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Un’altra morte in carcere: la tragedia di Cucchi non ha insegnato niente

Com’è morto Oumar Dia, il ventunenne nato e cresciuto a Bergamo deceduto all’ospedale di Rozzano, nei pressi di Milano, dove era stato trasferito da poco dal carcere di Opera? Il tutto inizia nel 2020. Oumar Dia ruba un telefono e viene consegnato alla Polizia. Viene arrestato per qualche giorno senza che i suoi famigliari ne sapessero nulla. Poco dopo arriva la condanna: 6 mesi ai domiciliari che diventano 7 perché Dia viene colto fuori casa nonostante fosse ai domiciliari.

Dopo i mesi in carcere Dia viene trasferito in una comunità dedicandosi ai lavori socialmente utili con cui ripaga la refurtiva. Sogna di rifarsi una vita e trasferirsi a Londra ma il 7 luglio i carabinieri si presentano a casa della madre rassicurandola. “Si tratta solo della notifica di qualche verbale”, dicono. Non è così, Dia viene trasferito nel carcere di Bergamo. Poco dopo viene trasferito a Milano, in cella d’isolamento. I famigliari non riescono ad avere notizia dalle forze dell’ordine, dal carcere e dagli avvocati. “Dal carcere di Bergamo Oumar – denunciano amici e famigliari – è stato trasferito presso il carcere di Opera e solo tre giorni dopo il trasferimento la madre è stata avvisata del cambiamento.

Durante quei 3 misteriosi giorni le condizioni di Oumar sono totalmente oscure a famiglia e persone interessate”. Improvvisa e tragica la notizia della morte, giustificata dalle parole “è impazzito, era malato ed è morto improvvisamente”. Parole che non convincono nessuno, dato che Oumar, pochi giorni dopo la morte, sarebbe stato messo ai domiciliari. A questo si aggiunge la testimonianza della madre in cui racconta di avere trovato il corpo del figlio all’obitorio “legato con dei fili, mentre era passata ben una settimana dalla morte biologica”. Oumar Dia è stato arrestato lo scorso 7 giugno mentre rientrava a casa dal lavoro, per un fatto avvenuto due anni e mezzo prima.

Il giallo della morte di Oumar Dia in carcere

In seguito alla condanna a quattro anni e mezzo il giudice ha stabilito la sua detenzione nel carcere di Bergamo, nonostante Dia non avesse commesso altri reati. Lo scorso 26 ottobre la famiglia Dia è stata informata dell’inaspettato decesso di Oumar. Circa due settimane fa Oumar Dia è stato trasferito presso il carcere di Opera, ma la famiglia – secondo quanto racconta l’organizzazione no-profit ‘No justice no peace’ – sarebbe stata informata del trasferimento soltanto dopo alcuni giorni.

Non si sa cosa sia accaduto in quel lasso di tempo, nessuno conosce nemmeno il motivo del trasferimento presso la struttura ospedaliera. I famigliari e gli amici spiegano che “ora come ora la voce della famiglia e degli affetti di Oumar non è forte abbastanza per farsi sentire, ma la morte di Oumar non riguarda solo chi lo conosceva, riguarda chiunque in Italia abbia mai subito ingiustizia di qualsiasi tipo, riguarda qualsiasi umano che non tollera abusi di poteri ed ingiustizie a cielo aperto”.

La Cassazione ha intanto dichiarato prescritto il reato di falso per i carabinieri Roberto Mandolini e Francesco Tedesco già condannati in uno dei processi per la morte di Stefano Cucchi. I giudici della Suprema Corte hanno annullato senza rinvio riconoscendo il reato estinto per intervenuta prescrizione. Nel processo di appello bis Mandolini era stato condannato a tre anni e sei mesi e Tedesco a due anni e 4 mesi. Quest’ultimo è il militare dell’arma che con le sue dichiarazioni aveva fatto riaprire le indagini. “Roberto Mandolini. Colpevole e salvato dalla prescrizione”. Così Ilaria Cucchi ha commentato la decisione della Cassazione. Mandolini e Tedesco erano accusati di avere falsamente attestato, nel verbale di arresto di Cucchi, la rinuncia da parte del giovane romano alla nomina del difensore di fiducia.

