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Al processo “Rinascita Scott” provati i legami tra clan e istituzioni

Ci speravano in molti che il maxi processo di ‘ndrangheta Rinascita Scott finisse con un buco nell’acqua. Ci sperava sicuramente l’ex senatore di Forza Italia (poi passato a Fratelli d’Italia) Giancarlo Pittelli che ieri invece è stato condannato per concorso esterno e ci speravano i 207 condannati (su 338 imputati). A sperarci erano anche coloro che da sempre accusano l’ex Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri (che nelle scorse settimane si è insediato a Napoli) di costruire impianti accusatori che si sfaldano davanti ai giudici. Non è andata così.

Ci speravano in molti che il maxi processo contro la ‘ndrangheta Rinascita Scott finisse con un buco nell’acqua

Dopo più di un mese di camera di consiglio, infatti, i giudici di primo grado Brigida Cavasino, Claudia Caputo e Germana Radice hanno letto stamattina il dispositivo della sentenza. Un processo nato da quella che molti ritengono la “più grande operazione dopo quella che portò al maxi-processo di Palermo a Cosa Nostra” cha ha portato alla sbarra i boss della cosca Mancuso di Limbadi e quelli delle altre famiglie mafiose vibonesi ma anche imprenditori, ex parlamentari, ex consiglieri regionali, sindaci, carabinieri, uomini dei servizi segreti e professionisti.

Il nome pesante è l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, avvocato e massone accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta. Al termine dell’istruttoria dibattimentale, i giudici gli hanno inflitto 11 anni di carcere. Tra i politici spicca anche l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino (un anno e mezzo di carcere) che i pm antimafia considerano a tutti gli effetti appartenente alla cosca di Piscopio. Assolto invece l’ex sindaco di Pizzo Calabro, ex renziano, Gianluca Callipo che era accusato sempre di concorso esterno con la ‘ndrangheta. Condanne pesanti invece per l’ala prettamente mafiosa dal boss Saverio Razionale (30 anni di carcere) e l’ex latitante Pasquale Bonavota (28 anni), arrestato nei mesi scorsi a Genova.

La più grande operazione antimafia dopo il maxi-processo di Palermo. L’ex senatore Pittelli condannato a 11 anni

Sono stati condannati anche boss Domenico e Nicola Bonavota (rispettivamente 30 e 26 anni di reclusione), Domenico Cugliari (22 anni e 6 mesi), Antonio Larosa (24 anni e 6 mesi), Paolino Lo Bianco (30 anni), Antonio Macrì (20 anni e 10 mesi), Salvatore Morelli (28 anni e 4 mesi), Valerio Navarra (23 anni), Agostino Papaianni (20 anni), Rosario Pugliese (28 anni) e Antonio Vacatello (30 anni). Tra i colletti bianchi condanne per Giorgio Naselli, ex tenente colonnello dei carabinieri, due anni e 6 mesi (8 anni), l’ex comandante dei Vigili urbani di Vibo Valentia Filippo Nesci, 4 anni, l’avvocato Francesco Stilo, 14 anni. Michele Marinaro, ex maresciallo della Dia, 10 anni, rispetto ai 17 richiesti. Cinque anni e sei mesi per l’ex appuntato scelto del reparto operativo dei carabinieri di Vibo, Antonio Ventura: la richiesta era stata di 18 anni. “Il tempo è galantuomo, ma le ingiustizie subite dalla criminalità istituzionale non saranno mai riparate”, afferma, in una nota, Luigi de Magistris, ex magistrato ed ex sindaco di Napoli.

“Quando da pm a Catanzaro indagai nel 2006/2007 Pittelli per associazione a delinquere, riciclaggio e partecipazione a logge occulte nell’ambito dell’indagine Poseidone su gravissimi crimini nel settore ambientale, il Procuratore della Repubblica Lombardi, di cui Pittelli era avvocato ed amico caro, mi revocò l’indagine. Sei mesi prima il figlio della moglie del Procuratore era stato anche assunto nella società dell’avvocato Pittelli e il Procuratore diede pure fideiussione. Lo stesso figlio recentemente è stato arrestato in flagranza per una concussione di 50 mila euro”. Il processo che avrebbe dovuto essere un flop si chiude con 207 condanne per oltre 2mila anni di carcere in primo grado. Non male, per essere solo una “spettacolarizzazione” della mafia che secondo molti non c’è.

