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Da dove è spuntata questa tristezza

A Venezia, in strada.
Entrano Antonio, Salarino e Salanio.

Antonio: Non so davvero perché sono tanto triste. E questa tristezza mi stanca, e voi stessi dite d’esserne stanchi. Ma ho ancora da sapere dove l’ho presa, dove me la son trovata, come me la son guadagnata, di che diavolo è fatta, da dove è spuntata. Ed essa mi stordisce così che stento a riconoscere me stesso.
Salarino: La vostra mente è agitata perché segue sul mare le vostre navi dalle immense vele, le vostre navi che come signori e ricchi borghesi dei flutti in sfarzoso corteo guardano dall’alto i vascelletti dei piccoli trafficanti che fanno continue riverenze sotto il volo di quelle grandi ali.
[William Shakespeare, Il mercante di Venezia, traduzione di di Paola Ojetti, Newton, 1990]

Le macerie dell’antimafia

Lettera dei sindacati di polizia (tutti!) al Ministro Maroni. O meglio: lettera della declinazione istituzionale e operativa dell’Antimafia (quella che respira anche nelle scuole, nei libri, nei comitati, negli incontri, negli studi) ad un Paese che (mentre sbadiglia, si svende e si arrocca) sta mangiandosi il cuore della sua storia migliore. Ma soprattutto: lettera da tenere in tasca in ogni angolo della vostra città in cui ancora danza impunito il mito di un Governo (e un Ministro) che ‘ha fatto’ contro le mafie.

Onorevole Signor Ministro,
ci rivolgiamo a Lei con fiducia nella Sua veste di massima Autorità politica quale Ministro dell’Interno e per quello che in questi anni ha dimostrato con coerenza d’indirizzo, ponendo sempre grande attenzione ai temi riguardanti il contrasto alle mafie.

Non avremmo mai voluto scrivere questa lettera ma gli ultimi avvenimenti che si sono verificati presso la Direzione Investigativa Antimafia ci hanno spinto a farlo. Dai primi giorni di luglio, come Lei sa, si è insediato il Direttore della D.I.A. “pro tempore”, di nuova nomina. Questi, come primo atto, senza concertazione alcuna, ha messo a disposizione del Dipartimento della P.S. l’indennità aggiuntiva che i dipendenti D.I.A. percepiscono dal 1992, come previsto dalla legge istitutiva: un taglio di circa 7 milioni di euro, che comporterà una decurtazione dello stipendio al personale pari al 20%; una “punizione” nei confronti di chi, fino ad oggi, ha costantemente raggiunto brillanti risultati di servizio.

L’indennità “incriminata”, peraltro, è notevolmente inferiore a quella percepita dai dipendenti delle Agenzie di informazione DIS, AISI e AISE e, nonostante sia a questa legata, non è mai stata adeguata a livello ISTAT. I circa 1300 operatori D.I.A., grazie alla loro professionalità, hanno conseguito risultati eccellenti nell’azione di contrasto. A titolo esemplificativo, in tema di aggressione ai patrimoni mafiosi, nel periodo 2009 – 2011 (primo semestre) sono stati sequestrati e confiscati beni stimati, rispettivamente, per un valore di 5,7 miliardi di euro e di 1,2, miliardi di euro. Tutto ciò rende la D.I.A., in termini aziendalistici, “un’impresa in attivo” che contribuisce in maniera significativa ad implementare le risorse del Ministero dell’Interno e della Giustizia attraverso il FUG.

Il vertice della struttura, prima di intraprendere azioni estemporanee, avrebbe potuto proporre risparmi di spesa conseguenti ad una gestione più oculata delle risorse: anziché mettere le mani nelle tasche dei dipendenti, avrebbe potuto operare sui costi di locazione delle sedi occupate dai Centri Operativi trasferendole in immobili demaniali oppure confiscati alla criminalità organizzata. A questo proposito citiamo l’esempio del Centro Operativo di Palermo che in questi giorni si trasferirà presso una villa confiscata alla mafia.

Altra nota dolente è il costo dell’immobile che ospita a Roma, in zona Anagnina, gli uffici centrali della Direzione Investigativa Antimafia, della Direzione Centrale Servizi Antidroga e della Direzione Centrale Polizia Criminale, il cui canone di locazione, esorbitante, ammonta a circa 17 milioni di euro annui.

