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Ritorno di fiamma per la Bonino, sfida Azione-Iv per un pugno di voti. Dopo il flop delle Politiche il Terzo polo ci riprova, tutto fa brodo per superare il quorum delle Europee

Cronaca di una giornata tipo dalle parti del cosiddetto Terzo polo dove le prossime elezioni europee sono un’acqua alla gola che accarezza tutti i protagonisti. Mentre ieri il Consiglio europeo primeggiava su siti e giornali i renziani e calendiani sono impazziti per un’intuizione nuovissima di Emma Bonino, anima di +Europa: l’unione europea sarà davvero unione se diventerà Stati Uniti d’Europa.

Gli “Stati Uniti d’Europa” sono uno slogan immarcescibile che ciclicamente infesta la propaganda politica. Nessuno ha mai capito esattamente cosa significhi nel concreto ma il claim suona così rotondo e dolce che non se ne può fare a meno. Del resto dalle parti del cosiddetto Terzo polo l’europeismo è una bandiera da acquistare in allegato con il proprio quotidiano preferito, una spilla da tenere all’occhiello negli apertivi della gente che conta di contare.

La contesa

All’amo degli “Stati Uniti d’Europa” arrivano a frotte quelli di Italia Viva, con la coordinatrice nazionale Raffaella Pasta che ci regala l’esegesi. Dice Paita che la formuletta “significa essere riformatori, progressisti e anche rivoluzionari” e “avere il coraggio e la lungimiranza di completare il più grande e coraggioso progetto di pace, libertà e integrazione”. Mo’ me lo segno. Passa qualche minuto e al gran trotto arriva anche il senatore Enrico Borghi, presidente del Gruppo Italia Viva-Il Centro-Renew Europe che definisce le riflessioni di Bonino “condivisibili e intelligenti”.

Infine ovviamente arriva lui, il leader maximo Matteo Renzi che nota come l’idea d’Europa di Bonino “è la prospettiva e la missione di Italia Viva. O l’Europa cambia e cresce o rischia di diventare irrilevante nel mondo”. “Noi ci siamo”, dice Renzi. In modo molto meno trionfale e egomaniaco si potrebbe tradurre come “per favore Bonino facci salire sul treno di +Europa per le prossime elezioni”. Perché in fondo il tema è molto più politico degli slogan: Italia Viva è un’isola senza ponti e con i porti vuoti nel mare della prossima sfida elettorale.

Qualche alleanza e almeno lo straccio di una relazione anche simulata sono indispensabili per superare la soglia di sbarramento. Cambio scena. Dalle steppe di Azione si leva la voce del leader di Carlo Calenda per dirci che “la Bonino ha scritto un un articolo su gli Stati Uniti d’Europa” che lui condivide “dalla A alla Z”. “Ma il punto fondamentale è cercare l’accordo sul merito delle cose”, spiega Calenda. Anche questo si potrebbe tradurre facile: “Per favore Bonino facci salire sul treno di +Europa per le prossime elezioni”. Ospite di Sky Tg 24 Calenda però non si trattiene e così la marcia di avvicinamento verso +Europa rischia di durare meno di una gita fuori porta.

“È una menzogna che io abbia abbandonato Bonino”, spiega Calenda in riferimento alle ultime elezioni politiche, “lei ha ritenuto che quella coalizione che conteneva Fratoianni, Bonelli, Di Maio con accordi che contraddicevano il nostro, era la strada giusta”. Insomma: Bonino è brava ma quando non è d’accordo con Calenda sbaglia. In una giornata tipo ovviamente non possono mancare le bizze tra i due ex coniugi Renzi-Calenda. Ieri è stato il turno del leader di Azione che su Renzi ci dice che lui ritiene “che chi fa politica ed è pagato dei cittadini non può essere pagato da nessun altro” e quindi ha sempre creduto che “sia sbagliato e inaccettabile che si prendano soldi da Stati stranieri da prima, durante e dopo l’alleanza con Matteo Renzi”.

