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Barazzetta: “Per la quarta generazione del nucleare mancano altri 10 anni”

Nel governo c’è (ancora) aria di nucleare. Da Salvini a Pichetto Fratin sono diversi i membri del governo e della maggioranza che insistono sul ritorno a quel tipo di energia. Ne abbiamo parlato con Stefano Barazzetta, ingegnere ambientale che ha lavorato nel settore pubblico, nel settore finanziario tradizionale (private equity) e da una decina d’anni si occupa di impact investing (investimenti che coniugano ritorni finanziari con obiettivi sociali o ambientali) e collabora con alcune agenzie delle Nazioni Unite.

Il governo rilancia: vogliono essere loro quelli del “ritorno al nucleare”. Che ne pensa Ma soprattuto è fattibile?
“Finora il governo si è prodotto in molte dichiarazioni sul ritorno al nucleare e pochissimi fatti. Quindi tutto è possibile ma per ora di passi concreti sul nucleare non se ne sono visti molti. Anzi, forse non se n’è visto proprio nessuno. Credo anche che ci sia parecchia confusione su quale tecnologia si voglia mettere in campo”.

Ma il governo parla di “nucleare di quarta generazione economico e sicuro”…
“Il governo parla spesso del nucleare “di quarta generazione economico e sicuro” ma non è chiarissimo nemmeno a che tipo di tecnologia si riferiscano. Ce ne sono diverse in fasi di sviluppo, nessuna delle quali disponibile per essere costruita oggi. Quindi questo contrasta sicuramente con il fare il nucleare “subito”. Se quella che si vuole utilizzare è una tecnologia ancora oggi in fase sperimentale è chiaro che si sta menando il can per l’aia”.

Quindi il nucleare di cui si parla non c’è?
“Tanto per intenderci quando si parla di “nucleare di quarta generazione” si parla di tecnologie che secondo le stime più ottimistiche non saranno disponibili prima di una decina d’anni, quindi oltre il 2030. Ripeto: nucleare subito di quarta generazione è un’affermazione che ha poco senso. Faccio anche notare che il ministro Pichetto Fratina – probabilmente per sviare l’attenzione dal nucleare che si utilizza oggi, quello a fissione tradizionale che in Occidente è fermo al palo da una trentina d’anni con moltissimi progetti cancellati e un solo reattore entrato in funzione in Finlandia – ha parlato spesso del nucleare “piccolo e modulare” e anche in questo caso stiamo parlando id una tecnologi in fasi di sviluppo. Tra l’altro quella che era la speranza più grande del nucleare modulare – gli SMR – ha il suo progetto più avanzato in quello di NuScale, una società americana, che proprio l’altro giorno è stato cancellato”.

Ma chi lo dovrebbe fare il nucleare in Italia
“Questo è un punto che si omette sempre quando se ne parla. A questo proposito ricordo che circa della trentina di reattori la cui costruzione è iniziata dal 2017 a oggi solo quattro non sono di concezione cinese o russa. In occidente il nucleare attraversa una crisi tecnologica e industriale che va avanti da decenni e ovviamente non è immaginabile che il governo italiano affidi il progetto a russi e cinesi. Tra l’altro il governo non dice mai chi lo dovrebbe finanziare, il nucleare. E questo non è un dettaglio insignificante. Per le rinnovabili c’è la fila di investitori privati ma per il nucleare è il contrario”.

Pichetto Fratin qualche giorno fa ha detto “faremo depositi per le scorie in Italia”…
“Quello che posso dire è che del deposito se ne parla da anni, forse decenni. Io credo di avere assistito a una conferenza – era il 2008 o 2009 – in cui si parlava del deposito come di qualcosa dietro l’angolo. Invece siamo ancora qui. Come nel caso di costruzione di nuovi impianti anche nel caso di eventuali depositi mi sembra che il governo parli parecchio ma oggi di fatti se ne vedono pochi. Aspettiamo di vedere cosa succede ma non sarà un’impresa facile”.

La motivazione è sempre la stessa: “con le rinnovabili si torna al medio evo perché bastano”. Quanto c’è di vero?
“Ovviamente questo è completamente falso. Basta guardare quello che dicono le principali istituzioni che si occupano di energia e di clima come l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) e lo stesso Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) che vedono chiaramente nelle rinnovabili il futuro dell’energia. Se vediamo gli scenari per arrivare a emissioni pari a zero nette entro il 2050 prevedono di utilizzare per circa il 90% fonti rinnovabili. Quindi queste sono dichiarazioni antiscientifiche, irricevibili e non degne di un ministro. Al massimo si può discutere se con le rinnovabili si può arrivare a coprire il 100% e non solo il 90% dei consumi. Ma parliamo di una quota marginale”.

