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La pace utile ai signori della guerra

Ieri il il presidente del governo israeliano ha testualmente detto: “Coloro che osano accusare i nostri soldati di crimini di guerra sono persone imbevute di ipocrisia e di menzogne che non hanno una sola goccia di moralità”. Benjamin Netanyahu afferma che l’esercito israeliano è “l’esercito più morale del mondo” e “fa di tutto per evitare di danneggiare coloro che non sono coinvolti”.

Ieri il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato che l’esercito israeliano è “l’esercito più morale del mondo”

Ieri il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, durante una visita a Kathmandu, capitale del Nepal, ha testualmente dichiaro: “La situazione a Gaza sta diventando sempre più disperata di ora in ora”. “Mi rammarico che invece di una pausa umanitaria estremamente necessaria, sostenuta dalla comunità internazionale, Israele abbia intensificato le sue operazioni militari”, ha aggiunto. “Il numero di civili uccisi e feriti è assolutamente inaccettabile”, ha sottolineato Guterres, aggiungendo che “il mondo è testimone di una catastrofe umanitaria che si svolge davanti ai nostri occhi”.

“Più di due milioni di persone, senza un posto sicuro dove andare, si vedono negare gli elementi essenziali per la vita – cibo, acqua, riparo e assistenza medica – mentre sono sottoposte a bombardamenti incessanti. Esorto tutti coloro che hanno responsabilità a fare un passo indietro sull’orlo del baratro”, ha concluso. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) ieri ha messo in guardia contro il collasso dell’”ordine pubblico” a Gaza dopo il saccheggio di diversi magazzini e centri di distribuzione di aiuti alimentari che gestisce nella Striscia.

Tre giorni fa l’agenzia dell’Onu ha confermato la morte di 57 suoi membri a Gaza. Nel frattempo vediamo gente che si professa e si professava vicina a Gino Strada non avere più il coraggio di pronunciare la frase “cessate il fuoco”. Sono i nuovi profeti del “pacifismo” cosmetico che prevede solo la pace utile ai signori della guerra.

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Uso indebito dei rimborsi Ue. Rivellini braccato da Bruxelles

Secondo Politico.eu c’è un italiano ex membro del Parlamento europeo che si rifiuta di restituire 250mila euro che sarebbero stati usati infrangendo le regole Ue per una società che non ha mai svolto nessun servizio e che fa riferimento a una persona con cui l’ex eurodeputato è coinvolto sentimentalmente. Crescenzio Rivellini è stato a Bruxelles nelle file del Partito popolare europeo dal 2009 al 2014, eletto con il Popolo della libertà (poi diventato Forza Italia).

L’ex eurodeputato Crescenzio Rivellini deve restituire oltre 250mila euro. E il Parlamento europeo gli taglia la pensione

Di lui ci si ricorda per l’incarico di presidente della Delegazione interparlamentare per i Rapporti con la Repubblica Popolare Cinese e per essere intervenuto in aula parlando in dialetto napoletano per “porre all’attenzione europea i problemi del Mezzogiorno”. Ma a tenere viva la sua memoria a Bruxelles è soprattutto l’indagine che lo riguarda, portata avanti dall’ufficio antifrode dell’Ue (Olaf), secondo cui Rivellini avrebbe versato decine di migliaia di euro dal suo bilancio d’ufficio a una società di proprietà di Bianca Maria D’Angelo, che era la sua assistente parlamentare quando il contratto è stato firmato e in seguito è diventata sua partner, violando le regole Ue sul conflitto di interessi.

Dal canto suo l’ex eurodeputato (nel 2019 traslocato alla corte di Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni) si rifiuta di versare il dovuto. A gennaio del 2022 il direttore generale del Parlamento per le finanze, Didier Klethi, ha scritto a Rivellini una lettera ufficiale in cui chiede la restituzione di 252.321,38 euro, intimando un pagamento entro marzo di quell’anno per non incorrere in ulteriori sanzioni. Rivellini non ha pagato e così l’Ufficio di presidenza – l’organo che si occupa di questioni interne, comprese le norme che disciplinano gli europarlamentari, l’assunzione di personale e l’acquisizione di proprietà – ha discusso il suo caso in una riunione lo scorso aprile. Alla riunione, i legislatori dell’Ue hanno respinto all’unanimità l’appello di Rivellini contro il Parlamento che invano tenta di recuperare le somme ormai dall’ottobre 2021. Così Strasburgo ha iniziato a trattenere somme dalla sua pensione.