“Auguri e che se li goda, ma questa è la fine della democrazia”, è il messaggio in bottiglia che Calenda manda al suo ex alleato. Lui, Renzi, non risponde. A ben vedere non risponde alle lusinghe nemmeno Emma Bonino. Noi ce li godiamo.

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Le parole di Corsini ad Atreju, quello sberleffo a Schlein e la concezione del potere meloniano – Lettera43

Più del «noi» usato per rivendicare la militanza in FdI, del direttore dell’approfondimento Rai colpisce la delegittimazione con sberleffo della segretaria dem. Giusto quanto inutile il richiamo della presidente Soldi all’imparzialità dei giornalisti. Il destra-centro è proprio questo.

Le parole di Corsini ad Atreju, quello sberleffo a Schlein e la concezione del potere meloniano

Stupisce che stupisca il fatto che il direttore dell’approfondimento Rai Paolo Corsini non riesca a trattenersi dal dire «noi» ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, dove ha pensato bene di passare per senso di gratitudine. Corsini deve avere pensato che il mandato della presidente del Consiglio Giorgia Meloni fosse riuscito nel suo intento di aprire una nuova egemonia culturale in cui dichiarare fede al partito sia il prerequisito essenziale per essere notati. Se si porgesse l’orecchio ad alcune trasmissioni televisive e radiofoniche del servizio pubblico si coglierebbe lo stesso spirito di militanza, la stessa sicumera esibita, lo stesso piglio. La differenza sta solo nella platea: sculettare da attivista alla manifestazione politica della compagine della presidente del Consiglio sperando di non essere notati significa essere poco svegli, anche come giornalisti.

Le parole di Corsini ad Atreju, quello sberleffo a Schlein e la concezione del potere meloniano
Paolo Corsini ad Atreju (da youtube).

Il melonismo ha portato la Bestia salviniana dai social ai luoghi di potere

Il punto è che il melonismo è esattamente questa roba qui: esercitare “la Bestia” (quella che Salvini riservava solo ai social) nei luoghi di potere per svilirli e farli apparire gustosamente vicini ai propri elettori. Se anche i giornalisti della Rai perculano Elly Schlein come i commentatori social questo è davvero il miglior mondo possibile. Così alla presidente della Rai Marinella Soldi non è rimasto che ricordare «che un giornalista del servizio pubblico deve garantire un atteggiamento sempre equidistante, a prescindere dal contesto in cui opera» ed «esercitare la propria professione nel segno del pluralismo e dell’imparzialità, essenziali per aiutare il cittadini a formarsi un’opinione libera da pregiudizi, a massimo vantaggio della democrazia e del Paese». Tutto vero, tutto bello, ma se dovessimo applicare alla lettera le parole della presidente ci sarebbe qualche decina di giornalisti fuori dalla sua porta pronti con le dimissioni in mano.

Le parole di Corsini ad Atreju, quello sberleffo a Schlein e la concezione del potere meloniano
Marinella Soldi, presidente Rai (Imagoeconomica).

Più del «noi» di Corsini colpisce la delegittimazione con sberleffo di Elly Schlein

Il problema non è l’avere giornalisti che nutrono legittime opinioni politiche, questo è un tratto naturale che appartiene a qualsiasi lavoratore in qualsiasi campo e di qualsiasi categoria. L’elemento nuovo dell’abisso di questo tempo sono i giornalisti – solo perché stiamo parlando di quelli – che utilizzano lo sberleffo senza nessun altro contenuto per la delegittimazione di avversari politici che sentono come nemici propri. Più del «noi» scappato a Corsini in pubblico per l’abuso che ne fa in privato, dice la frase pronunciata contro Elly Schlein: «Quest’anno il confrontare ce l’abbiamo, ma qualcuno ha preferito rifiutare, forse perché nell’era dei social è più facile cercare un po’ di like che dibattere nel merito. Hanno preferito occuparsi di come vestirsi e di che colori utilizzare, piuttosto che confrontarsi». Qui dentro c’è l’arroganza del potere trasferita per appartenenza a “non potenti” che rivendicano di essere sotto la giusta ala protettrice. Magnificare le sorti del partito che ti ospita è già un atteggiamento lascivo ma voler contribuire all’affossamento dell’avversario assente ha un che di vigliacco.

