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Il piagnucolio degli assalitori della Cgil

Quelli che si offendono se vengono chiamati neofascisti ieri sono stati condannati a oltre 8 anni di reclusione per l’assalto alla sede della Cgil di Roma avvenuto durante una manifestazione contro il green pass del 9 ottobre di due anni fa e in aula  ieri alla lettura della sentenza si sono levate urla (come “La gente come noi non molla mai” inno nelle manifestazioni no vax) ma anche braccia tese per fare i saluti romani fascisti. C’è anche chi tra familiari e amici degli imputati ha gridato “mò famo la guerra”.

La condanna riguarda l leader di Forza Nuova Roberto Fiore e quello che a lungo è stato il suo braccio destro, Giuliano Castellino. Con loro anche Luigi Aronica, ex Nar, organizzazione terroristica neofascista. Agli imputati venivano contestati, a vario titolo, il danneggiamento aggravato, devastazione e saccheggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. La sentenza, sottolinea il segretario della Cgil Maurizio Landini, “conferma che quell’azione non fu un semplice episodio di generica violenza di matrice fascista, bensì un vero e proprio assalto alla casa dei lavoratori e al sindacato che li rappresenta”.

Forza Nuova in una nota parla di “sentenza politica” e lamenta di essere bloccata alla corse per le prossime elezioni europee. Peccato che la formazione neofascista non compaia nemmeno nelle rilevazioni grazie alle sue percentuali che non sfiorano nemmeno l’1%. Però non hanno tutti i torti: ogni condanna che riguarda manifestazioni di violenza di matrice neofasciste ha una forte valenza politica. Anzi, di più: ha a che fare con la Costituzione. 

Buon giovedì. 

Foto Collettiva Cgil

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Altra strage di migranti in mare. +Europa: “Governo corresponsabile”

Riccardo Magi non ha dubbi: l’Italia è corresponsabile della morte delle 61 persone annegate la sera del 14 dicembre in acque internazionali. Per il segretario +Europa “la responsabilità del nostro governo è tanto grave quanto evidente”: “Giorgia Meloni pensa ai pandori e agli influencer – ha scritto Magi in una nota – mentre invece dovrebbe chiarire la dinamica che ha portato al naufragio di sabato dove sono morte 61 persone: Frontex ha rivelato di aver avvistato il gommone alla deriva e di aver informato Italia, Malta, Tunisia e Libia. Perché non siamo intervenuti? Perché è stato impedito di fatto a Ocean Viking di effettuare il salvataggio?”.

Riccardo Magi non ha dubbi: l’Italia è corresponsabile della morte delle 61 persone annegate la sera del 14 dicembre in acque internazionali

Il deputato ha annunciato di avere già depositato un’interrogazione per il ministro all’Interno Matteo Piantedosi. La segretaria del Partito democratico Elly Schlein chiama invece in causa Meloni “per spiegare com’è possibile che Frontex avesse avvertito quattro Paesi tra cui l’Italia, e nessuno sia intervenuto per soccorrerle”. Schlein chiede alla premeir anche di “spiegare che una nave, la Ocean Viking, che aveva già fatto un altro salvataggio in zona si stava allontanando per ottemperare all’ordine di sbarcare 26 superstiti a Livorno, a 1.000 chilometri e 8 giorni di navigazione tra andata e ritorno. Questo accade a causa delle vostre scelte e del vostro decreto inumano, che ha il solo scopo di rendere più difficile salvare le vite in mare. E gli effetti si vedono”.

Atto d’accusa di +Europa contro le destre: “L’Italia ha impedito alla Ocean Viking di intervenire”

In effetti molte ore prima del naufragio, alle 17.30 del 14 dicembre, il Comando generale delle Capitanerie di Porto della Guardia costiera, era stato avvisato da Alarm Phone che aveva ricevuto l’Sos dei naufraghi con le coordinate del gommone. L’Mrcc avrebbe potuto chiedere alla Ocean Viking della ong Sos Mediterranée di invertire la rotta e recuperare i superstiti, molto probabilmente salvandoli dalla morte. Vi sono ripetute comunicazioni via mail e telefoniche tra il comando e la nave. Il decreto Piantedosi però vieta esplicitamente un secondo salvataggio alle navi e Ocean Viking il 13 dicembre alle 16 aveva salvato 26 persone proprio in quello specchio di mare dove poi è avvenuta la strage. Per questo le era stato assegnato il porto di Livorno, a 100 chilometri di distanza nel mezzo di un temporale con raffiche forza 9 e onde alte 4 metri.

