Vai al contenuto

Il Cittadino sullo spettacolo “A casa loro”

Lunedì dopo 15 anni sono tornato a Lodi, al Teatro alle Vigne, con lo spettacolo “A casa loro” scritto con Nello Scavo. In scena con me Federico Rama alla chitarra e Ivan Merlini al pianoforte.

Ogni volta che incrociamo il calore del pubblico e ci immergiamo nell’umano sbigottimento di fronte alle testimonianze su ciò che accade in Libia e in Tunisia ci convinciamo ancora di più che anche il teatro può essere uno strumento di resistenza. Insistiamo: non si tratta di questioni politiche. Si tratta di questioni umanitarie, che vengono prima di ogni politica.

Questo non è un Paese con il cuore duro, come scrive qualcuno. Insistiamo attraversando il Paese. Qui l’articolo de Il Cittadino.

L’inferno burocratico dei politici “misericordiosi”

«Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di scegliere». Anna, nome di fantasia, è una donna triestina di 55 anni morta a casa sua dopo l’auto somministrazione di un farmaco letale fornito dal Sistema sanitario nazionale. Il decesso è avvenuto lo scorso 28 novembre ma è stata resa nota ieri dall’associazione Luca Coscioni. «È il primo caso in Italia – ha spiegato l’associazione – ad aver avuto accesso al suicidio assistito con l’assistenza completa del Ssn», che ha fornito il farmaco letale e un medico di supporto.

Anna soffriva di una malattia irreversibile da tredici anni. Dodici mesi fa aveva chiesto di potersi avvalere del diritto alla morte assistita volontaria. In mancanza di qualsiasi pietosa risposta dall’Asl ha dovuto rivolgersi al tribunale. 

«Anna è il nome che ho scelto e, per rispetto della privacy della mia famiglia, resterò Anna», è il messaggio lasciato dalla donna. «Ho amato con tutta me stessa la vita, i miei cari e con la stessa intensità ho resistito in un corpo non più mio. Ho però deciso di porre fine alle sofferenze che provo perché ormai sono davvero intollerabili. Voglio ringraziare chi mi ha aiutata a fare rispettare la mia volontà, la mia famiglia che mi è stata vicina fino all’ultimo».

Mentre la politica tentenna qui fuori le persone cercano libertà come possono, infilandosi tra le pieghe di una sentenza della Corte costituzionale e confidando nel rispetto di una legge che non c’è per vigliaccheria parlamentare. Un accanimento burocratico per mancanza di legge è il regalo che i misericordiosi della politica lasciano a chi soffre. Se vi sembra giusto, se vi sembra normale. 

Buon mercoledì. 

L’articolo proviene da Left.it qui

Causa infondata al giornale. Stangato il principe Harry

Un piccolo esempio per cogliere le differenze tra la libertà di stampa in Italia e in Gran Bretagna. Mentre da noi si assiste a una pioggia di querele, spesso infondate, da parte di membri del governo e della maggioranza che colpiscono indiscriminatamente ogni giornalista non allineato dall’altra parte della Manica il principe Harry si ritrova a sborsare quasi 50mila sterline al quotidiano Mail On Sunday che aveva accusato di diffamazione e “inaccuratezza”.

Il principe Harry si ritrova a sborsare quasi 50mila sterline al Mail On Sunday che aveva accusato di diffamazione e “inaccuratezza”

Il quotidiano aveva raccontato della decisione del duca di portare il Ministero dell’Interno inglese davanti alla High Court con l’accusa di avergli negato le necessarie disposizioni di sicurezza (pagate dai contribuenti) perse dopo aver perso il titolo reale. Il giornale, raccontando la vicenda, titolò così: “Come il principe Harry ha provato a tenere segreta la sua battaglia sui bodyguards contro il governo… poi – subito dopo l’uscita della storia – la sua macchina della comunicazione ha provato a metterla in chiave positiva”.

In effetti il principe aveva fatto sapere che avrebbe pagato di tasca sua la sicurezza per non pesare sulle tasche dei cittadini. Il figlio del re ha portato davanti all’Alta corte la difesa dell’editore che riteneva l’articolo “un’opinione onesta e legittima” che non recava alcun “vero danno” alla sua reputazione. Ieri l’Alta corte di giustizia ha ritenuto infondate le accuse di Harry rinviando il tutto alla decisione di un altro processo, riconoscendo legittima la linea difensiva del giornale. C’è però un piccolo particolare: il principe Harry intanto è stato condannato a pagare le spese di questo primo giudizio. Pagare la prepotenza dell’accusa, appunto. Questa è la soluzione.