Le parole di Corsini ad Atreju, quello sberleffo a Schlein e la concezione del potere meloniano
Il cartonato di Elly Schlein ad Atreju (Imagoeconomica).
CARTONATO DI ELLY SCHLEIN

La stretta contro i giornalisti che rifiutano l’appartenenza a questo sistema di potere

È la stessa viltà che si legge nelle scuse con cui  Corsini attinge al genere letterario del fraintendimento e delle «facili critiche e strumentalizzazioni». Ci fa sapere che «non c’era ovviamente alcun intento politico o polemico». Per «dibattere nel merito», come dice lui, bisognerebbe decidere di cosa si stia scusando: di non saper cogliere la differenza tra la figura del moderatore e quella del provocatore? Di non sapere riconoscere le forme dell’intento «politico» che giura di non avere avuto? Passerà ancora del tempo prima che ci si renda conto che in taluni ambienti l’appartenenza è la virtù più importante nel tempo di questo governo. Passeranno ancora mesi prima che ci si renda conto che siamo in un tempo in cui le querele vengono sconsideratamente utilizzate da membri di maggioranza e di governo contro i giornalisti non appartenenti. Ci vorranno forse anni per accorgersi che la riforma della diffamazione ha dei tratti raggelanti. Ci vorrà ancora tempo per comprendere che l’ipotesi di non fare scrivere i giornalisti sugli arresti fino alla fase processuale (come si immagina in un emendamento di questi giorni) sia un’idea da regime saudita. Ci vorrà tempo e poi si avrà coscienza che non si tratta di giornalisti, si tratta di un’idea del potere.

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La Lega festeggia Salvini. Dieci anni di in… successi

“Dieci anni da Segretario Federale della Lega. Innumerevoli battaglie, tante vittorie, tenacia da vendere e una regola che ci ha sempre accompagnati: mai mollare. Leader, Capitano, Ministro, Vicepremier, Senatore, Amico: semplicemente, Grazie Matteo!”. Sono le parole che sono comparse ieri sul profilo Instagram della Lega con cui il partito ha voluto augurare un buon compleanno da segretario al suo leader. Belli questi dieci anni di Matteo Salvini.

Forte questo Salvini che negli ultimi dieci anni è riuscito a governare con tutto e con il suo contrario, rimangiandosi ogni volta i propositi precedenti e arrivando perfino a negare i suoi stessi provvedimenti. Forte Salvini che annuncia il reddito di cittadinanza per pasturare qualche voto al Sud e poi dopo qualche mese accusa i cittadini del Sud di oziare per il reddito di cittadinanza. Forte quel Salvini lì, ricorda tanto il ragazzetto brillo che cantava che i napoletani puzzano per ripresentarsi con la felpa con la scritta Napoli in bella mostra. A proposito di felpe. Di questi dieci anni rimane la faccia buia del Capitano di fronte alla copia della sua maglietta tenuta in mano dal sindaco polacco Wojciech Bakun, primo cittadino di Przemysl.

C’era Putin in primo piano, quel Putin che Salvini in questi dieci anni ha ripetuto di considerare un “salvatore dell’Occidente” tanto da volerlo scambiare con più di un Mattarella. Grazie Matteo. Grazie anche per il Ponte sullo Stretto che per anni è stato il simbolo di tutti i mali del Sud e che ora si è trasformato nell’opera necessaria per la nazione. E grazie ancora per la legge Fornero che era la madre di tutti i mali e che invece ha mantenuto senza nemmeno un plissé. Auguri Salvini. Auguri a noi.