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Elena Cecchettin ha stanato il lupo

In una tempo di panpenalismo di propaganda che consiste nell’aumentare tutti i reati che non potrebbero mai essere commessi dal proprio elettorato il governo di Giorgia Meloni ha dimenticato di considerare il reato più grave e culturalmente devastante: la violenza di Stato.

Avrebbe così potuto osservare con occhi diversi gli accadimenti di queste ultime ore in cui famelici maschi si stanno buttando sul corpo di Elena Cecchettin, sorella di quella Giulia ammazzata da Filippo Turetta come è già accaduto altre 104 volte quest’anno in Italia e come accadrà ancora prima della fine dell’anno. Elena ha scelto di dismettere i panni della donna addolorata così rassicurante per le società patriarcali – zitta e buona – puntando il dito contro il mandante storico e culturale che c’è dietro ogni femminicidio: il possesso che sfocia nel controllo poi nella prevaricazione e infine nell’ammazzamento. 

Non accettando di stare al suo posto Elena Cecchettin ha rinunciato al ruolo assegnato al suo genere (rassicurare) e ha deciso di occupare spazio (in questo caso mediatico) che taluni maschi vivono come uno scippo. Il consigliere regionale leghista che in Veneto dice di vedere negli occhi, negli abiti e nelle felpe di Elena Cecchetin addirittura il diavolo semplicemente non si è trattenuto dal dire quello che molti pensano. In giro sui social i maschi arruolati nell’esercito della fallocrazia strepitano contro Elena Cecchettin rivendicando che “non tutti i maschi sono così” adottando le stesse logiche violente dei maschi così: Elena Cecchettin ha stanato il lupo. Ben fatto. 

Buon martedì. 

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Sul delitto Cecchettin si sgretola il mito sovranista della famiglia patriarcale

Per toccare con mano l’abisso del dibattito politico intorno all’ennesimo femminicida, Filippo Turetta, che ha ucciso la sua ex fidanzata Giulia Cecchettin, si potrebbe partire da un post scritto sui social dal ministro alle Infrastrutture e vice presidente del Consiglio Matteo Salvini che alla notizia dell’arresto del giovane fuggitivo in Germania ha scritto: “Se colpevole, nessuno sconto di pena e carcere a vita”.

L’assassino di Giulia Cecchettin è bianco e di buona famiglia. Così nel mirino delle destre finisce la sorella della vittima

Che il leader della Lega si riscopra garantista di fronte a un maschio italiano bianco accusato degli stessi reati per cui solitamente invoca “il carcere a vita” non è sfuggito nemmeno alla sorella della vittima, Elena, che in questi giorni disturba una certa narrazione che la vorrebbe silenziosa e affranta: “Ministro dei trasporti che dubita della colpevolezza di Turetta. Perché bianco, perché di ‘buona famiglia’. Anche questa è violenza, violenza di Stato”, scrive Elena in una storia su Instagram.

Il consigliere regionale veneto Stefano Valdegamberi, eletto nella lista Zaia e confluito nel gruppo Misto, invece, invita addirittura i magistrati a indagare sulla sorella di Giulia: Valdegamberi sostiene che le dichiarazioni di Elena e la sua lettera in cui accusa la cultura patriarcale “hanno sollevato dubbi e sospetti che spero i magistrati valutino attentamente. Mi sembra un messaggio ideologico, costruito ad hoc, pronto per la recita”. Esprime giudizi sulla sorella di Giulia: “Quella felpa con certi simboli satanici aiuta a capire molto”. E sostiene che da parte della ragazza ci sia “il tentativo di quasi giustificare l’omicida dando la responsabilità alla ‘società patriarcale’. Più che di società patriarcale dovremmo parlare di società satanista, cara ragazza. Sembra una che recita una parte di un qualcosa predeterminato e precostituito”.

Sempre di casa Lega è la deputata Simonetta Matone che ospite alla trasmissione Rai Domenica In ha detto: “Io non ho mai incontrato soggetti gravemente maltrattati e gravemente disturbati che avessero però delle mamme normali”. In sostanza secondo l’ex giudice ora parlamentare la colpa dei maschi violenti risiederebbe nelle loro madri pestate dai mariti. Anche in questo caso le vittime sono le donne, sempre loro. Come lei era ospite anche l’esponente di centrodestra Rita Dalla Chiesa: “Sconcerta che per discutere di una questione sulla quale serve la massima unità, la Rai decida di far parlare solo una parte, fornendo ancora una volta un cattivo esempio di pluralismo”, lamenta il Partito democratico mentre gli esponenti del M5S della commissione Vigilanza del servizio pubblico notano come sia “incredibile che a fronte dell’ennesimo brutale femminicidio, sul servizio pubblico non si sia stati in grado di affrontare il tema in maniera bilanciata, corretta e soprattutto veicolando i giusti messaggi”.

