificazione, il collocamento in condizioni compatibili con l’articolo 3 della Convenzione, l’accesso alle procedure legali e amministrative pertinenti, la nomina di un tutore. Inoltre ha deciso di dare priorità all’esame del ricorso di merito”, spiega l’Asgi in una nota. 

“A fronte della natura sistemica delle violazioni riscontrate, ricordiamo che Asgi – prosegue il comunicato – lo scorso 6 novembre ha inviato una comunicazione al comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che deve supervisionare l’attuazione delle sentenze della Cedu, elencando le innumerevoli situazioni di mancata tutela e illegittimo trattenimento di cui sono vittima i minori stranieri non accompagnati in Italia. Situazione destinata ad ulteriormente aggravarsi anche alla luce dell’entrata in vigore delle misure previste dal d.l. 133/2023, convertito con modificazioni in L. 173/2023 del 1.12.2023 e dell’ulteriore rischio che, a seguito di procedure superficiali, siano identificati come maggiorenni coloro che, invece, sono minori di età”.

Buon venerdì. 

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Altro che deriva giudiziaria. È il bavaglio la vera barbarie

Non c’è niente di meglio che raccontare come sarebbe stata la stampa italiana già da tempo con l’emendamento del calendiano Enrico Costa, che a braccetto col governo ha deciso di confezionare l’ennesima legge bavaglio. Per l’onorevole Costa bisogna vietare la pubblicazione integrale e per estratto degli atti processuali.

Non c’è niente di meglio che raccontare come sarebbe stata la stampa italiana già da tempo con l’emendamento del calendiano Costa

“Un provvedimento liberticida non solo nei confronti dell’articolo 21 della Costituzione, ma anche nei confronti delle libertà individuali”, dice la Fnsi. Come sarebbe? Il cronista giudiziario di Repubblica Giuliano Foschini ricorda che non avremo potuto sapere nulla di Andrea Bonafede, l’uomo che ha prestato la sua identità a Matteo Messina Denaro. Non avremmo saputo e visto le immagini delle botte dei carabinieri all’interno della caserma di Piacenza, non sapremmo dei comportamenti di Filippo Turetta prima dell’omicidio di Giulia Cecchettin, non sapremmo delle conversazioni del magistrato Luca Palamara.

Il Fatto Quotidiano ricorda che non avremmo letto la teoria del “mondo di mezzo” di Buzzi e Carminati o non avremmo letto il brigare dell’ex senatore Giancarlo Pittelli, descritto come “l’affarista massone dei boss della ’ndrangheta calabrese”, nominato loro legale “in quanto capace di mettere mano ai processi con le sue ambigue conoscenze e rapporti di ‘amicizia’ con magistrati”.

Sono alcuni esempi ma potrebbero essere migliaia, a partire dagli atti del Ponte Morandi. Ve lo immaginate un Paese in cui tutto è delegato a una “sintesi” (non si capisce come)? Il punto sta tutto qui: chi ci guadagnerebbe? Nella risposta ci sono i poteri che si vogliono difendere. E no, non è il diritto all’informazione.

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Chi paga non prende migranti. E l’Italia diventa il campo profughi Ue

Per capire cosa ci sia dentro l’accordo tra eurodeputati e i governi nazionali raggiunto ieri a Bruxelles per rinnovare la legislazione dell’Ue in materia di asilo e migranti basta guardare in Francia dove il premier Emmanuel Macron traballa per la rabbia dei repubblicani che denunciano una “regressione dei diritti indietro di quarant’anni” e hanno ritirato dal governo il loro ministro della Salute Aurélien Rousseau.

Accordo a Bruxelles sulla riforma del Trattato di Dublino. Il nostro Paese sarà il Centro rimpatri del continente

Non è un caso quindi che insieme a Marine Le Pen e il leader spagnolo di Vox Santiago Abascal da noi festeggino tutti i partiti di centrodestra, rivendicando i nuovi accordi come “una vittoria politica dell’Italia”. Il Patto migrazione e asilo, presentato dalla Commissione europea nel settembre 2020, è un pacchetto di vari provvedimenti legislativi, molti dei quali già accordati. L’accordo di ieri riguarda cinque regolamenti. Tra i punti principali: gli Stati membri possono scegliere tra ospitare i richiedenti asilo e fornire contributi finanziari; come affrontare le situazioni di crisi e la strumentalizzazione dei migranti e dei richiedenti asilo; le domande di asilo saranno esaminate più rapidamente; miglioramento dell’identificazione all’arrivo, comprese l’immagine del volto e le impronte digitali, per i bambini a partire dai sei anni; controlli sanitari e di sicurezza obbligatori per le persone che entrano irregolarmente nell’Ue. L’Italia in realtà ha ben poco da festeggiare. La normativa sulla gestione dell’asilo e della migrazione è l’elemento principale del nuovo accordo e si propone di sostituire il Regolamento Dublino, che stabilisce norme per determinare quale Stato membro è competente per l’esame di una domanda di asilo.