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La recensione di Leggere Distopico e Fantascienza Oggi sul mio romanzo #IMangiafemmine

«una storia cruda e mozzafiato per intensità e portata»

La recensione di Leggere Distopico e Fantascienza Oggi sul mio romanzo #IMangiafemmine

(grazie)

TRAMA DEI MANGIAFEMMINE

A un passo dalle elezioni, la placida vittoria di Valerio Corti – uomo forte dei Conservatori – è minata da una vera e propria epidemia di donne, di donne ammazzate a casa, dai mariti, dagli amanti, dagli ex fidanzati, donne fatte a pezzi da compagni devoti. Ma il candidato premier non intende occuparsene, perché le donne sono sempre morte, perché le donne per bene, normali, le madri di famiglia, le fidanzate discrete non corrono rischi. Oltre ogni strategia politica però pare che la strada della sua incoronazione a presidente del consiglio sia lastricata di sangue, con l’opinione pubblica che chiede conto e le poche voci delle attiviste che gridano al massacro. Ma c’è davvero un’epidemia di donne? C’è davvero un problema? E che cosa succede quando la politica, un’intera classe politica, uno Stato, il problema non sono in grado di risolverlo? Con I mangiafemmine Giulio Cavalli firma la sua opera più radicale e provocatoria, con lo stile riconoscibile di un narratore raffinato che non ha paura di raccontare un mondo che già c’è. DF è ora più che mai lo specchio oscuro di una società in cui non vorremmo mai guardarci.

RECENSIONE DEI MANGIAFEMMINE

I mangiafemmine, edito Fandango, è una distopia di stampo femen made in Italy che giunge al momento opportuno.
Le pagine di cronaca nera odierna pullulano di casi di femminicidi, e Giulio Cavalli immagina – ma è davvero così lontano dalla realtà? – che il governo decida di prendere un radicale provvedimento su questo fenomeno: emanare una nuova legge.
Bene, penserete, ma non è esattamente così.
Perché il disegno di legge anziché mettere un freno a quest’impennata di omicidi sempre più inarrestabile, decide di “legalizzarli”.

Continua ad accadere ciò che è sempre successo, non cambia niente, non è cambiato niente. Hanno semplicemente codificato l’orrore in una legge.

L’autore ci offre un punto di vista che è l’antitesi del politicamente corretto, da un lato l’aspirante leader che non riesce a dissimulare l’opinione misogina che ha delle donne e dall’altro fulminanti esempi di questa lunga scia di sangue si alternano alla sua scalata al potere.
Prendiamo un momento il dizionario Treccani, cito testualmente, alla voce “femminicidio” la definizione data è la seguente: 

(feminicidio), s. m. Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale.

Un libro, questo, che mostra una realtà che ti colpisce con la veemenza di uno schiaffo in viso, all’apparenza lontana anni luce da noi ma che, invece, strizza l’occhio al quotidiano. “Il re è nudo” lo hanno visto da sempre tutti quanti, però nessuno proferisce parola.
Il tema, infatti, è tristemente molto attuale ma ritengo che testi del genere rappresentino un mezzo fondamentale ed efficace proprio per la loro impetuosità, in grado di farci aprire gli occhi su una spirale di violenza che non accenna a placarsi.
L’autore, con uno stile scevro da qualsivoglia orpello stilistico, espone una chiave di lettura differente, affronta di petto la tremenda società in cui le donne sono vittime di un sistema che tutela i loro assassini. Un romanzo impattante – nato dall’urgenza del momento che stiamo vivendo – che nella sua brevità lancia un messaggio, anzi un appello disperato e accorato: è ora di un vero cambiamento.
Viviamo in un tempo in cui le donne non possono e non devono continuare a venir decimate così; è necessario – fin dall’infanzia – educare uomini e donne alla parità e all’affettività ma soprattutto al rispetto, affinché ciò non accada più e che ogni vita strappata non sia vista semplicemente come una goccia in mezzo all’oceano. Non dobbiamo mai smettere di indignarci né di percepire l’assurdità di ciò che accade, non dobbiamo farci anestetizzare da un fenomeno che sembra quasi diventato storia di ordinaria amministrazione.
Giulio Cavalli ci propone un’attenta e originale interpretazione di questa piaga sociale, ha scritto una storia cruda e mozzafiato per intensità e portata.
È un libro forte e necessario che vi consiglio caldamente di recuperare. È una storia che si risolve in un centinaio di pagine, ma non è stato facile leggerla e tantomeno scriverne cercando di serbare la lucidità necessaria, evitando di diventare preda di una forte rabbia, senso di impotenza e frustrazione.