Ieri alcune “fonti” della Guardia costiera italiana hanno spiegato che la Ocean Viking “si trovava in prossimità delle coste siciliane”. La sostanza non cambia. L’Mrcc ha preferito attendere che intervenisse la cosiddetta Guardia costiera libica, fingendo di non sapere ciò che sappiamo da anni: i libici non salvano persone in mare ma nel migliore dei casi recuperano i vivi per riportarli nell’inferno dei lager finanziati anche dal governo italiano. Alarm Phone racconta di avere avvisato Italia, Malta, Libia. La cosiddetta Guardia Costiera libica più di tre ore dopo, alle 20.44, ha risposto ad Alarm Phone che “siccome c’erano le onde alte non avrebbero inviato nessuno”.

Solo alle 21.40 l’Italia, attraverso l’Mrcc, decide di avvisare una nave di rifornimento di piattaforma petrolifera – la Vos Triton – che in passato, coinvolta in soccorsi, si è macchiata di respingimenti illegali in Libia. A quel punto, era notte fonda, non è rimasto che recuperare i 25 sopravvissuti e constatare il decesso di 61 persone, tra cui donne e bambini. Secondo il progetto Missing Migrants dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), dall’inizio del 2023 sono morte 2.511 persone in mare. Ma secondo l’organizzazione EuroMed Rights questo numero è sottostimato. L’aumento in percentuale, secondo i dati dell’Oim , sarebbe addirittura del 60%. “Sono oltre 2.271 le persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo Centrale quest’anno – spiega il portavo e Oim, Flavio di Giacomo – l’anno scorso in tutto l’anno furono 1.417, un numero drammatico che purtroppo dimostra che non si fa abbastanza per salvare vite in mare”.

Otto morti al giorno nel Mediterraneo non spingono a una riflessione il governo. A nessuno dalle parti di Palazzo Chigi viene il dubbio che boicottando i salvataggi per decreto alla fine ai naufraghi capiti di annegare. Ciò che interessa al governo è tenere lontano dagli occhi i morti e i diritti violati. Si insiste nell’investire 650 milioni di euro per aprire Cpr in Albania e sventolare un nebuloso Piano Matteo sul fronte africano. Proprio a proposito del cosiddetto Piano Mattei che ancora non ha visto nessuno ieri il ministro agli Esteri Antonio Tajani in un’intervista a La Stampa ha fatto sapere che si starebbe creando una “struttura di governance, ma nel frattempo molte iniziative del governo vanno in quella direzione”. “Abbiamo aumentato le 500 borse di studio a studenti africani e stretto un accordo con l’università di Perugia per fornire alle imprese italiane degli studenti africani laureati in Italia”, spiega Tajani secondo cui “il Piano Mattei, in fondo, è soprattutto un metodo”. Chissà qual è, nel “metodo” Mattei, il ruolo dei morti che potevano essere salvati.

Leggi anche: Trovato l’accordo in Ue sul Patto sui migranti e l’asilo, ma la solidarietà obbligatoria è una farsa: per evitare i ricollocamenti sul proprio territorio basta pagare

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Fare bene, non beneficenza

C’è un modo semplicissimo per scollegare il benefare dei ricchi e collegare il fare bene alla comunità: un’imposta europea per i grandi patrimoni. La proposta è stata scritta non molto tempo fa da Oxfam e prevede l’istituzione di un’imposta europea sui grandi patrimoni, che in Italia, a titolo esemplificativo, potrebbe essere rivolta al solo 0,1% più ricco della popolazione con un patrimonio netto individuale sopra i 5,4 milioni di euro.

L’imposta progressiva sui grandi patrimoni potrebbe generare risorse considerevoli per l’Unione europea. A seconda dei destinatari e di come sarà strutturata, gli introiti potrebbero attestarsi tra 150 miliardi e 213 miliardi di euro all’anno. Il potenziale gettito per l’Italia sarebbe di 13,2 – 15,7 miliardi di euro all’anno, se ad essere tassato fosse lo 0,1% dei contribuenti più ricchi; 23 miliardi di euro all’anno, se si considerasse lo 0,5% più facoltoso dei nostri connazionali e le aliquote marginali replicassero quelle dell’imposta in vigore in Spagna. Le entrate erariali potrebbero essere anche più consistenti, se si aumentasse il grado di progressività dell’imposta, introducendo ad esempio un maggior numero di scaglioni e ricorrendo, in corrispondenza, ad aliquote marginali più elevate.