La normativa sulla gestione dell’asilo e della migrazione è l’elemento principale del nuovo accordo e si propone di sostituire il Regolamento Dublino

Il nuovo regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione prevede la solidarietà obbligatoria per i paesi dell’Ue riconosciuti come sotto pressione migratoria, consentendo agli altri Stati membri di scegliere tra il ricollocamento dei richiedenti asilo nel loro territorio e il versamento di contributi finanziari. Cosa accadrà non è difficile immaginarlo: pur di non avere problemi con la propria base elettorale i governi – in particolari quelli del Gruppo di Visegrad – preferiranno pagare per non accogliere. L’Italia diventa così la nuova Albania: un enorme Cpr al servizio dei Paesi membri. “Se si paga restano in Italia – dice la segretaria del Partito democratico Elly Schlein – al governo se ne sono accorti?”.

Il governo esulta ma c’è poco da festeggiare. Legittimate anche le politiche repressive ai confini europei

Di patto che “legittima le politiche di repressione ai confini dell’Unione e soprattutto manda in soffitta la solidarietà”, parla anche il capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra Peppe De Cristofaro, presidente del gruppo Misto di Palazzo Madama. In un comunicato congiunto le Ong che operano nel Mediterranei sottolineano come “verrà mantenuto il fallimentare sistema di Dublino e si continuerà invece nell’isolare i rifugiati e i richiedenti asilo, trattenendoli in campi remoti. Sempre più persone cercheranno di fuggire via mare, scegliendo rotte sempre più pericolose”.

Per Save The Children l’accordo porterà a “palesi violazioni dei diritti dei minori, mettendoli in pericolo e porterà a ulteriori separazioni delle famiglie”: “porterà anche a sistematizzare la detenzione di minori di tutte le età ai confini dell’Ue e minerà il loro equo accesso all’asilo in tutto il continente”, scrive l’organizzazione. Per Refugees Welcome Italia è “il fallimento di un’idea di Europa in grado di garantire protezione e sicurezza a chi fugge da guerre e persecuzioni”. Un accordo che mina ancora di più i diritti umani, che rende l’Italia ancora più esposta al sovraccarico di arrivi e che viene subito contestato dall’ungherese Orbàn. Che fa il centrodestra Esulta.

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Altra donna, solita storia. È un Paese da Codice Rosso

Un’altra donna e sempre la solita storia. Vanessa Ballan aveva deciso di troncare la sua relazione con Bujar Fandaj ma lui non aveva accettato la sua libertà di scegliere, la sua autonomia. Così l’ha uccisa non potendola più possedere. Anche in questo caso c’è una donna che aveva paura. Lo raccontano i colleghi del supermercato in cui la vittima lavorava, lo racconta la denuncia presentata da Ballan lo scorso 26 ottobre.

Un’altra donna e sempre la solita storia. Denunce da “codice rosso” che attivano un allarme giallo

“C’erano elementi forse per un pericolo di attività persecutoria e molesta, ma non per un divieto di avvicinamento”, ha detto ieri ai giornalisti il procuratore capo di Treviso, Marco Martani, con il tono di un mea culpa. “Dopo una perquisizione eseguita nella sua abitazione dopo la querela, da parte di Fandaj non c’erano più stati episodi di molestie, di avvicinamenti o minacce. La valutazione fatta – ha concluso Martani – era di non urgenza, cosa purtroppo che si è rivelata infondata”.

Un’altra donna e sempre la solita storia. Branchi di uomini che giudicano lei una cattiva mamma perché aveva un’amante. Pare di capire che quindi meritasse di essere uccisa secondo la legge ottocentesca del delitto d’onore. Un’altra donna e sempre la solita storia. Le origini kossovare dell’assassino usate per concimare razzismo e salvare i maschi italiani che svettano invece nelle statistiche.

