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Rigurgiti di patriarcato. Pure sulla tomba di Giulia

Al funerale della figlia Giulia, Gino Cecchettin ha chiesto di sfidare “la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali”. Ha spiegato anche che “difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome” e “trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere”.

Al funerale della figlia Giulia, Gino Cecchettin ha chiesto di sfidare “la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali”

Che la politica se ne renda conto o meno quel discorso segna una svolta anche nella politica di questo Paese, cancellando una volta per tutte l’idea che il femminicidio sia solo opera di criminali e riportando la riflessione nell’alveo della responsabilità collettiva. Come ha reagito certa politica Qualche esempio a portata di mano. Il consigliere regionale Valdegamberi eletto nella lista Zaia in Veneto (lo stesso che parlò di felpe sataniche riferendosi alla sorella Elena) ieri ha definito il funerale uno “show per far approvare qualche legge assurda come l’educazione sessuale nelle scuole” e ha parlato sdegnato di “politici che si scusano di essere uomini, altri che stanziano fondi per educare contro il patriarcato”.

La ministra della Famiglia Eugenia Roccella ha spiegato che “la teoria gender è una nuova forma di patriarcato” e il vero femminicidio di massa è quello “di Hamas” dove ci sarebbe “il vero patriarcato”. Per la ministra anche le battaglie dei movimenti trans per l’autodeterminazione del genere in opposizione al sesso biologico “sono le nuove forme di patriarcato, un modo di aggiornare il patriarcato a nuove filosofie e pensieri”. Giorgia Meloni – più furba – ha parlato di “crisi della famiglia” e “impatto dei social”. Non male, eh?

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La svolta Green può attendere. Altro elogio del petrolio alla Cop28

Ennesimo giorno di Cop28 dove i grandi della terra avrebbero voluto incontrarsi per affrontare il nodo della crisi climatica. Per capire l’aria greve che tira basta qualche particolare paradigmatico. Dopo l’uscita del presidente della conferenza sul clima Sultan al Jaber (al Jaber è anche capo dell’azienda petrolifera di stato) in cui ha pronunciato tesi antiscientifiche a favore dei combustibili fossili e del petrolio di cui è il quarto detentore al mondo, ieri il Ceo di Saudi Aramco, Amin Nasser (nella foto), ha chiesto maggiori investimenti nel petrolio rispetto alle energie rinnovabili per soddisfare la crescita della domanda di energia.

La Conferenza sul clima Cop28 ridotta a un raduno di lobbisti. Dopo al Jaber è il turno del Ceo della Saudi Aramco

“Se si guarda a questo trimestre, ci sono 103 milioni di barili al giorno di domanda, rispetto al 2019, quando eravamo circa 100 milioni di barili al giorno”, ha spiegato Nasser alla Saudi Green Initiative, un evento collaterale alla Cop28 a Dubai, dove le aziende produttrici di combustibili fossili hanno chiesto di sedersi al tavolo per discutere il loro contributo al futuro mix energetico. “Prevediamo che in futuro ci sarà un’ulteriore crescita della domanda e pertanto sono necessari investimenti per soddisfare la richiesta della nostra produzione e allo stesso tempo gestire il declino dei giacimenti esistenti”, ha aggiunto.

Per tastare il polso della situazione bisogna guardare fuori. È “ormai inevitabile” che la soglia di 1,5°C di riscaldamento globale venga superata “costantemente per diversi anni” e c’è una possibilità su due che ciò accada in soli sette anni. è l’avvertimento lanciato dagli scienziati del Global Carbon Project, che chiedono un’azione urgente. Secondo lo studio di riferimento presentato in occasione della Cop28 in corso a Dubai, si prevede che le emissioni di CO2 prodotte dall’uso di carbone, gas e petrolio in tutto il mondo per il riscaldamento, l’illuminazione o la guida aumenteranno, raggiungendo addirittura un nuovo record nel 2023.

Lo studio stima che il totale delle emissioni globali di anidride carbonica immesse nell’atmosfera nel 2023 raggiungerà i 40,9 miliardi di tonnellate (GtCO2): si tratta di quattro volte di più rispetto al 1960, e la curva delle emissioni, invece di ridursi, è rimasta stabile per dieci anni. Nel 2015, con il trattato dell’Accordo di Parigi, i leader mondiali si sono posti l’obiettivo di non superare la soglia dei +1,5°C per evitare ripetute ondate di caldo e cambiamenti profondi, anche irreversibili, inflitti alla natura dall’azione umana.