Nel 2021 due terzi dei rispondenti italiani a un sondaggio, commissionato all’istituto di ricerca di mercato Glocalities, dal network dei multi-milionari Millionaires for Humanity e da Tax Justice Italia, si è espresso favorevolmente su un’imposta dell’1% sui patrimoni netti superiori a 8 milioni di euro, il cui gettito fosse destinato al finanziamento della ripresa post-pandemica e alle famiglie più bisognose.

Altro che beneficenza. 

Buon mercoledì. 

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Al-Sisi rieletto in Egitto. L’Occidente non fa una piega

A proposito di esperti di democrazie, amanti di democrazie e esportatori di democrazia mi pare che si parli pochissimo del fatto che Abdel Fattah al-Sisi, l’uomo che sta ostacolando in tutti i modi la verità e la giustizia ai familiari di Giulio Regeni, sia stato eletto per la terza volta presidente dell’Egitto. Secondo l’Autorità elettorale nazionale egiziana, al-Sisi ha ottenuto l’89,6% dei voti (circa 39 milioni) con un’affluenza alle urne che ha raggiunto il 66,8%, un’adesione “senza precedenti”, ha affermato il capo dell’autorità Hazem Badawy.

Abdel Fattah al-Sisi, l’uomo che sta ostacolando in tutti i modi la verità e la giustizia ai familiari di Giulio Regeni, è stato eletto per la terza volta presidente dell’Egitto

Quanto possa essere democratico un Paese in cui si viene eletti con il 90% dei voti non è difficile da immaginare. Il suo avversario di più alto profilo, l’ex parlamentare Ahmed al-Tantawi, ha raccontato di arresti tra i suoi sostenitori. Al-Sisi nelle elezioni del 2015 e del 2018 aveva vinto con il 97% dei voti. Nelle elezioni del 2018 l’avversario del presidente era un suo fervente sostenitore.

Sì, avete capito bene: al-Sisi aveva sfidato un suo fan. L’altro avversario invece era stato arrestato. Altri ancora si sono ritirati dopo essere stati minacciati. Quatto anni fa al-Sisi ha modificato la Costituzione egiziana per concedersi un terzo mandato e – visto che c’era – ha pensato bene di allungare il mandato presidenziale da quattro a sei anni. Sarà quindi presidente dell’Egitto fino al 2030, riverito dall’Occidente che vorrebbe essere il custode delle democrazie degli altri ma che è pronto a stringere mani sporche di sangue per siglare accordi economici e a non vedere l’autocrazia quando gli torna utile. Non vediamo l’ora di sentire chi ci spiegherà che al-Sisi “è un male necessario”.

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L’Onu premia la Holding dei Benetton. Schiaffo alle vittime del Ponte Morandi

La Holding Edizione spa della famiglia Benetton “ottiene il premio Global advocate of the year 2023 da parte dell’Unca, associazione corrispondenti presso l’Onu, consegnato direttamente dal segretario Antonio Guterres, la motivazione trova radice negli oltre 3,5 miliardi di investimenti in sostenibilità. Non possiamo esimerci da alcune riflessioni”.

Incredibile riconoscimento per la sostenibilità alla Holding dei Benetton. Familiari indignati: scelta discutibile, non cancella i morti

Comincia così la nota di Egle Possetti, presidente del Comitato ricordo vittime ponte Morandi secondo la quale “non si può che restare perplessi rispetto alle brevi vie di purificazione. Infatti gli azionisti dopo avere letteralmente spremuto le autostrade italiane in concessione, che hanno all’attivo due tragedie come quella di Avellino e Genova, assumono ora il ruolo di filantropi premiati”. “Siamo terribilmente perplessi che le vie per il ritorno a candide vesti non passino per la verità e per la giustizia – scrive Possetti -. Dovremmo riflettere tutti sui percorsi che portano ai riconoscimenti. a volte per ottenerli le persone calpestano quello che incontrano, in questi casi immediatamente il valore di quanto ottenuto diventa così flebile che non si percepisce più. A noi non basta l’impegno in progetti di sostenibilità pur apprezzabili, crediamo che la risonanza di questa notizia strida come il rumore del cemento frantumato del Ponte Morandi sotto il peso degli utili stellari”.