L’ex FI e FdI avrebbe dato soldi alla società della sua compagna, oggi consigliera comunale a Napoli

Nel rapporto finale dell’Olaf si fa riferimento all’assunzione della sua assistente D’Angelo con un costo di 32mila euro per cinque mesi di lavoro. Gli investigatori però non hanno trovato “nessuna prova” che abbia lavorato per lui o che addirittura si sia trasferita a Bruxelles, stabilendo quindi che si trattasse di una “falsa assunzione”. In quel periodo Rivellini ha anche assegnato un ricco appalto pubblico a una società intestata all’assistente (Congressi e Comunicazione) apparentemente per fornire aiuto nell’organizzazione di eventi e nella gestione della sua campagna elettorale. Gli investigatori Olaf hanno interrogato sia Rivellini che D’Angelo nel 2018 e dopo un “controllo in loco” presso l’indirizzo dell’azienda a Napoli nello stesso anno hanno concluso che non ci siano prove che la società abbia fornito servizi all’eurodeputato.

La coppia si è difesa spiegando che la loro relazione sarebbe iniziata solo nel 2010, quindi dopo la gara d’appalto, ma nel rapporto dell’Olaf visionato dai giornalisti di Politico.eu si sottolinea come la convenzione sia stata comunque rinnovata anche l’anno successivo. Rivellini si è poi ricandidato alle elezioni europee nel 2014, alle elezioni politiche del 2018 e alle elezioni regionali in Campania del 2020 senza riuscire a essere più eletto. La compagna Bianca D’Angelo è stata assessora alle politiche sociali nella giunta di Stefano Caldoro alla Regione Campania dal giugno 2014 per due anni e ora è in Consiglio comunale a Napoli: attualmente è presidente della commissione trasparenza.

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Altro che rave party azzerati. A destra mentono sapendo di mentire

Ah, la propaganda! Così facile da spargere e così facile da demolire, in un anno di governo in cui gli annunci senza seguito e i proclami senza fondamento vengono ribattuti dalla gran cassa della politica e dei media assoggettati. Il trombettiere principe della propaganda è sempre lui, Matteo Salvini da Milano, ministro delle Infrastrutture, vice presidente del Consiglio, capo della Lega e strenuo nemico della droga se i drogati non sono ultrà milanisti, ex collaboratori o simpatizzanti politici. Il 25 ottobre Salvini ha condiviso sui social una grafica con la scritta: “In un anno azzerati i rave illegali”. “Bene così, dalle parole ai fatti contro illegalità, droga e degrado”, ha scritto, facendo riferimento a un articolo del quotidiano Libero.

Raffica di balle da Salvini a Delmastro sui rave party. Per negare il flop del loro decreto bandiera

Il giorno precedente anche il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove (Fratelli d’Italia) rivendicava: “Eravamo maglia nera di tutta Europa”, “meta europea di sballoni che invadevano terreni”, ha scritto sempre sui social, affermando di non ricordare più “un solo rave party” da quando è entrato in carica il governo Meloni.

Perché la maggioranza di scaldi tanto su qualche festa in mezzo ai campi mentre il mondo brucia con le guerre a Gaza e in Ucraina è comprensibile: il cosiddetto decreto sui rave party è stato il primo atto politico del governo appena insediato. Era il 31 ottobre dell’anno scorso e la stampa nazionale si era focalizzata su un rave organizzato in un capannone abbondante nei pressi di Modena, in Emilia Romagna. Da lì è partito il panpenalismo dell’esecutivo che in dodici mesi ha dimostrato di avere nel cassetto un decreto buono per qualsiasi notizia di cronaca. Ne è uscita una legge che risulta essere la più severa tra Francia, Regno Unito, Germania e Spagna, come se fosse davvero un’emergenza nazionale. Un anno dopo la maggioranza ha pensato che i tempi fossero maturi per rivendicarne i risultati.