Ma che fa il governo? Mentre il Partito democratico attraverso la sua segretaria Elly Schlein propone di approvare “subito una legge che introduca l’educazione alla affettività in ogni classe” perché per “sradicare per davvero questa tossica cultura patriarcale bisogna partire prima che si radichi nei maschi”, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni annuncia di non avere intenzione di aprire nuovi tavoli per scrivere leggi diverse rispetto a quella già votata alla Camera e che in settimana arriva in Senato per il via libera definitivo. Nessuna legge sui corsi nelle scuole, dove secondo il governo basta l’iniziativa sulla violenza (incluso il bullismo) che è contemplata nell’ambito di una campagna informativa che sarà presentata a Palazzo Chigi insieme ai ministri Giuseppe Valditara, Eugenia Roccella e Gennaro Sangiuliano.

A oggi la reazione del governo si limita a un minuto di silenzio nelle scuole per ricordare Giulia Cecchettin (105esima vittima di femminicidio nel 2023) e un piano (dal titolo “educare alle relazioni” che il ministro Valditara annuncia che sarà presentato domani (“frutto di un lavoro accurato del ministero dell’Istruzione all’insegna di confronto ampio e di un pluralismo di rapporti”). Quali siano stati per ora non è dato saperlo. A oggi si sa che studenti, psicologi e centri anti-violenza contestano alcuni contenuti della proposta. Trovare una quadra non sarà facile. Nella lettera scritta ieri al Corriere della Sera la sorella di Giulia Cecchettin punta il dito contro comportamenti che richiederebbero una severa presa di coscienza da parte degli uomini: “Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è.

Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I ‘mostri’ non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro”, scrive Elena Cecchettin. “La cultura dello stupro – continua la sorella maggiore nella sua lettera – è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. E poi: “è responsabilità degli uomini in questa società patriarcale dato il loro privilegio e il loro potere, educare e richiamare amici e colleghi non appena sentano il minimo accenno di violenza sessista”. Osservando bene, a finire sotto accusa è proprio quello schema Dio-Patria-famiglia tradizionale su cui si basa la retorica del governo.

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Tra ruspe e motoseghe. Milei è il Salvini argentino

C’è un nuovo idolo della destra sovranista mondiale orfana delle pericolose bizze di Donald Trump: Javier Milei è il nuovo presidente dell’Argentina. Il candidato de La Libertad Avanza ha preso più del 55% dei voti al ballottaggio e il 10 dicembre entrerà in carica. Il prossimo presidente argentino è diventato un’icona impugnando una motosega e agitandola di fronte ai suoi fan impazziti di gioia.

C’è un nuovo idolo della destra sovranista mondiale orfana di Trump: Javier Milei è il nuovo presidente dell’Argentina

Se vi chiedete come sia possibile ricordate che da noi è vice presidente del Consiglio uno che evocava le ruspe e si fotografava sorridente quando ne incrociava qualcuna in giro. Il programma di Milei è rintracciabile nei suoi sconclusionati slogan vomitati in campagna elettorale: “Tra la mafia e lo Stato, preferisco la mafia. La mafia ha un codice d’onore, la mafia non mente, la mafia compete sul mercato”, oppure le tasse sono “residui dello schiavismo” ed evaderle “un diritto umano”, oppure “la mia missione è prendere a calci nel culo i keynesiani e i collettivisti figli di puttana”. Milei vuole privatizzare tutte le scuole e gli ospedali, vuole liberalizzare la vendita di organi e vorrebbe “bruciare la banca centrale argentina”.

Qual è l’idea di sovranismo di Milei? Dollarizzare l’Argentina. In sostanza: fare il sovranista con la moneta degli altri. Peccato che per farlo Milei avrebbe bisogno di una quantità di dollari che non ha e che non hanno le banche, le imprese e le famiglie. Peccato che la politica monetaria nazionale verrebbe decisa da un altro Stato. Peccato che sia la migliore soluzione per arrivare veloci all’ennesimo default. Ma alla destra di Trump, Bolsonaro, Milei (e Salvini e Meloni quando sono in campagna elettorale) le soluzioni non interessano: contano solo le promesse.