L’articolo Causa infondata al giornale. Stangato il principe Harry sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Europee, si stringe sui posti per Bruxelles

La Lega risponde al servizio della trasmissione Report che annuncia il generale Roberto Vannacci candidato alle prossime elezioni europee con il partito di Matteo Salvini addirittura con il beneficio di un paracadute da “due-trecentomila euro” nel caso di mancata elezione: “È totalmente falso, temiamo che la vostra fonte sia la stessa di tante altre inchieste fantasiose finite nel nulla, come i presunti finanziamenti russi”, fanno sapere da via Bellerio.

Nonostante manchino ancora diversi mesi alle prossime elezioni europee all’orizzonte si stagliano già i primi nomi

Durante la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci l’ex maresciallo Domenico Leggiero ha raccontato che una candidatura a Vannacci sarebbe stata offerta anche da Fratelli d’Italia per bocca del ministro alla Difesa Guido Crosetto (prima dell’uscita del discusso libro Il mondo al contrario). Crosetto ha seccamente negato. Di certo il generale nelle sue interviste lascia aperta la porta a una discesa in politica, annunciando che un’eventuale campagna elettorale sarebbe finanziata anche con i proventi del libro che è quinto nella classifica delle vendite nel 2023.

Nonostante manchino ancora diversi mesi alle prossime elezioni europee all’orizzonte si stagliano già i primi nomi. All’interno dei partiti le trattative per collocarsi sono già in corso ma gli equilibri sono delicati poiché l’appuntamento elettorale sarà il primo vero test per i partiti di maggioranza e dell’opposizione.

Renzi da rottamatore a riciclatore cerca Mastella e Cuffaro

A giocare d’anticipo per ora è stato Matteo Renzi che ha annunciato la sua presenza sotto il simbolo della lista Il Centro. “Non saremo soli”, aveva annunciato il segretario di Italia Viva, ma per ora a rispondere al suo appello sono davvero in pochi. Dopo essere stato rifiutato dall’ex alleato Carlo Calenda, Renzi ha puntato su Cateno De Luca (che ha declinato) e su +Europa (ma Emma Bonino continua a non fidarsi). Ad ora gli unici interlocutori sono Clemente Mastella e Totò Cuffaro. Da rottamatore a riciclatore. E qualcuno intorno a lui lascia capire che alla fine l’ex presidente del Consiglio potrebbe anche ritirarsi dalla corsa per evitare il tonfo.

Schlein spinge i sindaci: ipotesi staffetta De Caro-Emiliano. Ma circola anche il nome dell’ex premier Letta

Nel Pd circola con insistenza il nome di Enrico Letta, che potrebbe decidere di trasferirsi definitivamente a Bruxelles mentre l’altro ex segretario dem Nicola Zingaretti continua a smentire ogni voce. Quasi certi sono i sindaci dem al secondo mandato Dario Nardella, Antonio Decaro, Giorgio Gori e Matteo Ricci. Sul sindaco di Bari Decaro spira però una suggestione della segretaria Elly Schlein che vorrebbe il governatore pugliese Michele Emiliano come uomo di punta al Sud per le Europee con Decaro candidato presidente per la Puglia a elezioni anticipate nel 2024. Schlein punterà anche su candidature simboliche a lei vicine: dopo il no della giornalista Lucia Annunziata rimane sul tavolo il nome di Cecilia Strada, figlia del fondatore di Emergency.

Al Sud ci sarebbe il giornalista Sandro Ruotolo mentre per la circoscrizione Isole (Sardegna e Sicilia) il timone della lista Pd sarà affidato a Pietro Bartolo, eurodeputato uscente e ex medico di Lampedusa, sostenuto da Demos e dalla comunità di Sant’Egidio. Tra gli uscenti ci riproveranno Pina Picierno, Brando Benifei e Camilla Laureti. In casa Movimento 5 Stelle lo stop al terzo mandato taglia fuori big della vecchia guardia, come Fabio Massimo Castaldo, Laura Ferrara e Tiziana Beghin. Circola ancora il nome di Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire. Piacerebbe Luisella Costamagna e potrebbe essere riproposta Donatella Bianchi, già candidata alla Regione Lazio.