Per gli scienziati della Global Carbon Project l’aumento di un grado e mezzo è ormai inevitabile

“I leader riuniti alla CoP28 dovranno concordare una rapida riduzione delle emissioni di combustibili fossili, anche per mantenere l’obiettivo dei 2°C”, afferma il climatologo britannico Pierre Friedlingstein, che ha supervisionato lo studio che ha coinvolto 150 ricercatori da tutto il mondo. Tuttavia, “le misure volte a ridurre le emissioni di carbonio derivanti dai combustibili fossili rimangono terribilmente lente”, critica lo scienziato. “Il tempo che resta da qui alla soglia dei +1,5°C si riduce a tutta velocità, dobbiamo agire adesso”, ha aggiunto.

Del resto il vero record per la CoP28 è chiaro: quasi 2.500 lobbisti dei combustibili fossili hanno ottenuto l’accreditamento per la conferenza sul clima delle Nazioni Unite negli Emirati Arabi Uniti, che non ha fatto mistero di averli invitati, secondo quanto dichiarato martedì da una coalizione di Ong. Questa cifra non sorprende, dato che si prevede che la Cop accoglierà un numero record di partecipanti (oltre 88mila, senza contare i 20mila membri dello staff tecnico e organizzativo) e che, per la prima volta, i partecipanti hanno dovuto fornire informazioni sul loro datore di lavoro e sul loro rapporto, finanziario o di altro tipo. Difficile riporre troppe speranze.

 

Leggi anche: Un nuovo preoccupante allarme climatico: dopo un novembre da record, il 2023 sarà l’anno più caldo mai registrato nella storia

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Gino Cecchettin e quel funerale che parla del futuro

Nel 1960 la Scat, l’azienda che si occupava dei trasporti pubblici catanesi, decise di raddoppiare i bus della linea 27 che partivano da piazza Duomo e arrivava fino alla zona industriale della città. Uno dei bus lo chiamavano “Concettina” ed era per le operaie mentre l’altro era detto “coi baffi” e serviva per gli uomini. Parve quella l’unica soluzione possibile per evitare le molestie troppo frequenti contro le donne. Cinque anni dopo il nipote del boss di Alcamo Vincenzo Rimi, Filippo Melodia, decise di prendersi con la forza Franca Viola confidando nel fatto che dopo averla violata sarebbe stata sua. Non fu così. Franca denunciò il suo violentatore e il padre Bernardo divenne il simbolo del maschio che decide di mettersi contro il maschile che era stato fin lì. 

Ieri Gino Cecchettin ha messo in fila le responsabilità che concimano i femminicidi come quello di sua figlia Giulia. L’ha fatto con tono e parole misurate, una spilla rossa aggrappata sulla giacca e con il coraggio di trasformare un lutto personale in una lezione universale. Il suo discorso a Padova dove si sono celebrati i funerali è uno degli atti politici più potenti di questi ultimi anni. Cecchettin ha sfidato il patriarcato e i maschi conservatori terrorizzati di essere scippati. Come Bernardo Viola anche Gino Cecchettin cova la speranza di riformare la cultura di un genere. 

Quando ricorderemo questo funerale che parla al futuro non potremmo non pensare che là dove si faceva la politica gli unici politici presenti siano stati il presidente veneto Zaia e il ministro alla Giustizia Nordio. Niente Meloni, non Schlein, non Conte, non la ministra Roccella, non gli altri leader di partito. Chissà se ci saranno oggi. 

Buon mercoledì. 

 

In foto Gino Cecchettin, con i figli Elena e Davide, frame da video tv

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Vannacci, pensaci tu! Santo patrono dei pistoleri

L’epopea del generale Roberto Vannacci come specchio del Paese. Un misconosciuto generale si prodiga per scrivere un libro che è una filiera di luoghi comuni, di pregiudizi e di tesi antiscientifiche dal sapore omofobo e xenofobo. Noi siamo in quel tempo in cui mettere su carta le analisi che di solito si fanno al bancone del bar in privato – vergognandosene in pubblico – può trasformare qualcuno in celebrità.