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Le dimissioni di un premio Pulitzer contro le parole della guerra

Anne Boyer è poetessa, saggista e giornalista che si occupa di poesia, vincitrice del premio Pulitzer. Qualche giorno fa si è dimessa dal suo incarico per il New York Times Magazine contestando la narrazione sulla guerra a Gaza. La sua lettera di dimissioni parla del giornalismo e dell’uso delle parole. Sarebbe l’occasione per aprire un proficuo dibattito anche da noi se non fosse che la notizia rimarrà nascosta sotto i panni sporchi. 

“Mi sono dimessa da redattrice di poesia del New York Times Magazine.

La guerra sostenuta dagli Stati Uniti dallo stato israeliano contro il popolo di Gaza non è una guerra per nessuno. Non c’è sicurezza in essa o da essa, non per Israele, non per gli Stati Uniti o l’Europa, e soprattutto non per i molti ebrei calunniati da coloro che affermano falsamente di combattere a loro nome. Il suo unico profitto è il profitto mortale degli interessi petroliferi e dei produttori di armi.

Il mondo, il futuro, i nostri cuori: tutto diventa più piccolo e più difficile da questa guerra. Non è solo una guerra di missili e invasioni terrestri. È una guerra in corso contro il popolo palestinese, persone che hanno resistito durante decenni di occupazione, dislocazione forzata, privazione, sorveglianza, assedio, prigionia e tortura.

Poiché il nostro status quo è l’espressione di sé, a volte la modalità di protesta più efficace per gli artisti è rifiutare.

Non posso scrivere di poesia tra i toni “ragionevoli” di coloro che mirano ad acclimatarci a questa sofferenza irragionevole. Niente più eufemismi macabri. Niente più paesaggi infernali igienizzati verbalmente. Niente più bugie guerrafondaie. 

Se questa rassegnazione lascia un buco nelle notizie delle dimensioni della poesia, allora questa è la vera forma del presente”. 

Buon lunedì. 

Nella foto: Anne Boyer, Buenos Aires, 10 de febrero de 2023 – Workshop en el Festival Poesía Ya! Fotos: Kaloian / Ministerio de Cultura de la Nación

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Indennizzo familiari vittime di Cutro, un altro brillante insuccesso del Governo

Almeno hanno avuto un moto di vergogna. Quando è uscita la notizia che lo Stato italiano non volesse pagare il risarcimento ai familiari delle vittime della strage di Cutro a qualcuno in questo Paese si sono allargati gli sfinteri non riuscendo a trattenere il razzismo travestito da esperti in legge.

Lo Stato, ha promesso Piantedosi, “farà tutto quello che gli compete per indennizzare le vittime” della strage di Cutro

Il messaggio “se la sono cercata” che stava dietro la richiesta firmata dal pugno della senatrice della Lega Giulia Bongiorno che esercita da avvocata per conto dello Stato mentre è presidente della commissione Giustizia in Senato (ah, i conflitti di interessi…) è stato troppo perfino per loro. Nel processo che si sta svolgendo a Crotone contro i presunti scafisti dell’imbarcazione che ha portato alla morte 94 persone, di cui 35 bambini, lo studio legale Bongiorno rappresenta la Consap, Concessionaria servizi assicurativi pubblici che, per conto del ministero delle Finanze, gestisce il Fondo di garanzia per le vittime della strada.

Alla fine è intervenuto il ministro Matteo Piantedosi: “Lo stato – ha detto l’altro ieri a margine della manifestazione conclusiva del Pon 2014-2021 in corso a Crotone –. non si gira assolutamente dall’altra parte farà tutto quello che gli compete per indennizzare le vittime di questa drammatica tragica sciagura accaduta a febbraio”.

In un solo secondo si smutandano gli xenofobi da editoriali e da tastiera che tra le molte cose sono ignoranti anche in tema di indennizzi. Qualche ora dopo l’avvocata Bongiorno ha chiarito che il suo ruolo all’interno del processo si può considerare concluso. Tutti in ritirata, con le orecchie basse. Intanto al loro curriculum (e dei loro sfegatati sostenitori) si aggiunge un’altra figura barbina.