Ma come va il nucleare negli altri Paesi?
“Il trend nucleare nel mondo è differente nelle economie occidentali e in alcune emergenti. In Occidente il nucleare è sostanzialmente fermo da 20-30 anni. è stato messo in funzione un solo reattore in Finlandia che ha avuto ritardi clamorosi e costi triplicati. In generale ne è stata inviata la costruzione di 8 di cui 2 sono stati abbandonati per bancarotta. Il nucleare occidentale è in crisi Gli impianti sono sempre più vecchi e stanno arrivando intorno ai 40 anni che sono considerati la vita utile degli impianti. Ora c’è il problema di decidere se prolungare l vita a questi impianti (e non è un’operazione a costo zero). Anche la stessa Francia che è il Paese che più dipende dal nucleare non riesce a sviluppare nuovi progetti. Il piano Macron prevede la costruzione di nuovi reattori ma senza l’estensione della vita utile degli impianto esistenti la Francia si ritroverà con circa il 40% dell’energia prodotta dal nucleare in meno. Quindi anche loro prevedono di ridurre la dipendenza dal nucleare. E la stessa Francia intende puntare di più sulle rinnovabili perché costano meno e si mettono in campo più velocemente. In più si trovano investitori”.

E nei mercati emergenti?
“Lì lo Stato ha un ruolo primario, a partire dalla Cina che ha salvato il nucleare negli ultimi 10 anni. Il grosso dello sviluppo arriva da lì perché c’è un governo molto forte con un politica industriale molto forte che punta sul nucleare. MA la Cina è il Paese al mondo che sta puntando di più anche sulle rinnovabili”.

Come valuta l’azione di governo sulle rinnovabili?
“L’azione è ovviamente pessima. La triste realtà è che non è molto diversa dai governi precedenti con colori diversi.
Tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, per un motivo o per l’altro, non hanno cercato di sostenere le rinnovabili ma anzi mi sembra che abbiano cercato di mettere il bastone alle ruote tramite burocrazie di vario tipo. La cosa è particolarmente assurda perché l’Italia è uno tra i Paesi in Europa che ha il potenziale solare più elevato ma è sfruttato molto poco. Ci sono Paesi del nord che hanno più fotovoltaico pro capite di quanto ne abbiamo noi. È uno spreco e un peccato ma tutto questo non è causale. Da un lato è causato da una visione molto vecchia dell’energia e dell’altro è legato al fatto che si vogliono tutelare le aziende fossili”.

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Ma Geronimo La Russa la conosce la storia antifascista del Piccolo di Milano? – Lettera43

Di primo acchito c’è una considerazione che ormai appare talmente usurata da non meritare nemmeno le pagine dei giornali: perché i consigli di amministrazione dei teatri tengono in pancia personalità politiche che nulla hanno a che vedere con lo spettacolo, l’arte e la cultura? Sembra un’utopia ma nella fame di poltrone ormai diamo per scontato che l’ex parlamentare, l’assessore sconfitto, il sindaco decaduto o – ancora peggio – il familiare di qualche politico occupino quei posti. Non fa eccezione Geronimo La Russa – figlio di cotanto padre – entrato nel consiglio di amministrazione del Piccolo Teatro di Milano. E fa specie che un profilo così venga tenuto in considerazione per un luogo di quella levatura, anche quando si tratta di cognomi meno altisonanti e visibili.

Ma Geronimo La Russa la conosce la storia antifascista del Piccolo di Milano?
Geronimo La Russa (Imagoeconomica).

L’incontro tra Strehler e Grassi in corso Buenos Aires

Poi c’è la storia. E la storia del Piccolo a Milano è la storia di quello che sono stati Paolo Grassi e Giorgio Strehler. È del 1933 il discorso tenuto da Benito Mussolini presso la Società Italiana degli Autori, in cui invita i drammaturghi a risollevare le sorti del teatro nazionale, facendosi espressione delle grandi passioni collettive. Paolo Grassi aveva 14 anni e solo dopo tre anni dopo viene assunto senza paga come assistente di Angelo Frattini, autore insieme a Dino Falconi della rivista musicale Bertoldissimo. Nel febbraio del 1938 si presenta a Giorgio Strehler a una fermata del tram, in corso Buenos Aires a Milano: «Senta, io la vedo sempre a teatro, evidentemente è una sua passione. Tanto vale che io mi presenti, che ci conosciamo e che ci frequentiamo, visto che abbiamo in comune questo amore. Io mi chiamo Paolo Grassi. […] E io, Giorgio Strehler».

Ma Geronimo La Russa la conosce la storia antifascista del Piccolo di Milano?
Giorgio Strehler nel 1976 (Getty Images).

