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Non levano le tende

Ma sfregiano la tenda della Memoria di Libera a Lecco. Mafiosi e paramafiosi (o bulli imbecilli) si distinguono per mediocrità e imbecillità. Non ci rimane che denunciare il fatto alle autorità e sperare che il telo sia rimesso al suo posto da chi l’ha voluto profanare. L’episodio non ci ha certo scoraggiato, né noi operatori di Libera e Legambiente, né noi giovani volontari che subito cercheremo di risistemare e ricucire la ferita della tenda, convinti che la migliore risposta sia quella di proseguire lungo il percorso di impegno e di legalità intrapreso attraverso questa esperienza.

Io sono Pino Maniaci

“Viva la mafia, Pino Telejato sei lo schifo della terra”, “Maniaci sei un figlio di puttana” e una bara disegnata accanto.

Scritte sui muri di Partinico. Lo racconta entrando nel cuore Pietro Orsatti e lo raccontano le agenzie di stampa. Ed è la notizia che arriva da Partinico e ciclicamente si ripete. E ciclicamente noi gli vogliamo stare vicini. Perché se non avessi avuto l’onore di conoscere Pino forse oggi io fare un altro mestiere.

In un’intervista di ieri Pino ci insegna: “Io dico sempre che la mia scorta migliore sono i cittadini onesti di Partinico”. Io dico che la scorta migliore di Pino sono tutti i cittadini onesti, anche fuori da Partinico. Tutti quelli che per Pino non si stancheranno mai di alzare la voce.

Intanto potete visitare il sito della sua emittente televisiva Telejato (per annusare un po’ di sano giornalismo non servile) e non lasciarlo sentire solo. Perchè le minacce sono sui muri ma la sua battaglia è nella gente. E non si è mai vista la gente arrendersi ai muri.

Intanto rileggevo il mio post di ‘qualche minaccia fa’ e lo rimetto qui. Identico. A testa alta come Pino.

Pino è un Don Quijote  ma i mulini sono cambiati come cambiano i tempi: hanno facce, mani, testa, voce, ferro in tasca, soldi in borsa e avvocati. avvocati bravi, pagati bene. Il mulino che gli è rimasto più di traverso è la Distilleria Bertolino: una distilleria che inquina come vomito di Polifemo sopra Partinico.

Pino è come il calcare, ostinato fino ad indurirsi tanto da fargli male. Di quelli che sorseggiano il gusto di “battersi” come all’inizio di un aperitivo che probabilmente finirà male. Pino appena fuori dal cancello della Bertolino, a fotografarlo dall’alto, è piccolo come un tombino.

Pino è un rubinetto rotto: lavora per erosione, ai fianchi e alle spalle con una televisione larga come un cesso ma che suona martellate di artigianato fino e continuo.

Pino è un immoderabile: nel dubbio getta l’amo ma sempre con la sua faccia in mano.

Pino è la zucca di Cenerentola: si veste sguincio da cerimonia ma non si appiattisce al diktat del valzer della moderocrazìa.

Pino è mezzo nei guai, per una condanna che aggiunta alle altre lo fa arrivare lungo. Ma nei guai ci nuota bene. Perché a mare ci buttiamo in tanti che, poco poco, organizziamo un quadrangolare di pallanuoto.

Perché a raccogliere palle in rete ci abbiamo fatto il callo, ma siamo forti nel contropiede.

Il rispetto per i lombardi

Passa da notizie che galleggiano sembrando piccole e poco importanti ma raccontano quanto lo studio, il lavoro, il confronto e la progettazione cada sconsolata di fronte l’impunito e arrogante gestione del proprio ruolo di amministratori. Scrive l’Espresso:  Meglio di Usain Bolt, gli amministratori lombardi. Dei veri fulmini nel mettere mano alla sanità pubblica. La giunta di Roberto Formigoni si è riunita il 4 agosto e all’ordine del giorno, tra gli altri prowedimenti, c’era la verifica dell’idoneità professionale di tantissimi direttori generali delle Asl e dirigenti di case di cura: in tutto, 292 candidati. Una sfilza di curriculum da vagliare, ma la seduta, stando ai verbali depositati, è durata pochissimo: 20 minuti appena, nei quali sono state approvate un altro centinaio di delibere. Assenti i due assessori che hanno competenza su famiglia e sanità. Da qui il dubbio che a stabilire l’idoneità dei candidati siano stati i loro colleghi dello sport o del verde pubblico; o che si sia trattato solo di un passaggio formale perché le nomine, come malignano i partiti dell’opposizione, sono decise per via politica nelle sedi di partito. C’è anche un precedente. A dicembre 2010, per selezionare 44 direttori generali su 603 candidati bastarono 40 minuti. In media, 15 candidati al minuto. Fare il proprio lavoro seriamente: sarebbe il primo passo per essere credibili. Fare le cose bene. Sul serio.