Un’altra donna e sempre la solita storia. Denunce da “codice rosso” che attivano un allarme giallo. Strumentalizzazione della gravidanza della vittima per fomentare cultura antiabortista. “Ci sono elementi per contestare la premeditazione”, dice la Procura. Vedendo i fatti forse ci sono anche i soliti elementi per contestare l’immobilismo.

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Il piagnucolio degli assalitori della Cgil

Quelli che si offendono se vengono chiamati neofascisti ieri sono stati condannati a oltre 8 anni di reclusione per l’assalto alla sede della Cgil di Roma avvenuto durante una manifestazione contro il green pass del 9 ottobre di due anni fa e in aula  ieri alla lettura della sentenza si sono levate urla (come “La gente come noi non molla mai” inno nelle manifestazioni no vax) ma anche braccia tese per fare i saluti romani fascisti. C’è anche chi tra familiari e amici degli imputati ha gridato “mò famo la guerra”.

La condanna riguarda l leader di Forza Nuova Roberto Fiore e quello che a lungo è stato il suo braccio destro, Giuliano Castellino. Con loro anche Luigi Aronica, ex Nar, organizzazione terroristica neofascista. Agli imputati venivano contestati, a vario titolo, il danneggiamento aggravato, devastazione e saccheggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. La sentenza, sottolinea il segretario della Cgil Maurizio Landini, “conferma che quell’azione non fu un semplice episodio di generica violenza di matrice fascista, bensì un vero e proprio assalto alla casa dei lavoratori e al sindacato che li rappresenta”.

Forza Nuova in una nota parla di “sentenza politica” e lamenta di essere bloccata alla corse per le prossime elezioni europee. Peccato che la formazione neofascista non compaia nemmeno nelle rilevazioni grazie alle sue percentuali che non sfiorano nemmeno l’1%. Però non hanno tutti i torti: ogni condanna che riguarda manifestazioni di violenza di matrice neofasciste ha una forte valenza politica. Anzi, di più: ha a che fare con la Costituzione. 

Buon giovedì. 

Foto Collettiva Cgil

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Altra strage di migranti in mare. +Europa: “Governo corresponsabile”

Riccardo Magi non ha dubbi: l’Italia è corresponsabile della morte delle 61 persone annegate la sera del 14 dicembre in acque internazionali. Per il segretario +Europa “la responsabilità del nostro governo è tanto grave quanto evidente”: “Giorgia Meloni pensa ai pandori e agli influencer – ha scritto Magi in una nota – mentre invece dovrebbe chiarire la dinamica che ha portato al naufragio di sabato dove sono morte 61 persone: Frontex ha rivelato di aver avvistato il gommone alla deriva e di aver informato Italia, Malta, Tunisia e Libia. Perché non siamo intervenuti? Perché è stato impedito di fatto a Ocean Viking di effettuare il salvataggio?”.

Riccardo Magi non ha dubbi: l’Italia è corresponsabile della morte delle 61 persone annegate la sera del 14 dicembre in acque internazionali

Il deputato ha annunciato di avere già depositato un’interrogazione per il ministro all’Interno Matteo Piantedosi. La segretaria del Partito democratico Elly Schlein chiama invece in causa Meloni “per spiegare com’è possibile che Frontex avesse avvertito quattro Paesi tra cui l’Italia, e nessuno sia intervenuto per soccorrerle”. Schlein chiede alla premeir anche di “spiegare che una nave, la Ocean Viking, che aveva già fatto un altro salvataggio in zona si stava allontanando per ottemperare all’ordine di sbarcare 26 superstiti a Livorno, a 1.000 chilometri e 8 giorni di navigazione tra andata e ritorno. Questo accade a causa delle vostre scelte e del vostro decreto inumano, che ha il solo scopo di rendere più difficile salvare le vite in mare. E gli effetti si vedono”.

Atto d’accusa di +Europa contro le destre: “L’Italia ha impedito alla Ocean Viking di intervenire”

In effetti molte ore prima del naufragio, alle 17.30 del 14 dicembre, il Comando generale delle Capitanerie di Porto della Guardia costiera, era stato avvisato da Alarm Phone che aveva ricevuto l’Sos dei naufraghi con le coordinate del gommone. L’Mrcc avrebbe potuto chiedere alla Ocean Viking della ong Sos Mediterranée di invertire la rotta e recuperare i superstiti, molto probabilmente salvandoli dalla morte. Vi sono ripetute comunicazioni via mail e telefoniche tra il comando e la nave. Il decreto Piantedosi però vieta esplicitamente un secondo salvataggio alle navi e Ocean Viking il 13 dicembre alle 16 aveva salvato 26 persone proprio in quello specchio di mare dove poi è avvenuta la strage. Per questo le era stato assegnato il porto di Livorno, a 100 chilometri di distanza nel mezzo di un temporale con raffiche forza 9 e onde alte 4 metri.