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Cosa c’è di più stupido del soffiare su tutto questo?

Craig Mokhiber è il direttore dell’ufficio di New York dell’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite. Ieri ha deciso di dimettersi per urlare la sua impotenza (e quella dell’Onu) di fronte agli eccidi di questo tempo. 

“Ancora una volta – ha scritto Mokhiber nella lettera indirizzata all’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, Volker Turk – stiamo assistendo a un genocidio che si sta svolgendo sotto i nostri occhi e l’organizzazione che serviamo sembra impotente a fermarlo“. “Le Nazioni Unite – scrive – non sono riuscite a prevenire i precedenti genocidi contro i Tutsi in Ruanda, i musulmani in Bosnia, gli yazidi in Yemen e i Rohingya a Myanmar: Alto Commissario, stiamo fallendo di nuovo”.

Mokhiber aggiunge: “Come avvocato per i diritti umani con più di tre decenni di esperienza, so bene che il concetto di genocidio è stato abusato a livello politico, ma l’attuale carneficina contro il popolo palestinese non lascia spazio a dubbi”. Sulla guerra a Gaza spiega: “Questo è un caso da manuale di genocidio“, accusando nella sua lettera gli Stati Uniti, il Regno Unito e gran parte dell’Europa non solo “di rifiutarsi di rispettare i loro obblighi” ai sensi delle Convenzioni di Ginevra, ma stanno anche armando l’attacco di Israele e fornendo ad esso una copertura politica e diplomatica”. 

Mentre il genocidio si consuma nel pomeriggio dell’altro ieri, sei bombe da una tonnellata ciascuna hanno completamente distrutto un intero quartiere del campo profughi di Jabalia, Intanto a Parigi sono comparse stelle di David su case e negozi di ebrei. 

Cosa c’è di più stupido del soffiare su tutto questo?

Buon mercoledì.

Nella foto: il campo profughi di Jabalia dopo il bombardamento israeliano (frame del video di Euronews), 31 ottobre 2023

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Milano va sott’acqua, Comune e Regione non sanno che litigare

Il sindaco di Milano Beppe Sala tra le righe indica le responsabilità: “Questa notte la nostra città è stata colpita da una ‘bomba d’acqua’ di notevoli dimensioni. L’ultimo evento paragonabile risale al 2014. Segnalo che ieri sera (lunedì sera, ndr) era stata diramata dalla Protezione Civile regionale un’allerta gialla, quindi, in teoria, non preoccupante. Non è certo un’accusa, ma la constatazione di quanta imprevedibilità ci sia nelle condizioni meteorologiche”. Milano che vorrebbe essere la capitale europea della produttività annega. Il violento nubifragio che ha portato all’esondazione del fiume Seveso ha provocato un’emergenza che è durata fino a dopo mezzogiorno, nonostante le previsioni dicessero che sarebbe andata così. Come accade sempre per prima è finita sott’acqua Niguarda ma forti disagi sono stati segnalati anche nei quartieri Maggiolina e Isola, dove le strade si sono rapidamente riempite d’acqua.

Milano allagata, disagi e chiusure

La scuola Fabbri di viale Zara è stata chiusa così come diversi nidi della zona. L’assessore del Comune di Milano Marco Granelli sui social ha aggiornato la situazione: “Niguarda Seveso: esondazione in corso. Livelli Seveso ancora molto alti, anche a nord. Esondazione durerà per qualche ora. Allagati ora anche sottopasso Negrotto e Rubicone. Rubicone è poco e contiamo di riaprire a breve. Lambro alto ma non esondazione”. A scopo precauzionale sono state evacuate le comunità che si trovano all’interno del Parco Lambro. I cittadini di zona Niguarda e Pratocentenaro sono stati invitati a rimanere in casa. In alcuni palazzi è saltata la corrente elettrica.