Con il suo “atto d’imperio” il Direttore della D.I.A. sembra volersi sostituire a Lei ed al Legislatore, quindi all’intero Parlamento.

Come Lei può immaginare, l’iniziativa ha creato malumore e mortificazione in tutto il personale D.I.A., di ogni ordine, qualifica, grado e provenienza (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Amministrazione Civile dell’Interno), generando in esso un senso di mancata considerazione per l’opera prestata con impegno costante ed abnegazione, a volte mettendo a repentaglio la propria incolumità, nella consapevolezza e convinzione di rendere un servizio al Paese.

Sicuramente l’azione della D.I.A. ha dato prestigio allo Stato in campo nazionale ed internazionale ed ha riscosso il massimo consenso anche nell’opinione pubblica.

I risultati ottenuti sono tangibili: è sufficiente consultare le relazioni semestrali periodicamente inviate al Parlamento.

Tutto ciò con le difficoltà che Lei può immaginare, dovute a risorse economiche destinate alla D.I.A., sempre minori nel corso degli anni: dai 28 milioni di euro stanziati per la D.I.A. nel 2001 si è passati ai 15 milioni di euro attuali; a personale sotto organico, poco più di 1300 unità contro le 1500 previste; a continue emorragie di personale D.I.A. impiegato in “uffici doppione” presso la D.C.P.C. (i gruppi di lavoro sulle “Grandi Opere”, G.I.C.E.R., G.I.C.E.X., G.I.T.A.V.); alla disparità di trattamento nella progressione in carriera riservato al personale D.I.A. nelle rispettive amministrazioni di appartenenza non essendo mai stato istituito il previsto “ruolo speciale”.

Ci creda, Signor Ministro, tutto questo appare avvilente ed inaccettabile. Abbiamo il dovere morale di denunciare questo ennesimo tentativo di depauperamento della D.I.A., così fortemente voluta da Giovanni Falcone, attentando così anche alle sue idee.

Le nostre parole non sono una difesa corporativista della Struttura ove siamo onorati di prestare servizio ed a cui abbiamo dedicato con orgoglio gran parte del nostro percorso professionale: sono invece espressione del senso di sentita appartenenza allo Stato per il quale magistrati, uomini e donne delle Forze di Polizia e cittadini hanno dato la propria vita.
Signor Ministro, ci dia una risposta: è stato questo soltanto il frutto di un’iniziativa scomposta da parte di un alto burocrate del Dipartimento o è l’espressione di una precisa volontà politica?

In quest’ultimo caso, La invitiamo ad assumersi, innanzi al Paese, la responsabilità, chiara e trasparente, di “cancellare” l’Istituzione che rappresenta l’organismo antimafia per eccellenza. Se, invece, tutto ciò è avvenuto a sua insaputa, come noi crediamo, ci attendiamo un suo immediato, diretto e risolutivo intervento, capace di restituire a tutto il personale della D.I.A. la serenità necessaria ad operare in un settore così delicato della sicurezza.

Giulio Cavalli e LIBERA a Casale Monferrato


Sabato al Municipale “Nomi, Cognomi e Infami”, di e con Giulio Cavalli
 14/10/11

CASALE MONFERRATO – Il Presidio di Libera “Totò Speranza” di Casale Monferrato e l’Associazione La Mongolfiera, con la collaborazione di Novacoop, presentano lo spettacolo “Nomi, Cognomi e Infami”, di e con Giulio Cavalli, che si terrà sabato 15 ottobre, ore 21.00, al Teatro Municipale di Casale Monferrato.

Cavalli, da anni attivamente impegnato, attraverso i suoi spettacoli, nella lotta alle mafie e costretto a vivere da due anni sotto scorta a causa delle minacce ricevute, racconter&agr ave; storie di mafia, di ‘ndrangheta e di chi ha scelto di non arrendersi agli “uomini d’onore”.

Sul palco nessuna scenografia, solo Giulio Cavalli e la sua sedia, per lasciare spazio ai veri protagonisti dello spettacolo: alcuni già conosciuti, come Paolo Borsellino e Peppino Impastato, altri da scoprire nel corso della serata.

