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Il complotto nevoso

Esiste un complotto vichingo per mettere Roma in cattiva luce e ne facciamo parte un po’ tutti: giornali del Nord, giornali romani diretti da giornalisti del Nord e telegiornali fatti a Roma da leghisti e comunisti del Nord (i comunisti sono per definizione del Nord, basta vedere la Corea). Siamo stati noi – con il sostegno occulto delle multinazionali del ghiacciolo, della Loggia del Leopardo e di un cugino friulano di Dan Brown – a nascondere le pale nelle catacombe e a rovesciare migliaia di sacchi di sale nell’insalata del Trota pur di sottrarli alla furia bonificatrice di Alemanno. Sempre noi, dopo averlo ipnotizzato, abbiamo costretto il sindaco alpinista a proclamare il coprifuoco al Tg1, a chiedere una commissione d’inchiesta sulle previsioni del tempo (che chicca degna di Totò!) e a mostrare la compattezza delle istituzioni litigando a reti unificate col capo della Protezione civile. Solito, splendido Gramellini su La Stampa.

Acqua pubblica. Non è cambiato niente

Il secondo quesito referendario ha abrogato un solo comma del decreto legislativo 152/06, quello che prevedeva tra le componenti della tariffa corrisposta per l’erogazione dell’acqua anche “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Sull’acqua non bisognava fare profitto, fu spiegato. Uno dei problemi è che il contenuto del comma abrogato è riportato identico all’art. 117 del Testo Unico sugli Enti Locali, il DLgs. 267/00, proprio quando si parla di calcolo delle tariffe. E anche per questo motivo, sette mesi dopo i referendum sull’acqua, non è ancora cambiato niente. Trovate tutto qui.

Una sentenza che affossa la clandestinità

Succede a Pavia. Il Giudice nel proprio dispositivo e nei motivi contestuali ha assolto l`imputato ‘perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato`, richiamando la citata sentenza della Corte di Giustizia Europea del 28 aprile 2011. Ad oggi, seppur il reato di clandestinità ex art. 10 bis TU immigrazione purtroppo permanga, i cittadini di Paesi terzi, liberi, non incorreranno più nel rischio di essere condannati alla sanzione penale della reclusione e privati della propria libertà personale per il semplice fatto di non aver ottemperato, nei termini, ad un ordine amministrativo di allontanamento, emesso dal Questore. […] Rimane, tuttavia, il sentore che, anche ai cittadini stranieri regolari, dimoranti nelle nostre città, sebbene non colpiti da alcuna misura restrittiva, venga attribuito comunque lo status ed il trattamento riservato al clandestino, posto che giornalmente si scontrano con realtà rigide e diffidenti, e lottino, insieme a chi crede nelle loro battaglie, contro poteri istituzionali che ad oggi hanno manifestato disinteresse, o peggio ancora, pregiudizialità e discrezionalità nell`adozione dei provvedimenti, violando i supremi principi sanciti dalla nostra carta costituzionale. Su Terre Libere l’articolo completo.

Non è Scampia ma Piacenza

E i voti si comprano e si vendonoStesso angolo, stessa storia. Due uomini italiani, sempre gli stessi, che incontrano i sudamericani dopo il voto e scambiano qualcosa. Nonostante i partiti del centrosinistra non si sbottonino – anche se si sono espressi tutti con parole di condanna – i muri della città di Piacenza hanno già un colpevole: l’Italia dei valori. “Idv uguale mafia” recita un graffito apparso questa mattina nella centralissima viale Risorgimento. “Idv vergogna” e soprattutto “un voto per Raggi uguale 5 euro”. E proprio sul candidato dell’Idv, Samuele Raggi, si sta scatenando una bufera che sembra avere poco a che fare con le nuove geometrie politiche in vista delle elezioni. Dopo l’ammissione del segretario del Pd che “qualcosa è andato storto” e quello di Rifondazione, Roberto Montanari, che ipotizza la presenza di“criminalità organizzata” nel reclutamento dei sudamericani, a seggi chiusi si è cercato di tirare le somme e prima dello scrutinio è stata convocata d’urgenza una riunione del centrosinistra. Lo scrive Il Fatto Quotidiano.