Conte blinda l’ex numero uno di Inps Tridico, nel M5S si ragiona anche sul nome di Casalino

Quasi sicuro della candidatura dovrebbe essere l’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico, molto supportato dagli attivisti storici, mentre Rocco Casalino ci starebbe ancora pensando. Rimane in bilico, come in ogni recente elezione, il nome di Alessandro Di Battista ancora molto amato nello schieramento di Giuseppe Conte. Nel centrodestra alle scorse elezioni europee i vari leader si sono presentati tutti come capolista ma adesso, visti i ruoli di governo, questo sarebbe molto più complicato.

Giorgia Meloni e Matteo Salvini così non potrebbero sfruttare il loro brand per cercare di trainare le rispettive liste. All’interno di Fratelli d’Italia si starebbe pensando a una candidatura di Arianna Meloni, sorella della premier recentemente nominata responsabile della segreteria politica del partito. Qualche settimana fa l’Espresso indicava tra i papabili nel partito di Meloni anche Federico Palmaroli, noto al grande pubblico per Le più belle frasi di Osho. L’interessato ha smentito ma il gioco delle parti in questo momento prevede smentite per non farsi bruciare.

Nella Lega, oltre Vannacci, arla dell’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo

Nella Lega – oltre all’incognita Vannacci – si parla dell’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo nella circoscrizione Sud. A sinistra per ora Nichi Vendola, tornato alla politica attiva con Sinistra italiana, nega di volersi candidare alle prossime europee. Di sicuro ci sarà con una la lista pacifista di Michele Santoro, che potrebbe imbarcare il vignettista Vauro e il Capitano Ultimo.

L’articolo Europee, si stringe sui posti per Bruxelles sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Di una panchina rossa e di una notizia data male

Sfogliando le pagine romane del Corriere della Sera vi può capitare di imbattervi nel titolo “Alla Sapienza inaugurata e subito distrutta da collettivo femminista la panchina rossa contro la violenza sulle donne”. In un Paese in cui la gente non compra i giornali e legge solo i titoli di quelli che incrocia sul tavolino del bar sarà facile pensare che per l’ennesima volta qualche nemico delle donne o qualche negazionista fanfarone dei femminicidi abbia pensato di distruggere un simbolo per rimuovere un tema. 

Non è proprio così. Quella panchina è stata smontata (e non “distrutta”) dal collettivo Zaum Sapienza (Zone Autonome Università e Metropoli) con una motivazione chiarissima: “Non vogliamo panchine rosse ma azioni concrete, che vadano a colpire la causa e non a piangere la conseguenza” – spiegano in un post su Instagram Collettivo medicina Sapienza e Non una di meno Roma – Le panchine rosse sono erette come mausolei a ricordo di “vittime cadute a causa di eventi straordinari e inevitabili”. Sono il simbolo di staticità, rassegnazione, impotenza e dolore morboso. Non solo chi agisce violenza non viene minimamente scalfito da questo tipo di simboli, ma questi possono diventare una violenza reiterata per le persone che la hanno vissuta. La panchina rossa è un diversivo con cui Ateneo e istituzioni “assolvono” il loro impegno nell’anti-violenza, cavandosela con un lavoro a basso costo e senza impegno”. 

La notizia avrebbe dovuto essere che le istituzioni si sono sottratte al confronto e che quelle che la rettrice ha definito “un manipolo di pochi facinorosi” (chissà perché al maschile) che sono state spintonate dalla Digos erano lì a chiedere cosa ci fosse oltre alla panchina. 

Buon martedì. 

La panchina rossa de La Sapienza prima che fosse smontata, frame video

L’articolo proviene da Left.it qui

La destra allarga le maglie al decretificio Meloni

Incapaci di governare secondo le regole che esistono da ottant’anni dalle parti del governo Meloni stanno pensando bene di inventarne di nuove perché il comandare da lontano sembri un sinonimo di amministrare. Nel mese di novembre è tornato prepotentemente d’attualità il tema del massiccio ricorso fatto dal governo allo strumento della questione di fiducia.