Grassi cacciato dal GUF e Strehler nella Resistenza

Come racconta Valentina Garavaglia nel suo articolo Tra utopia e riformismo, il teatro pubblico di Paolo Grassi e Giorgio Strehler nel 1941 Grassi mette in scena al Teatro dell’Arte di Milano L’ultima stazione di Beniamino Joppolo e lo spettacolo è un successo, ma un successo scomodo, tanto che su Secolo Sera il critico Gianluigi Gatti, responsabile del GUF, rende nota l’espulsione di Grassi dal gruppo universitario fascista di Milano per attività estranee al gruppo stesso. Anche Strehler, che si era diplomato ai Filodrammatici nel 1940 e nel frattempo aveva girato l’Italia intera recitando in compagnie di tradizione e in gruppi di teatro sperimentale, aveva prestato servizio militare come sottotenente di fanteria, ma dopo l’8 settembre 1943, apertamente antifascista, non aderisce alla Repubblica di Salò e si unisce alla Resistenza. Sotto esortazione del Comitato di Liberazione Nazionale si rifugia in Svizzera ed è proprio a Ginevra, dove incontra e frequenta esponenti di spicco del mondo politico e culturale italiano, quali Luigi Einaudi, Amintore Fanfani, il regista Dino Risi, che Strehler ha modo di coltivare la sua irrefrenabile passione per il teatro, che si intreccerà nuovamente con quella di Paolo Grassi al termine della guerra.

Ma Geronimo La Russa la conosce la storia antifascista del Piccolo di Milano?
Il Piccolo in via Rovello, 2 a Milano.

Geronimo La Russa conosce la storia del teatro? 

Una lapide all’esterno sulla facciata dell’edificio in cui oggi si trova il Piccolo Teatro, in via Rovello 2, collocata dall’Anpi il primo aprile del 1995 recita: «Qui tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 hanno subito torture e trovato la morte centinaia di combattenti della libertà prigionieri dei fascisti. Il Piccolo Teatro ha fatto di questo edificio un centro e un simbolo della rinascita culturale e della vita democratica di Milano». In quel teatro, primo teatro stabile di prosa pubblico in Italia, Grassi e Strehler in sintonia con il sindaco di Milano, il socialista Antonio Greppi, aprono il 14 maggio del 1947 con la messa in scena de L’albergo dei poveri, di Maxim Gor’kij, per la regia di Strehler stesso. La scelta dello spettacolo d’apertura non è ovviamente casuale. Lì dentro c’è l’idea del ‘teatro del popolo’, un teatro inteso come pubblico servizio, costruito sul modello gramsciano, inteso come un fenomeno culturale necessario alla collettività. Quindi la domanda è spontanea: le sa queste cose Geronimo La Russa? E soprattutto, che c’entra?

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Schlein riporta in piazza il Pd. Oggi la manifestazione a Roma

Elly Schlein riporta il Partito democratico in piazza. 175 pullman, 7 treni speciali, 150 volontari e volontarie mobilitati. Sono questi alcuni dei numeri della manifestazione organizzata dal Pd dal titolo Per un futuro più giusto. L’alternativa c’è che si svolgerà a Roma oggi in Pazza del Popolo (alle 14). Interverrà il presidente dem Stefano Bonaccini e chiuderà la segretaria Schlein. Per il resto spazio alla società civile. Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, porterà il suo saluto e interverranno poi, tra gli altri, la neosindaca di Foggia Maria Aida Episcopo, lo scrittore Maurizio De Giovanni, il giovane medico specializzando al Careggi di Firenze Lorenzo Cuccoli, la sindacalista che segue la vertenza delle operaie de La Perla Stefania Pisani, Mamadou Kouassi il mediatore senegalese attivista del Movimento migranti e rifugiati di Caserta che ha ispirato il film di Matteo Garrone Io capitano.

Elly Schlein riporta il Partito democratico in piazza. Oggi la manifestazione a Roma. Attesi 175 pullman e 7 treni speciali

“Le persone che si alterneranno sul palco – si spiega nella nota del Pd – saranno la voce del mondo del lavoro, della sanità pubblica, dell’associazionismo, della cultura e del nostro no all’autonomia differenziata. Diritti sociali e civili staranno insieme nell’alternanza delle voci. Si parlerà di clima e prenderà la parola chi è stato colpito dalle alluvioni in questi mesi. Si darà voce alla battaglia degli studenti e delle studentesse per il diritto allo studio e per la salute mentale. Casa, scuola pubblica, politiche per le persone con disabilità, sud, migranti e convivenza, lotta alle mafie sono alcuni dei temi che verranno rilanciati dal palco”.