Elisa R

Mai tante fughe dall’Albania. Dove Meloni deporta migranti

Il ministro agli Esteri Antonio Tajani assicura che va tutto bene. Secondo lui il blocco della Corte costituzionale albanese sull’idea della presidente del Consiglio Giorgia Meloni di esternalizzare i Centri per il rimpatrio in Albania si scioglierà presto. Nessun dubbio sui diritti umani, sul rispetto delle leggi europee e internazionali. Nulla.

Secondo Tajani il blocco della Corte costituzionale albanese sull’idea della Meloni di esternalizzare i Centri per il rimpatrio in Albania si scioglierà presto

Ieri però il Coordinamento nazionale e il Gruppo Immigrazione di Area ha posto una domanda a cui né Meloni né Tajani e nemmeno gli altri componenti della ciurma di governo sanno rispondere. Se è vero che i presupposti per il trattenimento e per il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale o nazionale della persona migrante restano gli stessi che si applicherebbero se la procedura si svolgesse integralmente in Italia, resta il quesito: perché in Albania Qual è l’utilità per la gestione dei flussi migratori della dislocazione in un Paese extra Ue di una costosa e limitata fase della procedura di asilo?

Anche perché – come sottolinea il gruppo di avvocati – l’Albania non ha fatto nessun progresso per consentire ai migranti l’accesso alle procedure di asilo, così come restano immutati tutti i problemi relativi alle procedure di rimpatrio. Lo scrive nero su bianco ill “progress report” dell’8 novembre 2023 della Commissione europea sull’avanzamento del Paese nel percorso di adesione alla Ue. E poi c’è il paradosso: sono in forte aumento i cittadini albanesi che chiedono rifugio in Paesi dell’Unione europea, a cominciare dall’Italia: più 65% nel 2021, per un numero totale di 11.300 persone e ancora di più, 13.100, nel 2022 (fonte Eurostat). La vedete la scemenza

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Su Giorgia Meloni e il Mes? Altro che fax

In un pezzo da ritagliare Paolo Frosina de Il Fatto quotidiano ripercorre le tappe del governo Meloni sul Mes, il meccanismo europea di stabilità che sta facendo impazzire Giorgie Meloni, i suoi ministri e i partiti di maggioranza. 

Si parte il 30 giugno con il disegno di legge per la ratifica che passa in Commissione esteri solo con i 3 voti dell’opposizione poiché i membri della maggioranza scappano. Il 5 luglio la seconda seduta alla Camera si blocca alla discussione generale perché i quattro capigruppo del centrodestra (Tommaso Foti per FdI, Riccardo Molinari per la Lega, Paolo Barelli per Forza Italia e Maurizio Lupi per Noi Moderati) chiedono e ottengono una sospensiva per avere quattro mesi in più di riflessione “a seguito dei recenti cambiamenti nel contesto internazionale”. Irraggiungibile la dichiarazione del deputato di Fi Andrea Orsini: «non è una fuga dal problema ma un modo per affrontarlo nei tempi giusti, nei modi giusti e con le giuste condizioni». 

Il 23 novembre viene calendarizzato di nuovo ma si ritrova ad essere in fondo all’agenda. Slitta la sua discussione. Viene ricalendarizzato per il 14 dicembre (ieri) ma la maggioranza il 13 dicembre si esibisce in un capolavoro di melina che allunga i lavori. Niente da fare, saltato ancora. Nuova data: il 19 dicembre. Anche in quell’occasione però l’elenco dei temi è lungo e farlo slittare sarà un gioco da ragazzi per dei professionisti come questa maggioranza. Se ne parlerà forse nel 2024. L’Italia è l’unico Paese membro a non avere ratificato.

Buon venerdì. 

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Quel diritto internazionale che rovina la festa

Se la “credibilità internazionale” diventa uno slogan di cui riempirsi la bocca per scaldare la propaganda va a finire sempre così, com’è accaduto ieri alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni che scaldava già la penna per firmare oggi il fatidico “memorandum con l’Albania”. L’idea di costruire in trasferta due centri per il rimpatrio nel territorio albanese che costerebbero come tutti i Cpr italiani è stata stoppata dalla Corte costituzionale albanese che ieri ha annunciato la sospensione delle procedure parlamentari per l’approvazione dell’accordo. 

