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Mafie e litorale laziale, Colosimo sorvola su Latina nella mappa dei clan

Quattro giorni fa, la presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo, di Fratelli d’Italia, nella sala consiliare di Villa Sarsina di Anzio, centro del litorale romano il cui Consiglio comunale è stato sciolto nel mese di novembre 2022, spiegava l’esigenza di “raccontare fuori da qui qual è la geografia dei clan su questo territorio e come questi utilizzano le nuove generazioni e la criminalità comune”.

“Abbiamo un territorio dove un giorno sì e un giorno no pare esserci un accordo che poi salta tra diversi tipi di criminalità organizzata”, osservava Colosimo, “una presenza nota e conosciuta della ‘ndrangheta, con una locale che viene da Santa Cristina d’Aspromonte; abbiamo la presenza acclarata di diverse famiglie, quella nota dei Gallace, dei Perronace, dei Madaffari, dei Tedesco, ma abbiamo insieme una presenza importante dei clan camorristici. In questo senso segnaliamo la lunga mano del clan Moccia, il clan Mallardo. E allo stesso tempo abbiamo un braccio della Cosa nostra catanese”.

La bella destra di Colosimo

La Commissione Antimafia sotto la guida della fedelissima di Giorgia Meloni è scomparsa dalle cronache nazionali. Come temevano in molti l’organo parlamentare ha l’aria di essere un’organizzazione celebrativa preoccupata di non disturbare la narrazione: la mafia non c’è, se c’è c’è pochissimo ed è una questione di cognomi sul territorio dediti al brigantaggio organizzato. Nel suo viaggio tra Anzio e Nettuno la presidente della commissione ha sfiorato senza fare cenno il territorio di Latina.

È un’occasione persa perché lì proprio qualche giorno fa la Procura ha ordinato un sequestro di beni per il valore di cinque milioni di euro che con il partito di Colosimo ha molto a che fare. I beni confiscati infatti sono di Pasquale Maietta, 52 anni, commercialista ed ex deputato di Fratelli d’Italia. Maietta a Latina è uno che conta: ex assessore comunale al Bilancio ed ex presidente del Latina Calcio, è imputato in tre processi (Arpalo, Arpalo 2 e Olimpia) per trasferimento fraudolento di valori, associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale, bancarotta fraudolenta, corruzione, e numerosi reati tributari e fiscali commessi in concorso con altri soggetti.

Nel dispositivo di confisca si legge della pericolosità sociale del commercialista, che dai primi anni 2000 – viene evidenziato – è risultato in contatto con soggetti della provincia di Latina di elevato spessore criminale come Costantino Di Silvio detto Cha Cha. La famiglia Di Silvio, molto vicina al clan dei Casamonica. Mafia, insomma. Quella stessa mafia di cui si vorrebbe occupare la Commissione, solo che in questo caso in questa brutta storia c’è un ex tesoriere (a Montecitorio) dello stesso partito della presidente dell’Antimafia.

Siamo certi che questo piccolo particolare non ostacolerà l’attività istituzionale e non ottunderà la proverbiale curiosità dei suoi membri. Anche perché sui rapporti tra Maietta e Cha Cha c’è un’esaustiva inchiesta che uscì nel 2014 su Il Manifesto (e un importante libro, Laboratorio criminale) firmata dai giornalisti Marco Omizzolo e Roberto Lessio. Nella quale si legge: “Il deputato Pasquale Maietta, tesoriere alla Camera di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale, ex assessore al Bilancio di Latina e presidente del Latina Calcio: squadra che milita nel campionato di serie B. L’onorevole è accusato di violenza privata tentata in concorso, perché intercettato mentre chiedeva a Cha Cha di risolvere per le vie brevi una vicenda personale.

È lo stesso deputato che un anno fa ritirò in extremis un’interrogazione parlamentare preparata dal suo staff proprio contro il questore di Latina De Matteis, accusato di gettare discredito sulla città per aver denunciato la presenza di una criminalità autoctona capace di condizionare settori nevralgici, a partire dall’urbanistica. Un attacco mal digerito da chi ha governato Latina negli ultimi venti anni”. A Latina non la presero benissimo: qualche ora dopo la pubblicazione del reportage appaiono sul perimetro dello stadio striscioni che definiscono “zecche di merda senza dignità” gli autori dell’articolo. Si è scoperto altresì che il capo degli ultrà della squadra era un componente della famiglia rom che “comandava” nelle piazze di spaccio, estorceva denaro e minacciava numerosi professionisti, e che il magazziniere della squadra era un altro illustre esponente del clan, storico amico mai rinnegato di Maietta. Omizzolo e Lessio non furono dei preveggenti nel 2014, bastò loro guardarsi attorno.

