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Come un muffoletto di pane

Era una notte che faceva spavento, veramente scantusa. Il non ancora decino Gerd Hoffer, ad una truniata più scatasciante delle altre, che fece trimoliare i vetri delle finestre, si arrisbigliò con un salto, accorgendosi, nello stesso momento, che irresistibilmente gli scappava. Era storia vecchia, questa della scappatina di pipì: i medici avevano diagnosticato che il picciliddro era lento d’incascio, cioè di reni, fin dalla nascita e che quindi era naturale che si liberasse a letto. Ma il padre, l’ingegnere minerario Fridolin Hoffer, da quell’orecchio mai aveva voluto sentirci, non si dava pace d’avere messo al mondo un figlio tedesco di scarto, e quindi sosteneva che non si trattava di cure ma di kantiana educazione della volontà, per cui ogni mattina che Dio mandava in terra si metteva a ispezionare, sollevando coperta o lenzuolo a secondo di stascione, il letto del figlio e, infilata la mano inquisitoria, al subito immancabile vagnaticcio reagiva con una potente timbulata al bambino la cui guancia colpita a vista d’occhio pigliava a gonfiarsi come un muffoletto di pane ad opera di lievito di birra.
[Andrea Camilleri, Il birraio di Preston, Sellerio di Giorgianni]

L’idiosincrasia per le donne, le macerie e il Nobel

In Parlamento invitano una deputata “a farsi scopare, B. riunisce in crocchio i suoi camerieri schiacciabottoni per raccontare l’ultima barzelletta aprisinapsi e lancia il partito della gnocca. E il timore più buio è quello di scoprirsi impermeabili alla sconcezza che non sta solo nelle parole ma nell’immoralità esibita come un vanto, è la distanza culturale che stiamo accumulando verso il basso dal resto del mondo spinta in un gorgo dove stiamo con i disadattati culturali, gli ignoranti fieri, i persecutori del bello per vendetta sui propri limiti. La sfida è politica nel senso meno istituzionale e amministrativo di questi ultimi cinquant’anni: la resistenza sta nel ricordare, studiare e tramandare i limiti della decenza e della tollerabilità come ossigeno necessario per non marcire. Forse non si tratta nemmeno più di alfabetizzare al senso comune, oggi c’è proprio da stringersi per fotografare leggi e valori e chiuderli nel cassetto della cucina per non essere complici di questi anni di dispersione.

Se fosse un gioco di segni più o di segni meno, mi terrorizza (senza iperbole, perché è proprio terrore di non essere all’altezza) l’idea di non riuscire nemmeno a ricordarci tutti i nei da correggere, i commi da ricancellare, le parole da recuperare, di non essere più capaci di ricostruire almeno quello che è Stato. Per quanto possiamo eleggerci sentinelle siamo tutti sotto il pericolo cruciale dell’ammaestramento.

E lì fuori, dove l’economia arranca come da noi ma è uno scoglio collettivo, dove le leggi ‘bucano’ come da noi ma sono opportunità in continua evoluzione, dove i governi sbagliano come da noi ma sono obbligati al tessuto democratico, lì fuori si prendono il Nobel tre donne tre “per la loro lotta non violenta per la salvezza delle donne e per i diritti di partecipazione delle donne in un processo di pace”. Mentre questi quattro stracci parlamentari starnazzano di puttane, scopabili e barzellette, Ellen Johnson-SirleaLeymah Gbowee e Tawakkul Karman vengono premiate “per il rafforzamento del ruolo delle donne, in particolare nei paesi in via di sviluppo”. Però per essere un paese in via di sviluppo bisogna essere inferiori ma responsabilmente impegnati, potenziali e volenterosi: e allora noi non siamo un paese in via di sviluppo.