La Corte è stata chiamata in causa da due ricorsi presentati separatamente dal Partito democratico albanese e altri 28 deputati schierati a fianco dell’ex premier di centrodestra Sali Berisha. Nel ricorso si sostiene che l’intesa viola la Costituzione e le convenzioni internazionali alle quali l’Albania aderisce. I ricorsi avevano evidenziato i potenziali limiti imposti dal diritto internazionale senza contare le denunce pubbliche delle organizzazioni che si occupano di diritti umani. La presidente della Corte, Holta Zaçaj ha spiegato che «il collegio dei giudici riunitosi oggi ha considerato che i ricorsi presentati rispettano i criteri richiesti, ed ha deciso di esaminarli in seduta plenaria». Tutto fermo quindi fino a quando la corte non si esprimerà con un verdetto. Secondo la legislazione albanese, la Corte costituzionale dovrebbe prendere una decisione entro tre mesi dalla data della presentazione del ricorso, quindi, entro il prossimo 6 marzo.

Ancora una volta quella “rottura” del diritto internazionale mette i bastoni nelle ruote alla ferocia. E siamo solo all’inizio. 

Buon giovedì. 

Nella foto: Il primo ministro albanese Edi Rama e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni siglano il memorandum Italia-Albania sull’immigrazione, Roma, 6 novembre 2023 (governo.it)

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Giornaloni, Renzi & C. in gloria di Draghi. E la Meloni batte subito in ritirata

La brutta figura com’era immaginabile è durata anche il giorno dopo. Giorgia Meloni che attacca Mario Draghi irritando la vasta (anche se poco popolare) area centrista italiana di politici e commentatori è il tilt della sua propaganda bifronte. Per rispondere in Aula al Partito democratico che la accusava di irrilevanza iternazionale mostrando l’immagine dell’ex premier sul treno per Kiev con Olaf Scholz ed Emmanuel Macron, la presidente del Consiglio alla Camera aveva detto che “per alcuni la politica estera è stata farsi foto con Francia e Germania quando non si portava a casa niente”.

Retromarcia di Giorgia dopo l’attacco rifilato all’ex premier Draghi. Chi critica SuperMario è accusato di lesa maestà

È il gene della Meloni barricadiera, quella utile in campagna elettorale dove prometteva di sfasciare tutto e tutti: presa dalla foga, la presidente del Consiglio ha adottato la modalità “propaganda” nel luogo ove di solito agisce in assetto “diplomazia”. Capita, si sa, a forza di avere due facce di sbagliare i tempi e i luoghi. Ieri al Senato la leader di Fratelli d’Italia si è presentata quindi con il capo cosparso di cenere, pronta all’autodafè: “Quello che dicevo ieri”, ha detto in sede di replica, “è lungi da essere un attacco a Mario Draghi, tutti sanno quel che penso della fermezza di Draghi sull’Ucraina, di quella maggioranza che tutti ricordano. Quello che cercavo di spiegare è che, proprio perché ho rispetto di quella fermezza, non si risolve il suo lavoro fatto nella foto sul treno con Francia e Germania”.

Tra i membri della maggioranza l’imbarazzo si tagliava a fette. La delusione tra gli elettori accaniti che plaudevano il ritorno all’autenticità della loro paladina è un fiume che scorre lento per tutto il giorno sui social. Dopo avere telefonato privatamente a Draghi per scusarsi come un’adolescente che prova ad evitare il castigo ora il passo indietro è anche pubblico. Nulla di nuovo: Meloni è draghiana quanto basta per non dispiacere ai poteri italiani che la accarezzano sui quotidiani che vorrebbero essere progressisti e ai poteri internazionali che le hanno promesso di trattarla sufficientemente se rimane nelle righe. Ieri mattina già Salvini aveva provato a recitare la parte del pompiere: “Mi sembra che abbiano sempre avuto un buon rapporto, mi sembra strano che abbia potuto attaccare il presidente Draghi”, aveva detto ai giornalisti.