Basta chiedere

Qui c’è il particolare più interessante: il sociologo Marco Omizzolo è consulente proprio della Commissione Antimafia, quindi anche della sua presidente Colosimo. “Gli si potrebbe chiedere una relazione sulla misura di prevenzione, per esempio”, scrive un ex membro della Commissione Antimafia come Davide Mattiello (Pd). In effetti non sarebbe una brutta idea. Anche perché della sua volontà di “fare luce sulle stragi di Falcone Borsellino” (fu una sua promessa nei giorni dell’insediamento) non si è saputo più nulla. C’è da capirla: le toccherebbe passare per forza dal pentito Gaspare Spatuzza che ha riscritto la storia di via D’Amelio e dei depistaggi successivi senza perdere occasione di parlare dei rapporti tra Graviano, Dell’Utri e Berlusconi. Ai tempi l’ex capo di Forza Italia non la prese benissimo, cacciando Spatuzza dal programma di protezione. Ma oggi ci sarebbe un’ottima occasione per fare chiarezza. Occuparsi non solo dei pesci piccoli: indagare sui pesci grossi e sugli amici. Dovrebbe essere questo il compito della commissione. O no?

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Aggressioni e numeri falsi, tutto per una salsiccia

Il senso per la politica e per la democrazia di Coldiretti sta tutto nell’aggressione fisica del suo presidente Ettore Prandini contro i deputati di +Europa, Riccardo Magi e Benedetto Della Vedova, colpevoli di dire ciò che molti pensano: esultare per una legge che vorrebbe fare la guerra alla carne “sintetica” è la soddisfazione di una battaglia di retroguardia che trascina l’Italia fuori dal mercato, fuori (molto probabilmente) dalle prossime leggi europee e soprattuto fuori dal presente. Una campagna politica – quella di Coldiretti – basata su un volantino a due colonne, che separa il “buon” cibo “naturale” dal “cattivo” cibo “sintetico” fatto di cellule impazzite in bioreattori, come scrivono i valenti grafici dell’associazione.

All’oscurantismo si aggiunge anche una nota comica del Codacons che ieri ha pensato bene di denunciare. Chi? Magi e Della Vedova. Da non crederci. Il Codacons si è rivolto alla magistratura per chiedere di “predisporre tutti i controlli necessari per accertare la possibilità del configurarsi di fattispecie di illecito civile, amministrativo e penale quali i reati di abuso d’ufficio e Istigazione a disobbedire alle leggi e ogni fattispecie criminosa che venisse individuata”. Nella guerra per il protezionismo delle salsicce finisce perfino il sacrosanto diritto di opporsi a leggi ritenute ingiuste. Tutto mentre sullo sfondo la politica racconta di “avere salvato un mercato da 580 miliardi di euro, un terzo del Pil italiano”, dicono i partiti di maggioranza. Solo che l’Istat dice che quel mercato vale al massimo 70 miliardi. Cifre false, paure false, promesse false. La carne sembra quasi l’ultimo dei problemi.

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Da rottamatore a paleontologo, Renzi abbraccia il dinosauro Mastella

Matto Renzi, il rottamatore che voleva rottamare la vecchia politica, citofona a Clemente Mastella. Dopo avere perso per strada il suo ex alleato Carlo Calenda il leader di Italia Viva annaspa alla ricerca dei voti che servono per le elezioni europee, rimbalzando tra la folta schiera di ex amici traditi e tra la destra che vorrebbe conquistare ma che continua a considerarlo residuale. Così all’ex presidente del Consiglio e leader di Italia Viva non resta che incontrarsi per confabulare a lungo con Mastella. I due alla fine si abbracciano e si dicono d’accordo: serve un’area di centro “fondamentale e necessaria per la democrazia italiana senza porre alcun veto per chi ha la stessa idea e volontà”, annunciano rimasticando la solita formula che emerge ogni volta prima di un’elezione.

Renzi-Mastella, baci e abbracci

“C’è stata una manifestazione reciproca d’interesse”, ha sottolineato il sindaco di Benevento all’Adnkronos. “Entrambi ci siamo trovati d’accordo sull’idea del Centro. Ora parte un percorso per mettere assieme e chiamare a raccolta tutti quelli che si riconoscono nella tradizione popolare, liberale”. Si tratta di un progetto aperto, ma non di un nuovo partito. “Non è io che confluisco in Italia Viva. Lo schema è quello della Margherita”, ha precisato ancora Mastella.