pubblicato su ILFATTO QUOTIDIANO

Con la cultura non si mangia

Ma per l’ottavo anno il “circuito dei teatri della contemporaneità”, promosso da Cada Die Teatro, Bocheteatro, Rossolevante, La Maschera e Sine Nomine Theatrum, e da nove comuni dell’isola – Cagliari, Dorgali, Lanusei, Orosei, Serrammanna, Serrenti, San Sperate, Tortolì e Ulassai, ripropone il valore di un teatro che affronta e indaga il presente in 32 appuntamenti. All’appello di questa coraggiosa “rete” tessuta tra compagnie e comuni (alcuni dei quali fuori da altri circuiti) mancherà quest’anno Nuoro, che sconta non solo l’assurda penuria di risorse per il teatro – meno di 20.000 euro – ma persino la difficoltà di tenere aperto l’Eliseo. E questo nonostante “la dotazione regionale alta”, come ha sottolineato durante la presentazione di ieri Giovanni Carroni di Bocheteatro, parlando di “un rapporto disturbato con la Regione” da parte del capoluogo barbaricino (e il 15 del caso Nuoro si parlerà al Valle di Roma). Le informazioni le trovate qui, noi ci vediamo lì.

Anna Stepanovna Politkovskaja e il bavaglio nelle sue declinazioni

Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me. Eppure tutti i più alti funzionari accettano d’incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un’indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all’aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto. È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci: erano queste le condizioni in cui lavoravo durante la seconda guerra in Cecenia, scoppiata nel 1999. (da Il mio lavoro a ogni costoInternazionale, 26 ottobre 2006)

Il partito senza prese per il culo

Claudio Fava oggi immenso su Il Fatto: Luca Cordero marchese di Montezemolo ci fa sapere che non vuole un partito dei padroni ma intende fondare un movimento popolare. Peccato. In un tempo in cui tutti vogliono fondare nuovi partiti rigorosamente popolari (a suo modo lo è anche “Forza Gnocca”, battezzato ieri dal Cavaliere), la notizia sarebbe stata un padrone che vuole fare il partito dei padroni. Se non altro servirebbe a prendersi un po’ meno per il culo.

Politicamente scorretto

Anche quest’anno ci vediamo a Casalecchio di Reno, con “L’Innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto” che andrà in scena il25 novembre e che aprirà la rassegna teatrale “Politicamente Scorretto va a teatro” in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione. Il programma come sempre è ricchissimo e l’evento lo potete seguire anche in streaming. Carlo Lucarelli, don Luigi Ciotti, Giuseppe Pignatone, Giancarlo Caselli, Pina Maisano Grassi alcuni tra gli ospiti della VII edizione che accenderà in particolare i riflettori sulle infiltrazioni mafiose al Nord.

Buone notizie: commissione antimafia a Pavia

Sono piccoli mattoni che si appoggiano con il cemento dell’impegno coordinato, insistente e consapevole. Dietro alle serate (tante) che mi capita di frequentare in giro per l’Italia c’è la luce dell’entusiasmo di comunità piccole o grandi che decidono di intraprendere un cammino obbligatoriamente collettivo. Sale sistemate con la cura di una serata importante, con l’apprensione paterna davanti alla porta per stringere le mani e aspettarsi spettatori spesso inaspettati. A Siziano è andata così, con la diligenza di chi tiene in mano un germoglio. E il giorno successivo c’è la soddisfazione di vedere la scintilla che ha acceso il dibattito e chiesto strade per disegnare il futuro. Chissà se i tanti cittadini che organizzano resistenza si rendono conto di essere gli avamposti fondamentali di questo tempo. Come gli amici di Siziano e i tanti altri in qualsiasi piccolo posto con i volantini in mano.

«In Provincia si farà una commissione antimafia»