Il crollo del ponte Morandi avvenne alle 11.36 del 14 agosto del 2018 provocando 43 vittime a bordo dei mezzi in transito e tra gli operai al lavoro nella sottostante isola ecologica dell’Amiu, l’azienda municipalizzata per la raccolta dei rifiuti. Secondo la perizia presentata nell’incidente probatorio del processo sulle cause dell’evento, redatta dagli ingegneri e professori universitari Massimo Losa e Renzo Valentini dell’Università di Pisa e Giampaolo Rosati e Stefano Tubaro del Politecnico di Milano, la causa del crollo è stata la mancanza e/o l’inadeguatezza dei controlli. Nella pila 9 solo 4 trefoli su 464 (meno dell’1%) non erano corrosi; a ciò si aggiungeva anche il degrado sia degli stralli sia del calcestruzzo.

Il 7 luglio 2022 è cominciato presso il Tribunale di Genova il processo per il crollo, con 59 imputati tra ex vertici e tecnici di Autostrade per l’Italia (ai tempi controllata da una holding della famiglia Benetton, ora tornata società pubblica dopo 20 anni) e Spea (la società responsabile delle manutenzioni e delle ispezioni), dirigenti ed ex dirigenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e funzionari del Provveditorato. Le accuse sono omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso e omissione d’atti d’ufficio.

“Nessun premio, – scrive Possetti – nessun riconoscimento potrà cancellare quello che è stato. Sarebbe necessario molto di più, sarebbe necessario liberare definitivamente il vaso di Pandora che è stato aperto dalla tragedia del ponte Morandi, ma purtroppo questa via al momento sembra sbarrata. Il tempo verrà, noi e tante persone che hanno a cuore il bene, stiamo lavorando per ottenere quel piccolo “premio” nella nostra vita che si chiama giustizia, che non ci darà nuovamente le nostre famiglie, ma forse potrà salvarne altre”.

Ieri nel tribunale di Genova si è svolta l’ultima udienza dell’anno del processo in corso. Si riprenderà il 9 gennaio 2024 con tre udienze a settimana con l’obiettivo di concludere gli esami dei testi delle difese, circa 200 dopo lo stralcio di oltre 130 nomi da parte degli avvocati degli imputati, entro la fine di marzo. La speranza è che si possa arrivare ad avere una sentenza fra un anno, entro i primi mesi del 2025.

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La fame usata come arma

Il governo israeliano sta usando la fame dei civili come metodo di guerra nella Striscia di Gaza occupata, che è un crimine di guerra, ha detto oggi Human Rights Watch. Le forze israeliane stanno deliberatamente bloccando la consegna di acqua, cibo e carburante, mentre impediscono intenzionalmente l’assistenza umanitaria, apparentemente radendo al suolo le aree agricole e privando la popolazione civile di oggetti indispensabili per la loro sopravvivenza.

Lo afferma un rapporto di Human Rights Watch (Hrw) sottolineando come si tratti di un crimine di guerra secondo il diritto internazionale. Un orrendo crimine di guerra, verrebbe da aggiungere. Da quando i combattenti guidati da Hamas hanno attaccato Israele il 7 ottobre 2023, alti funzionari israeliani, tra cui il ministro della Difesa Yoav Gallant, il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro dell’Energia Israel Katz hanno fatto dichiarazioni pubbliche esprimendo il loro obiettivo di privare i civili a Gaza di cibo, acqua e carburante: dichiarazioni che riflettono la politica condotta dalle forze israeliane. Altri funzionari israeliani hanno dichiarato pubblicamente che gli aiuti umanitari a Gaza sarebbero condizionati o al rilascio di ostaggi detenuti illegalmente da Hamas o alla distruzione di Hamas. 

“Per oltre due mesi, Israele ha privato la popolazione di Gaza di cibo e acqua, una politica stimolata o approvata da alti funzionari israeliani e che riflette l’intenzione di affamare i civili come metodo di guerra”, ha detto Omar Shakir, direttore di Israele e Palestina di Human Rights Watch.

Buon martedì. 