Pagella Politica ha scovato un rave organizzato a Roma dai liceali dei licei Virgilio e Mamiani e un altro al Parco degli acquedotti

Ma si sbagliano. Pagella Politica si è messa a spulciare la cronaca di questi ultimi dodici mesi e ha scovato un rave a fine febbraio organizzato a Roma dai liceali dei licei Virgilio e Mamiani a cui hanno partecipato centinaia di persone al Ponte della musica. A marzo di quest’anno, sempre a Roma, il reparto Mobile della Questura di Roma è intervenuto per sgomberare un rave party al Parco degli acquedotti. Non si ha notizia di pene esemplari. è notizia di aprile invece quella dei residenti del quartiere romano Testaccio che lamentano come alcuni spazi dell’ex mattatoio siano diventati spazi per feste illegali che vanno avanti tutta la notte.

Stupisce che Delmastro e Salvini non ne siano informati: Francesco De Salazar, consigliere Municipio II di Fratelli d’Italia, e Federico Rocca, consigliere dell’assemblea capitolina FdI, se ne sono pubblicamente lamentati con una nota ufficiale. Come scrive Davide Leo per Pagella Politica “durante l’estate fonti stampa hanno dato notizia di rave party illegali organizzati in Emilia-Romagna, in Lombardia, in Veneto e in provincia di Avellino, in Campania, dove due agenti di polizia impegnati nei controlli sono stati investiti.

A ottobre invece, pochi giorni prima che Salvini e Delmastro parlassero di ‘rave azzerati’, a Monza è stato scoperto un rave party illegale in un capannone”. Attenzione, questi sono semplicemente i rave di cui si ha notizia. Com’è facilmente immaginabile per loro natura i ritrovi illegali vengono pubblicizzati solo in circuiti riservati e si fanno notare solo se causano problemi di ordine pubblico. Ma bastano solo questi, rintracciabili con una veloce ricerca sulla stampa, per dirci che ancora una volta dal governo mentono sapendo di mentire.

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La retorica anti-immigrazione del governo Meloni e la deriva dei centri di detenzione – Lettera43

Per corroborare la retorica contro l’immigrazione il governo Meloni ha scelto, intanto, di investire sui centri di detenzione. Una non-soluzione del genere consente nel breve periodo di cavalcare i sentimenti al limite della xenofobia che servono per tenere buoni gli elettori più affamati che hanno dovuto ingoiare l’impennata estiva di sbarchi. Nelle intenzioni del governo la costruzione di nuovi Cpr (i centri di permanenza e di rimpatrio) dovrebbe avere lo stesso effetto di una caserma dei carabinieri costruita in una movimentata periferia per rassicurare i passanti sulla presenza dello Stato. Fa niente che secondo i dati Eurostat l’Italia sia fanalino di coda nel secondo trimestre del 2023 con soli 735 rimpatri, mentre la Germania nello stesso periodo ne ha effettuati 2.700 seguita da Francia, Svezia e Grecia. Al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi toccherebbe spiegare che le principali nazioni di appartenenza dei migranti rimpatriati sono Georgia, Albania, Moldavia, Turchia e India, mentre i Paesi di provenienza della maggior parte dei migranti che raggiungono le coste italiane sono quelli dell’Africa mediterranea e dell’Africa subsahariana: Tunisia, Egitto, Guinea e Costa d’Avorio. Si tratta di Stati che spesso non hanno stretto alcun accordo con Roma per i rimpatri, nonostante il gran daffare della presidente del Consiglio nei suoi viaggi internazionali in nome del cosiddetto piano Mattei.

La retorica anti-immigrazione del governo Meloni e la deriva dei centri di detenzione
Una struttura usata come centro di permanenza e rimpatrio (Ansa).

Niente igiene né privacy: «Un processo di deumanizzazione»