• SIZIANO

Sarà istituita una commissione provinciale antimafia. Lo annuncia il presidente Daniele Bosone che sottolinea la necessità di un osservatorio sulla legalità. “E’ uno dei punti inseriti nel nostro programma elettorale – spiega Bosone – ed è fondamentale in una provincia dove si sono verificati preoccupanti fenomeni criminosi”. E a parlare della commissione era stato anche l’assessore provinciale al bilancio Franco Osculati mercoledì sera, in una sala consiliare gremita di personeo venute ad ascoltare Giulio Cavalli invitato da “La fabbrica di Nichi” a discutere di mafia. L’attore e consigliere regionale che da anni nei suoi spettacoli denuncia le cosche del malaffare, quelle infiltrate al nord, l’altra sera ha voluto essere a Siziano. Un sala zeppa di cittadini di questa terra di confine, ad un passo da Milano, ma troppo vicina a quella Pavia che ha scoperto legami stretti con la criminalità organizzata. E Cavalli ha spiegato. Ha parlato della “necessità della ‘ndrangheta di ammalare la comunità per riuscire ad infiltrarsi e ad agire meglio”. Ha chiesto di “indignarsi, di alzare il livello di intolleranza, di pretendere legalità”. Ha sottolineato il ruolo delle istituzioni “è da loro e non è dai comitati che deve arrivare la lotta alla mafia nei fatti” e ha puntato il dito contro gli amministratori comunali e provinciali che “devono essere le sentinelle del territorio”. Appalti e malaffare. Un connubio che si vede nei tanti capannoni inutilizzati, nelle case costruite e rimaste invendute, nei centri commerciali. E tra il pubblico vi era l’assessore Laura Baronchelli che da dieci armi lotta contro il grande insediamento commerciale. E poi il sindaco di Siziano, Massimiliano Brambilla che ha voluto far sapere che “quel controllo lo stiamo già facendo”. “Abbiamo anche cercato di modificare le regole degli appalti”.

Stefania Prato (da LA PROVINCIA PAVESE)

Il giorno del ricordo buttato dalla torre (Linate 8.10.2001)

Il giorno del ricordo buttato dalla torre.

Giovedì 23 Novembre 2006

A guardarci fuori dalla torre, dentro con le mani in tasca ad annusare

il profumo e la didascalia dei profesòri, a starci dentro e fuori

è come stare nell’intestino della storia, e provare a guardartici da

dentro e salutarti con la manina e da fuori.

Linate è un viaggio da film in bianco e nero con la pellicola sfibrata

e i saluti quelli così infiorettati con il fazzoletto bianco fuori dal

finestrino. Come gocciolano i passeggeri sui vetri della torre di controllo

non si vede in giro da nessun’altra parte. Nessuna. Mai.

Ieri, mentre scendevo dalle scale della torre di controllo di Linate,

da quello stupro di acciaio infilato dentro la terra, mentre la ruggine

mi lasciava il rame sotto il palmo e sopra il passamano, mentre scendevo

pensavo, ed è stato un ago dentro il cervello, alle madri, i padri,

i figli, i fratelli; e ho avuto paura di non riuscire più a scenderci da

quella puttana di torre, da quel mausoleo e tutti fuori a cercare con

l’alcool da restauratori di farla venire fuori qualche vecchia macchia

di un’eco. Negli ambienti professionali alti, negli uffici con il tavolo

in noce e i grafici schizzati sui muri è vietato portarsi da casa

l’umanità, è tutto un parlare senza spiegazzare i polsini delle camicie

affusolati fuori dal maglione, è tutto un far quadrare conti, facce,

spiegazioni, voci, strette di mani: un campo aperto di prostituzione

perfettamente inquadrata. Forse l’omaggio ai centodiciotto si poteva

fare solo appoggiando il cuore sulla torre, a salutarli appiattiti contro

quel toboga che dall’alto ha i colori dei calzini di un clown. E mentre

alienato dalla visita-gita salutavo dall’alto anche il mio stomaco si è

tolto il cappello. Come gocciolano i passeggeri sui vetri della torre di

controllo non si vede in giro da nessun altra parte. Nessuna. Mai.

Scendendo con le gambe molli e il pensiero appiccicato sugli impossibilitati

a scendere mi sono messo in tasca una fetta di torre, almeno

per il dovere di portarmeli in tournée, se non a Copenaghen.

Il giorno del ricordo buttato dalla torre.