Il generale Roberto Vannacci è diventato l’emblema – per qualcuno – della nuova egemonia culturale della destra

Il suo libro vende moltissimo. Anche questo è lo specchio del Paese: l’esibizione di idee squinternate che gridano al complotto o al politicamente corretto solletica gli sfinteri di chi sogna un mondo in cui si è liberi di essere cretini. Il ministro alla Difesa Guido Crosetto censura le tesi del generale. Così nel Paese in cui un dipendente pubblico qualsiasi ha bisogno di un plico di autorizzazioni per parlare con il giornale locale, il generale Vannacci imperversa su giornali e televisioni.

Diventa l’emblema – per qualcuno – della nuova egemonia culturale della destra che – per qualcuno – si traduce nel ripetere “negro”, “frocio” e poi ridere a crepapelle. Vannacci da direttore dell’istituto cartografico di Firenze viene nominato capo di stato maggiore delle forze operative terrestri a Roma. Il ministro che l’aveva censurato sottolinea che non si tratta di una promozione.

Matteo Salvini vorrebbe candidarlo per danneggiare i suoi alleati di governo. Qualche ora dopo si ha notizia dell’apertura di un’inchiesta per incitazione all’odio e alla discriminazione sul libro del generale. Lui è in licenza e conferma di pensare a una candidatura. Un condannato per eccesso di difesa intanto dice che “si rivolgerà a lui”. è già un referente politico.

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Migranti, Villa: “Con Meloni toccato l’apice”

Matteo Villa, responsabile DataLab di Ispi e studioso delle migrazioni, ieri era il secondo giorno di click day del decreto flussi che quest’anno prevede 136mila ingressi per il 2023. Questo governo non vuole i migranti ma poi li cerca
“In realtà Confindustria diceva che ne servirebbero 300mila all’anno per 3 anni, quindi circa 900mila personae in tutto. Questo ci dà l’idea di quanti davvero ci servano e quanti ne dovremmo regolarizzare. Ci dice anche quanto lo Stato italiano stia perdendo soldi poiché se mai li regolarizzano mai quelli pagheranno le tasse. Incredibilmente la destra sta programmando come gli altri non hanno mai fatto, alzando moltissimo le quote. Erano 30mila tra il 2014 e il 2020, un numero incredibilmente basso non alzato né dai governi di centrosinistra né dai governi tecnici. Con Draghi siamo arrivati a 80mila. Già all’insediamento del governo Meloni si sono accorti che 80mila non sarebbero bastati. Già l’anno scorso hanno aggiunto 40mila ingressi. Alla fine il governo Meloni ha preso atto e ha negoziato un altro numero, che sono 450mila persone in tre anni oltre a quei 40 mila”.

Mezzo milione di persone fatte entrare da chi aveva promesso di “chiudere i porti”…
“Capisci subito: 490mila, un pelo sotto mezzo milione. Come per i prezzi degli abiti a 19,99. Saltano agli occhi due elementi. Primo: i decreti flussi più alti li fa il centrodestra. Secondo: se hai raccontato in campagna elettorale che non li vuoi ora è un bel problema perché in questo momento si dovrebbe annunciare che esistono le alternative per venire legalmente in Italia”.

È abbastanza
“No ma la direzione è giusta. Potresti fare emergere 600mila persone già qui che avrebbero l’opportunità di pagare le tasse. Dall’altra parte se il tuo obiettivo è scoraggiare i flussi irregolari di sicuro non lo puoi raggiungere se il decreto flussi lo annunci un venerdì di luglio dopo le 17, lo approvi in Cdm come una cosa tra tante e poi non ne parli perché nel momento in cui è stato annunciato trovi le polemiche della tua base che ti accusa di tradimento, di politica immigrazionistica e di sostituzione etnica. Accade così. Se tu soffi per anni su quel fuoco quando ti rendi conto che devi cambiare la narrazione ti ritrovi contro un muro”.