Per avere un’idea di cosa siano i Cpr si può leggere il recente dossier dell’associazione Naga e della rete Mai più Lager – No ai Cpr che ha spiato dal buco della serratura il centro di Milano in un periodo di osservazione da maggio 2022 al maggio 2023. Il dossier descrive l’ostruzionismo opposto a qualsiasi tentativo di accesso sia fisico sia virtuale al Cpr e tutto quello che abbiamo potuto (intra)vedere: da fuori e da dentro. Cosa accade in un Cpr? Appena arrivate, le persone – si legge nel rapporto – vengono sottoposte a una visita medica, spogliate nude e obbligate a fare flessioni per espellere eventuali oggetti dall’ano, alla presenza del personale medico e di agenti di polizia. La visita medica si riduce alla domanda «come stai?». Niente esami, niente visite. A quel punto ogni nome diventa un numero, in quello che nel report viene definito «un evidente processo di deumanizzazione». Il racconto del trattenimento “tipo” è caratterizzato dallo squallore dei miserrimi moduli abitativi e dei servizi, passando per la totale mancanza di igiene e privacy dei bagni per arrivare ai pasti impresentabili e farciti di vermi. Lenzuola di carta, armadietti a vista murati e senza ante, bagni e docce senza porte (solo separé di plastica bianca, aperti in alto e in basso); l’acqua corrente, a periodi è solo gelata o solo bollente, cartelli di “acqua non potabile” compaiono e poi scompaiono.

La retorica anti-immigrazione del governo Meloni e la deriva dei centri di detenzione
Minori tra i migranti (Ansa).

Una prigionia tra fame, crisi epilettiche e tentativi di suicidio

Nelle stanze e nel cortile il freddo è pungente o il caldo è asfissiante. Il cortile è coperto da plexiglass che fa da tetto e ciò ha come risultato che è impossibile fruire di reali spazi aperti e si crea invece un “salutare” effetto serra. E ancora, la fame, le sedie di metallo inchiodate a terra, un tavolo unto e appiccicoso, piccioni che pasteggiano sul pavimento tra gli avanzi di cibo in sala mensa, sbarre sbarre sbarre, il portone metallico pesante della prigione, che si chiude. Il dossier conduce nell’abisso della zombizzazione delle persone trattenute, abbandonate, inascoltate nelle loro necessità e nei problemi di salute anche gravi. Nel rapporto si legge una quotidianità fatta di pugni sul portone, grida, richieste di aiuto, calci sferrati alla porta, persone sanguinanti, altre che cadono a terra, crisi epilettiche, tentativi di suicidio, ingestione di lamette, pile, tappi, incendi, fumo, migranti costretti a dormire in terra, stare male. Nessuna cura tempestiva, nessuna attenzione, nessun aiuto.

La retorica anti-immigrazione del governo Meloni e la deriva dei centri di detenzione
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (Imagoeconomica).

Persone giovani, sane e forti trasformate in zombie scoloriti

Gli avvocati parlano di persone giovani, sane e forti si trasformano in poche settimane in zombie scoloriti e disorientati dagli psicofarmaci. Accade così il capolavoro della più disumana inettitudine politica: «J.M. viene dichiarato inidoneo al trattenimento», si legge, «a seguito di visita oncologica di cui non vi è traccia nei documenti inviatici. Il suo rilascio è avvenuto solo dopo che il suo avvocato aveva richiesto la cartella clinica, che non gli è stata inviata, e grazie all’intervento del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Dopo essere stato liberato, il paziente è stato certificato come talmente grave che, ai sensi della normativa vigente, non può essere rimpatriato».

Costruire un Panopticon, ossia l’incarnazione della sorveglianza totale

Secondo alcune indiscrezioni pubblicate da Domani l’idea del governo sarebbe quella di realizzare strutture circolari a moduli, come le carceri. Saranno nove in tutto. Emergono anche le località selezionate da Piantedosi e Guido Crosetto: da Ferrara a Castel Volturno fino a Bolzano e Aulla in Toscana. Ciascuno costerà almeno 2 milioni di euro e avranno una forma circolare. Con moduli abitativi da assembleare e un Panopticon. Ossia l’incarnazione della sorveglianza totale. Per realizzarli ci vorranno due anni. E i costi supereranno ampiamente quelli previsti dal decreto che li istituisce. Poiché in Italia i diritti umani diventano argomento politico solo dopo la loro violazione ciò che sta accadendo è un’inchiesta che sembra venire dal futuro. Chissà se c’è qualcuno che riesce a leggerla in tempo.

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Fascina, fine lutto mai. A carico dei contribuenti

Se siete un lavoratore qualsiasi avete diritto, per legge, a tre giorni lavorativi all’anno di permesso retribuito per lutto familiare, ossia per la morte del coniuge, di un parente entro il secondo grado o del convivente. Sempre che abbiate la fortuna di avere un contratto, di avere uno stipendio. Se siete Marta Fascina e avete avuto l’onore di essere la convivente di Silvio Berlusconi invece di giorni ne avete quanti ne volete, regolarmente pagati con soldi pubblici nonostante abbiate appena incassato un’eredità stratosferica.