Ieri alcune “fonti” della Guardia costiera italiana hanno spiegato che la Ocean Viking “si trovava in prossimità delle coste siciliane”. La sostanza non cambia. L’Mrcc ha preferito attendere che intervenisse la cosiddetta Guardia costiera libica, fingendo di non sapere ciò che sappiamo da anni: i libici non salvano persone in mare ma nel migliore dei casi recuperano i vivi per riportarli nell’inferno dei lager finanziati anche dal governo italiano. Alarm Phone racconta di avere avvisato Italia, Malta, Libia. La cosiddetta Guardia Costiera libica più di tre ore dopo, alle 20.44, ha risposto ad Alarm Phone che “siccome c’erano le onde alte non avrebbero inviato nessuno”.

Solo alle 21.40 l’Italia, attraverso l’Mrcc, decide di avvisare una nave di rifornimento di piattaforma petrolifera – la Vos Triton – che in passato, coinvolta in soccorsi, si è macchiata di respingimenti illegali in Libia. A quel punto, era notte fonda, non è rimasto che recuperare i 25 sopravvissuti e constatare il decesso di 61 persone, tra cui donne e bambini. Secondo il progetto Missing Migrants dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), dall’inizio del 2023 sono morte 2.511 persone in mare. Ma secondo l’organizzazione EuroMed Rights questo numero è sottostimato. L’aumento in percentuale, secondo i dati dell’Oim , sarebbe addirittura del 60%. “Sono oltre 2.271 le persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo Centrale quest’anno – spiega il portavo e Oim, Flavio di Giacomo – l’anno scorso in tutto l’anno furono 1.417, un numero drammatico che purtroppo dimostra che non si fa abbastanza per salvare vite in mare”.

Otto morti al giorno nel Mediterraneo non spingono a una riflessione il governo. A nessuno dalle parti di Palazzo Chigi viene il dubbio che boicottando i salvataggi per decreto alla fine ai naufraghi capiti di annegare. Ciò che interessa al governo è tenere lontano dagli occhi i morti e i diritti violati. Si insiste nell’investire 650 milioni di euro per aprire Cpr in Albania e sventolare un nebuloso Piano Matteo sul fronte africano. Proprio a proposito del cosiddetto Piano Mattei che ancora non ha visto nessuno ieri il ministro agli Esteri Antonio Tajani in un’intervista a La Stampa ha fatto sapere che si starebbe creando una “struttura di governance, ma nel frattempo molte iniziative del governo vanno in quella direzione”. “Abbiamo aumentato le 500 borse di studio a studenti africani e stretto un accordo con l’università di Perugia per fornire alle imprese italiane degli studenti africani laureati in Italia”, spiega Tajani secondo cui “il Piano Mattei, in fondo, è soprattutto un metodo”. Chissà qual è, nel “metodo” Mattei, il ruolo dei morti che potevano essere salvati.

Leggi anche: Trovato l’accordo in Ue sul Patto sui migranti e l’asilo, ma la solidarietà obbligatoria è una farsa: per evitare i ricollocamenti sul proprio territorio basta pagare

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Fare bene, non beneficenza

C’è un modo semplicissimo per scollegare il benefare dei ricchi e collegare il fare bene alla comunità: un’imposta europea per i grandi patrimoni. La proposta è stata scritta non molto tempo fa da Oxfam e prevede l’istituzione di un’imposta europea sui grandi patrimoni, che in Italia, a titolo esemplificativo, potrebbe essere rivolta al solo 0,1% più ricco della popolazione con un patrimonio netto individuale sopra i 5,4 milioni di euro.