E allora perché non ne parla l’opposizione?
“Le migrazioni sono un argomento tossico e non si è ancora capito come fare a raccontarla creando consenso politico.Lo dico da osservatore esterno: tutti quelli che ci hanno trovato hanno fallito. Il Pd in questo momento potrebbe avere un afflato di cambiamento e riconoscere che il governo ha preso una decisione giusta ma non lo fa per estrema paura che questa cosa gli esploda in mano. Si vede bene anche nei sondaggi, quando chiedi quale sia la minaccia o la preoccupazione l’immigrazione è tra le prime risposte anche se non corrisponde nei numeri. La paura è esplosa nel 2015-16 ed è rimasta altissima nel 2019 quando erano crollati gli sbarchi. La paura passa solo perché il governo ne parla meno. In Europa non esiste una forza politica progressista che sia riuscita a guadagnare consenso parlando di immigrazione”.

Oggi dovrebbe essere presentato in Cdm un disegno di legge per esternalizzare il trattenimento in Albania. Cosa ne pensa
“Mossa inutile e costosa. Non sappiamo quello che succederà ed è ovvio che se davvero le persone in quel centro saranno 4mila (neanche in Italia esistono centro così grandi) sarà a tutti gli effetti un carcere. Il governo vorrebbe fare passar da lì 39mila persone, significa sostituire gli ospiti ogni 4 settimane. Sarà già difficilissimo trovare personale per gestire la richiesta d’asilo in tempi così impossibili. Oggi siamo la gestione di una richiesta di protezione richiede oltre un anno e se la vuoi accelerare devi garantire comunque un giusto processo per non incappare in un ricorso. Io mi aspetto che sarà già tanto se ne andranno lì in 10mila”.

E perché?
“Ho due dubbi. Primo: il costo di questa operazione è di 100 milioni di euro. Se tu avessi voluto fare una politica restrittiva, 100 milioni di euro potevi darli a Saied. C’è un altro aspetto: qualsiasi sia l’esito, queste persone dovranno tornare in Italia e quasi nessuna sarà rimpatriata. Quindi hai un procedura più costosa per avere meno diritti con molti più costi. E uno dice, perché?”.

Lei che risposta si è dato?
“Quei 10mila torneranno in Italia per essere trattenuti nei Cpr e rimpatriati, ma sappiamo che il tasso di rimpatrio è sotto il 10%. Resteranno illegali in Italia. Hai solo evitato che si veda che sbarchino. Inoltre c’è un altro rischio”.

E quale sarebbe?
“Quando tu li devi portare le persone in Albania devi bloccare le barche in mezzo al mare, avere una persona sulla barca che decida quali di queste persone debba essere mandata in Albania. Possono andarci solo i maggiorenni o donne non gravide o persone non vulnerabili. Si può solo immaginare quanta gente alzerà la mano per dire che è minorenne”.

Risultato?
“Quell’ufficiale che sale sulla barca e decide tra chi è e chi non è minorenne, su una barca in mezzo al mare? E poi: trasbordi 80 persone su 100 in Sicilia, ne tieni 20 sulle barche? Dovrai prendere una nave a noleggio da crociera, come le navi quarantena, metteranno i primi 20 e aspetteranno i prossimi finché non si riempie. Logisticamente è un delirio”.

 

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Regeni e il senso di giustizia

Era il 3 febbraio del 2016 e oggi è il 5 dicembre del 2023. Quanto dolore attivo serve per cercare giustizia attraverso due continenti, svariati governi e sette anni e mezzo in cui “tutto il male del mondo” che stava sul viso di Giulio Regeni è rimasto sotterrato dall’inezia (se non la complicità) di un’Italia bravissima a celebrare i morti e vigliacca nel restituire giustizia ai vivi. 

I quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati dell’omicidio di Giulio Regeni sono stati rinviati a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare di Roma. Eccola la svolta nell’inchiesta sulla morte del ricercatore italiano ucciso il 3 febbraio 2016 dopo esser stato sequestrato il 25 gennaio: a processo andranno Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abedal Sharif, accusati a vario titolo di concorso in lesioni personali aggravate, omicidio aggravato e sequestro di persona aggravato. 

Il rinvio a giudizio dei quattro agenti dei servizi è stato possibile grazie alla sentenza della Corte Costituzionale emessa il 27 settembre scorso che consentiva il processo pur con gli imputati irreperibili, circostanza che la legge italiana invece impedisce perché senza la notifica degli atti processuali agli imputati non si può tenere alcun processo.

Quando la giustizia supera gli aspetti formali (che sono sostanziali) per perseguire la verità lo Stato appare immediatamente alleato e vicino. La riforma che serve, a cui dovrebbe pensare il ministro Nordio sta qua: fare il possibile, all’interno delle leggi, perché i rapporti di qualsiasi tipo (politici, economici, famigliari) non diventino un ostacolo. 