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Disastro Emilia-Romagna: sei mesi di passerelle e zero ristori per l’alluvione

Ci hanno messo sei mesi. Sei mesi dopo la piattaforma online della Regione Emilia-Romagna attraverso cui famiglie e aziende possono chiedere i rimborsi per i danni subiti a causa delle alluvioni del maggio 2023. La piattaforma si chiama Sfinge alluvione 2023, è accessibile dal link alluvione2023.regione.emilia-romagna.it ed è una versione aggiornata di un portale analogo che era stato creato nel 2012 per i danni causati dal terremoto in Emilia. Sei mesi dopo le immagini di Giorgia Meloni con gli stivali che accarezzava gli alluvionati si comincia a parlare finalmente di rimborsi. Il 16 Maggio scorso l’alluvione in Emilia-Romagna con enormi danni alle infrastrutture, all’agricoltura, alle vie di collegamento con isolamento dei borghi appenninici. In Emilia-Romagna il dato delle 80mila frane censite è ormai largamente superato dopo l’alluvione in Romagna e i suoi Comuni sono largamente interessati da aree a rischio idrogeologico.

Emilia-Romagna, i ristori dell’alluvione alle calende greche

“Come impatti sul territorio probabilmente è l’effetto alluvionale più grave almeno degli ultimi 100 anni. Come estensione delle aree interessate e quantità di precipitazione, così come per danni su più province, è qualcosa di devastante, gravissimo”, sottolinea Pierluigi Randi, presidente dell’Ampro (Associazione meteo professionisti). “Un disastro annunciato, ma abbiamo ignorato i segnali”, ha commentato il meteorologo, Luca Mercalli. Le promesse si sprecarono, prima tra tutte i “fondi che arriveranno presto”. In mezzo c’è stata la guerra senza quartiere contro il presidente della regione Stefano Bonaccini che secondo il governo era troppo del Pd per essere credibile come commissario, nonostante la prassi nella storia d’Italia fosse quella di affidare il ruolo di coordinatore dell’emergenza e della ricostruzione agli amministratori del territorio.

Sei mesi dopo l’unico risultato, a osservare bene, è politico: avere fatto fuori un odiato presidente di un partito avversario sostituendolo con il generale Francesco Paolo Figliuolo. Da lì in poi soldi non se ne sono visti ma sono aumentate le polemiche, fino a quelle di pochi giorni fa, quando il valente commissario ha pensato bene di scusare i sindaci delle zone colpite di “lamentarsi e non fare”, provocando un putiferio.

Figliuolo ha provato quindi a metterci una pezza. No, non ci è riuscito. “Io voglio lavorare assieme in maniera positiva. Questo è il mio mandato, sono abituato così. Se si fa squadra si vince, se non si fa squadra si rischia di non raggiungere gli obiettivi”, ha detto il generale nel suo tour bolognese dopo quella che ha definito “un’ottima riunione operativa” per sviscerare “i temi sulla ricostruzione pubblica e privata”. Nel frattempo dal governo si sovrapponevano le voci sui ristori che erano già stati decretati. Ma di soldi non se ne sono visti. I comunicati sono tutti simili.

Federconsumatori – solo per dirne uno – qualche settimana fa scriveva: “Risorse indispensabili per le famiglie, per le aziende e per la messa in sicurezza del territorio. Non sono comprensibili né giustificabili lungaggini e rinvii: i fondi vanno stanziati ora. Ogni giorno di ritardo comporta un aggravamento della situazione nelle zone colpite in termini di mancata ripartenza delle attività produttive, impossibilità per i cittadini di rientrare nelle proprie case, strade e infrastrutture ancora dissestate dopo più di quattro mesi dall’evento. Il comportamento del Governo è inaccettabile”.

Alla buon’ora

Sei mesi dopo è arrivata la piattaforma per richiedere i soldi. Sei mesi in cui i partiti di maggioranza hanno ripetuto in ogni dove che i soldi c’erano e che qualsiasi lamento fosse solo una strumentalizzazione politica. E la foto di Giorgia Meloni con gli stivali nel fango è già ingiallita.