Marta Fascina ha promesso da Vespa che svolgerà il mandato parlamentare che gli è stato conferito dai cittadini

Ancora meglio: potete lasciare sguarnito il posto alla Camera dei deputati incassando comunque il lauto compenso e nel frattempo finire nell’abituale bestseller natalizio di Bruno Vespa. Marta Fascina racconta a Vespa di avere “fatto politica fin da adolescente”, convinta davvero di poterci convincere di avere quel posto per merito. E promette di continuare “a svolgere il mandato parlamentare che mi hanno conferito i cittadini”, dimenticando di essere stata eletta con una legge elettorale in cui i cittadini possono solo ingoiare le scelte dei capi di partito (nel suo caso dell’ex proprietario di partito, a voler essere precisi).

Delle esperienze di Fascina si sa solo che ha lavorato nell’ufficio stampa del Milan – che con la politica ha poco a che fare – prima di essere adocchiata da Berlusconi e catapultata in un seggio blindato, diventandone anche la fidanzata ufficiale con tanto di matrimonio simulato. Il dolore di Marta Fascina per la morte del compagno è un sentimento privato (nonostante sia reso pubblico nel libro di Vespa) ma la misura e la dignità del proprio ruolo politico sono cosa pubblica. Come direbbe Silvio, si contenga.

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Oggi la manifestazione per la pace senza simboli di partito

Ieri a margine dell’assemblea del Partito socialista europeo (Pse) la segretaria del Partito democratico Elly Schlein ha ribadito che il suo “auspicio è che così come il Parlamento ha chiesto”, ci sia “una pausa umanitaria che permetta di far arrivare tutto l’aiuto umanitario necessario alla popolazione di Gaza, anche il leader europei nella loro discussione possano addivenire alla stessa posizione”. “Quindi noi esprimiamo questo auspicio fortemente. Ne discuteremo anche ora al pre-vertice socialista”, ha aggiunto: “L’ho chiarito anche ieri: non è possibile vedere colpiti obiettivi come scuole, ospedali, chiese; bisogna che ci siano delle safe zone, e che ci sia una vera sicurezza, garantita per tutti i civili, che non possono diventare ulteriori vittime di questo conflitto”.

I dem parteciperanno con una delegazione alla manifestazione per la pace in programma oggi in diverse città

“Così, – ha spiegato la segretaria del Pd – mentre lavoriamo per evitare una escalation, un allargamento del conflitto, la priorità è senz’altro quella umanitaria, di garantire tutti gli aiuti, i corridoi umanitari, e naturalmente la sicurezza della popolazione, particolarmente nella situazione drammatica di Gaza dove le vittime sono già troppe”. La segretaria del Pd da giorni prova a puntellare la sua posizione senza scontentare la componente pacifista tra i suoi elettori (anche fuori dal partito) e senza prestare il fianco ai suoi oppositori interni che non vedono l’ora di poterla accusare di morbidezza nei conforti di Hamas, come già succede per la guerra in Ucraina.

La segretaria del Pd Schlein è in bilico. Teme il fuoco amico dell’ala di Guerini

Il gioco della corrente di minoranza dem Base riformista (Lorenzo Guerini in testa) è lo stesso – come accade su altri temi – dei cosiddetti liberali: se qualcuno invoca la pace è accusato di collaborare con il nemico. Non è un caso che nel pomeriggio di ieri a puntellare la posizione di Schlein sia dovuto intervenire il senatore Antonio Misiani, responsabile economico del Pd, che durante la trasmissione Ping Pong su Radio 1 ha risposto a chi gli faceva notare che la segretaria non avesse mai “twittato contro Hamas” spiegando che “non si può ridurre la posizione del Pd all’ex Twitter della segretaria”: “in realtà Schlein, al di là di Twitter, ha espresso una posizione di netta condanna di Hamas senza scordare l’importanza della soluzione ‘due popoli due stati’. Nessuno mette in discussione il sacrosanto diritto all’esistenza di Israele. La giustizia però non deve diventare vendetta, bisogna garantire l’incolumità anche dei palestinesi”, ha aggiunto Misiani.