L’arma di Cavalli è la risata: “ridere di mafia è una ribellione incontrollabile!” e nel suo spettacolo i boss vengono presentati per come sono davvero, non uomini affascinanti che cavalcano bianchi cavalli, ma anziani ignoranti, incapaci di mettere il congiuntivo al posto giusto, nascosti in lugubri tuguri circondati da santini e cassette dei Puffi.

Le storie toccano anche il nord Italia, dalla Lodi dove Cavalli vive, al nostro Piemonte, in special modo quando si parla di Bruno Caccia, magistrato cuneese ucciso a Torino dalla ‘ndrangheta nel 1983: oggi portano il suo nome il PalaGiustizia di Torino (dove si svolge il Processo Eternit) e la Cascina di San Sebastiano da Po, confiscata alla famiglia mafiosa che aveva ordinato l’esecuzione del magistrato, dove Libera produce miele e nocciole.

Uno spettacolo aperto a tutta la cittadinanza, organizzato dai ragazzi del presidio con l’obiettivo e la convinzione di riuscire a riempire il teatro Municipale puntando soprattutto sulla partecipazione giovanile: per chi ha meno di 25 anni lo spettacolo costerà solo 5 euro, contro i 10 del biglietto intero.

Nel pomeriggio, alle 15.00, si segnala la biciclettata contro le mafie organizzata da Libera, alla conclusione previsto l’intervento di Giulio Cavalli.

Il manicheismo antimafia à la mode

C’è un mondo oltre il manicheismo à la “300”. Un mondo difficile da raccontare, nel quale dobbiamo necessariamente abbandonare la nostra stessa presunzione d’innocenza. Esiste una realtà impossibile da affrontare con il buonismo che spesso contorna le narrazioni dicamorra. Che oltrepassa l’ipocrisia dicotomica dei “buoni” contro i “cattivi”, e addirittura ”geniali” camorristi. In questa volgare lotta tra bande – per dirla con le parole di Falcone – non ci sono geni dell’economia ma solo pessimi criminali che sfruttano la connivenza e la rassegnazione. La camorra non è la mafia. La camorra non combatte lo Stato – o si accorda con esso – per il controllo di un territorio. La camorra è un mero modello culturale ed economico che unisce consumismo e immagini televisive. È la sublimazione del capitalismo e di ”Uomini e Donne”. La camorra “vince” e si radica nei comportamenti della cittadinanza perché collima con il modello social-affaristico di questa Italia da basso impero. Un gran pezzo di Francesco per riflettere (e non solo rifletterci).

Servono analfabeti. A chi?

Un dato registrato nello Human Development Report, dell’Onu, segnala una situazione italiana particolarmente grave: in questo rapporto, del 2009, gli italiani che hanno problemi di analfabetismo funzionale arrivano al 47% della popolazione. Si direbbe tra l’altro che la situazione generale italiana sia peggiorata tra il 2009 e il 2010. Il tema generale è enorme e non è collegato solo a povertà o disoccupazione: BbcGuardianHuman poverty index. Evidentemente è un problema di sistema educativo e di alternative mediatiche: in un paese che fonda molta parte della sua comunicazione sulla televisione, la sfida a migliorare le proprie capacità di lettura e scrittura è ridotta. Da notare che l’analfabetismo funzionale non è l’analfabetismo tout court: riguarda le capacità di lettura, non il fatto di avere o non avere frequentato una scuola. Analfabetismo funzionale, ne scrive Luca De Biase.

Appello per l’acqua pubblica in Lombardia

Sottoscrivo e vi invito a farlo. In questi giorni stiamo declinando la proposta in atto amministrativo.

APPELLO PER L’ACQUA PUBBLICA IN LOMBARDIA PER LA MODIFICA DELLA LEGGE REGIONALE SUI SERVIZI IDRICI

Con il presente Appello, il Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati per l’Acqua Pubblica, a nome degli oltre 3 milioni e 700 mila cittadini lombardi (pari a più del 50% degli elettori) che ai Referendum del 12 e 13 giugno 2011 hanno votato Sì all’abrogazione delle norme che imponevano la privatizzazione e garantivano i profitti sulla gestione dei servizi idrici;