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Dal Mes al Piano Mattei, un governo di indecisionisti che bluffano – Lettera43

Gli indecisionisti. Del Mes, per esempio, si sono perse le tracce. Come ha fatto notare il sito Pagella politica, il dibattito in Italia è precox. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a discussioni spente nel giro di qualche ora come sul missile francese della strage di Ustica dopo un’intervista a Giuliano Amato: stupore, furore, opinionismo inviperito e poi alla sera tutti a letto a dormire. Del finanziamento tedesco alle Ong nel Mediterraneo si è scritto come se dovesse essere la fine di qualsiasi relazione diplomatica tra Italia e Germania. A leggere il giornali sembrava la fine dell’Europa come l’abbiamo sempre pensata, con dirigenti di partito che apparivano pronti alla crocifissione. Passata la buriana sono ricominciati i baci, gli abbracci e le scatole di cioccolatini in regalo.

Gentiloni nemico del giorno e il caos sullo spot Esselunga

Paolo Gentiloni accusato di «giocare con un’altra maglia a Bruxelles» è stato l’episodio breve della serie “un nemico al giorno” tanto cara al governo. Si è chiusa talmente presto e bene che si può saltare senza la paura di perdere il filo. Imbarazzante a dir poco è stato il duello sulla pesca dell’Esselunga che ha visto in prima fila anche la presidente del Consiglio, sempre parca nelle dichiarazioni di intenzioni politiche ma sorprendentemente prodiga di opinioni sulla frutta tradizionale. Chissà cosa avranno pensato all’estero di una nazione che si accapigliava su uno spot pubblicitario.

Apostolico era il male della Patria, poi tutti appresso a Giambruno

La giudice di Catania Iolanda Apostolico è stata presentata come nemica della Patria, possibile elemento di rovesciamento della pace sociale italiana. La giustizia italiana non ha ancora deciso se la sua decisione di non convalidare il trattenimento di quattro migranti tunisini, ma la politica ha già emesso la sua sentenza della sua Cassazione: disinteressato silenzio. Della separazione di Giorgia Meloni e Andrea Giambruno si è scritto talmente tanto e tumultuosamente che a ripensarci oggi provoca quasi imbarazzo. I litigi tra Marina Berlusconi e la presidente del Consiglio promettono di essere pillole che torneranno a giorni alterni.

Tante scenate sul Mes, però alla fine il governo dovrà cedere

Poi c’è il Mes. Il Mes che è diavolo e acqua santa, salvifico e poi subito drammatico, indispensabile e poi truffa. Ma sul Mes gli indecisionisti non potranno bluffare a lungo. Per questo il caso fa specie. Come degli immaturi di fronte ai problemi dalle parti del governo decidono di non parlarne, chiedono di non farne parlare. Però l’Europa bussa e non si potrà fingere che in casa non ci sia nessuno ancora per molto. «Alla fine dovremo cedere, ma almeno speriamo di chiedere qualcosa in cambio», mi disse qualche settimana fa a microfono spento un alto dirigente della Lega.

Dal Mes al Piano Mattei, un governo di indecisionisti che bluffano
Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Ma quale pugno duro, Meloni si è inginocchiata davanti ai balneari

È ormai un genere letterario invece il tira e molla sui balneari con Bruxelles che ormai ha aperto una linea diretta per le infrazioni rivolte al governo italiano. Chissà come racconteremo tra vent’anni che il governo che vorrebbe essere del “pugno duro” non riesca a non inginocchiarsi di fronte a un chiosco sulla piaggia. Decidere di non decidere. Anche l’assegno unico universale resta sotto infrazione a livello europeo. Bruxelles ha formalizzato, con l’invio di un parere motivato all’Italia, la contestazione mossa contro la principale misura di sostegno per le famiglie, entrata in vigore a marzo 2022. Il governo aveva spedito delle valutazioni che non sono state ritenute soddisfacenti.

Piano Mattei pubblicato in Gazzetta eppure è tutto rinviato

Decidere di non decidere. Sulla Gazzetta ufficiale la pubblicazione del “Piano Mattei” è un’imperdibile scena di nonsense: dalla rivoluzionaria strategia sull’immigrazione della presidente del Consiglio sparisce l’articolo che ci dice quando dovrebbe partire. Tutto rinviato: un proposito pubblicato in Gazzetta è un capolavoro di propaganda. Gli indecisionisti sono squali panpenalisti quando si tratta di punire (di più i poveracci), ma si incagliano su tutto il resto. Doveva essere il governo della “donna forte” circondata da “uomini forti”, invece è un bullo che balbetta. Ma quanto può funzionare? Questo è il tarlo che consuma ogni indecisionista.

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