«Giulio Andreotti, un mediocre»

DA CRONACAQUI Venerdì 2 settembre 2011

L’attore: «A teatro racconto di un politico sopravvalutato»

La vita di Giulio Andreotti si ripercorre a teatro. Grazie a un monologo di Giulio Cavalli, “L’innocenza di Giulio. Andreotti non è stato assolto”, scritto dall’attore lodigiano con la collaborazione di Giancarlo Caselli e Carlo Lucarelli, diretto da Renato Sarti e con musiche originali di Stefano “Cisco” Bellotti, in scena stasera ai Giardini Pubblici di via mazzini a Sesto San Giovanni nell’ambito della rassegna “Teatro nei Cortili”, promossa dal Teatro della Cooperativa e sostenu- ta dalla Fondazione Cariplo, in collaborazione con il Comune di Sesto San Giovanni e con la Cooperativa UNIABITA.

Perché parlare di Giulio Andreotti oggi?

«Per diversi motivi. Innanzitutto, perché in questo Paese ripetendo all’infinito una bugia si finisce a rivenderla come verità. Che Andreotti non sia stato assolto è un dato di fatto, ma non tutti l’hanno recepito. Anzi. Andreotti è il simbolo del potere che bussa alla porta della mafia per mantenere il proprio primato».

Viene espresso un giudizio morale su Andreotti?

«No, non esprimo diretta- mente giudizi personali, mi limito a raccontare gli eventi. Detto questo, Andreotti è stata una delle vergogne po- litiche più grosse dell’Italia».

Ma che ritratto emerge dell’uomo politico e della persona?

«Quello di una persona che si vuole rivendere come uo- mo medio, ma che in realtà non è comune. Al contrario, è eccezionalmente bravo a stare nel limbo e a vivere in perenne equilibrio tra inno- cenza e reato. In ultima analisi, ritengo sia un politico profondamente sopravvalu- tato, emerso in uno scenario particolarmente triste e avvilente, un mediocre».

Qual è l’eredità di Andreotti nella politica attuale?

«Sono tutti coloro che hanno continuato a portare avanti i suoi poteri, i suoi interessi e le sue amicizie».

La collaborazione con Giancarlo Caselli e con Carlo Lucarelli è destinata a proseguire?

«Sicuramente. Arriviamo da campi diversi, ma ci incroceremo di nuovo. Oggi, però, sono concentrato sulla stesura di un libro sul processo Andreotti. Se lo spettacolo ha lo scopo di insinuare dei dubbi, il libro invece mi permetterà di documentarli».

Che cos’altro bolle in pentola per il futuro?

«Sto lavorando al figlio di “A cento passi dal Duomo” (monologo sulla presenza della mafia nella operosa Lombardia che lo ha costretto a vivere sotto scorta, ndr.) e sto preparando una trilogia ded
icata ai secondi nello sport, da Dorando Petri in poi».

 

Le prigioni di Maroni

Non dorme nessuno stanotte. Il mondo dei grandi è in rivolta. La stanza rimbomba sotto una grandinata di colpi. Omar comunque non sa cosa siano una rivolta e la grandine. E’ un neonato, ha due mesi. Nemmeno suo fratello Hamza, 3 anni, e sua sorella Maha, 7, capiscono da dove arrivi questo rumore spaventoso.  Infatti non grandina. Sull’isola di Lampedusa d’estate non succede mai. Sono i sassi che cadono contro le pareti e il tetto in lamiera. Lanciano pietre ovunque.  Una notte ordinaria nel centro di detenzione per immigrati e rifugiati. Omar, Hamza e Maha sono piccoli carcerati. Da settimane non possono uscire dal recinto di filo spinato e lamiere arroventati dal sole. Chissà Maroni come racconterà questa Lampedusa ai suoi figli.

L’Italia che non si arrende

La tenacia, l’ottimismo e una vocazione a tenere alta la dignità. «Sono arrivata a questa età conservando la qualifica di precaria a causa delle strane norme della burocrazia scolastica – racconta la donna – Ho fatto per tanti anni l’insegnante migrante, senza mai poter mettere radice da qualche parte o in qualche scuola. Sono rimasta precaria per 37 anni. Adesso sarò di ruolo, anche se presto andrò in pensione. Vengo immessa in ruolo in un periodo di grave crisi: considero ciò una fortuna e mi viene da pensare a quelli che questo traguardo, con i tempi che corrono, rischiano di non raggiungerlo mai». Vicenza D’Amico dopo 37 anni di precariato ottiene una cattedra  e riesce ancora a vedere l’azzurro in mezzo a tutto il buio.