“Alle elezioni europee c’è il sistema proporzionale, e il proporzionale chiama il centro, i liberi e forti della tradizione cattolico-democratica, i riformisti. Chi non vuole Salvini né Conte, né Meloni né Schlein, può votare per noi”, ha detto Renzi. I due in fondo si assomigliano più di quanto sembri. Matteo Renzi tra il 2012 e il 2013 voleva “rottamare” il Partito democratico per renderlo un partito “moderno”. Assicurò la sua fiducia a Enrico Letta – ai tempi presidente del Consiglio – prima di defenestrarlo e prenderne il posto. Tuonò contro i “partitini personali” e dopo essersi schiantato sul referendum costituzionale corse ad apparecchiarne uno. Assicurò la fiducia al secondo governo Conte prima di farlo cadere. Assicurò fedeltà politica a Calenda per divorziare una volta raggiunto di nuovo il suo posto in Parlamento. Lui la chiama “coerenza” ma è la stessa pasta del suo nuovo alleato Mastella fondatore compulsivo di partiti (Ccd, Cdr, Udr, Udeur e da ultimo Noi di Centro) e uomo di centrodestra o di centrosinistra alla bisogna.

Strano destino

Il bacio al rospo comunque per il leader di Italia Viva è praticamente obbligato. Le macerie del fu Terzo polo (che è sempre stato quarto) lo costringono a cercare i voti che servono per superare la soglia di sbarramento alle prossime elezioni europee che sono tra sette mesi. Quel 4% che serve a oggi al partito di Renzi è una chimera. Sono lontani i tempi in cui Matteo (era il 4 dicembre del 2022) declamava che “nel 2024 noi saremo il primo partito e Meloni andrà a casa” e chiedeva a Majorino in Lombardia “di fare il vice della Moratti”: “Noi in Lombardia si vince e dopo 30 anni la Lombardia cambia colore. Io ci credo fino all’ultimo”, prevedeva.

Una delle sue mirabolanti previsioni frantumate. Sono lontani anche i tempi in cui Mastella accusava Renzi di “doppia morale” in occasione della caduta del governo Conte II: “Dunque i responsabili sono traditori e incoerenti quando si tratta degli altri, se lo fa lui invece va bene”, disse Mastella al Corriere della Sera rincarando la dose: “Cosa dovrei rispondere? Che lui è il Renzi-Verdini?”. Ora con questo curriculum collettivo di tutto rispetto la strana coppia si prepara a sbancare Bruxelles. Sì, come no.

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Intesa fantasma Italia-Albania: accordo fuori dal diritto europeo

Prima c’è stato il Consiglio d’Europa che tre giorni fa ha sottolineato come l’accordo tra l’Italia e l’Albania sui migranti e sull’asilo extraterritoriale fosse “preoccupante per i diritti umani”. Poi è arrivata la bocciatura della Corte Suprema di Londra per l’accordo simile che il governo britannico aveva firmato con il Ruanda. Ora il protocollo firmato da Giorgia Meloni e Edi Rama viene martellato dagli uffici giuridici dell’Unione europea che sottolineano come il memorandum non violi le leggi europee per un motivo banale e tutt’altro che risolutivo: è al di fuori del diritto comunitario.

Protocollo Italia-Albania: solo propaganda

Non c’è niente per cui esultare: “L’intesa sembra applicarsi a tutti i soccorsi effettuati da navi italiane in alto mare, ovvero al di fuori delle acque territoriali italiane e quindi europee”, ha detto la commissaria Ue agli Affari Interni Ylva Johansson rispondendo ad una domanda a Bruxelles. Così mentre gli uffici legislativi dei ministeri degli Esteri, della Giustizia e degli Interni si scapicollano per trovare una quadra giuridica solida, l’Unione europea si limita a sottolineare come i salvataggi dei migranti che Meloni vorrebbe deportare in Albania debbano avvenire in acque non europee dove vige il regolamento di Dublino.