“A Niguarda ci sono circa 4 mila utenze elettriche che sono saltate – spiega Stefano Indovino, presidente del consiglio di Municipio 9 – e quindi persone senza corrente da stamattina, questo è accaduto perché si sono allagate 6 cabine elettriche. Unareti, così come Amsa, è pronta a intervenire ma deve prima concludersi l’esondazione. Anche le pattuglie della polizia locale che abbiamo a disposizione non possono chiudere tutte le strade in un raggio di 5, 6 chilometri, e quindi il traffico è bloccato specialmente nelle zone in cui c’è particolare pericolo, dove la corrente è molto forte o dove l’acqua è molto alta”.

Il pregresso

La storia tra fiume Seveso e Milano è una storia decennale. Negli ultimi 50 anni sono almeno un centinaio le esondazioni che hanno provocato danni ingenti, come quella del 2010 che causò un danno totale di 70 milioni di euro. Dovrebbero migliorare la situazione le vasche di laminazione. Quella di Bresso dovrebbe essere attiva entro la fine dell’anno, che ormai è vicinissimo, mentre a Senago delle due vasche ne potrebbe arrivare intanto una entro i prossimi sei mesi. A Lentate e a Cantù non se ne parla prima di un anno mentre per la vasca tra Paderno e Varedo la situazione è complicata: oltre alla progettazione ci sarebbe una gara d’appalto che non è stata assegnata e che ora rischia di saltare per l’aumento dei prezzi dei materiali.

A Milano litigano Comune e Regione

L’assessore Granelli ieri sui social ha puntato il dito contro Regione Lombardia: “Milano è pronta, la vasca entrerà in servizio a fine novembre, ma mancano tutte quella della Regione Lombardia”, ha detto. Il presidente Attilio Fontana gli ha risposto a stretto giro: “Credo che Granelli si dovrebbe occupare di gestire meglio la città, perché credo che non siano mai successe tante situazioni come queste, che dimostrano un completo abbandono”.

Mentre le istituzioni litigano piove e presumibilmente – come accade d’inverno – pioverà. Ai cittadini che ieri si sono arrangiati tra mezzi pubblici bloccati o in ritardo e ai lavoratori che hanno dovuto rinunciare a raggiungere il posto di lavoro non serviranno i rimpalli di responsabilità. La stagione delle piogge è appena cominciata.

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Da Putin alla Lega, che paura di Halloween

Curiose consonanze. A Mosca Halloween l’hanno bollata come la “festa dell’Occidente satanista”. “Pratica mefistofelica” per i preti russi. Appuntamento da evitare per le autorità. In tempi di operazione militare speciale, Halloween è la celebrazione vietata in diverse parti della Grande Madre Russia perché non “coerente con i valori tradizionali fondamentali” e capace di provocare “un’influenza negativa sulle menti fragili”.

I giovani sono stati esortati a sostituire la festa con attività che “rafforzino i valori morali spirituali, sviluppino l’idea di patriottismo e preservino il patrimonio storico”. Per aggirare la censura religiosa e unirsi al divertimento del “dolcetto o scherzetto”, alcune scuole si sono inventate una nuova ricorrenza religiosa: la Festa del Redentore delle Zucche. Il monaco Makarij, autore di un noto blog su questioni ecclesiali, ha definito la presunta festa della Zucca “un colpo al cuore per il credente religioso, un’idiozia” mentre il sacerdote di Kazan, Aleksandr Ermolin, ha sottolineato come “il Redentore della Zucca non esiste nell’ortodossia russa. Stanno cercando di creare un sostituto di Halloween”.

Da noi il giornalista Mario Giordano aveva distrutto una zucca in diretta televisiva perché la festa è sbagliata se non è di denominazione di origine cristiana. “Simbolicamente noi oggi vogliamo dire abbasso Halloween e viva la festa di Tutti i Santi” aveva dichiarato Giordano dopo essersi sfogato sulle zucche finte che aveva in studio. Il leghista Pillon in Halloween vede Satana e la “perdita delle nostre tradizioni” barattate “con vuote liturgie consumistiche”. Vedi a volte le curiose consonanze.

