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Avere le ‘palle’ per farlo

Dopo il referendum sull’acqua sono andati tutti in televisione. Anche quelli che in fondo non ci hanno mai creduto, quelli che il Decreto Ronchi l’hanno firmato (poi per fortuna hanno cambiato idea) e quelli che intorno all’acqua hanno piazzato i trombati all’ultimo giro elettorale. In televisione ci sono andati tutti i convertiti e fa niente se qualcuno ha chiesto fin da subito (inascoltato) di lasciare la battaglia alla gente senza voler cannibalizzare comitati e gente, in fondo ci basta il risultato. A cinque giorni dai referendum Luigi a Napoli delibera il ritorno al pubblico dell’ente gestore stabilendo il principio e la natura di «bene comune» dell’acqua, «non assoggettabile a meccanismi di mercato»: prendere delle scelte oggi in politica è diventato rivoluzionario. A Napoli le hanno scritte.

Le corde politiche di Don Luigi

Ma lo stesso Paolo Borsellino, di fronte ai successi contro la criminalità, durante il maxiprocesso, avvertiva della possibilità di cadere in una “pericolosissima illusione”, in “perniciose illusioni” di cessata pericolosità, diceva che non sono consentiti allentamenti e calo di tensione. I successi contro la mafia rischiano di vanificarsi se non si crea una continuità , se si abbassa la guardia. Non basta più parlare sempre e solo di mafie. E’ necessario ampliare lo sguardo, saper riconoscere la lunga mano delle mafie nelle pieghe della vita sociale. Impegnarsi contro la criminalità organizzata, significa lavorare per l’eguaglianza, i diritti e i doveri, la famiglia, la cultura, l’informazione libera. Per una politica che è servizio del bene comune. Con questa intervista Don Luigi Ciotti conferma che uguaglianza, diritti e politica quando toccano le corde più in alto sono la stessa cosa. E lui le suona meravigliosamente.

 

CORRIERE ROMAGNA intervista Giulio Cavalli

PREMIO ILARIA ALPI
«Ridere di mafia, ribellione incontrollabile»
Intervista all’attore Giulio Cavalli ospite oggi a Riccione con un monologo

RICCIONE. Ospite oggi al Premio Ilaria Alpi, l’attore Giulio Cavalli. Lo abbiamo intervistato.
Partiamo da un’anticipazione: il monologo di oggi sarà tratto da una delle sue opere teatrali?«Sì, eseguirò un brano estratto da Nomi cognomi e infami»La mafia al nord: com’è la situazione in Romagna, vista dall’esterno?«Le inchieste giudiziarie hanno rivelato che al nord il fenomeno mafioso ha raggiunto dimensioni notevoli: anche l’Emilia-Romagna è diventata approdo per gli affari della criminalità organizzata. Gli interessi nelle diverse regioni del nord sono gli stessi e l’Emilia-Romagna ha il dovere morale e culturale di combattere questo fenomeno. Le attività antimafia in regione sono molte e partecipate, soprattutto a livello di associazionismo»Chi deve innescare il cambio di mentalità necessario a sconfiggere le mafie? La politica con l’esempio o la società civile con la protesta?«La politica è riuscita a cambiare le cose solo quando è stata sostenuta dai cittadini. La chiave è la spinta di una cittadinanza attiva in cui ognuno partecipa con il suo ruolo. La parola è un’arma che funziona contro la mafia, ma sono altrettanto importanti l’educazione dei propri figli, un’istruzione responsabile nelle scuole, le scelte di ognuno sul posto di lavoro. Non c’è bisogno di prime linee o eroi, di icone dell’antimafia, ma dell’impegno ordinario di tutti».Una politica lontana da infiltrazioni mafiose è possibile? Cosa manca alla politica per liberarsi da questo giogo?«Quando i cittadini riterranno che essere ferrei su questi temi all’interno dei partiti non sia una possibilità, ma un punto fermo su cui costruire la propria credibilità, allora potranno esistere partiti per i quali l’antimafia non sia solo un argomento a cui dedicarsi, ma un comandamento da cui partire».Sente la vicinanza delle istituzioni nella sua vita sotto scorta? E quella dei cittadini?«Per parlare di legalità è sempre necessario coinvolgere le istituzioni. E poi quelli che facevano il mio lavoro di denuncia dei poteri 500 anni fa, cioè i giullari, venivano decapitati, quindi qualche passo avanti in fatto di civiltà e sicurezza sicuramente è stato fatto. I cittadini sono quelli che sento più vicini perché, a differenza della politica, non hanno nulla da guadagnarci, anzi devono pure pagare il prezzo del biglietto».Lei ha detto di sentirsi vicino a Paolo Rossi e Dario Fo, ma la sua frase «Ridere di mafia è una ribellione incontrollabile» fa pensare più a Peppino Impastato. La sua figura è state tra le sue fonti d’ispirazione?«Io mi ritengo molto fortunato, perché ho potuto lavorare con Paolo Rossi, Dario Fo e Giovanni Impastato, fratello di Peppino, e porto con me qualcosa di tutti tre. Peppino Impastato è riuscito non solo a fare un lavoro serissimo, chirurgico, di applicazione della risata alla lotta contro le mafie, ma anche a raccontare come la denuncia antimafia fatta con il sorriso possa diventare una forza sociale. E in questo siamo vicini»Il giornalismo italiano d’inchiesta fa abbastanza per combattere la criminalità organizzata e la cultura di stampo mafioso?«Tra i giornalisti italiani impegnati in questa battaglia, forse è proprio Ilaria Alpi l’esempio più alto. Il giornalismo deve accendere l’appetito per la curiosità, che come diceva Joseph Pulitzer è la garanzia più importante per gli ingranaggi della democrazia. È sul funzionamento degli ingranaggi che c’è ancora da fare».