In piazza verranno raccolte anche le firme per il salario minimo e sarà possibile tesserarsi al Pd. La segretaria ha messo in moto una macchina organizzativa e di comunicazione degna di una campagna elettorale: da più di una settimana è presenza fissa nelle televisioni e in radio. Una scelta inedita per Schlein che ha sempre centellinato accuratamente le apparizioni televisive.

Ci saranno anche i leader di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli

La manifestazione di oggi vuole essere anche un risposta alle critiche che arrivano da più parti – tra cui anche la nuova Unità diretta da Piero Sansonetti – sull’inconsistenza della sua direzione. Un primo successo è la diplomazia dei dem che è riuscita a convincere Giuseppe Conte, che ricambierà così il favore fatto da Schlein nel giugno scorso, quando la segretaria si unì al corteo dei Cinque Stelle contro la precarietà. E ci saranno Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Gli esponenti di Alleanza Verdi e Sinistra sembrano essersi calati ormai nel ruolo ufficiali di collegamento fra il mondo dem e quello pentastellato. Soprattutto per quello che riguarda il cantiere della coalizione in vista delle amministrative e delle regionali della prossima primavera.

La segretaria Schlein vuole aprire un momenti di confronto con le forze interessate per cominciare a tessere una riconoscibile e reale alternativa al governo della destra. Ma i nodi non mancano. In Piemonte, ad esempio, la candidatura per le prossime elezioni regionali della vice presidente del Pd, Chiara Gribaudo, sembra tornata in bilico. Alla base della frenata ci sarebbero i rapporti sempre tesi fra i dem locali e Chiara Appendino, luogotenente di Giuseppe Conte nella Regione. E questo nonostante le aperture che erano arrivate recentemente dalla ex sindaca di Torino nei confronti dei dem: “Se ci sarà un confronto programmatico e non solo sui nomi noi ci saremo”. In realtà, fanno notare fonti parlamentari, il tavolo fra Pd e Movimento 5 Stelle non è ancora saltato. Dopo più di un anno di governo Meloni il Partito democratico targato Schlein vuole imprimere un’accelerata. Sarebbe ora.

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La sinistra secondo Rama. E la sindrome d’Albania

Un ottimo esempio della sinistra che diventa destra e poi da destra insegna alla sinistra come fare la sinistra è il presidente dell’Albania Edi Rama, grande amico della presidente del Consiglio Giorgia Meloni (non è un caso) intervistato ieri dai sinistri destrorsi de Il Foglio (non è un caso).

Un ottimo esempio della sinistra che diventa destra e poi da destra insegna alla sinistra come fare la sinistra è il presidente dell’Albania Edi Rama

Dice Rama che è sorpreso dalla sinistra in Italia (attenzione: dalle parti de Il Foglio è “di sinistra” e “populista” chiunque non butterebbe una bomba atomica su Gaza) perché “uno aiuta l’Italia e viene trattato così: solo la vostra sinistra è capace di certe reazioni”. Il passaggio che vorrebbe essere inattaccabile per logica è di una fallacia mostruosa: Giorgia Meloni non è “l’Italia” (mica per niente quelli che si oppongono vengono chiamati opposizione, mica stranieri) e il “prestare aiuto” non di per sé un atto angelico.

Se domani bussasse Goebbels per chiedere aiuto non sarebbe un gesto umanitario collaborare alle sue faccende. A questo punto il giornalista pone una domanda fenomenale per l’equilibrio che inizia così: “Edi Rama, che è un conoscitore delle cose di casa nostra, entra nella carne viva dell’opposizione. Che cerca, dice, di attaccarsi sempre allo scandalo del giorno senza poi afferrare nulla e soprattutto senza mai incidere nel dibattito”.

Che fa quindi il presidente albanese? Annusa l’aria e ci spiega che “il Pd non ha imparato niente da Giorgia” che è il più bel complimento che possa ricevere la segretaria dem Elly Schlein visto che guida un partito che negli ultimi anni ha assorbito fin troppo dai presunti avversari politici. Per il presidente albanese “Giorgia (la chiama proprio così ndr) quando non governava non stava tutti i giorni a dire questa cosa non è buona, fa tutto schifo”. Sì, ciao.

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Benedetto… Figliuolo! Non bastava il flop in Emilia-Romagna ora tocca alla Toscana

Voci sempre più insistenti indicano il generale Francesco Paolo Figliuolo pronto ad aggiungere anche la Toscana al suo ruolo di commissario per l’emergenza in Emilia Romagna. Verrebbe da credere che l’ulteriore occupazione sia il riconoscimento al generale degli ottimi risultati raggiunti se non fosse che proprio i cittadini dell’Emilia Romagna, con i loro amministratori, stanno vivendo in questi ultimi due giorni i momenti più concitati di un rapporto mai sbocciato.

