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Un’ipotesi di manovra. Uno scenario politico.

L’avevo scritto il 9 agosto quanto fosse importante allinearsi alla proposta complessiva di Sbilanciamoci.org per una contromanovra credibile, fattibile ma soprattutto che disegni un altro Paese. E sono contento di leggerla oggi come proposta politica di SEL con un’analisi pienamente condivisibile di Massimiliano Smeriglio sul sito di Sinistra Ecologia Libertà. Perché è anche rassicurante toccare il sentire comune.

Lo chiamavano Solidarietà

Ma la Mastrotto Group non è un’azienda qualunque. L’un per cento della produzione mondiale di pelle esce dagli stabilimenti vicentini, dove le Fiamme Gialle hanno scoperto 800 (dicasi 800) dipendenti irregolari. La Mastrotto, giro d’affari intorno al mezzo miliardo, fornisce Tod’s e Ikea. La Mastrotto è globale perché sta anche in Brasile e Indonesia. Già, ma soprattutto nel Granducato del Lussemburgo e nell’isola di Man. Paradisi fiscali, si sa. Il sistema era di quelli sperimentati, oliato per anni, apparentemente perfetto: un reticolo di società europee, per sfuggire ai controlli del fisco italiano. Su Repubblica l’incredibile storia dell’imprenditoria in Padania con evasione totale. Loro si difendono parlando di cifre “sproporzionate”, di non aver evaso, e di aver pagato in nero solo gli straordinari (“prassi diffusa nel territorio”).

NO TAV: tacciono (quasi) tutti, tranne (anche) Guccini

I cantieri della Tav non esistono. Proprio non ci sono. Sono recinzioni e appostamenti militari che stanno dove dovrebbe cominciare lo scavo del tunnel esplorativo. Ma non c’è nessun tunnel esplorativo. Si continua a voler trasformare tutto in ordine pubblico ma l’indifferenza della politica evita accuratamente l’apertura di un dibattito serio. Con dati certi ma soprattutto con scenari definiti; si potrebbe trovare qualche minuto tra i vari scioperi dei calciatori e i rientri dalle vacanze. Rimane, invece, un ghetto in tensione che non ha declinazioni pubbliche. Non ha fatto rumore nemmeno l’appello al Presidente della Repubblica di 135 docenti universitari e ricercatori italiani. Ci sarebbe bisogno di una maturazione tecnica, scientifica e politica e invece galleggiamo nel fumetto di alcuni montanari ottusi che protestano per essere padroni a casa loro. Intano, ecco cosa ne pensa Francesco Guccini:

Dagli Appennini alle Alpi, un alleato No-Tav che non t’aspetti: Francesco Guccini, caposcuola bolognese dei cantautori italiani, a briglia sciolta con “Wu Ming 2” per una chiacchierata letteraria a margine del festival di Verbania, finita su “Repubblica” il 19 giugno. Argomenti in scaletta: montagna, memoria, Resistenza e, incredibile ma vero, la Torino-Lione. I valsusini? Bravi: stanno facendo quello che va fatto, gli “scudi umani”, contro la devastazione del territorio. Quelli sì che sono montanari come si deve: tenaci, ostinati, decisi a impedire alla città di fare sempre quello che vuole, e senza uno straccio di giustificazione, a spese di chi ancora tenta di abitare la montagna.

Vista da sotto, scrive “Wu Ming 2”, la montagna pare sempre un rifugio da eremiti, un nido d’aquila per misantropi e solitari, mentre nei sei romanzi che Guccini ha scritto con Loriano Macchiavelli, l’Appennino è sempre un luogo di incontri, una società complessa e nera quanto quella di pianura. «A Bologna», racconta Guccini, «quando discuto con gli amici, va sempre a finire che mi dicono “T’î pròpi un muntanèr!”, dove per montanaro si intende conservatore, testardo. Ma io ormai non mi offendo più». Trasferitosi a Pàvana sull’Appennino pistoiese a cavallo di Emilia e Toscana, da ormai una decina d’anni il “Maestrone” abita l’antico mulino di famiglia, tra libri e canzoni. Osservatorio perfetto per rileggere le memorie popolari della montagna e anche l’attualità dell’Italia di oggi, specie dove lamontagna combatte contro l’assedio del cemento.