Buon martedì. 

Nella foto: la campagna di Amnesty Verità e giustizia per Giulio Regeni

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Numeri a caso e Fake news. Il Ponte di Salvini è una farsa

Sono molti e diversi gli elementi da tenere in considerazione per valutare la credibilità di un esponente politico e la serietà dei progetti che propone. Uno di questi è sicuramente la coerenza dei numeri, fattore essenziale per valutare la bontà e la fattibilità di una riforma, di un’opera o di una promessa. Sul progetto del Ponte di Messina i numeri sono campo di battaglia di diverse visioni.

Sul progetto del Ponte di Messina i numeri sono campo di battaglia di diverse visioni

Il ministro alle Infrastrutture nonché leader della Lega Matteo Salvini ha usato e usa i numeri dell’occupazione prevista per indorare la pillola di un’infrastruttura dibattuta da anni. Il messaggio è chiaro: se porta lavoro vale la pena compiere un sacrificio economico e ambientale. È il mantra del capitalismo ogni volta che deve giustificare la stonata imponenza dei suoi affari. Il problema è che Salvini – come ha notato il sito Pagella Politica – con i numeri si è ingarbugliato parecchio.

All’inizio erano 120 mila, poi sono scesi a 100 mila, ora sono 50 mila “mal contati”, sulla base di uno studio che però ne stima 33 mila. In poco più di un anno il ministro Salvini ha dimezzato il numero dei posti di lavoro che sarebbero creati dalla costruzione del ponte. Qualche giorno fa la trasmissione Report ha raccontato che i numeri sul risparmio di CO2 che il ministro riferiva allo studio di un’università (che non esiste) arrivavano invece da Giovanni Mollica, che da sempre promuove la costruzione del ponte e che inoltre ha collaborato con il consorzio incaricato alla sua costruzione. La domanda è scontata: vi fidereste di un ponte che attraversa lo Stretto piantato da un ministro così?

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Lo specchio distopico di Giulio Cavalli e la cruda verità di ‘I Mangiafemmine’”

Nella penombra di un mondo distorto, dove la realtà s’incaglia con la fantasia più buia, Giulio Cavalli conduce il lettore nel labirinto di DF. L’oscurità di questo paese diviene uno specchio rovesciato della società, un riflesso che svela gli abissi dell’animo umano. Un’epopea cruda e inquietante si dipana tra le pagine di “I mangiafemmine”, tessendo […]

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Cop28 sveglia Meloni

È una politica stretta, infeltrita e provincialissima quella che Giorgia Meloni ha portato in borsa alla Cop28 di Dubai, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Partiamo dall’inizio.

È una politica stretta, infeltrita e provincialissima quella che la premier Meloni ha portato in borsa alla Cop28 di Dubai

Tra qualche anno racconteremo che nel 2023 il più delicato incontro internazionale sui cambiamenti climatici organizzato mentre la terra bolliva come mai nella sua storia è stato presieduto dall’amministratore dell’Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc), società petrolifera di stato degli Emirati arabi uniti che è prima al mondo nella poco invidiabile classifica delle aziende i cui piani di espansione sono incompatibili con il rispetto degli obiettivi climatici. Chissà i nostri figli cosa penseranno di noi che da giornalisti stiamo raccontando la cronaca in diretta di un assassinio con gli onori che si riservano alla diplomazia.

In questo quadro nefasto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dedicato i suoi due giorni di permanenza a Dubai rilasciando dichiarazioni in difesa del suo fedele sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, attaccando i magistrati per difendere il suo ministro Nordio, commentando le parole di Gianni Letta e vaneggiando sulla sua riforma costituzionale. Questa loquacità che sopravviene quando non ci sono giornalista italiani si chiama patriofobia. Non male per una patriota.

Inevitabile che la sacerdotessa del provincialismo e delle beghe si diluisse parlando di clima e temi globali. In una conferenza per salvare il clima Meloni ha attaccato gli attivisti climatici e ha rilanciato la “neutralità energetica” che è omeopatia politica nella lotta ai cambiamenti climatici. E poi si è fatta le foto da mettere sul suo profilo Instagram. A posto così.

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