Voci sempre più insistenti indicano il generale Figliuolo pronto ad aggiungere anche la Toscana al suo ruolo di commissario in Emilia-Romagna

Due giorni fa il commissario Figliuolo ha pensato bene di prendersela con i sindaci emiliani e romagnoli accusandoli di avere “più voglia di fare polemica che di rimboccarsi le maniche”. Una frase infelice che ha suscitato lo sconcerto degli amministratori locali del territorio. Ieri Figliuolo ha provato quindi a metterci una pezza. No, non ci è riuscito. “Io voglio lavorare assieme in maniera positiva. Questo è il mio mandato, sono abituato così. Se si fa squadra si vince, se non si fa squadra si rischia di non raggiungere gli obiettivi”, ha detto ieri il generale nel suo tour bolognese dopo quella che ha definito “un’ottima riunione operativa” per sviscerare “i temi sulla ricostruzione pubblica e privata”.

Tra le sue promesse (ben sei mesi dopo) c’è anche un emendamento alla legge 31 luglio 2023 n.100 per fare arrivare i risarcimento anche alle frazioni che non erano contenuti nella legge originaria. I sindaci che fino al giorno prima erano degli scansafatiche nel giro di 24 ore per il commissario voluto dal governo ora sono indispensabili per “fare squadra”. A stretto giro di posta risponde, a nome degli amministratori presenti all’incontro, la sindaca di San Lazzaro di Savena, Isabella Conti, che ha definito “importante” l’incontro “per porre le nostre perplessità e le criticità riscontrate nell’attuazione dei decreti e questo ci ha consentito di aprire un dialogo molto franco e diretto, trasparente”.

Promette “lotta per i rimorsi totali” il presidente della regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini: “Io non sono al governo del Paese, ognuno si prenda le sue responsabilità – dice ospite di Restart su Rai 3 -. Io darò sempre una mano al governo del paese, perché è anche il mio governo, ma sappiano che noi, fino a che non avremo visto per gli imprenditori, per le famiglie e per i sindaci il 100% dei rimborsi, se lo mettano bene in testa, non ci sposteremo di un millimetro, esattamente come abbiamo fatto con il terremoto”.

E così nel pomeriggio “la grande squadra” dei sogni di Figliuolo viene bombardata, questa volta dai partiti di maggioranza. “Ha ragione il Commissario Figliuolo, – tuona intempestivo il senatore di Fratelli d’Italia Marco Lisei – sono mesi che combattiamo contro le polemiche pretestuose e le mistificazioni messe in campo dai sindaci e dalle truppe del Partito democratico, sono mesi che questi amministratori hanno abdicato alla collaborazione ed alla cura del territorio per imbracciare la lotta al Governo”.

Il generale blatera di lavoro di squadra. Ma dopo quasi 6 mesi dal disastro la Romagna non ha visto ancora un euro

Per Lisei per sopportare il Partito democratico non sarebbe stato sufficiente neppure un Santo” e anche Rosaria Tassinari di Forza Italia, coordinatrice azzurra per l’Emilia-Romagna, parla di “notizie, per altro totalmente infondate, diffuse da taluni sulle quantità e sulla modalità dei rimborsi” puntando il dito contro i dem. Il prossimo 21 novembre Figliuolo sarà in Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, per confrontarsi con le forze politiche elette in Regione. Intanto sul profilo di X (ex Twitter) del Partito democratico anche stamattina, come tutti i giorni, è comparso un messaggio: “173 giorni dalla passerella in stivali nel fango della Presidente #Meloni, e neanche un euro è arrivato ai cittadini dell’Emilia-Romagna per l’alluvione #GovernoSoloChiacchiere”. Altro che lavoro di squadra.

Leggi anche: In Emilia-Romagna la ricostruzione è al palo. I sindaci contro Figliuolo. Il commissario sostiene che i fondi non vengono erogati perché non richiesti. La replica dei Comuni: “Sconcertati”

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Bandecchi: “Giorgia circondata da ministri inadeguati. Come la Manovra”

“Come tutte le persone ho diverse anime. Ne ho una che è il peggio di me che anch’io non sopporto. Le ricordo che un paio di volte al giorno tutte le persone fanno la cacca. Non è bella ma c’è dentro di noi”. Stefano Bandecchi, imprenditore, sindaco di Terni e coordinatore nazionale di Alternativa popolare è uomo dalle riflessioni tumultuose ma al telefono non rivendica i fatti per cui sale ogni tanto nella cronaca nazionale.

Bandecchi, cosa ne pensa di questa Manovra
“Per me è una manovra molto tecnica, una manovra che non mi piace perché non ha nessuna scelta politica. Una manovra che non farà crescere l’Italia come le manovre di questi ultimi 30 anni”.