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Linate l’8 Ottobre 2001 non è un incidente: gli incidenti sono roba da cabala e giro di roulette degli dei, dove c’entrano le colpe degli uomini allora è un omicidio. Centodiciotto morti sono una strage. Quando Fabrizio Tummolillo ha appoggiato sulla mia scrivania la documentazione e le storie di quel giorno così buio sono rimasto per una fetta di notte a guardarlo quel cumulo di fogli di “quello che si sarebbe dovuto fare”: sono le macerie di uno Stato che premia chi accumula potere scansando proporzionalmente le proprie responsabilità. Allora mi sono interrogato a lungo, prima di iniziare la messinscena, su quale poteva essere il mio ruolo di narratore teatrale e sul perché dovesse nascere uno spettacolo su quel cumulo. Noi teatranti godiamo di un privilegio che molti ci invidiano: la fisicità e il tempo del nostro pubblico; quindi sono partito da qui perché avevo il tempo di raccontarlo per filo e per segno tutto quel cumulo. Spesso mi ritrovo a dire che più dell’ignoranza, oggi, mi spaventa questa “convinzione di sapere” che è tutta appoggiata sull’informazione confezionata a mo’ di spot pubblicitari per cui in quindici minuti di TG in fase digestiva paghiamo il nostro pegno di coscienza con i fatti del mondo. Se ascoltate la “gente” sull’incidente di Linate vi parleranno di nebbia, di un radar che non c’era e vi vomiteranno un po’ di sana e gratuita indignazione. Oggi si è acquisito il diritto di indignarsi a priori anche senza sapere. La risposta al mio dovere mi è caduta così: il teatro oggi è una buona occasione per informare senza fretta, senza doversi inserire in una linea editoriale di “accattivante confezionamento”, senza fare leva sul qualunquismo facile, senza dover opzionare pubblico per forza con i morti nei titoli di testa. Per Linate le colpe sono tutte agli atti: un radar da installare che aspettava la giusta congiunzione (forse economica?) per essere attivato, una leggerezza di fondo nel gestire un ambiente complesso come un aeroporto, una segnaletica peggiore dell’adiacente viale Forlanini, una scellerata progettazione nel posizionare il deposito bagagli a fondo pista e, fondamentalmente, scelte di gestione al risparmio. Oltre a tutto questo fin dall’inizio mi sono imbattuto nel dramma, quella lista lunga di nomi, e confesso che nei momenti più ostici della preparazione li scorrevo, appoggiati sulla scrivania, in disparte da tutti quei fogli di simboli e numeri; e me li sono portati in teatro, con quel loro scorrere leggero e con la convinzione che, anche senza aggiungerci niente, siano un graffio alla nostra coscienza. Raccontare la favola triste dell’8 Ottobre è roba da teatro dell’assurdo, abitare in una Bengodi senza doveri, in un luna-park leggero e mortale. I giullari cinquecenteschi rovesciavano il reale per raccontarlo con dietro un digrignare di denti. Linate quel giorno è un posto già storto di suo. Chi darebbe credito a quel paese nella prima mezz’ora di spettacolo fatto di vigili, postini e Culidigomma che martellano “avioporti” come se fossero orti squinternati? Quanti in tournée hanno sorriso di quel collaudo giù a Bengodi tutto svolazzante di professori, timbri e carte bollate senza senso? A stare sul palco c’è un momento che tutte le volte mi accende un brivido: sentire quel sorriso che si spegne lì dove diventa un alone, un dubbio, che non possa essere Linate così tanto Bengodi, che non possa Bengodi assomigliare a Linate man mano che ci si avvicina. E il sorriso diventa strozzato, la sala diventa silenzio. Su quel bordo dello spettacolo si srotola tutto il nostro lavoro. “Linate 8 Ottobre 2001: la strage” non è uno spettacolo per fare giustizia, per quella ci sarebbero già giudici e tribunali, né è uno spettacolo per onorare le vittime, quelle sono gelosamente nei cuori delle loro famiglie. “Linate 8 Ottobre 2001: la strage” è appoggiare una storia, seminare delle domande, coltivare le virtù del dubbio: raccontare di uno Stato in cui nessuno è responsabile della sicurezza dei propri cittadini, in cui diventa un rebus capire chi controlla cosa, in cui si individuano sempre le cause e pochissimo le responsabilità. “Dove non ci sono colpevoli allora i colpevoli sono i morti?” si chiedono giù a Bengodi. (dalla prefazione del libro LINATE 8 OTTOBRE 2001: LA STRAGE di Giulio Cavalli e Fabrizio Tummolillo)