Conte c’è. Al corteo anche Bonelli e Fratoianni. No alla strategia del governo sulle guerre

Alla fine le forze progressiste dell’opposizione oggi saranno in piazza per le manifestazioni per la pace in Medio Oriente organizzate in diverse città italiane da Amnesty International e dall’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (Aoi), e a cui hanno aderito numerose altre associazioni. Parteciperanno esponenti di Pd, M5s, Verdi e Sinistra italiana. Non ci saranno rappresentanti di Azione e di Iv. A Roma è prevista una fiaccolata in piazza Esquilino, alle 18,30. Ci saranno il coportavoce dei Verdi Angelo Bonelli e il presidente del M5s Giuseppe Conte.

“Accantoneremo il simbolo del M5s e useremo i colori della pace – ha annunciato nei giorni scorsi Conte – Aggiungo che a livello personale aderirò anche alla giornata che il Papa ha indetto di preghiera e digiuno”. Difficilmente potrà partecipare alle iniziative la segretaria Pd, Schlein, che sarà impegnata a Mestre in un incontro programmato da tempo per presentare le proposte del partito per la casa. In piazza, “tra i molti cittadini – ha detto il responsabile esteri del Pd, Peppe Provenzano – sicuramente ci saranno anche tanti esponenti del Pd”. Il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, sarà a Milano, dove è in programma una iniziativa alle 19, in piazza Castello.

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Puf! La tassa sugli extraprofitti delle banche non la paga nessuno

La tassa sugli extraprofitti delle banche che ha contribuito a disegnare la presidente del Consiglio Giorgia Meloni come “donna forte al comando” non c’è più. Dopo UniCredit anche Intesa San Paolo, la banca italiana guidata dal ceo Carlo Messina, quella tassa sugli extraprofitti delle banche varata dal governo Meloni, non la pagherà.

Nel corso della conference call con gli analisti nei giorni scorsi, il ceo di UniCredit Andrea Orcel ha ricordato che, con quell’ultima versione della misura sbandierata con orgoglio dalla stessa presidente del Consiglio Meloni, due sono le opzioni che il governo italiano ha messo a disposizione delle banche italiane: «una era pagarla, l’altra era di rafforzare le nostre riserve e non pagarla, a meno che queste non vengano distribuite in un secondo tempo». E UniCredit ha deciso di rafforzare le sue riserve, destinando 1,1 miliardi a riserve proprie non distribuibili. 

Due giorni fa anche Intesa San Paolo ha emesso un comunicato di “destinare a riserva non distribuibile un importo pari a circa 1.991 milioni di euro, corrispondente a 2,5 volte l’ammontare dell’imposta di circa 797 milioni, in luogo del versamento di tale imposta, avvalendosi dell’opzione prevista dal predetto provvedimento” annunciando che “la Capogruppo darà indicazione alle banche controllate interessate dal provvedimento (Fideuram, Intesa Sanpaolo Private Banking e Isybank) di adottare analogo orientamento”. Sostanzialmente, invece di versare la tassa sugli extraprofitti, la banca ha deciso di destinare a riserva una somma che ammonta a circa 2 miliardi di euro.

Così la “tassa sugli extraprofitti delle banche” si aggiunge alla collezione di annunci irrealizzati.

Buon venerdì. 

Nella foto: la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il ministro dell’Economia e Finanze, Giancarlo Giorgetti, il vice Ministro Maurizio Leo, e i vice presidenti del Consiglio e ministri, AntonioTajani e Matteo Salvini (governo.it), Roma, 16 ottobre 2023

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Salvini novello Fornero. Credibilità sotto zero

Matteo Salvini, leader della Lega nonché ministro delle Infrastrutture nonché vice presidente del Consiglio, durante l’intera campagna elettorale ha promesso ripetutamente “il superamento della legge Fornero”. A ben vedere Salvini quando Elsa Fornero era ministra ha lanciato una vera e propria “caccia” che aveva assunto contorni preoccupanti simili alla persecuzione, costringendola a “difendersi” più del dovuto dalle intemperanze dei leghisti più esagitati.