Non sembra benevolo con il governo. Come lo giudica
“Scarso di professionalità adeguate. Composto da molti ministri che non sono le persone giuste nel posto giusto. Purtroppo è un governo fatto da una destra non preparata a governare”.

I nomi di questi ministri inadeguati?
“Non mi metterei mai a farne”.

Eppure la dipingono tutti come schiettissimo…
“Posso dire che Giorgetti lo reputo uno dei migliori ministri”.

Il blocco degli sbarchi promesso dal governo non pare stia andando benissimo…
“Una roba demenziale. E infatti con l’Albania paghiamo una tangente per farlo fare a loro e meglio”.

Ma la legge non permette blocchi navali…
“Non ho mai creduto nel blocco navale che sarebbe impossibile anche solo per una questione di costi. L’immigrazione andrebbe guardata con meno retorica e più lucidità. Le faccio un esempio pratico matematico: negli ultimi dieci anni in Italia sono arrivate un milione e mezzo di persone e ne sono rimaste 500mila. Quindi l’Italia non è più appetibile nemmeno per loro. Nel 2023 per la prima volta abbiamo più emigrati che immigrati. Io lo trovo un dato preoccupantissimo. Ci sono altri due aspetti: gli extracomunitari che sono qui smettono di fare figli percependo la crisi italiana e la seconda è che gli italiani stanno scappando. Per un governo che voleva tenere alta l’italianità direi che dobbiamo preoccuparci. Gli italiani studiano e lavorano all’estero e noi abbiamo mantenuto solo la mucca Chianina”.

La mucca Chianina
“Ci saranno più mucche che italiani. Questa storia della mucca Chianina è simbolica: non possiamo avere aziende che fanno carne coltivata ma possiamo mangiarla. Per difendere la mucca Chianina non faremo ricerca e nei nostri ristoranti intanto danno il 60% di carne argentina”.

A proposito di comportamenti, ha visto Sgarbi come trattava i suoi autisti?
“Io sono molto cattivo e ho avuto atteggiamenti molto sbagliati ma sempre verso i potenti. Sono uno zerbino con le persone umili, sono forte con i forti e molto debole con i deboli. Questi sono il contrario”.

C’è molto rumore anche per una certa inclinazione alla parentopoli di governo…
“Ho visto carriere fulminanti di alcuni figli di esponenti importanti, ministri, presidenti del Senato. Trovo questa cosa estremamente sgradevole e molto poco intelligente”.

Da uomo di destra è deluso dalla destra
“Io sono un liberale, di centrodestra come indole. Il mio partito è iscritto al partito popolare europeo”.

Come si definirebbe?
“Io mi reputo un capitalista sociale di un capitalismo europeo, molto sociale, vicino alle classi più deboli. Oggi siamo in mano alla destra sociale”.

Che ne pensa della riforma del premierato?
“Finora non avevo visto gesti fascisti come questo: saremmo l’unico paese al mondo che elegge un presidente del Consiglio al primo turno, senza ballottaggio. È una cazzata che per avere stabilità si debba avere un duce. Ricordo che siamo stati la quinta potenza mondiale mentre cambiavamo governo ogni sei mesi. Oggi non contiamo un cazzo anche se abbiamo il maggioritario. Stiamo tornando al culto dell’uomo solo al comando. Già Berlusconi (che era un carissimo amico) ha sbagliato a mettere il suo nome all’interno del simbolo. Addirittura c’è ancora adesso da morto. Solo la Chiesa con Gesù si comporta così. Mancano i partiti e la cultura di partito”.

Meloni dice che governerà altri 4 anni…
“Sono contento. Se la Meloni va avanti così per i prossimi 4 anni sarò il prossimo presidente del Consiglio”.

E cosa farebbe?
“Farei una manovra interamente politica. A Terni se avessi dovuto ascoltare i tecnici avrei dovuto mettere 600mila euro sulle strade e invece ci ho messo 6 milioni. Dare un po’ di soldi a tutti non è possibile. Qual è l’indirizzo economico e industriale di questa manovra Nessuno. Cosa c’è per il lavoro? Nulla. Bisogna avere il coraggio di scegliere. Questa è una manovra che non aggiunge nulla e che non ripaga un solo euro del debito che abbiamo accumulato. Un governo così non serve a nulla, bastava pagare dei buoni ragionieri”.

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Pure il Muro di Berlino con Salvini diventa girevole

Sempre preso dalla sua comunistofobia ieri Matteo Salvini ha pensato bene di celebrare la caduta del muro di Berlino scrivendo sui suoi social: “Trentaquattro anni fa cadeva il Muro di Berlino, che avrebbe visto da lì a poco la fine del regime comunista sovietico. Un simbolo di Libertà e Democrazia, contro le violenze e le oppressioni dei diritti. Ricordare per non dimenticare: mai più dittature”.