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Un governo finto Green. Illuminato all’estero e oscurantista in Patria

Raccontò l’ex moglie di Umberto Bossi di essersi separata perché il fondatore della Lega Nord tutte le mattine usciva di casa con la valigetta da medico, dicendole sulla porta: “Ciao amore, vado in ospedale”. Bossi non era medico e gli mancavano sei esami per laurearsi. Uscire dalla porta di casa con una valigetta in mano per fingersi altro è un’eredità che Bossi ha regalato anche ai membri di questo governo, illuminati e diplomatici in trasferta mentre qui in Italia, a casa loro, perseguono il peggiore oscurantismo.

Alla Cop28 i rappresentanti del nostro governo spingono per la transizione. Ma poi in Italia la cannoneggiano

Ieri il ministro all’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin è intervenuto alla Plenaria di apertura della Pre-COP28 in corso ad Abu Dhabi con una dichiarazione con cui è impossibile non essere d’accordo: “Non vi è dubbio che sia dovere di tutti noi – ha detto il ministro – contribuire all’attuazione dell’Accordo di Parigi con la massima ambizione possibile, agendo con risolutezza entro il 2030 per ridurre le emissioni globali e procedere verso una traiettoria chiara di neutralità climatica. Un’azione ambiziosa per il clima è una azione equa, poiché riduce i rischi associati al riscaldamento globale, proteggendo i più vulnerabili dagli impatti peggiori”.

Negli Emirati Arabi Uniti devono aver pensato che il governo italiano abbia un ministro illuminato e progressista, attento anche alle disuguaglianze insite nella transizione energetica. “L’equità dovrebbe essere un fattore che favorisce la massima ambizione possibile di tutti i governi – ha detto Pichetto -. Tutti dobbiamo contribuire, e certamente in particolare quelli che attualmente emettono quote elevate di emissioni globali”. Il ministro, a tal proposito, ha sottolineato che “la scienza è molto chiara. La finestra di opportunità per agire per limitare gli effetti del cambiamento climatico è molto stretta e non possiamo pertanto perdere altro tempo. Ma la scienza ci fornisce anche soluzioni realizzabili per affrontare questa sfida globale. Ora è nostra responsabilità trasformarle in azioni”.

Il ministro ha spiegato anche che “politiche climatiche e scelte energetiche sono facce di una stessa medaglia, non si può parlare delle prime senza affrontare il tema della riduzione della nostra dipendenza dai combustibili fossili e al contempo assicurare la sicurezza energetica – ha avvertito -. In questo contesto, riteniamo che la COP28, attraverso il Global stocktake possa e debba dare indicazioni chiare, verso percorsi realistici che portino ad obbiettivi tangibili”. Per il ministro “triplicare la capacità di energia rinnovabile globale e raddoppiare il tasso di efficienza energetica attuale, ridurre drasticamente le emissioni di metano, eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili e adottare misure di mitigazione ambiziose in tutti i settori economici, sono tutti obbiettivi alla nostra portata”.

Il ministro Pichetto Fratin parla da ambientalista convinto al vertice di Abu Dhabi

Quando non ha la sua valigia per andare all’estero Pichetto Fratin però fa parte di un governo che smentisce quasi in toto le sue dichiarazioni. Non è un problema di credibilità politica internazionale – quella è una quisquilia – ma si tratta di sopravvivenza. Come può il ministro tollerare quindi la guerra (a suon di fake news) di alcuni suoi colleghi ministri alla mobilità elettrica Come si inserisca nel suo illuminato discorso la reazione scomposta di suoi alleati al via libera dell’Europarlamento alla legge sul ripristino della natura Matteo Salvini ha parlato infatti di “follia ideologica”, Francesco Lollobrigida di “farneticazioni della sinistra”, Antonio Tajani di “danni enormi”. Perché non zittisce chi sproloquia di “ideologia ambientalista”? Perché a capo di Enel e di Eni sono stati nominate personalità di lungo corso addirittura scettiche sul cambiamento climatico? Perché l’Italia è il sesto più grande finanziatore di combustibili fossili al mondo? Ma soprattuto la domanda più importante: perché il nostro ministro viene chiamato “della Sicurezza energetica” e non più “della Transizione ecologica”? Non resta che aspettare che glielo chieda qualcuno quando rientra a casa.