Peccato che le navi “italiane”, quelle della Guardia costiere e della Guardia di finanza, operino per la stragrande maggioranza dei casi in acque italiane (e quindi europee) e le poche volte che sconfinano si spostano nelle acque maltesi, sempre europee. Non esistono operazioni di ricerca e soccorso che si spingano in acque extraeuropee – ad esempio sulle coste libiche – dove le operazioni di ricerca e di soccorso sono state appaltate (anche quelle) alla cosiddetta Guardia costiera libica. Guardia costiera che, tra le altre cose, profumatamente paghiamo e addestriamo per operare spesso al di fuori delle leggi internazionali.

La valutazione preliminare della commissaria europea che precisa come in Albania non di applichi il diritto d’asilo europeo rimanda di fatto alla giurisdizione italiana dove, a dispetto del governo, l’articolo 10 della Costituzione che recita senza troppe possibilità di interpretazione che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. A questo si aggiunge anche la delicata situazione politica albanese che chiede di entrare nell’Unione europea: Bruxelles difficilmente potrebbe vedere di buon occhio una “delocalizzazione giuridica” in uno Stato che vorrebbe essere membro.

Solito teatrino

Se l’Albania entrerà nell’Ue quell’accordo ovviamente decadrebbe immediatamente e questa incoerenza è una delle maggiori critiche che l’opposizione albanese imputa al presidente Rama. Nel frattempo ieri il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani ha annunciato che “non c’è necessità giuridica di una ratifica di questo trattato ma questo non impedisce un dibattito in Parlamento che avverrà martedì con il vicepresidente Tajani”. Il ministro degli Esteri e segretario nazionale di FI nel corso di una conferenza stampa nella sede del partito, ieri a Roma, ha spiegato che martedì sarà in Aula: “Ci sarà il dibattito, ci saranno delle risoluzioni, si voterà. Permettetemi di dire al Parlamento quello che sarà, e non anticiparlo, altrimenti non sarei corretto nei confronti dei miei colleghi. Io ho grande rispetto per deputati e senatori”, dice Tajani. Ma il loro problema principale resta quello di rispettare le leggi e la Costituzione.

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Sciopero dell’orgoglio, altro che pregiudizio

Se oggi avrete la sensazione di vivere in un Paese devastato dallo sciopero e dai disservizi oppure se oggi siete convinti di non riuscire a superare l’effetto disturbante che vi procurano i lavoratori che chiedono e difendono i propri diritti potete spendere qualche minuto per aprire il finestrino e guardare un po’ più in là dell’aiuola dall’altra parte della strada. 

Potreste accorgervi che dal 2022 e per tutto il 2023 i macchinisti in Germania hanno aderito all’iniziativa sindacale che gli ha permesso di ottenere un aumento di 410 euro mensili con un una tantum di 2.850 euro esentasse. 

Oppure potreste scorgere ciò che accade in Francia dove a mobilitarsi sono stati trasporti, scuola, sanità e altri servizi pubblici che seguono gli scioperi della stragrande maggioranza delle categorie che si opponevano alla riforma delle pensioni voluta dal presidente Macron. 

Negli Usa sono stati quasi 50mila i lavoratori che hanno incrociato le braccia nel settore automobilistico. Lì nessuna precettazione e nessuna accusa di bighelloneria ai lavoratori: ai picchetti dei lavoratori si è presentato il presidente Joe Biden e perfino il suo sfidante Donald Trump. Inutile dire che il risultato in termini di salari sia stato eclatante. 

Se invece davvero non ce la fate a non guardare il contesto italiano vi è utile un dato: secondo l’Ocse, nel nostro Paese i salari reali, cioè al netto dell’inflazione, sono calati del 7,5 per cento rispetto al periodo precedente la pandemia. L’Italia è anche l’unico Paese europeo in cui i salari sono diminuiti rispetto al 1990. Altro che pregiudizio, qui è una questione di orgoglio. 

Buon venerdì. 

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Come ti… Insegno la Rai. Ascolti vuoti e tasche piene

Vi ricordate il furioso abbaiare contro Fabio Fazio per il suo compenso in Rai che tra le altre cose era ampiamente ripagato dalla raccolta pubblicitaria grazie al folto numero di telespettatori? Oggi parliamo di un altro compenso di un esterno Rai che conduce la trasmissione Mercante in fiera collezionando imbarazzanti risultati: Pino Insegno.

Oggi parliamo di un altro compenso di un esterno Rai che conduce la trasmissione Mercante in fiera collezionando imbarazzanti risultati: Pino Insegno

Pino Insegno (che in Rai ha raccolto sempre deludenti risultati anche in passato) avrebbe dovuto prendere il timone dell’Eredità con l’arrivo del nuovo anno ma la disfatta ha convinto i dirigenti della televisione pubblica a lasciarlo in panchina. Quella trasmissione però dovrà fare da traino al Tg1 e nessuno ha osato mettere a rischio gli ascolti dopo le proteste della redazione del Tg2 oggi fortemente penalizzato dai risultati del conduttore.