CHIEDE

1. al CONSIGLIO della Regione Lombardia di modificare la Legge Regionale n. 26/2003 (così come modificata dalla L.R. 21/2010) per la parte riguardante i servizi idrici, che nel testo vigente prevede l’esproprio delle competenze dei Comuni (attraverso la soppressione delle Autorità d’Ambito territoriale – A.ATO) e la privatizzazione dell’acqua (poiché contiene ancora i riferimenti al Decreto Ronchi, abrogato dal Referendum nazionale, che obbligava a cedere ai privati la gestione dei servizi idrici);

2. agli Amministratori dei COMUNI e delle PROVINCE della Lombardia di fermare le procedure per la costituzione degli Uffici d’Ambito provinciale (in sostituzione delle A.ATO) e di non attivare i processi di riorganizzazione della gestione dei servizi idrici che avviano le gare o predispongono l’ingresso dei privati nelle aziende pubbliche esistenti.

3. ai CITTADINI ed ai COMITATI dell’acqua di monitorare sui territori le decisioni che saranno assunte dai Comuni e dalle Province, rispetto alla gestione dei servizi idrici locali. Se la legge regionale non verrà cambiata al più presto, il rischio è che l’acqua di tutta la Lombardia finisca nelle mani di poche imprese private, italiane o straniere, interessate solo a fare profitto.

Il Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati per l’Acqua Pubblica formula le seguenti proposte:

salvaguardare la titolarità dei Comuni nel governo dei servizi idrici, prevedendo forme di partecipazione della cittadinanza alle scelte sulla gestione dell’acqua; garantire la gestione totalmente pubblica dei servizi idrici, attraverso l’affidamento ad aziende di diritto pubblico di proprietà dei Comuni; avviare un confronto politico per la riorganizzazione complessiva del servizio idrico, che va ridefinito quale “servizio di interesse pubblico generale, privo di rilevanza economica”, attraverso la valorizzazione dei bacini idrografici esistenti in Lombardia, che devono essere amministrati dai Comuni e affidati in gestione ad aziende di diritto pubblico, garantendo il diritto all’acqua secondo principi di solidarietà. Perché si scrive acqua, ma si legge democrazia

Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati per l’Acqua Pubblica

Ottobre 2011

per ADESIONI inviate un’email a: info@contrattoacqua.it

Linate 8 ottobre 2001: la strage – 10 anni dopo, per non dimenticare

Dieci anni dopo la tragedia di Linate in cui persero la vita 118 persone, vogliamo ricordare, anzi, non dimenticare perché una strage simile non si verifichi mai più. Quelle vite, oggi è chiaro più che mia, potevano essere salvate senza miracoli e senza eroismi: semplicemente rispettando procedure già in essere.

In studio:
Paolo Pettinaroli, presidente Fondazione Linate 8 ottobre 2001
Arturo Radini, resp. Task Force tecnica Fondazione Linate 8 ottobre
Giulio Cavalli, autore del libro “LINATE 8 OTTOBRE 2001: la strage
Gabriele Moroni, cronista de “Il Giorno”

conduce Maurizio Decollanz

L’8 ottobre 2001 alle ore 08:10 locali un McDonnell Douglas MD-87 della compagnia aerea SAS registrato SE-DMA, in fase di decollo dall’aeroporto di Milano-Linate, entrò in collisione con un Cessna Citation CJ2 entrato erroneamente in pista a causa della fitta nebbia.
Dopo l’impatto, l’MD-87 non riuscì a completare la fase di decollo e si schiantò contro l’edificio adibito allo smistamento dei bagagli situato sul prolungamento della pista.
L’urto e l’incendio successivamente sprigionatosi non lasciarono scampo agli occupanti di entrambi gli aeromobili, né a quattro addetti allo smistamento bagagli al lavoro nel reparto. Un quinto addetto ai bagagli si salvò, unico sopravvissuto al disastro: si tratta di Pasquale Padovano, ustionato sulla quasi totalità del corpo.

www.comitato8ottobre.com

Maestra Ilaria, mio papà non c’è più

I primi giorni di scuola per una maestra sono tutti esplorazione. E dopo pochi giorni diventa già una cordata solidale di paure che si allacciano al vicino per sembrare un nodo meno duro. Per mano alla mattina con la cura di pesare le mani, le parole e quell’insostenibile fragilità con lo zaino sulle spalle. La maestra Ilaria è con i capelli lisci e vestita con i colori che fanno sembrare tutto di feltro. All’uscita la maestra Ilaria si alza in punta di piedi per guardare le mamme e i papà, prima di liberare la mano ai bambini in bilico sulle scale pronti a buttarsi nella piazzetta davanti alla scuola. Tutti sbilenchi sotto lo zaino. “Andrea, dimmi se vedi il tuo papà e la tua mamma”. “Maestra Ilaria, il mio papà non c’è più”. Lei trafitta per essersi lasciata scappare una parola e lui con il sorriso perché anche oggi è finita. Sempre in bilico.