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Tra panettoni e rave party. Il nulla delle destre al potere

Che una presidente del Consiglio al governo da più di un anno abbia bisogno di travestirsi da comiziante arrabbiata per sfamare i suoi elettori dice molto della democrazia italiana in campagna elettorale permanente. Con la Legge di bilancio in votazione al Senato, Giorgia Meloni è riuscita nella mirabile impresa di parlare e di far parlare di aspetti minuscoli del nostro Paese, utilizzando l’arma della distrazione in un Paese con la stampa che prona le ubbidisce.

Una premier in campagna elettorale permanente

Meloni è riuscita ad accennare ancora ai rave party illegali mentre il Paese affonda nella povertà dilagante, urlacchiando che “nell’ultimo anno non c’è stato neanche un rave party illegale in Italia” (falsissimo) come se fosse davvero un prioritario problema degli italiani. Nessuno dei presenti è stato in grado di scrollarla dalla parte della vittima, ancora una volta. Il vittimismo feroce di Meloni e compagnia è il tratto distintivo di una forza politica reazionaria come Fratelli d’Italia che ha bisogno di nemici immaginari per raccontare il governo di un Paese come la mastodontica impresa di un manipolo di eroi.

Il vittimismo serve soprattutto per giustificare la prepotenza vendicativa che ritroviamo in ogni loro atto politico. Che una presidente del Consiglio trovi il tempo di litigare a distanza con influencer tra i panettoni è la cifra dell’inconsistenza politica. Che una presidente del Consiglio attacchi uno scrittore millantando come antimafia una fugace operazione sbirresca dalle parti di Caivano è la matrice dell’ignoranza sui temi. Non è solo uno sbilanciamento di potere di cui Meloni sembra non accorgersene, è soprattutto nanismo politico nel dibattito pubblico.

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fantascienza.com recensisce #IMangiafemmine

Anche fantascienza.com recensisce IMangiafemmine (grazie!)

Speriamo che rimanga fantascienza.

C’è un genere che sta affiorando nella narrativa italiana, un genere che potremmo definire “quasi distopia”. Spesso non ha origine da autori che appartengono al mondo del fantastico ma piuttosto a quello del sociale e della politica. Sono romanzi che immaginano sviluppi disastrosi da un contesto del tutto presente e reale. Quindi “quasi” non nel senso che lo scenario non sia distopico, ma nel senso che lo scostamento dalla realtà è in effetti piccolo. Sono difficili da classificare nel fantastico, ci rientrano appena appena, e dopo averli letti il lettore si augura con tutto il cuore che ci restino il più a lungo possibile.

Un esempio è la trilogia di Giulio Cavalli che dopo Carnaio e Nuovissimo testamento si completa ora con I mangiafemmine, un romanzo che affronta il tema di una destra di governo incapace di affrontare i problemi e del dilagare del femminicidio. 

Il libro

A un passo dalle elezioni, la placida vittoria di Valerio Corti – uomo forte dei Conservatori – è minata da una vera e propria epidemia di donne, di donne ammazzate a casa, dai mariti, dagli amanti, dagli ex fidanzati, donne fatte a pezzi da compagni devoti.

Ma il candidato premier non intende occuparsene, perché le donne sono sempre morte, perché le donne per bene, normali, le madri di famiglia, le fidanzate discrete non corrono rischi.

Oltre ogni strategia politica però pare che la strada della sua incoronazione a presidente del consiglio sia lastricata di sangue, con l’opinione pubblica che chiede conto e le poche voci delle attiviste che gridano al massacro.

Ma c’è davvero un’epidemia di donne? C’è davvero un problema? E che cosa succede quando la politica, un’intera classe politica, uno Stato, il problema non sono in grado di risolverlo?

Con I mangiafemmine Giulio Cavalli firma la sua opera più radicale e provocatoria, con lo stile riconoscibile di un narratore raffinato che non ha paura di raccontare un mondo che già c’è.

DF è ora più che mai lo specchio oscuro di una società in cui non vorremmo mai guardarci.

L’autore

Scrittore e autore teatrale, dal 2007 vive sotto scorta a causa del suo impegno contro le mafie. Collabora con varie testate giornalistiche e ha pubblicato diversi libri d’inchiesta, tra i quali ricordiamo Nomi, cognomi e infami (2010), L’innocenza di Giulio (Chiarelettere 2012), Santamamma (Fandago 2017) e Carnaio (Fandango 2018). È stato membro dell’Osservatorio sulla legalità e consigliere regionale in Lombardia. Nel 2015 pubblica per Rizzoli Mio padre in una scatola da scarpe.