Dopo la diffusione della notizia il suo agente Diego Righini ha incontrato il direttore del day time Angelo Mellone chiarendo che pretendeva comunque un “incarico pesante” per il suo assistito (in nome della meritocrazia, evidentemente) e sembra che sia riuscito a ottenere un programma su Radiorai tra gennaio e maggio, per poi tornare in televisione in estate alla conduzione di Reazione a catena.

Dicevamo, quanto incassa Pino Insegno? Secondo alcune accreditate indiscrezioni si parla di più di un milione di euro in due anni. Soldi che, dicono i bene informati, prenderà nonostante i fallimenti delle sue trasmissioni. Un reddito di cittadinanza pagato dalla Rai. Il suo agente non conferma ma soprattutto non smentisce e ci tiene a precisare che si tratta comunque di una cifra “al di sotto del compenso di Amadeus”. Soprattutto di pubblico, verrebbe da dire.

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Patto illegale con Tirana per nascondere gli sbarchi continui

Mettere tutti gli eventi in fila fa spavento. Era agosto del 2022 – anche se sembra un’era geologica fa – quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni cianciava ancora di “blocco navale”. Sapevano benissimo anche loro che non sarebbe stato possibile – a livello di legge e a livello operativo – ma pensarono evidentemente di rimandare il senso di responsabilità. A marzo 2023 il governo partì con la “caccia agli scafisti in tutto l’orbe terraqueo”. Era la confessione morbida di avere mentito fin lì rilanciata con un’altra promessa strabica. Dimostrarono nel giro di pochi giorni di saperne poco o nulla su chi fossero realmente gli scafisti puntando il dito contro quattro disperati che si ritrovano a guidare carrette del mare sotto minaccia. E infatti fu un flop: nonostante i giornali si affannassero a scrivere di arresti a ogni sbarco le facce sfinite di questi ragazzetti violentati non sfamava gli elettori dei partiti di maggioranza.

Balle spaziali

A dire il vero gli “scafisti” che si arricchiscono con i migranti sono gli stessi che di giorno indossano la divisa delle cosiddette Guardie costiere dei Paesi con cui il governo italiano stringe accordi, già prima dell’insediamento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Fare la guerra agli scafisti continuando a pagare, per esempio, i libici è come voler sconfiggere la mafia trattando con Totò Riina (sì, lo so, è successo anche questo). A giugno di quest’anno Giorgia Meloni ha promesso un “cambio di passo dell’Europa” e i giornalini di quella parte hanno titolato a nove colonne che la nostra presidente del Consiglio avesse messo in riga l’Unione europea come nessun altro prima di lei.

Risultato? Non cambiò nulla. Bastarono pochi giorni perché l’Europa tornasse sporca e cattiva e così Meloni ha deciso di guardare fuori, in Africa, coniando un Piano Mattei che avrebbe dovuto essere l’invitante confezione dello sgretolamento dei diritti umani. Il primo Paese che avrebbe dovuto risolvere il problema italiano è stata la Tunisia di Kaïs Saïed. C’era un piccolo particolare: al presidente tunisino non interessava risolvere le angustie della presidente del Consiglio italiana. Voleva soldi, solo soldi, dal Fondo monetario internazionale e dall’Ue. Così gli arrivi dalla Tunisia addirittura aumentarono. Una barzelletta.

A settembre Meloni ci ha fatto sapere che Ursula von der Leyen “è collaborativa con l’Italia”. Qualcuno fece notare che tornare ad affidarsi alla presidente della Commissione europea era un’implicita ammissione del fallimento del Piano Mattei. Alcuni sottolinearono come quest’affannosa ricerca di partner in giro per il mondo stesse diventando patetica. E infatti qualche giorno fa Giorgia Meloni ha esultato per un accordo con l’Albania, che smentisce la strategia con Bruxelles. Su quell’accordo l’Ue dovrà ufficialmente pronunciarsi, ma intanto i giuristi di mezzo mondo, le organizzazione internazionali e il Consiglio d’Europa hanno già bocciato l’accordo con il presidente albanese Edi Rama.