Di certo la riesumazione di Draghi nelle cronache ha ringalluzzito l’arcipelago del cosiddetto Terzo polo con Calenda e Renzi che hanno potuto dare l’ennesimo sfoggio del loro sconsiderato amore per l’ex premier. “Quella foto esprime l’auctoritas di Draghi, l’autorevolezza, che Draghi aveva dentro di sé ed emanava una grande sicurezza delle cose che diceva e solennità e per questo le persone lo ascoltavano”, dice il leader di Azione mentre il padrino di Italia Viva invita la premier a “cercare di copiare Draghi” perché “le farà bene”. Scontato anche lo sdegno dell’altro rivolo terzopolista, quello che sta dentro il Pd, con gli scudieri della corrente riformista che corrono in soccorso dell’ex premier vituperato dalla presidente del Consiglio.

Nel Pd pure i renziani difendono l’ex presidente della Bce. Dal quale però la Schlein marca le distanze

Eppure dentro il Pd l’idea di Draghi salvatore dell’Italia e dell’Europa non piace alla segretaria Schlein, che ha sempre preso le distanze dalla sua “agenda” che per molti del suo partito è un vero e proprio vangelo. E forse non sarebbe nemmeno male l’idea di un fronte (tra Pd e M5s) che abbia il coraggio di dire ciò che non piace alla piaggeria dei media progressisti e alla bolla terzopolista: dall’autocandidatura fallita al Quirinale alla “pace o aria condizionata” fino all’“agenda” che nessuno ha capito mai cosa contenesse Draghi ha dimostrato di essere un buon tecnico ma un pessimo politico. Regalare la critica a Draghi a Meloni e compagnia non sarebbe una grande idea.

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Quante balle sul Mes! Giorgia bocciata in diritto

A proposito del Mes che sta agitando la sua maggioranza (e che alla fine verrà ingoiato con buona pace di Salvini) Giorgia Meloni ha accusato l’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte dicendo: “Lo ha fatto il governo Conte, senza mandato parlamentare, e lo ha fatto un giorno dopo essersi dimesso, quando era in carica solamente per gli affari correnti, dando mandato a un ambasciatore; mandato firmato dall’allora ministro degli Esteri del M5S Luigi Di Maio, senza un mandato parlamentare, senza che ne avesse il potere, senza dirlo agli italiani, e con il favore delle tenebre. Allora forse oggi bisogna guardare in faccia gli italiani e spiegargli come sono andate le cose”.

Ricordiamo a Meloni che le informative sul Mes in Parlamento ci sono state nel 2019, nel 2020 e nel 2021

Allora proviamo a spiegare a Giorgia Meloni come funzionano le cose, imbarazzati da una Presidente del Consiglio analfabeta istituzionale. Le basterebbe un qualsiasi testo di diritto reperibile in libreria per scoprire che gli articoli 7 e 16 della Convenzione di Vienna regolano la stipula di quegli accordi e prevedono la firma senza autorizzazioni del Parlamento che è indispensabile invece per la ratifica. Ricordiamo a Meloni anche che informative sul Mes in Parlamento ci sono state nel 2019, nel 2020 e nel 2021.

Le ricordiamo anche che potrebbe chiudere la polemica senza lasciarsi andare a sguaiati comizi in Aula semplicemente dicendo alla sua maggioranza di non ratificarlo, senza il suo cronico vittimismo. Anche perché – come ricorda giustamente la giurista Vitalba Azzolini – mentre Meloni si impegola contro nemici immaginari ha firmato un accordo con l’Albania senza chiedere nessuna autorizzazione al Parlamento. Non vorremmo che un giorno trovasse un’altra Meloni che la accusi per deresponsabilizzarsi.

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Cop28 senza visione, Caserini: “Che farsa la transizione affidata ai big del petrolio”

Stefano Caserini, titolare del corso di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e professore associato all’Università di Parma, anche questa volta alla Cop28 si è dovuto aspettare un documento all’ultimo minuto, figlio di sfrenata diplomazia. Che ne pensa
“Il testo precedente sarebbe stato un fallimento epocale e una figuraccia internazionale. Così alla fine Sultan Ahmed al-Jaber ha dovuto riprendere in mano tutto. E alla fine la plenaria sarà un giorno dopo il previsto”.