Ignazio Cutrò: in culo alla mafia

Lascio lo spazio che ho a disposizione qui per una persona straordinariamente ordinaria in un Paese normale. Ignazio Cutrò ha contribuito con la propria testimonianza al processo “Face Off” all’arresto dei Panepinto. Non li ha descritti, non li ha recitati: li ha fatti arrestare. Con la testimonianza senza eroismi dei giusti per vocazione.

Ho conosciuto Ignazio a Roma incatenato davanti al Viminale insieme a Valeria Grasso mentre chiedeva il diritto primitivo di non essere ammazzato in solitudine. Ignazio parla con il cuore, non ha libri che gli arrotondano le frasi e gli profumano le parole. E’ diretto, duro. Diritto. In un tempo di schiene piegate davanti alla paura e, peggio, alla pavidità che rompe il muro della cittadinanza dignitosa. Non è buono per gli speciali in prima serata, non è abbastanza pettinato per portare consenso e non è nemmeno un intellettuale a cui affidare una collana letteraria; eppure ha la forzadi chi mangia il fango con il sorriso per poter tenere vicino al camino la rettitudine insieme alla propria famiglia.

Il giorno in cui tutti ricordavano Libero Grassialcuni infami entravano nella sua abitazione. Ignazio, con la sua forza che deriva dalla sua partigianeria gli ha risposto. Questo spazio mi sembrava il minimo lasciarlo alle sue parole con una levata di cappello:

Egregi stronzi mafiosi e company, siete arrivati vicino casa mia, si ma grazie a quegli angeli non avete avuto tempo di respirare, vi sono subito stati nel culo anche se effettivamente la caccia “all’uomo”, se uomo si può dire, poi è andata a vuoto. Però di certo starete con due piedi in una scarpa prima o poi sarete messi con la faccia al muro, e giustizia sarà fatta. Questi gesti ci danno più carica in questa lotta, perché ci fanno capire allo stesso tempo sia quanto siate vigliacchi e anche che le istituzioni sono vicine e reattive. Carabinieri, poliziotti, finanzieri, uomini, padri di famiglia che con sprezzo del pericolo vigilano costantemente su di noi, su tutti i cittadini, e mettendo in rischio la loro vita ogni giorno si sforzano di rendere più pulito dalle illegalità il nostro Paese dove mettono a rischio la propria vita senza pensarci due volte dimostrando la fedeltà alla divisa indossata ed impressa nella pelle. Un grazie a questi valorosi uomini di tutte le forze dell’Ordine ma soprattutto in culo alla mafia.

Pubblicato su IL FATTO QUOTIDIANO

Cacciano con il culo degli altri

Il Sole 24 Ore scrive oggi di una possibile multa di 10 milioni di euro dalla UE a Regione Lombardia per la caccia interroga fatta passare in fretta e furia prima delle vacanze estive. E, ovviamente, a pagare saranno i cittadini in un momento in cui quei soldi diventano ossigeno per i servizi essenziali. La votazione in Consiglio è stata a scrutinio segreto: così gli elettori non potranno sapere chi devono ringraziare per questa ennesima barricata a favore dei cacciatori fieri e impettiti della legittimazione della propria “sregolatezza”. Applausi alla regolamentazione dell’irregolare: in questo Paese è un must. E applausi ai democratici che hanno permesso che la legge passasse: sfilacciarsi per difendere la propria valle deve essere per loro un vizio inguaribile.

Essere affidabili

E’ quello che manca, oggi. E si finisce per parlare di antipolitica quando si tratta semplicemente di un crollo di fiducia. E in un Paese sfiduciato ancora ci si ostina a pensare che un rimpasto (di manovre, di uomini o di coalizioni) possa bastare quando l’unico ingrediente è il cambiamento. Quello vero. Michele Ainis lo scrive per il Corriere: almeno oggi l’abbiamo fatta franca. Domani, chi lo sa: la nostra via è piena di trappole, ci vuol poco a mettere un piede in fallo. Ma sono trappole di Stato, inganni tessuti da Sua Maestà la Legge. Come l’idea di revocare il riscatto della laurea e del servizio di leva ai fini pensionistici, con buona pace dei 665 mila italiani che ci avevano creduto, sborsando anche fior di quattrini. O come la trovata speculare del Pd, che ha proposto una tassa aggiuntiva del 15% per chi aveva profittato dello scudo fiscale del 2009, confidando nella garanzia di pagare non più del 5% sui capitali rientrati dall’estero. Insomma di volta in volta cambiano le vittime, non l’abitudine di stracciare i patti stipulati con l’una o l’altra categoria di cittadini. Eppure quest’abitudine inocula un veleno nella nostra convivenza, perché ci insegna a diffidare delle istituzioni, e a disprezzare in ultimo tutto ciò che è pubblico, di tutti.