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Salvini fomenta la piazza. Così torna lo scontro di civiltà

All’ipocrisia di Matteo Salvini ci siamo abituati. In fondo è il ministro delle Infrastrutture eletto promettendo di abolire la legge Fornero, di fermare gli sbarchi, di rompere con l’Unione europea, di eliminare le accise sul carburante, di non ratificare il Mes (che tra poco il suo governo ratificherà) e altre decine di giuramenti traditi nel tempo di un soffio. Salvini è coerente solo con la sua incoerenza – spacciata per politica – che lo ha reso il re dei populisti di questi ultimi anni.

Il vicepremier Matteo Salvini accusa di razzismo Amnesty International e viene sconfessato dall’erede della Fallaci

Con la manifestazione che il leader leghista ha lanciato per il prossimo 4 novembre per “difendere l’Occidente” la sua azione compie un ulteriore salto di qualità passando allo sciacallaggio politico per fini elettorali. “Quella di sabato 4 novembre a Milano sarà una piazza aperta a tutti, pacifica, solare, con lo sguardo rivolto al futuro. Un’occasione per ribadire l’importanza delle libertà e della democrazia, della lotta al terrorismo, all’antisemitismo e al fanatismo islamista. Le conquiste e i diritti fondamentali che qualificano l’Occidente non possono essere messi in discussione. In un momento di gravi tensioni, l’Italia ha il dovere di rimarcare la propria collocazione fra i Paesi democratici e liberi”, ha scritto Salvini sui suoi social.

Certo, il lancio della manifestazione non è andato benissimo. Poche ore dopo l’annuncio del vice premier il primo schiaffo gli è arrivato da Edoardo Domenico Perazzi, erede universale di Oriana Fallaci nonché curatore del suo patrimonio materiale e immateriale, che non ha preso benissimo la strumentalizzazione dell’immagine della giornalista oltre ai morti sotto le bombe. Gli avvocati di Perazzi hanno scritto una nota in cui ricordano come “mai, per sua espressa volontà, la Signora Oriana Fallaci è stata associata nella sua vita direttamente o indirettamente a un partito o a un leader politico, avendo sempre rivendicato fermamente la propria indipendenza come elemento indispensabile per lo svolgimento della sua professione di giornalista e scrittrice”.

Dunque diventa “non opportuno” che “alcuna forza politica (di qualsiasi segno) utilizzi il nome e l’immagine di Oriana Fallaci per promuovere proprie iniziative, ciò ledendo la sua reputazione professionale”. Dubbi sull’opportunità di lucrare sulla guerra sono arrivati anche dagli alleati di maggioranza. La vice capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Augusta Montaruli, ha invitato a evitare “situazioni rischio” e il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè (Forza Italia) ha rincarato la dose: “Non si tratta di un errore, ma è solo una questione di opportunità. La preoccupazione è che andare in piazza in questo momento, inconsapevolmente, possa attirare elementi esagitati, fomentare chi non crede nei nostri valori e provocare forti contestazioni”. Entrambi sanno che il loro alleato vive proprio sul fomentare odio per spremerne voti.

La Lega prova a lucrare consensi persino sulla guerra. Malgrado i rischi del corteo pro Occidente di sabato

La Lega di Salvini del resto è diventata ciò che è aizzando gli sfinteri sui social contro un nemico al giorno. Il meccanismo de La bestia social era banalmente questo: additare un avversario per compattare l’elettorato. È la stessa molla con cui due giorni fa Salvini (condannato per i suoi cori razzisti contro i napoletani) ha avuto il coraggio di accusare di razzismo Amnesty Italia. Sarebbe interessante anche capire quali sarebbero i valori occidentali che Salvini si promette di difendere. A oggi il più grande pericolo dell’Occidente è senza dubbio il suo ex grande amico Vladimir Putin, il presidente russo che nel 2015 Salvini avrebbe voluto al posto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella (“Cedo due Mattarella per mezzo Putin”, scrisse).