 

La forza del coraggio

Non c’è cambiamento che non passa attraverso il coraggio. Il coraggio della denuncia e della responsabilità. Abbiamo sostenuto il cambiamento adesso dobbiamo essere il cambiamento senza contraddizioni, senza remore e, soprattutto, disposti a cambiare e cambiarsi se necessario. La Fondazione Benvenuti in Italia scrive una lettera-appello che mi rincuora. Perché forse in questi ultimi giorni non sono stato ‘mascariato’ per niente e perché c’è tanto da fare e costruire se alcuni giovani amministratori scrivono che in casi di ombre i partiti devono chiedere e pretendere da un lato le spiegazioni del caso, magari prima dell’azione giudiziaria, e dall’altro un passo indietro. Prendiamocela, L’Italia.

Smascherare i partiti

Il nostro obiettivo è abolire la “porcata” (così definita dallo stesso ideatore della legge, il ministro Calderoli): l’aspetto più odioso di questa legge è il suo togliere ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Ma è da rigettare anche quel premio di maggioranza, che così com’è appare una vera e propria truffa, e che senza una soglia minima è tra l’altro ai limiti di costituzionalità. Arianna Ciccone e gli amici di Valigia Blu sono chiari: rivolgerci ai partiti, tutti, e prima di tutto certificare le loro intenzioni di cambiare questa legge (sarebbe già un primo passo, e in questo senso il PD ha dato chiare indicazioni). Il passo più importante sarà chiedere ai partiti, qualora fossimo costretti a votare con la legge porcata, di coinvolgere i cittadini nella composizione delle liste elettorali. Fare scegliere agli iscritti attraverso primarie a tutti i livelli. E io sono molto curioso. Non perdeteli di vista.

Israele, Regione Lombardia risponde

Incollo qui la risposta arrivata (oggi, con irragionevole ritardo) che mi arriva da Regione Lombardia nella persona dell’Assessore Romano Colozzi. Confido nella rete per le vostre opinioni e (a prima vista) per qualche inesattezza. Le nostre domande potete rileggerle qui.

Risposta ITR 2192

In relazione ai singoli quesiti, si evidenzia che Regione Lombardia non ha erogato alcun contributo in ordine all’iniziativa riportata nelle premesse dell’atto e non dispone di alcun elemento informativo utile da fornire agli interroganti.

Ciò premesso, è bene ribadire il plauso di Regione Lombardia per questa iniziativa istituzionale decisa da tempo con lo scopo di far conoscere ai cittadini e alle imprese lombarde le positività di quanto possa comportare i destini d’Israele o incrementare i rapporti tra Italia e Israele. È noto che i rapporti tra Italia e Israele sono molto positivi. Regione Lombardia intrattiene da tempo dei rapporti altrettanto positivi con Israele, che auspichiamo possano essere incrementati dal punto di vista economico, sociale e culturale, anche grazie a manifestazioni come queste.

Quanto alle recentissime polemiche sollevate da gruppi che contestano l’iniziativa, non possiamo che confermare la posizione già resa pubblica nelle scorse ore: il popolo di Israele e il paese di Israele ha tutto il diritto di poter svolgere in pace e tranquillità una manifestazione decisa da tempo con gli scopi meritevoli già espressi.

Ci sono dei diritti di libertà che non possono e non devono essere né vietati né limitati.

 

Concita che se ne va

Sarebbe una decisione infelice. Perché Concita è stata il primo falò della rivoluzione gentile ma ferma e perché ha interpretato le piazze senza sporcarsi di qualunquismo o di tatticismi politici. In un mondo (quello della stampa, per di più ‘legata’ ad un partito) che annaspa nelle mediocrità la partenza della De Gregorio ha bisogno di spiegazioni. Chiare, possibilmente.

Palla fuori campo: il crocifisso

Pensare che di cose da fare ce ne sarebbero a migliaia: una riforma dei parchi su cui l’opposizione (e un pezzo nascosto della maggioranza) sta dando battaglia, una legge sulla gestione dell’acqua da riscrivere (per fortuna) dopo i sì del referendum, scrivere il regolamento per la legge-antimafia strombazzata e non ancora partita, rivedere i drg sanitari. Invece in Lombardia si discute di crocifisso e icone religiose. È il vecchio trucco della partitella all’oratorio: se temi la partita, butti la palla fuori dal campo e interrompi il gioco.

Due pesi due misure

In politica però vale la responsabilità delle proprie azioni e dei rapporti che si stringono. Non si possono usare due pesi e due misure: inflessibili con il centrodestra e tolleranti con il centrosinistra. E non lo riscrivo io. Lo dice Gianni Barbacetto nel suo pezzo. Chissà che non cominci a passare sul serio, il concetto.