L’imposta progressiva sui grandi patrimoni potrebbe generare risorse considerevoli per l’Unione europea. A seconda dei destinatari e di come sarà strutturata, gli introiti potrebbero attestarsi tra 150 miliardi e 213 miliardi di euro all’anno. Il potenziale gettito per l’Italia sarebbe di 13,2 – 15,7 miliardi di euro all’anno, se ad essere tassato fosse lo 0,1% dei contribuenti più ricchi; 23 miliardi di euro all’anno, se si considerasse lo 0,5% più facoltoso dei nostri connazionali e le aliquote marginali replicassero quelle dell’imposta in vigore in Spagna. Le entrate erariali potrebbero essere anche più consistenti, se si aumentasse il grado di progressività dell’imposta, introducendo ad esempio un maggior numero di scaglioni e ricorrendo, in corrispondenza, ad aliquote marginali più elevate.

Nel 2021 due terzi dei rispondenti italiani a un sondaggio, commissionato all’istituto di ricerca di mercato Glocalities, dal network dei multi-milionari Millionaires for Humanity e da Tax Justice Italia, si è espresso favorevolmente su un’imposta dell’1% sui patrimoni netti superiori a 8 milioni di euro, il cui gettito fosse destinato al finanziamento della ripresa post-pandemica e alle famiglie più bisognose.

Altro che beneficenza. 

Buon mercoledì. 

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Al-Sisi rieletto in Egitto. L’Occidente non fa una piega

A proposito di esperti di democrazie, amanti di democrazie e esportatori di democrazia mi pare che si parli pochissimo del fatto che Abdel Fattah al-Sisi, l’uomo che sta ostacolando in tutti i modi la verità e la giustizia ai familiari di Giulio Regeni, sia stato eletto per la terza volta presidente dell’Egitto. Secondo l’Autorità elettorale nazionale egiziana, al-Sisi ha ottenuto l’89,6% dei voti (circa 39 milioni) con un’affluenza alle urne che ha raggiunto il 66,8%, un’adesione “senza precedenti”, ha affermato il capo dell’autorità Hazem Badawy.

Abdel Fattah al-Sisi, l’uomo che sta ostacolando in tutti i modi la verità e la giustizia ai familiari di Giulio Regeni, è stato eletto per la terza volta presidente dell’Egitto

Quanto possa essere democratico un Paese in cui si viene eletti con il 90% dei voti non è difficile da immaginare. Il suo avversario di più alto profilo, l’ex parlamentare Ahmed al-Tantawi, ha raccontato di arresti tra i suoi sostenitori. Al-Sisi nelle elezioni del 2015 e del 2018 aveva vinto con il 97% dei voti. Nelle elezioni del 2018 l’avversario del presidente era un suo fervente sostenitore.

Sì, avete capito bene: al-Sisi aveva sfidato un suo fan. L’altro avversario invece era stato arrestato. Altri ancora si sono ritirati dopo essere stati minacciati. Quatto anni fa al-Sisi ha modificato la Costituzione egiziana per concedersi un terzo mandato e – visto che c’era – ha pensato bene di allungare il mandato presidenziale da quattro a sei anni. Sarà quindi presidente dell’Egitto fino al 2030, riverito dall’Occidente che vorrebbe essere il custode delle democrazie degli altri ma che è pronto a stringere mani sporche di sangue per siglare accordi economici e a non vedere l’autocrazia quando gli torna utile. Non vediamo l’ora di sentire chi ci spiegherà che al-Sisi “è un male necessario”.

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L’Onu premia la Holding dei Benetton. Schiaffo alle vittime del Ponte Morandi

La Holding Edizione spa della famiglia Benetton “ottiene il premio Global advocate of the year 2023 da parte dell’Unca, associazione corrispondenti presso l’Onu, consegnato direttamente dal segretario Antonio Guterres, la motivazione trova radice negli oltre 3,5 miliardi di investimenti in sostenibilità. Non possiamo esimerci da alcune riflessioni”.

Incredibile riconoscimento per la sostenibilità alla Holding dei Benetton. Familiari indignati: scelta discutibile, non cancella i morti

Comincia così la nota di Egle Possetti, presidente del Comitato ricordo vittime ponte Morandi secondo la quale “non si può che restare perplessi rispetto alle brevi vie di purificazione. Infatti gli azionisti dopo avere letteralmente spremuto le autostrade italiane in concessione, che hanno all’attivo due tragedie come quella di Avellino e Genova, assumono ora il ruolo di filantropi premiati”. “Siamo terribilmente perplessi che le vie per il ritorno a candide vesti non passino per la verità e per la giustizia – scrive Possetti -. Dovremmo riflettere tutti sui percorsi che portano ai riconoscimenti. a volte per ottenerli le persone calpestano quello che incontrano, in questi casi immediatamente il valore di quanto ottenuto diventa così flebile che non si percepisce più. A noi non basta l’impegno in progetti di sostenibilità pur apprezzabili, crediamo che la risonanza di questa notizia strida come il rumore del cemento frantumato del Ponte Morandi sotto il peso degli utili stellari”.