Ma sarebbe utile capire se per “valori occidentali” Salvini intenda la visione della donna unicamente come produttrice di figli e nume tutelare della casa che il suo governo propina con forza, se intenda un valore occidentale ostacolare l’aborto in qualsiasi modo non potendolo abrogare, se intenda un valore occidentale l’oscurantismo di qualche Vannacci di turno che propaga a piene mani oppure se i valori occidentali che vorrebbe difendere sono le discriminazioni verso i cittadini stranieri e non bianchi. Stupisce anche che un ex ministro dell’Interno che si è auto proclamato il migliore in quel ruolo non sia in grado di comprendere una regola fondamentale: radunare migliaia di persone in piazza “contro” qualcuno significa esacerbare gli animi e solleticare estremismi che andrebbero gestiti con intelligenza.

È lo stesso motivo per cui il ministro alla Difesa Guido Crosetto ha deciso di ridimensionare gli eventi per la Festa delle forze armate e per cui a Parigi hanno deciso di cancellare gli Mtv European Music Awards. Una cosa è certa e va ripetuta allo sfinimento: peggio dei miasmi della guerra c’è solo l’empietà di chi la usa per arricchirsi economicamente e elettoralmente. A Salvini – e ad altri come lui – non interessa nulla né degli israeliani né dei palestinesi. Il conflitto è solo la leva per sollevare la propria propaganda, aggiustandola alla bisogna. Ognuno del resto usa l’etica che ha.

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Il Parlamento è nei loro salotti

La legge di Bilancio è stata presentata alla stampa il 16 ottobre. In quell’occasione la presidente del Consiglio Giorgia Meloni fece notare come la veloce compattezza del governo sulla manovra indicasse un’invidiabile compattezza di governo. “La maggioranza è compatta, fatevene una ragione”, ripetè Meloni anche sei giorni fa in Senato, in occasione delle comunicazioni al Senato in vista del Consiglio europeo. Oggi, 31 ottobre, la legge di bilancio non è ancora stata presentata al Parlamento. 

Nel frattempo sono circolate bozze mai smentite e mai del tutto confermato che hanno concimato un dibattito praticamente sul nulla. Perfino la dirigenza di Forza Italia ha perso la pazienza per il susseguirsi di voci senza nulla di scritto. Nei giorni scorsi abbiamo assistito anche alla spassosissima scena della presidente del Consiglio che tranquillizzava gli elettori a proposito del pignoramento immediato dei conti correnti da parte dell’Agenzia delle entrate. Ha promesso ai suoi elettori che nella manovra scritta dal suo governo non ci sarebbe stata una norma scelta da loro. Un capolavoro di attorcigliamento e di propaganda, con Meloni che si è posta come difenditrice degli italiani contro gli attacchi di Meloni. 

Nel frattempo i partiti di maggioranza hanno chiesto correzioni, chi strattonando da una parte e chi dall’altra, non potendolo fare in Parlamento visto che Meloni ha già preannunciato che non saranno accolti emendamenti. Quindi la discussione che avrebbe dovuto svolgersi in Parlamento di fronte gli italiani si è ridotta a una trattativa privata da governanti. Va così.

Buon martedì. 

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Stipendi da fame. Una lezione per l’Italia

Nell’indifferenza generale i sindacati statunitensi hanno ottenuto per i lavoratori della Ford un aumento di retribuzione di almeno il 30% dopo 50 giorni di sciopero sostenuto con fondi di solidarietà messo a disposizione dal sindacato dei lavoratori dell’auto statunitensi (Uaw). Poco dopo anche il gruppo Stellantis ha ceduto con un aumento di almeno il 25% delle buste paga mentre ieri è stata General Motors a ritoccare gli stipendi.

Negli ultimi dieci anni le tre principali aziende automobilistiche degli Usa hanno intascato 250 miliardi di dollari di profitti

Negli ultimi dieci anni le tre principali aziende automobilistiche degli Usa hanno intascato 250 miliardi di dollari di profitti. Gli stipendi dei manager erano aumentati del 40% mentre quelli degli operai erano rimasti bloccati. La disuguaglianza di trattamento ha spinto il sindacato a promuovere un’azione coordinata che ha coinvolto 150mila lavoratori, iniziando a colpire le fasi più delicate della produzione per poi allargarsi in veri e proprio picchetti. Da quelle parti è accaduto che la politica non si è limitata a rilasciare interviste in cui si accusavano i lavoratori di voler boicottare i poveri imprenditori appoggiata da qualche sfrenato editorialista liberale.