Cosa ci dicono i rimpianti

Bronnie Ware è un’infermiera australiana che ha trascorso diversi anni in un reparto di cure palliative, occupandosi di pazienti con appena tre mesi di vita davanti. Ha registrato le confessioni in punto di morte in un blog chiamato Inspiration and Chai, che ha ricevuto così tanti contatti da spingerla a riportare le sue osservazioni in un libro intitolato: “I cinque principali rimpianti del morente”, dove racconta dell’impressionante chiarezza di visione che le persone manifestano alla fine della loro vita e di come sia possibile che anche noi impariamo dalle loro consapevolezze. “Quando vengono interpellati a proposito dei propri rimpianti o di quello che avrebbero voluto fare in modo diverso” – dice Ware – “ci sono temi comuni che ritornano”. Eccoli tradotti da Michela Murgia. Il punto 5 è avrei voluto permettere a me stesso di essere felice.

Pedemontana, TEM, BreBeMi e i soldi che mancano

Per la Pedemontana non ci sono i soldi, lo dicono gli industriali (famosi faziosi comunisti qui in Lombardia, secondo Formigoni) rileggendo con attenzione i dati dell’Osservatorio sulle Infrastrutture. Ricordo che quando mi capitò di dirlo in occasioni pubbliche (ultimamente abbastanza spesso) gli sguardi attoniti dei professoroni di cose lombarde mi accusavano di disfattismo. Il punto è che qui le infrastrutture si ha l’urgenza di iniziarle per dare il via al banchetto dei soliti noti e concluderle è un aspetto secondario. Le ultime inchieste giudiziarie ci raccontano perfettamente come gli interessi (di più quelli illeciti) operano nella fase iniziale, nuotano tra l’iter di autorizzazione e l’assestamento su appalti e subappalti. La prossima volta che vi chiedono perché le infrastrutture di faraonica memoria formigoniana dovrebbero essere inutili provate a parlare della calma sospetta con cui (non) vengono portate a termine. Avete mai visto qualcuno indugiare sul necessario?
Le uniche infrastrutture che vorticosamente si attivano sono quelle che oscenamente si muovono dietro le quinte; e per disarticolarle non basta arrestare un Nicoli Cristiani, serve un altro modo. E a noi chiedono di farsene carico senza patetiche imitazioni.

Crescita! Crescita!

Si dice che una classe dirigente, un governo – una guida – è l’espressione di una cultura popolare. Ma un popolo non cresce solo con se stesso, senza una guida credibile. Il nostro paese ha un passato di terra divisa, spartita tra signori, papi, re e reucci, una dittatura fascista che l’ha portato alla rovina e alla tragedia, cinquant’anni di dominio democristiano all’insegna del bizantinismo e della falsità, dove per comunicare una cosa si affermava il suo contrario, quindici anni di un grottesco sultanato nel quale è stata esaltata la disonestà, la condotta mafiosa, il vilipendio della Costituzione nata da una dura guerra di liberazione. Oggi un popolo storicamente educato da secoli di esempi negativi, che non ha avuto la possibilità di creare un’idea di stato e di comunità, assiste per l’ennesima volta alle performance di una casta di potere blindata nel suo privilegio che si permette di decidere sulla lunghezza della vita lavorativa altrui. Si obietta che riducendo lo stipendio, il rimborso spese, il vitalizio dei parlamentari (realmente, non il gossip mediatico su 1.300 euro lordi) non si coprirebbe certo il mostruoso buco in bilancio. E quindi si continua così, con una casta che mentre favorisce se stessa e la propria intoccabilità impone sacrifici pesanti agli altri in nome della crescita. Di fatto col suo esempio dice, con parole apparentemente contrarie che evocano “rigore” ed “equità”: invidiateci, imitateci, imparate a fare i furbi, a disprezzare il vostro prossimo, a calpestare i deboli e a nutrire i ricchi. Noi siamo eterni, il nostro avvenire è fuori discussione, ma abbiamo l’idea fissa di favorire i licenziamenti facili, perché i diritti altrui sono merce di scambio, sono polvere. I nostri invece sono sacri. Il capo di un governo composto da superbaroni universitari inamovibili, che viaggiano da un incarico all’altro, si presenta per l’ennesima volta in televisione dove, con stile salottiero, definisce “monotono” il lavoro fisso, annuncia che i giovani devono abituarsi a cambiare, perché il posto fisso possono scordarselo. Come se parlasse ai rampolli privilegiati della sua personale élite, mentre sta umiliando chi il lavoro non solo non può cambiarlo, ma neanche trovarlo, anche a costo di appellarsi alla Madonna di San Luca per tutta la vita. Questo è l’esempio per il paese, l’esempio per la crescita. Questa è la guida.Una guida indegna di questo nome, guida al nichilismo e all’egoismo. Guida di uomini di paglia, di uomini di niente. (Maurizio Baldrati per Nazione Indiana)