Il leader della Lega Matteo Salvini durante l’intera campagna elettorale aveva promesso ripetutamente “il superamento della legge Fornero”

Come ha osservato giustamente il deputato di Italia viva Luigi Marattin “a ripristinare la versione ‘dura’ della legge Fornero ci hanno pensato Meloni e Salvini, i due politici che in questi anni sono passati dal 4 al 30 per cento, giurando solennemente che una volta al governo avrebbero abolito la legge Fornero”. La legge che Salvini aveva promesso di abolire è addirittura rafforzata, con buona pace del ministro leghista che si è sbriciolato di fronte alle richieste del suo compagno di partito, il ministro all’Economa e alle Finanze Giancarlo Giorgetti.

Giorgetti, tanto per suggellare l’ipocrisia, è anche il vice segretario della Lega. Salvini aveva anche promesso il ripristino delle Provincie che invece dalla manovra subiscono un ulteriore taglio di 50 milioni di euro mentre gli affitti brevi che il leader della Lega aveva promesso di difendere con forza subiscono un rincaro della cedolare secca dal 21 al 26%. “La proprietà privata è sacra”, aveva stentoreamente dichiarato Salvini. Non l’ha ascoltato nessuno. Dicono che il governo sia “compatto”. Ci crediamo, per carità. Ma è impossibile non domandarsi quanto “compatta” sia la credibilità di Salvini con i suoi elettori.

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A Foggia stravince il campo largo. E Calenda inizia a picconarlo

Carlo Calenda, il pendolo. Il leader di Azione nel bel mezzo del divorzio dall’ex alleato Matteo Renzi con cui sta litigando per spartirsi i soldi del gruppo al Senato (con il presidente La Russa nel ruolo del giudice divorzista) esulta per l’ottimo risultato del suo partito alle amministrative di Foggia. “Complimenti a Maria Aida Episcopo, neoeletta sindaca di Foggia, e a tutti i nostri dirigenti e candidati che hanno partecipato a questa tornata amministrativa. Un grande lavoro, che ha portato a ottimi risultati. Avanti così”, scriveva due giorni fa sottolineando anche l’ottimo risultato della lista comune con Italia Viva, che ha ottenuto l’8,3%.

A Foggia è andato in onda un campo quasi larghissimo. Pd, M5S e Azione hanno permesso l’elezione di Episcopo. Ma Calenda ha subito tirato il freno a mano

Nelle elezioni del comune pugliese, sciolto due anni fa per infiltrazioni mafiose, è andato in onda un campo largo, quasi larghissimo, che ha messo insieme il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte (che in questi giorni rivendica con forza la scelta della candidata), il Partito democratico guidato dalla segretaria Elly Schlein e Calenda con Azione. La segretaria del Pd sottolinea come le elezioni di Foggia siano “la dimostrazione che quando ci uniamo e costruiamo un progetto per la comunità, scegliendo una candidatura credibile, l’alternativa a queste destre c’è”. Ma Calenda ha subito tirato il freno a mano.

Alla domanda se l’alleanza fosse replicabile sul piano nazionale il leader di Azione in onda nella trasmissione Cinque minuti su Rai 1 ha risposto nettamente: “No, non si può immaginare perché non è quella la soluzione. Io non credo che M5S e Pd potrebbero stare insieme a governare il Paese, perché hanno idee diverse a partire dalla politica internazionale. A Foggia. Ha proseguito Calenda c’era una situazione molto particolare, perché era un Comune che era stato sciolto per legami con la criminalità organizzata. Non si poteva pensare che tornasse da quelle parti lì. Abbiamo fatto scelte di natura eccezionale”.

Al leader di Azione non vanno bene i 5 Stelle perché populisti e non va bene il Pd perché amico dei populisti

Ricapitolando: a Calenda non vanno bene i 5 Stelle perché populisti, non va bene il Pd perché amico dei populisti, non va bene Renzi perché “inaffidabile”, con +Europa ha rotto in occasione delle ultime elezioni politiche e con la destra – a sentir lui – non vuole nemmeno immaginare un’alleanza elettorale. Quindi che fa Calenda Pendola.