FdI starebbe ragionando sul “disegno di legge a data fissa” che entra automaticamente in vigore se non viene approvato dal Parlamento entro i termini

I voti di questo tipo che si sono tenuti in parlamento infatti sono stati ben 8, un nuovo record. Il ricorso alla fiducia è andato costantemente aumentando negli ultimi mesi, tanto che il governo Meloni ha raggiunto anche il primo posto (a pari merito con l’esecutivo guidato da Mario Monti) se si considera la media dei voti di fiducia per mese. Di pari passo l’abuso di decreti legge per comprimere ancora di più il potere delle Camere sta andando alla grande. Nell’attuale legislatura le conversioni di decreto rappresentano il 50% delle leggi approvate, un record assoluto.

E pensare che quando si trovava all’opposizione proprio Giorgia Meloni tuonava contro questa pessima abitudine. Ora il suo governo è quello che ricorre di più ai decreti in ogni mese: 3,83 nel primo anno in carica, contro i 3,20 del Draghi e 3,18 del Conte-2. Ciò implica spesso che le Camere debbano correre per svolgere il proprio ruolo di pulsantificio.

Ecco la soluzione: due disegni di legge per allungare i tempi di conversione dai canonici sessanta giorni a novanta. Secondo il Messaggero, Fratelli d’Italia starebbe ragionando anche sul “disegno di legge a data fissa” che entra automaticamente in vigore se non viene approvato dal Parlamento entro i termini fissati. Il premierato, de facto, non ha nemmeno bisogno di una riforma costituzionale.

L’articolo La destra allarga le maglie al decretificio Meloni sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Quel pasticcio del ministro Valditara

Il pasticcio del ministro all’Istruzione Giuseppe Valditara che vorrebbe educare gli studenti italiani alle relazioni e non è in grado di intrattenerne con i suoi compagni di governo è completo. Il 7 dicembre Valditara comunica in pompa magna tre nomine che dovrebbero coordinare gli incontri degli studenti (su base volontaria) per il progetto “educare alle relazioni”.

Il pasticcio del ministro all’Istruzione Valditara che vorrebbe educare gli studenti alle relazioni e non è in grado di intrattenerne con i suoi compagni di governo è completo

Valditara sornione è convinto di avere assestato un colpaccio. Ha scelto tre donne, in un Paese che ancora scambia il femminile come sinonimo di femminista. Ha nominato una suora per accarezzare la pancia ai cattolici spaventati dalla novità: suor Monia Alfieri, membro della Consulta di Pastorale scolastica della Cei nonché fellow dell’Istituto Bruno Leoni per il libero mercato, una che si batte come una leonessa da sempre per le scuole private, con due begli schiaffi alla scuola pubblica e alla laicità previste dalla Costituzione.

Ha nominato l’avvocata Paola Zerman, candidata, nel 2018, con Mario Adinolfi e il suo “Popolo della famiglia”, organizzazione politica che da suo stesso manifesto è “figlia del Family Day”. E infine, convinto di mettere in difficoltà l’opposizione, ha nominato Paola Concia, una attivista lgbt, lesbica dichiarata, e per di più con un passato nell’opposizione ovvero nel Pd.

Con Concia il ministro era evidentemente convinto di avere spiazzato l’opposizione. Si è sbagliato. A fare naufragare tutto sono stati leghisti, meloniani e quelli di Pro Vita. In coro gli hanno ricordato che la nuova egemonia culturale non è altro che una sostituzione totale di ogni posto, in ogni campo. Non c’è nemmeno spazio per la tattica. Niente da fare.

L’articolo Quel pasticcio del ministro Valditara sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

La celebrazione del libro che non ha letto nessuno

C’è un libro bellissimo, in giro per il mondo, che non si prende la briga di leggere nessuno. È, secondo me, il libro con le parole più pesate che mi sia mai capitato in mano, uno di quelli in cui anche le virgole hanno la tornitura di chi ci ha messo tempo, mestiere e passione.

Ha un inizio fulminante, di quelli che entrano subito nel senso della storia, senza troppi giri: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Famiglia umana. Inizia così. E famiglia umana è un manifesto culturale, politico, letterario. Tutto insieme. “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”: ragione e coscienza. Ecco l’accordo. Ragione e coscienza.

E poi c’è la sicurezza, anche qui, la sicurezza che riempie tutti i giornali, i dibattiti, le distorsioni. Ascoltate bene: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.” Ed è una rivoluzione, perché la sicurezza va solo con con la libertà e il diritto alla vita come compagne. Non è mica la sicurezza che se ne sta sola e guardinga con la bava alla bocca che va di moda di questi tempi; questa è una sicurezza sempre allegra, in mezzo alla gente, che gira il mondo, che sorride alla vita. È simpatica, questa sicurezza raccontata così, è una con cui farci un viaggio o andarci a teatro, per dire.