Al Jaber qualche giorno fa ha detto: “Senza fossili torniamo nelle caverne”…
“Non ci si può aspettare che queste persone abbiano visioni avanzate. Se tutto il mondo in cui vivi dipende dai combustibili fossili viene difficile pensare che tu possa dire “avete ragione, dobbiamo disfarci della nostra ricchezza e del nostro potere. È evidente che questi hanno forti ritrosie. Certo immaginare che si spingesse addirittura a negare la necessità di un’azione globale… Di certo non sono queste le persone da cui attendersi grandi spinte al negoziato. Questo svolgimento non è una cosa inattesa. Anche se sono convinto che la negazione dell’urgenza di agire contro il cambiamento climatico gli sia un po’ scappata. Al Jaber e gli altri sono su posizioni retrograde: il loro mondo dipende dalla vendita dei combustibili fossili quindi non accetteranno mai una transizione rapida”.

Però parole simili le sentiamo anche dalla classe dirigente di partiti di maggioranza e del governo, ad esempio la presidente dell’Arpa in Lombardia Lucia Lo Palo ha negato l’influenza umana sul clima.
“Ritengo che la presidente dell’Arpa non abbia idea di cosa sia la questione climatica perché è stata messa lì senza nessuna competenza sul clima o sui temi ambientali. È possibile che non ci abbia mai pensato davvero se l’uomo condiziona il clima, non abbia mai approfondito. Sente nel suo mondo politico chi dice che non è vero che è colpa delle attività umane, si ricorda qualcosa che ha letto magari su La Verità o Libero e lo ripete. Riflette l’ideologia di una corrente politica che spesso non ha più il coraggio di essere negazionista ma è su quelle posizioni anche se non le esprime apertamente. Persone che sicuramente non credono nell’importanza delle politiche sul clima. Sono gli ‘inattivisti”’ quelli che dicono ‘c’è un problema ma non dobbiamo preoccuparci o impegnarci davvero per risolverlo’. Sono quelli che dicono che la Cina non fa niente (che non è vero) per potersi permettere di non fare niente. Il mondo politico italiano è sulla posizione di fiacco inattivismo: non sono interessati ad agire perché non hanno nessun ritorno politico e economico”.

Il ministro Pichetto ha timidamente riaperto al nucleare. Che ne pensa
“La mia posizione, basata su molte analisi pubblicate, è che non c’è un reale futuro del nucleare nella transizione italiana, e anche a livello globale non sarà una tecnologia cruciale. Sole e vento daranno un contributo maggiore. In una nazione che non ha centrali e competenze diffuse, fare partire una nuova filiera industriale è un’operazione poco sensata. Poi ci sono i costi. Tutti fattori che lo rendono improbabile. Poi a Baggio una centrale vorrei vedere dove la vogliono fare. Se dicessero le collocazioni precise di dove vogliono piazzare le decine di impianti necessari, ne potremmo discutere. Si fanno fatica a mettere impianti di compostaggio, figuriamoci un impianto nucleare. Se parliamo di fusione nucleare, come ha fatto recentemente la Presidente del Consiglio, parliamo di qualcosa che non si prevede operativa nei prossimi 20 anni, e noi per quel giorno avremo dovuto completare la decabornizzazione del settore elettrico. È un modo per mandare la palla in tribuna. Serve solo a fare sembrare che tu abbia una piano b”.

Il tema climatico e ambientale sarà prioritario nelle prossime elezioni politiche in Europa
“Si sentirà perché ci sono alcune politiche europee contestate, come quelle sugli autoveicoli e sugli edifici. Ma se vogliamo fare i compiti per l’accordo di Parigi dobbiamo rispettare l’impegno della Legge europea sul clima. Chi contesta i limiti sui veicoli non ci dice come fare a ridurre le emissioni, quale sia la strategia alternativa. E dovremmo stare attenti che la transizione venga pagata dalle persone giuste per non aumentare le disuguaglianze”.

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