Sbarchi a pieno regime

Intanto solo tra la notte e la mattinata di ieri a Lampedusa si sono verificati dieci sbarchi per un totale di 1.133 persone. Le diverse autorità del Mediterraneo sono state allertate dall’Ong internazionale Alarm Phone della presenza di 11 barconi carichi di migranti, per lo più nella zona tra la Tunisia e Lampedusa. Nell’hotspot di Lampedusa c’erano ieri 1.430 persone. Molte di loro sono partite dalla Libia che lautamente paghiamo e addestriamo e dal porto di Sfax in Tunisia. Intanto la Corte Suprema di Londra ha stabilito che il programma di deportazione del governo britannico dei migranti in Ruanda è illegale (leggi pezzo a pagina 6). È il preludio di quello che accadrà qui sull’accordo dell’Italia con l’Albania.

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La faccia del governo è sempre a Cutro

Ieri abbiamo saputo che il governo guidato da Giorgia Meloni non ha nessuna intenzione di risarcire i familiari delle vittime della strage di Steccato di Cutro dove morirono 94 persone di cui 30 bambini. Oggi su certi giornali circola un’affettata sorpresa, come se dovessimo dimenticare che Giorgia Meloni non trovò un minuto per onorare le vittime e incontrare i loro familiari nel giorno in cui cannibalizzò la strage per farne uno spot elettorale con tanto di ministri riuniti in città e uno schifosissimo decreto seguente che porta quel nome macchiato di sangue. 

Giorgia Meloni che dovette “scappare per i toppi impegni” (partecipare al karaoke per la festa a sorpresa del compleanno di Matteo Salvini) ha poi ricevuti i parenti delle vittime a Palazzo Chigi, assicurando la vicinanza dello Stato. Ed eccola qua: ieri al processo contro i presunti scafisti lo Stato ha reso noto che non intende risarcire i familiari delle vittime. La Consap, la concessionaria servizi assicurativi pubblici (del ministero delle Finanze) a cui fa capo il Fondo di garanzia dello Stato per il risarcimento delle vittime di incidenti stradali o del mare, in aula ha spiegato che quella carretta mortale non può “ritenersi un’imbarcazione adibita al trasporto e dunque assoggettabile al codice delle assicurazioni”.

Lo Stato a Crotone getta la maschera e come dice l’avvocato Francesco Verri “a Crotone sta mostrando al mondo il suo volto più impietoso e cattivo”. Con un ulteriore particolare: il Fondo di garanzia vittime della strada che si rifiuta di pagare, è rappresentato dall’avvocata Giulia Bongiorno, senatrice della Lega e presidente della commissione Giustizia di palazzo Madama. 

Buon giovedì. 

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Lo insultano sui Social. E Gasparri denuncia Report

Non gli basta esser sbertucciato dagli ordini e le federazioni stampa per le sue intemerate in Commissione di Vigilanza sventolando carote e grappini. Il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri ieri ci ha fatto sapere di avere “presentato un esposto-denuncia presso i Carabinieri del Senato nei confronti di Report e della stessa Rai per le minacce che mi sono arrivate attraverso i canali social di Report e della stessa Rai”.

Gasparri ieri ci ha fatto sapere di avere “presentato un esposto-denuncia nei confronti di Report e della stessa Rai”

Spiega Gasparri che “alcune di queste minacce sono molto gravi e spero che si possano individuare gli autori che si firmano con nomi e cognomi apparentemente reali”. Chissà se i carabinieri del Senato avranno avuto l’ardire di spiegare al valente senatore che avrebbe dovuto denunciare gli autori dei commenti che ritiene diffamatori come farebbe qualsiasi persona. Ma l’obiettivo di Gasparri, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, è la trasmissione di Sigfrido Ranucci che per il senatore si contraddistingue per la “prepotenza comunicativa”, che evoca odio “attraverso i social”.

Letto di fretta il suo comunicato rischia perfino di apparire un’autobiografia. Travolto dalla sua stessa foga Gasparri ci comunica anche la sua speranza che “prima o poi si trovi un giudice a Berlino tra tanti amici di Report che non muovono un dito benché le denunce presentate contro questa trasmissione siano decine e decine”. È il garantismo secondo Gasparri: se ti odiano in molti sei sicuramente un po’ colpevole. Quella di ieri è solo l’ultima puntata di una lunga serie di attacchi del senatore di Forza Italia a Report. A questo punto potrebbe sorgere il sospetto che il vero interesse di Gasparri sia di far parlare di sé per spingere Ranucci a non parlare di lui. Ma è solo un sospetto, per carità.

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