Leggi anche: Rissa finale Renzi-Calenda. Ultima lite sulla cassa. Salta la mediazione del divorzista La Russa 

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Vietato parlare di cessate il fuoco. Nel Pd è guerra pure sulla pace

Non si sono ancora posati i bicchieri dei festeggiamenti in occasione della vittoria alle amministrative di Foggia e il “campo largo” tra Partito democratico e Movimento 5 stelle scricchiola sul solito tema: la pace. Il presidente del M5S Giuseppe Conte ha annunciato che “il M5S aderirà alle manifestazioni del 27 ottobre (domani) che si svolgeranno in tutte le città italiane per porre fine alle violenze nel conflitto israelo-palestinese, indette dalla rete Pace e disarmo” pur partecipando senza simboli di partito che lasceranno spazio alle bandiere della pace.

I rapporti tra Partito democratico e Movimento 5 stelle scricchiolano sul solito tema: la pace

Dall’altra parte la segretaria del Pd, Elly Schlein, deve fare i conti con le divisioni interne con i soliti noti della corrente Base riformista (l’ex ministro alla Difesa Lorenzo Guerini in testa) che leggono ogni passo verso la pace come un tradimento nei confronti degli israeliani e la fronda più vicina a alla leader (con Marco Furfaro attivissimo in queste ore) che sottolinea la stonatura di un partito che rinunci a esprimere una condanna alla guerra.

È un’operazione di equilibrismo difficile. Schlein è da sempre vicina all’associazione Pace e disarmo che organizza la marcia insieme alla sinistra pacifista, Arci, Acli, Comunità di Sant’Egidio per chiedere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di attivare “un cessate il fuoco, fermare le violenze e garantire aiuto umanitario (oltre alla convocazione Conferenza di pace che risolva, finalmente, la questione Palestinese applicando la formula dei due Stati per i due Popoli) e lo stimolo a realtà sia palestinesi sia israeliane ad attivarsi congiuntamente per rendere evidente la loro contrarietà rispetto a chi agisce con violenza contro la Pace”.

La posizione dei dem per ora si limita a un “cessate fuoco umanitario”

La posizione dei dem per ora si limita a un “cessate fuoco umanitario” che è sostanzialmente diverso dalla richiesta netta di fermare lo scontro. Sul confine tra il diritto alla difesa di Israele e una vera e propria vendetta si giocano gli equilibri interni del partito. La segretaria ha un accordo con la minoranza interna per evitare che i dissidi interni diventino pubblici rimanendo sulla linea di una netta condanna ad Hamas ribadendo la tutela del popolo palestinese, ma la domanda che pongono gli organizzatori della marcia di venerdì (che si svolgerà contemporaneamente in diverse città di’Italia) è: “Come si può pensare che l’ingresso di Israele a Gaza coincida con una possibile rappresaglia morbida”?

Il 19 ottobre Schlein, al contrario di alcuni parlamentari dem, aveva difeso il diritto di manifestare per Gaza evitando di confonderlo con l’appoggio ad Hamas: “Sono due questioni diverse – aveva detto ai microfoni di No Stop News su Rtel102.5 -. Non è accettabile inneggiare agli attentati terroristici di Hamas ma la causa palestinese è un’altra cosa: il popolo palestinese ha il diritto di esistere e di vedersi riconosciuto uno Stato. C’è stato un colpevole abbandono della causa palestinese e del processo di pace in Medioriente da parte della comunità internazionale. Sono due cose ben distinte”.

Domani i cortei per fermare la carneficina a Gaza. Conte ci sarà, Schlein no per le tensioni nel partito

Alla fine la segretaria, che domani sarà a Venezia per un evento sul diritto alla casa organizzato dal Pd, invierà alla marcia della pace una delegazione. Sulla questione ieri si è inserita prontamente la calendiana Isabella De Monte: “Sul Medio Oriente, il campo largo finisce nell’ambiguità. – dice la deputata -. Alle manifestazioni convocate venerdì dalla Rete Pace e Disarmo, ha subito messo il cappello il M5S di Conte. Il Pd non può lasciare solo il ‘diversamente’ amico, quindi Elly Schlein manderà una sua delegazione”. Per De Monte “il punto è che le parole d’ordine di queste manifestazioni sono molto ambigue, si predica lo stop subito del conflitto, che non è la pausa umanitaria richiesta dall’Ue”. E l’equilibrio precario di Schlein già traballa.

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