Poi: “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. Soprattutto, si legge, “ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”. E insieme alle persone anche le loro storie devono muoversi. Davvero. C’è il diritto di “ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. Le storie che devono correre in giro per il mondo senza riguardo per le frontiere sono una favola.

Parola della Dichiarazione universale per i diritti umani, firmata a Parigi il 10 dicembre del 1948, oltre settant’anni fa. Settant’anni per studiarla e sembra che non abbia fatto i compiti nessuno. Così la casa per la famiglia umana, nonostante le dichiarazioni universali è una villetta bifamiliare, triste e grigia e mal illuminata che sta nel vicolo cieco nella periferia dei nostri tormenti. Sul citofono ci sono due nomi, in stampatello, scoloriti ai bordi: casa nostra e casa loro.

Buon lunedì.

L’articolo proviene da Left.it qui

Il Cittadino sullo spettacolo “A casa loro”

[Lunedì si torna a casa con lo spettacolo scritto con Nello Scavo. L’articolo di Fabio Ravera per Il Cittadino di Lodi]

«Il mare non uccide. A uccidere sono le persone, la povertà, le politiche sbagliate e le disuguaglianze che rendono il mondo un inferno se nasci dalla parte sbagliata». Dopo l’anteprima di “Odio gli indifferenti”, Giulio Cavalli torna in scena a stretto giro a Lodi, sul palco delle Vigne in via Cavour, con uno spettacolo «molto più teatrale e doloroso». Si tratta di “A casa loro”, un testo scritto insieme a Nello Scavo, giornalista di “Avvenire”, reporter internazionale e cronista giudiziario, portato in tutta Italia durante gli ultimi due anni.

L’appuntamento è fissato per lunedì alle 21 (ingresso gratuito): la serata è promossa da Sai (Sistema di accoglienza e integrazione) del Comune di Lodi – Progetto Insieme ODV ETS, con il sostegno del Comune di Lodi. La prenotazione non è obbligatoria ma è consigliata in caso di gruppi numerosi: per info scrivere a eros.invernizzi@sprarlodi.org o info@sprarlodi.org. «Il tema centrale è quello delle detenzioni illegali in Libia, denunciate più volte dalle organizzazioni internazionali – racconta Cavalli che sul palco sarà accompagnato da Federico Rama alla chitarra e da Ivan Merlini al piano -. Spesso si sente la frase “Aiutiamoli a casa loro”: ci è sembrato importante raccontare cosa succede davvero a casa loro. Il testo raccoglie inchieste condotte sul campo da Nello Scavo per “Avvenire”». Partendo dalle coraggiose inchieste del reporter, il monologo di Cavalli prova a raccontare quella parte del mondo che ci illudiamo di conoscere e di poter giudicare guardando le immagini dei profughi, mentre invece ci viene nascosta nel buio delle notizie non date. “A casa loro” è anche la scelta di versare sul palco quel pezzo di mondo «che ignoriamo per assolverci e invece la storia ce ne renderà conto perché la solidarietà non sta nei regolamenti, nei trattati internazionali e nemmeno negli editoriali – continua l’attore, scrittore e giornalista lodigiano -. E per questo forse anche uno spettacolo teatrale serve: i furbi parlano molto di solidarietà, ma ne parlano troppo con chi avrebbe bisogno di riceverla, piuttosto che parlarne con chi avrebbe bisogno di farla. Il Mediterraneo è il cimitero liquido dei nostri scheletri ma lì intorno, nelle regioni che scendono per l’Africa, quelle sulla rotta balcanica e nella zona impigliata tra i fili spinati della Turchia, ci sono le persone.

Persone, semplicemente, con il fardello delle loro storie che hanno l’odore di carne viva, senza valigie ma con quintali di paura, costretti al macabro destino di stare sulle pagine dei giornali o sulle bocche più feroci della politica e poi davvero non avere un posto dove stare». +++ Se volete organizzarlo nel vostro teatro, nel vostro comune, nella vostra scuola, con la vostra associazione o nel vostro festival potete scriverci a organizzazione@giuliocavalli.net