Giulio Cavalli, I mangiafemmine, Fandango, 204 pagg., euro 18, ebook 9,99.

https://www.fantascienza.com/29457/i-mangiafemmine-la-distopia-di-giulio-cavalli

Per fortuna muoiono lontani dalle nostre spiagge

Non procureranno il dolore simulato e obbligatorio come ai tempi di Steccato di Cutro i 61 morti al largo della Libia. Da quelle parti il Mediterraneo non è sentito come mare nostro, possiamo fottercene. 

Mentre a Roma stringono accordi con l’Albania (bloccati dalla Corte costituzionale albanese), con la Tunisia (anche se non se ne parla più) e ora con la Gran Bretagna almeno 61 migranti sabato sono morti nel naufragio di un gommone al largo delle coste della Libia. Secondo le prime ricostruzioni a bordo del gommone partito c’erano 86 persone, anche donne e bambini, alla deriva da almeno giovedì 14 dicembre. A dare la notizia l’agenzia delle Nazioni Unite, l’Organizzazione Internazionale per le migrazioni (Iom).

Il gommone si sarebbe ribaltato sabato a causa del mare grosso, con onde alte fino a tre metri che non inducono gli scafisti a rallentare le partenze. Secondo il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura  l’area di mare in cui si trovava il gommone sarebbe stata sorvolata da diversi aerei dell’agenzia di frontiera dell’Unione Europea Frontex mentre la Guardia Costiera aveva diramato un’allerta per un gommone al largo delle coste libiche. E l’imbarcazione era alla deriva almeno da giovedì. Si sono salvate 25 persone, i superstiti che hanno raccontato che a bordo del gommone c’erano 86 persone. Si tratta di una delle stragi più gravi degli ultimi anni.

Ma per fortuna sono morti abbastanza lontani per non sanguinare nei nostri salotti. Quindi la notizia si può nascondere nelle pagine degli Esteri, come se non fosse cosa nostra.

Buon lunedì. 

Nella foto: i resti di un gommone naufragato vicino allo stretto di Gibilterra (adobe stock)

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Che altro serve per difendere Gaza

Qualche aggiornamento, solo per avere idea di cosa stia accadendo laggiù. Il pronto soccorso dell’ospedale al-Shifa, il più grande nel nord di Gaza, è “un bagno di sangue” e la struttura “ha bisogno di rianimazione”, ha avvertito l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Le sale operatorie non funzionano a causa della mancanza di carburante, ossigeno e altre forniture, ha affermato l’organizzazione che parla di “centinaia di feriti”.

Netanyahu ha dichiarato che dopo l’eliminazione di Hamas la Striscia di Gaza sarà smilitarizzata e sotto il controllo israeliano

Un agente diplomatico francese è morto dopo essere stato ferito in un bombardamento che ha colpito la casa dove si rifugiava a Rafah, a Gaza. Poi: sventolavano una bandiera bianca i tre ostaggi che sono stati uccisi per sbaglio dall’esercito israeliano a nord della Striscia di Gaza. Lo ha fatto sapere un funzionario dell’esercito dello Stato ebraico che è rimasto anonimo e che ha fornito ai giornalisti le prime conclusioni delle indagini. I soldati hanno comunque percepito i tre come un pericolo. In particolare uno dei militari avrebbe cominciato a sparare e a urlare: “Terroristi!”.

Poi: dal 7 ottobre sono almeno 60 i giornalisti uccisi. La maggior parte di loro sono giornalisti locali che sono morti coprendo la distruzione della loro patria per i colleghi dei media internazionali. Poi: le famiglie degli ostaggi tenuti nella Striscia di Gaza hanno esortato il governo israeliano a porre fine alla guerra e a trattare subito per il loro rilascio. “Stiamo solo recuperando cadaveri. Vogliamo che fermiate i combattimenti e avviate i negoziati“, ha detto Noam Perry, figlia di un israeliano rapito, durante un raduno di famiglie di ostaggi a Tel Aviv.

Infine il premier Benyamin Netanyahu ha dichiarato: “dobbiamo dire la verità e non coltivare illusioni. Dopo l’eliminazione di Hamas, la Striscia sarà smilitarizzata e sarà sotto il controllo di sicurezza israeliano”.
Serve altro?

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