Il crollo del ponte Morandi avvenne alle 11.36 del 14 agosto del 2018 provocando 43 vittime a bordo dei mezzi in transito e tra gli operai al lavoro nella sottostante isola ecologica dell’Amiu, l’azienda municipalizzata per la raccolta dei rifiuti. Secondo la perizia presentata nell’incidente probatorio del processo sulle cause dell’evento, redatta dagli ingegneri e professori universitari Massimo Losa e Renzo Valentini dell’Università di Pisa e Giampaolo Rosati e Stefano Tubaro del Politecnico di Milano, la causa del crollo è stata la mancanza e/o l’inadeguatezza dei controlli. Nella pila 9 solo 4 trefoli su 464 (meno dell’1%) non erano corrosi; a ciò si aggiungeva anche il degrado sia degli stralli sia del calcestruzzo.

Il 7 luglio 2022 è cominciato presso il Tribunale di Genova il processo per il crollo, con 59 imputati tra ex vertici e tecnici di Autostrade per l’Italia (ai tempi controllata da una holding della famiglia Benetton, ora tornata società pubblica dopo 20 anni) e Spea (la società responsabile delle manutenzioni e delle ispezioni), dirigenti ed ex dirigenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e funzionari del Provveditorato. Le accuse sono omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso e omissione d’atti d’ufficio.

“Nessun premio, – scrive Possetti – nessun riconoscimento potrà cancellare quello che è stato. Sarebbe necessario molto di più, sarebbe necessario liberare definitivamente il vaso di Pandora che è stato aperto dalla tragedia del ponte Morandi, ma purtroppo questa via al momento sembra sbarrata. Il tempo verrà, noi e tante persone che hanno a cuore il bene, stiamo lavorando per ottenere quel piccolo “premio” nella nostra vita che si chiama giustizia, che non ci darà nuovamente le nostre famiglie, ma forse potrà salvarne altre”.

Ieri nel tribunale di Genova si è svolta l’ultima udienza dell’anno del processo in corso. Si riprenderà il 9 gennaio 2024 con tre udienze a settimana con l’obiettivo di concludere gli esami dei testi delle difese, circa 200 dopo lo stralcio di oltre 130 nomi da parte degli avvocati degli imputati, entro la fine di marzo. La speranza è che si possa arrivare ad avere una sentenza fra un anno, entro i primi mesi del 2025.

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La fame usata come arma

Il governo israeliano sta usando la fame dei civili come metodo di guerra nella Striscia di Gaza occupata, che è un crimine di guerra, ha detto oggi Human Rights Watch. Le forze israeliane stanno deliberatamente bloccando la consegna di acqua, cibo e carburante, mentre impediscono intenzionalmente l’assistenza umanitaria, apparentemente radendo al suolo le aree agricole e privando la popolazione civile di oggetti indispensabili per la loro sopravvivenza.

Lo afferma un rapporto di Human Rights Watch (Hrw) sottolineando come si tratti di un crimine di guerra secondo il diritto internazionale. Un orrendo crimine di guerra, verrebbe da aggiungere. Da quando i combattenti guidati da Hamas hanno attaccato Israele il 7 ottobre 2023, alti funzionari israeliani, tra cui il ministro della Difesa Yoav Gallant, il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro dell’Energia Israel Katz hanno fatto dichiarazioni pubbliche esprimendo il loro obiettivo di privare i civili a Gaza di cibo, acqua e carburante: dichiarazioni che riflettono la politica condotta dalle forze israeliane. Altri funzionari israeliani hanno dichiarato pubblicamente che gli aiuti umanitari a Gaza sarebbero condizionati o al rilascio di ostaggi detenuti illegalmente da Hamas o alla distruzione di Hamas. 

“Per oltre due mesi, Israele ha privato la popolazione di Gaza di cibo e acqua, una politica stimolata o approvata da alti funzionari israeliani e che riflette l’intenzione di affamare i civili come metodo di guerra”, ha detto Omar Shakir, direttore di Israele e Palestina di Human Rights Watch.

Buon martedì. 

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