Il fatto è che l’Appennino genera meno rispetto, convengono Guccini e “Wu Ming 2”, mentre le Alpi, con le loro cime aguzze, incutono timore. Lo testimonia la differenza tra gli animali totemici delle due catene montuose: quello dell’Appennino è il cinghiale, «una specie di porco con le zanne che grufola nel fango», mentre le Alpi hanno la nobilissima aquila, il leggiadro camoscio. «Le Alpi toccano il cielo, sono iperuranie e spirituali. L’Appennino è più basso, terragno, spurio. Sarà anche per questo che sulle Alpi, in val di Susa, il treno ad alta velocità non riesce ancora a sfondare le proteste e gli scudi umani, mentre sull’Appennino Tosco-Emiliano lo scavo delle gallerie è andato avanti senza grandi opposizioni, finché non ci si è trovati di fronte a danni irreparabili», come il cataclisma idrogeologico che ha devastato il Mugello, rimasto all’asciutto per i cantieri della Bologna-Firenze.

Se la valle di Susa lotta strenuamente da vent’anni contro l’eco-mostro chiamato Torino-Lione, forse è anche perché la storia della valle è legata a doppio filo con la Resistenza, che in quei boschi trovò l’arma in più per combattere il nemico. «Del resto, solo una retorica da quattro soldi dipinge i valsusini come montanari ottusi, egoisti, che vogliono essere “padroni a casa loro”». In realtà, concordano Guccini e “Wu Ming 2”, «la forza del movimentoNo Tav sta nella competenza diffusa e nell’aver saputo coinvolgere anche la gente di pianura». Nulla di simile è accaduto tra Bologna e Firenze, perché le due città voltano le spalle all’Appennino. Per i No-Tav che resistono abbarbicati al “presidio” di Chiomonte minacciato di sgombero, la sortita di Guccini è un regalo inatteso: e chissà che, dopo canzoni-manifesto come “L’avvelenata” e “La locomotiva”, il “Maestrone” di Pavana non s’inventi una ballata sui montanari eretici della valle di Susa

(info:francescoguccini.net).

Si sgretolano le accuse, dice lui

MILANO – Una passeggiata di Filippo Penati. Recente, a metà maggio. Sotto la sede della Regione Lombardia. Con il costruttore Giuseppe Pasini, proprio uno dei due imprenditori che a quell’epoca lo stavano già accusando davanti ai magistrati: ecco cosa, in termini di «inquinamento probatorio», ha rischiato di costare al dirigente pd l’arresto, evitato invece solo per la differente qualificazione giuridica delle tangenti (non concussioni, ma corruzioni già prescrittesi) scelta dal giudice. Una passeggiata che per i pm monzesi sarebbe servita a dare un messaggio a Pasini perché edulcorasse il suo interrogatorio, al punto da spingerli a una osservazione di infrequente asprezza: «È desolante constatare come un uomo politico con importanti incarichi istituzionali passati e presenti (sindaco di Sesto San Giovanni, presidente della Provincia di Milano, portavoce del segretario del Partito democratico e vicepresidente del Consiglio tegionale) adotti le stesse cautele di un delinquente matricolato». Il 16 maggio Pasini racconta alla GdF di aver incontrato, a una cena sociale della Bcc di Sesto San Giovanni, «la ex moglie di Penati che mi ha detto che suo marito voleva parlarmi». D’accordo con gli inquirenti, Pasini fissa per il giorno dopo un appuntamento. Penati non si siede con lui al bar, ma gli parla camminando (il che impedirà ai militari di registrare la conversazione): «Caro Giuseppe – sostiene Pasini d’essersi sentito dire – so che ti hanno chiamato a Monza (i magistrati, ndr ) per conoscere qualche cosa della situazione e vorrei sapere che cosa hai detto e in particolare se ti hanno chiesto di me». Poi Penati avrebbe aggiunto: «Lei, Giuseppe, sa che io non ho preso una lira, sa che io di quattrini non ne ho. Di Caterina sparla di me, ma lei sa che non è vero niente, lui ha preso i soldi per sé». A questo punto, riferisce Pasini, «io ho ammiccato ed ho percepito che queste erano le indicazioni da tenere presente in caso di convocazione da parte dell’Autorità giudiziaria. L’incontro è durato poco, a lui interessava solo darmi il segnale su come comportarmi». Dicono in Procura come riferisce il Corriere della Sera.

Mafie e peccati: l’hanno capito anche a Stoccolma

Il prefetto della regione di Stoccolma, Carin Götblad, rimarcava recentemente qualcosa di simile in un articolo su DN (17/6) in cui descriveva la criminalità organizzata come un’attività a diversi livelli, con una base fortemente criminosa e piani superiori fatti di strutture semilegali di funzionari e giuristi che collaborano. In cima alla catena alimentare stanno quelli che non hanno nessun contatto con la criminalità: quelli che semplicemente comandano e fanno soldi. La sua conclusione era pressappoco la stessa di Forgione: perché la società possa riuscire a sconfiggere la criminalità globale, devono partecipare tutti, a tutti i livelli. Non ci si può lasciar corrompere né far regalare droga (o ragazze). L’articolo di Lars Linder qui.