Ieri il vicepremier Matteo Salvini ha pensato bene di celebrare la caduta del muro di Berlino scrivendo sui suoi social

Al ministro dei Trasporti sfugge da sempre la regola che la credibilità di un messaggio dipenda anche dall’autorevolezza del messaggero e così diventa impossibile non cogliere alcune incongruenze all’interno della sua declamazione. Viene da chiedersi ad esempio come possa essere che il regime comunista sovietico sia “finito” se i giornali della sua parte politica lo vedono tutti i giorni vivissimo nell’incarnazione di Putin. La Russia (così come Putin) diventa comunista e poi “faro nel mondo” (parole della stesso Salvini quando era amicissimo del presidente russo) una decina di volte al giorno, avanti e indietro.

Sfugge anche come possa celebrare la fine di un muro lo stesso politico che si eccitava all’idea che Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovacchia chiedessi un muro a testa in giro per l’Europa. “Se ben 12 Paesi Europei con governi di ogni colore chiedono di bloccare l’immigrazione clandestina, con ogni mezzo necessario, così sia. L’Italia che dice?”, chiese Salvini nell’ottobre del 2021. Per non parlare del muro che Salvini (e Meloni) sognerebbero di piantare sulle coste del Mediterraneo La domanda è scontata: “Se Salvini vuole i muri e contemporaneamente celebra la caduta di un muro che sembra”.

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Come va la guerra Male, come tutte le guerre

Com’è andata la conferenza di Parigi sugli aiuti a Gaza che si è tenuta ieri? Male, non è riuscita, ad oltre 1 mese dall’inizio del conflitto, a centrare quello che era l’unico vero obiettivo: chiedere un immediato cessate il fuoco.

Lo spiega bene Oxfam: “Sebbene gli sforzi diplomatici del presidente francese Macron per aiutare i civili palestinesi siano da apprezzare, i risultati della conferenza sono deludenti. La mancanza di un forte appello per un immediato cessate il fuoco, mina lo scopo stesso di questo incontro, riducendolo a un mero gesto simbolico. – sottolinea Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia –. Bisogna salvare la vita dei civili e intervenire con gli aiuti quanto prima possibile. Aiuti che al momento è pressoché impossibile distribuire per via degli intensi bombardamenti e delle vie di comunicazione interrotte”.

La situazione a Gaza in queste ore è catastrofica. Milioni di civili sono allo stremo e stanno subendo una punizione collettiva: in media un bambino rimane ucciso ogni 10 minuti e interi quartieri sono ridotti in macerie. Tre quarti della popolazione è stata costretta a fuggire dalle proprie case, circa 1,5 milioni di persone. Sono oltre 10.569 le vittime, tra cui 7.081 donne e bambini; 2.450 persone, di cui 1.350 bambini, risultano disperse e potrebbero essere ancora intrappolate o morte sotto le macerie. 

Oxfam è chiara: Israele come “potenza occupante”, secondo il diritto umanitario internazionale, ha l’obbligo legale di garantire il benessere della popolazione di Gaza, compresa la fornitura di aiuti.

Buon venerdì. 

foto del giornalista Motaz Azaiza che da più di un mese sta coraggiosamente documentando quel che accade a Gaza follow @azaizamotaz9

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Promessometro di governo. Giorgia ha mantenuto solo 17 impegni su cento

Quante promesse ha mantenuto il governo guidato da Giorgia Meloni? Immaginando di suddividere le promesse in 100 obiettivi importanti il sito di fact cheking Pagella Politica ha fatto i conti scoprendo che le cose stanno andando diversamente da come vengono raccontate: più della metà è in corso di attuazione, ma in tre casi è stato fatto il contrario di quanto promesso. Solo 17 promesse su 100 sono state mantenute mentre per 21 il governo non ha fatto nulla per rispettare la parola data ai suoi elettori prima delle elezioni. In tre casi le promesse risultano essere “compromesse” perché il governo ha fatto l’esatto contrario di quanto si era impegnato a fare.