La crisi degli asini

Ricevo, giro. Fate girare.

Un uomo in giacca e cravatta è apparso un giorno in un villaggio. In piedi su una cassetta della frutta, gridò a chi passava che avrebbe comprato a 100 in contanti ogni asino che gli sarebbe fosse (ci permettiamo di correggere l’originale arrivato, grazie a Carlo per la segnalazione) stato offerto. I contadini erano effettivamente sorpresi, ma il prezzo era alto e quelli che accettarono tornarono a casa con il portafoglio gonfio, felici come una pasqua.

L’uomo venne anche il giorno dopo e questa volta offrì 150 per asino, e di nuovo tante persone gli vendettero i propri animali. Il giorno seguente, offrì 300 a quelli che non avevano ancora venduto gli ultimi asini del villaggio.

Vedendo che non ne rimaneva nessuno,annunciò che avrebbe comprato asini a 500 la settimana successiva e se ne andò dal villaggio.

Il giorno dopo affidò al suo socio la mandria che aveva appena acquistato e lo inviò nello stesso villaggio con l’ordine di vendere le bestie a 400 l’una. Vedendo la possibilità di realizzare un utile di 100 la settimana successiva tutti gli abitanti del villaggio acquistarono asini a quattro volte il prezzo al quale li avevano venduti e, per far ciò,si indebitarono con la banca.

Come era prevedibile, i due uomini d’affari andarono in vacanza in un paradiso fiscale con i soldi guadagnati e tutti gli abitanti del villaggio rimasero con asini senza valore e debiti fino a sopra i capelli. Gli sfortunati provarono invano a vendere gli asini per rimborsare i prestiti. Il corso dell’asino era crollato. Gli animali furono sequestrati ed affittati ai loro precedenti proprietari dal banchiere.

Nonostante ciò il banchiere andò a piangere dal sindaco, spiegando che se non recuperava i propri fondi, sarebbe stato rovinato e avrebbe dovuto esigere il rimborso immediato di tutti i prestiti fatti al Comune. Per evitare questo disastro, il sindaco, invece di dare i soldi agli abitanti del villaggio perché pagassero i propri debiti, diede i soldi al banchiere (che era, guarda caso, suo caro amico e primo assessore).

Eppure quest’ultimo, dopo aver rimpinguato la tesoreria,non cancellò i debiti degli abitanti del villaggio ne quelli del Comune e così tutti continuarono a rimanere immersi nei debiti.

Vedendo il proprio disavanzo sul punto di essere declassato e preso alla gola dai tassi di interesse, il Comune chiese l’aiuto dei villaggi vicini, ma questi risposero che non avrebbero potuto aiutarlo in nessun modo poiché avevano vissuto la medesima disgrazia.

Su consiglio disinteressato del banchiere, tutti decisero di tagliare le spese:meno soldi per le scuole, per i servizi sociali, per le strade, per la sanità. Venne innalzata l’età di pensionamento e licenziati tanti dipendenti pubblici, abbassarono i salari e al contempo le tasse furono aumentate. Dicevano che era inevitabile e promisero di moralizzare questo scandaloso commercio di asini.

Questa triste storia diventa più gustosa quando si scopre che il banchiere e i due truffatori sono fratelli e vivono insieme su un isola delle Bermuda ,acquistata con il sudore della fronte. Noi li chiamiamo fratelli Mercato. Molto generosamente, hanno promesso di finanziare la campagna elettorale del sindaco uscente.

Questa storia non è finita perché non sappiamo cosa fecero gli abitanti del villaggio.

E voi, cosa fareste al posto loro?

Che cosa farete?

Se questa storia vi ricorda qualcosa,ritroviamoci tutti nelle strade delle nostre città e dei nostri villaggi

Sabato 15 ottobre 2011(Giornata internazionale degli indignati)