Gli idealisti cercano Gheddaffi, gli altri si spartiscono il bottino

Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Italia a caccia di petrolio e investimenti nel Paese. Mentre si continua a combattere a Tripoli e in altre città e il rais sfugge ancora alla cattura, Mahmoud Jibril, del Consiglio Nazionale Transitorio, incontra Berlusconi a Milano e chiede di scongelare i 350 milioni di euro presi al colonnello per assicurare un futuro al suo Paese. Al Palazzo di vetro accordo su un miliardo e mezzo di dollari da destinare alla ricostruzione (Servizio video di Valeria Teodonio). In guerra, la verità è la prima vittima diceva Eschilo.

No, caro Penati, la difesa è offensiva

“Gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari dimostrano l’esistenza di numerosi e gravissimi fatti di corruzione posti in essere da Filippo Penati e da Giordano Vimercati nell’epoca in cui rivestivano la qualifica di pubblici ufficiali prima presso il Comune di Sesto San Giovanni e poi presso la Provincia di Milano”.

Diceva qualcuno che le parole sono importanti: l’intervenuta prescrizione chiude il caso giudiziario ma apre una voragine politica e, ancora una volta, dimostra la goffaggine difensiva di una sinistra che gioca tutto sulla presunta ‘superiorità morale’ lasciando da parte i fatti. Mi ha irritato leggere le dichiarazioni di Penati che sornione ci annuncia che ‘il castello di accuse si sta sgretolando’ mentre intanto perde le briciole (lui) ogni ora che escono maggiori dettagli sulle motivazioni. E’ una questione di vocabolario, come dice bene Patrick Fogli, e soprattutto una questione di verità. E la verità può essere ricostruita, può essere difesa con i denti ma è intollerabile provare a camuffarla.

Ora l’indagine è chiusa ma il caso politico è aperto più di prima (è anche il pensiero di D’Ambrosio, uomo tutto democratico) perché i tempi della politica non possono sempre usare l’alibi di volere aspettare i tempi della giustizia prima di esprimere giudizi e azioni. E perché nel Paese del più vergognoso prescritto della nostra Repubblica ci si dovrebbe ricordare che alla prescrizione si potrebbe rinunciare (un certo Giuliano Pisapia, ad esempio, l’ha fatto) o si potrebbe pensare di farsi doverosamente da parte e tornare al proprio lavoro (già…).

L’autosospensione dal PD e l’uscita dal gruppo in Consiglio Regionale crea il primo caso di candidato presidente che diventa indipendente. Ma di dipendenze (oltre che di pendenze) qui ce ne sono almeno quante i voti della coalizione di centrosinistra che ha corso alle ultime elezioni regionali, e non si può scegliere di fare il capitano e poi alle prime onde arrogarsi il diritto di stare nell’ombra e in silenziosa solitudine come un mozzo.

No caro Penati, la tua difesa è offensiva. E mica nel senso di contrattacco.

(E adesso sono curioso di sapere cosa c’è scritto nel ricorso presentato dai PM per chiederne la carcerazione)

 

I Signori della libertà

Ali Ferzat, il celebre vignettista siriano noto per la sua satira contro il regime, a cui hanno spezzato le mani, sta meglio. Mentre lo picchiavano pare gli urlassero “questo è perché disegni per la libertà! E questo è perché disegni contro i tuoi signori”. Mettere accanto la parola ‘libertà’ alle parole ‘i tuoi signori’ è la millenaria barzelletta padronale della democrazia con la condizionale. Solo che la tollerano tutti, anche se non ride nessuno. E infatti gli hanno spezzato il dito senza riuscire a vedere la luna. Buona ripresa, Ali.

Oggi, sulla Palestina

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si riunirà di nuovo per discutere la dichiarazione d’indipendenza della Palestina, che si candida a diventare il 194° stato nel mondo. Lo scorso mese i Palestinesi hanno presentato la loro dichiarazione d’indipendenza al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Più di 120 paesi li sostengono, ma gli Stati Uniti respingono la proposta e hanno mandato un chiaro messaggio ai loro alleati europei: il sostegno alla legittima dichiarazione palestinese si ripercuoterà duramente nelle relazioni bilaterali. Ora tocca a noi far capire ai principali leader europei che l’opinione pubblica è in favore di questa spinta diplomatica nonviolenta e che dovremmo essere noi la base per le scelte politiche, non importa se questo farà “arrabbiare gli americani”. Per informazioni e per firmare la petizione (con già oltre 800.000 firme) potete andare qui.