L’analisi sull’esecutivo Meloni di Pagella Politica. Ecco tutti i flop collezionati dal governo dai migranti alla ricerca

Tra le 17 promesse mantenute Pagella Politica elenca: la sostituzione del reddito di cittadinanza con l’assegno di inclusione e il supporto per la formazione e il lavoro; il sostegno militare all’Ucraina, con l’invio di due pacchetti di armamenti che si sono aggiunti a quelli mandati dal governo Draghi; l’introduzione di nuovi incentivi per le assunzioni dei lavoratori, tra cui donne e giovani; l’aumento dell’estrazione di gas naturale in Italia; e l’innalzamento del limite all’uso del denaro contante, portato a 5 mila euro. Tra le 59 promesse che sono in corso di attuazione secondo Pagella Politica ci sono alcuni dei provvedimenti principali promossi dal governo. Qui, per esempio, rientrano la revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), su cui sono in corso le trattative con l’Unione europea; il taglio del cuneo fiscale, che è stato approvato, ma non in via strutturale; l’estensione del regime forfettario (chiamato impropriamente “flat tax”) per le partite Iva con ricavi fino a 85 mila euro, e non 100 mila come promesso nel programma di coalizione; la riforma fiscale, la cui legge delega è stata approvata dal Parlamento e che ora il governo dovrà concretizzare con i decreti attuativi; il sostegno alla natalità e altre varie riforme, come quella della giustizia.

Tra i punti disattesi persino la riforma del premierato che ha rimpiazzato l’elezione diretta del Capo dello Stato

Mentre tra le 21 promesse che secondo Pagella Politica il governo non è ancora riuscito a mantenere spiccano la “difesa dei confini nazionali ed europei” dai migranti, con gli sbarchi che dal 1° gennaio al 24 ottobre 2023 sono quasi raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2022; la creazione di hotspot nei Paesi fuori dall’Europa; l’allineamento ai parametri europei degli investimenti nella ricerca; la “salvaguardia della biodiversità” con “l’istituzione di nuove riserve naturali”; e l’introduzione della “valutazione dell’impatto generazionale delle leggi e dei provvedimenti a tutela delle future generazioni”. Nella sezione delle promesse compromesse il sito invece rileva come Giorgia Meloni avesse chiesto “l’elezione diretta del Presidente della repubblica” durante la sua campagna elettorale. Il cosiddetto “premierato” di cui si sta discutendo in queste settimane prevede una riforma costituzionale per l’elezione del presidente del Consiglio.

Sulla promessa del governo di “prodotti e i servizi per l’infanzia” pesa la prossima Legge di Bilancio che invece prevede invece la fine del taglio dell’iva al 5%. Niente da fare anche per la promessa “piantumazione di alberi sull’intero territorio nazionale”. Ridiscutendo con l’Unione europea il Pnrr il governo Meloni ha chiesto di poter ridimensionare l’obiettivo, considerato irraggiungibile, di piantare 6,6 milioni di nuovi alberi entro il 2024. Analizzando gli ambiti Pagella Politica nota come le promesse non mantenute riguardano soprattutto le sezioni “Giovani e sport”, “Ambiente” e “Scuola, università e ricerca”. Molti di loro sono quelli spesso in piazza. Chissà perché.

 

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«Che vergogna la Rai che spettacolarizza uno stupro»: un appello contro Avanti Popolo di Nunzia De Girolamo

Nella trasmissione “Avanti popolo” condotta da Nunzia De Girolamo non c’è solo un problema di ascolti. Per la credibilità dell’azienda pubblica e per il rispetto del suo ruolo nel Paese esiste un tema che intellettuali, giornalisti, scrittori, operatori dell’informazione e dello spettacolo, rappresentanti di associazioni, attivisti stanno provando a sollevare: la pornografia del dolore che di solito era recintata in alcune televisioni private che ne hanno fatto una missione. 

«Nel corso dell’intervista alla vittima dello stupro di Palermo, la conduttrice Nunzia De Girolamo non le risparmia di rivivere nei minimi dettagli il trauma subito. La trasmissione contrasta con le policy di genere approvate dal Cda», hanno scritto giovedì 2 novembre 2023 le Commissioni Pari Opportunità di Rai ed Usigrai commentando la puntata di Avanti Popolo andata in onda il 31 ottobre su Rai 3.

Si parla della violenta intervista alla ragazza vittima di uno stupro di gruppo a Palermo. «Riteniamo che la modalità di intervista incalzante nei confronti della sopravvissuta e la conduzione adottate da De Girolamo rappresentino un esempio inaccettabile di pornografia del dolore», si legge nell’appello che circola da qualche giorno in rete. L’intervista di De Girolamo in effetti aveva le tipiche caratteristiche di un interrogatorio, come spesso accade nelle dinamiche di rivittimizzazione che ancora troppo spesso viene rilevata alle donne. 

«Chiediamo pertanto – si legge nella conclusione della lettera – che i vertici dell’azienda,  in vista del 25 Novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, prendano posizione sull’accaduto e si assumano la responsabilità di una gestione dell’informazione e del servizio pubblico adeguata al ruolo informativo, culturale e sociale della Rai». Attendiamo.

Buon giovedì. 

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