Joe Biden si è presentato personalmente a un picchetto per sostenere le ragioni della protesta e anche il suo prossimo sfidante, l’ex presidente Donald Trump, ha fatto lo stesso. Immaginare uno scenario del genere in Italia oggi sarebbe quasi impossibile. Sarebbe sicuramente impossibile che tutte le parti politiche sostengano una stessa causa rinunciando al mero calcolo dei posizionamenti. Sarebbe impossibile non ascoltare i “manager” frignare gridando all’esproprio proletario. Ma soprattutto sarebbe impossibile far notare che l’uguaglianza non si predica, si pratica. Soprattutto i sindacati.

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Israele-Hamas è il viagra social di un giornalismo da bulli del quartiere – Lettera43

Scorrendo Twitter – che ora si chiama X – ci si può imbattere nel post di un giornalista. Non è un giornalista di primo pelo, tutt’altro: è stato un cronista parlamentare e in giro qualcuno lo indica come «uno di massimi esperti» del centrosinistra. Il giornalista, come un adolescente incazzato che twitta durante la lezione, riprende un tweet di una consigliera Rai che pubblica la foto della manifestazione a Roma per la pace e chiede il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. «Abbiamo una consigliera della Rai su queste posizioni. È pure vicina al Partito democratico!», scrive indignato il nostro censore. E di corsa arriva un altro consumato editorialista di primo piano che rilancia: «Ma poi chi è? Che meriti ha? Perché dobbiamo pagare il canone Rai?». La scena è uno spaccato del Paese che diventiamo ogni volta che le guerre degli altri diventano un martello per sistemare piccole, stupide e inutili questioni domestiche.

Tanto a morire sono gli altri, qui al massimo si rischia una querela

La guerra è il viagra dei social. Non c’è niente di meglio di un conflitto (sempre rigorosamente sulla pelle degli altri) per trasformare i social network in un Colosseo dove ci si sfida a suon di mistificazioni, arguzie per niente argute e vendette trasversali. Se mille morti israeliani (o palestinesi o ucraini o armeni o russi o yemeniti) tornano utili per giustiziare il collega inviso o l’avversario politico, nessuno ci pensa due volte. Senza scrupoli si banchetta sull’amplificazione delle divergenze. Tanto a morire sono quegli altri e qui, male che vada, al massimo si rischia una querela.

La guerra Israele-Hamas è il viagra social di un giornalismo da bulli del quartiere
Bandiere di Israele (Getty).

Giornalismo che fa da cassa di risonanza dell’irresponsabilità

Un pezzo di giornalismo italiano baldanzoso decide di essere cassa di risonanza dell’irresponsabilità. E così si vede di tutto. In prima pagine di un quotidiano che fu progressista si accusa il segretario dell’Onu di avere pronunciato parole messe tra virgolette che non sono mai state pronunciate. Sarebbe un errore da bocciatura all’esame da giornalista e invece qui diventa addirittura un tema di dibattito. Attenzione, si dibatte del falso come se fosse vero, mica della condanna del falso. Nel tempo in cui serve responsabilità per controllare un’epoca già smisurata c’è il quotidiano che regala la bandiera, come un chiosco nei pressi dello stadio. Si lapida Patrick Zaki in prima pagina perché esprime le stesse riflessione di molti editorialisti israeliani ma a questi non interessa nulla di Zaki, nemmeno di Israele o della Palestina: è tutto un adolescenziale gioco di sponda per arrivare al proprio personalissimo fine.

La guerra Israele-Hamas è il viagra social di un giornalismo da bulli del quartiere
Manifestanti pro Palestina (Getty).