Le vittime

  • Agnetta Girolamo
  • Agosti Simone
  • Alcamo Leonardo
  • Andersen Hans Peter
  • Andersen Lise Lotte
  • Andersson Håkan
  • Bertacchini Giuseppe
  • Bettoni Gian Bortolo
  • Blasi Romano
  • Boman Per Ola
  • Cairo Renato
  • Caironi Cristina
  • Calgaro Tino
  • Cameroni Natale
  • Campanini Andrea
  • Candiani Luca
  • Cantú Marco
  • Caputo Gianpiero
  • Carlin Sandro
  • Casadei Caterina
  • Cotta Ramusino Alberto
  • Danielsen Eiler
  • De Vivo Luigi
  • Dosmo Renato
  • Durante Simone
  • Eriksson Gunilla
  • Eriksson Pär
  • Essebro Robert
  • Falch Heidi
  • Felthaus Arly
  • Felthaus Inger Marie
  • Fogliani Laura
  • Fontana Michele
  • Forsman Christer
  • Forsman Robin
  • Fossati Luca
  • Frigerio Franco
  • Fristedt Gunilla
  • Gambetta Mauro
  • Garde Mette Friboe
  • Gatti Roberto
  • Gaucan Gabriela
  • Ghiglino Luigi
  • Gioacchini Riccardo
  • Giumelli Valentina
  • Grynfeld Helena
  • Gustafsson Joakim
  • Heggelund Espen
  • Honkaranta Tarmo
  • Hyllander Anders
  • Iversen Asger Lund
  • Iversen Thyge Lund
  • Iversen Ulla Helga
  • Jakobsson Olaf
  • Jäsperi Arja
  • Jörback Håkan
  • Karjaluoto Alexander
  • Karjaluoto Jan
  • Karlsson Bert Arne
  • Karlsson Daniel
  • King Jessica
  • Königsmann Horst
  • Kristensen Pia
  • Kristensen Poul Lund
  • Kruger Eric
  • Kruger Michael
  • Laffranchi Andrea
  • Schytt Larsen Steen
  • Larsson Kurt Åke
  • Lassen Finn
  • Lassen Mads
  • Lazzarini Attilio
  • Lindgren Tobias
  • Mangiagalli Fabio
  • Martello Matteo
  • Mastromauro Roberto
  • Mattsson Anitta
  • Mecklin Anu
  • Micallef Natalie
  • Mogensen Lars
  • Moroni Marco
  • Moscatello Francesco
  • Motta Luigi
  • Mussida Luigi
  • Nielsen Jens
  • Olesen Marianne
  • Olsen Anja Schlichter
  • Oppizzi Alberto
  • Penttinen Janne Samuli
  • Pesapane Maurizio
  • Petterson Ola
  • Pettinaroli Lorenzo
  • Picciriello Agostino
  • Piemonti Orazio
  • Polastri Luca
  • Poli Riccardo
  • Prandi Massimo
  • Predaroli Filippo
  • Proserpio Alberto
  • Romanello Stefano
  • Romanini Primo
  • Rossello Osvaldo
  • Rossi Mario
  • Rota Clara
  • Rota Giovanni
  • Rota Michele
  • Salati Peppino
  • Sanna Antonella
  • Savio Giancarlo
  • Scaburri Angelo
  • Schneider Martin
  • Strömme Jan Marc
  • Tavecchia Barbara
  • Vanelli Viviana
  • Venturini Carlo
  • Vergani Mauro
  • Vindahl Lund Vibeke
  • Zanoli Simone

La feccia dietro la privacy

Ha ragione Nicola Gratteri: «I cittadini che votano hanno diritto a sapere tutto delle persone che dicono di lavorare per il bene del Paese», ha detto intervistato da Repubblica. E allora «è sbagliato mettere la sordina all’informazione: fanno bene in America a pubblicare tutti gli atti relativi alla vita di chi è stato votato dagli elettori a ricoprire incarichi pubblici». Questione di democrazia. Questione di buona politica.