Ogni minuzia ridicola diventa una difesa «dei valori dell’Occidente»

Giornalisti che apparivano autorevoli nei loro editoriali e nelle loro compassate apparizioni televisive, con la guerra e con i social si trasformano in petulanti bulli di quartiere. Ogni minuzia, anche la più ridicola cazzata, diventa una difesa «dei valori dell’Occidente» dove l’Occidente è la compagnia di giro del bar sotto la redazione. La guerra svilita al ruolo di trappola nel proprio cortile, sperando che la preda ci capiti sopra. Gente che scrive libri con cui vorrebbe insegnarci la vita e il mondo molesta colleghi sui social chiedendo «perché non vedo condanne a Hamas?», oppure «perché non hai scritto le stesse cose per quella malefatta di Israele?».

La guerra Israele-Hamas è il viagra social di un giornalismo da bulli del quartiere
Guerra sui social tra giornalisti con il conflitto Israele-Gaza sullo sfondo (Imagoeconomica).

Salottini che sovrappongono le faccende di corte alle vicende internazionali

Potete metterci Vladimir Putin o Volodymyr Zelensky, il metodo è sempre lo stesso. Il giornalismo italiano è un arcipelago di salotti che sovrappone le faccende di corte alle vicende internazionali. I morti sono solo l’occhiello delle loro baruffe chiozzotte. E così mentre il mondo si infiamma il giornalismo da mezzo di comprensione diventa un acceleratore dell’odio: hater che scrivono libri sull’odio online e populisti che analizzano il populismo degli altri. Le conseguenza purtroppo invece sono serissime. Il crollo della credibilità dei giornali è una cosmesi linguistica, per non dire del crollo della credibilità dei giornalisti. Il lettore medio pensa: «Perché dovrei leggere le opinioni di qualcuno che scoreggia sui social esattamente come me e che so esattamente che parte prenderà immaginando gli interessi della sua cerchia?».

Alla fine per cercare informazioni ci si rivolge agli influencer

Chiedere la pace significa essere amici di Hamas (come di Putin). Giornalisti presi sul serio che accusano l’Anpi di fascismo, Amnesty di razzismo e intere redazioni di antisemitismo. I giornalisti che sono sul campo, sotto le bombe, che scompaiono nel dibattito generale. E alla fine inevitabilmente è più rincuorante affidarsi agli influencer per cercare informazioni, in un cortocircuito – quello sì – populista che impoverisce tutto il resto. La senatrice a vita Liliana Segre qualche giorno fa si chiedeva (e ci chiedeva) come ci potesse essere «tanto odio» in Medio Oriente. Forse era una domanda retorica.

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Il senso di Salvini per il razzismo

Dopo Zerocalcare anche Amnesty Italia ha comunicato che non parteciperà al Lucca Comics&Games 2023. “Il patrocinio dell’ambasciata israeliana al Lucca Comics ci spinge a rinunciare alla nostra presenza”, ha scritto l’associazione sul suo profilo X. “Comprendiamo sia prassi consolidata il patrocinio di ambasciate dei Paesi di provenienza degli artisti che realizzano l’immagine del festival ma non possiamo ignorare che le forze israeliane stanno incessantemente assediando e bombardando la Striscia di Gaza, con immani perdite di vite civili”, spiega. 

Nella furia bellicista gli stessi che avrebbero voluto vietare ai gatti russi di partecipare alle esposizioni feline si sono strappati i capelli per la decisione di Amnesty, polarizzando uno scontro che inevitabilmente darà al mondo i suoi frutti marci, aumentando ancora di più il reciproco odio. 

Tra le conseguenze orribili della furia bellicista c’è la riabilitazione degli ipocriti se sono utili alla causa e così il ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini si sente legittimato perfino nel dare patenti di razzismo. Il leader della Lega assicura di “razzismo” Amnesty pochi giorni dopo avere contestato la scelta di Zerocalcare annunciando che sarebbe andato alla manifestazione, probabilmente per fare un disegnino del Ponte sullo Stretto. 

Il punto è che l’esperto di razzismo è proprio Salvini. Come ha ricordato il portavoce di Amnesty Riccardo Noury. E già condannato per avere violato la legge Mancino per un coro contro i napoletani: una persona che discrimina i meridionali e dà patenti di razzismo è la fotografia del momento. Ed è un momento buio. 

Buon lunedì. 

 

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