di Mattia CarzanigA
Altro che 2012. Il mondo è già finito, almeno quello a cui tutti quanti siamo abituati, da sempre. Un’improvvisa crisi energetica ha lasciato al buio il pianeta. Basta telefoni e telefonini, computer, batterie da ricaricare, tv e decoder, aggeggi hi-tech, immaginate le condizioni in cui potrebbe versare il povero Steve Jobs, attaccato a iPad e altre diavolerie a cui non può più dare vita. Milioni di persone in preda al Caos, con la maiuscola come lo era quello primordiale. Anche il presidente (il nostro presidente) “è in crisi: si sveglia nella sua villa in Sardegna e non ha più nulla. Il telefono è scarico, spende tutti i suoi soldi per comprare a un prezzo da estorsione una batteria miracolosamente carica, per poter chiamare l’ultima delle sue donne e pregarla di raggiungerlo…”. Ecco il quadro dipinto da Dario Fo, che torna nella sua Milano così amata e così detestata per presentare lo spettacolo L’Apocalisse rimandata, ovvero Benvenuta catastrofe. In realtà lui ha scritto il testo ma, dal giugno dell’anno scorso, lo porta in giro per l’Italia l’attore e regista Giulio Cavalli (il debutto milanese questa sera al Teatro Oscar di via Lattanzio, sotto l’“etichetta” del TieffeTeatro – Compagnia stabile d’innovazione diretto da Emilio Russo, che dalla primavera prossima si sposterà nei gloriosi spazi del Teatro dell’Elfo). Ovvio che la sala, alla presentazione dello spettacolo in scena fino al 7 marzo, è tutta per il Dario del Nobel, sempre politico, molto ecologico considerato il tema (è presente pure il presidente di Legambiente Lombardia Damiano Di Simine), animato dalla mai de-posta vis polemica. Casca il mondo, come profetizzava la “macchina” Hal9000 di 2001 Odissea nello spazio, e si è costretti a un risveglio brusco,moltobrusco.A“unavera e propria rinascita”, anzi, per usare le parole dello stesso Fo, che lo spettacolo l’ha adattato per il palcoscenico (con la fedele Franca Rame) a partire dal suo libro pubblicato da Guanda nel 2008, ma ancora non l’ha visto, lo farà una di queste sere assieme al pubblico milanese. “Immaginatevi che cosa potrebbe succedere con la fine del ‘mondo energetico’. Tutto si capovolgerebbe completamente, ma la prospettiva che mi ha fatto davvero sghignazzare è che mezzo miliardo di persone, che non hanno mai visto un’automobile e non sanno cosa sia la televisione, non si accorgerebbero della differenza. I neri, anche qui a Milano, andrebberoavanticomeseniente fosse successo, mentre noi occidentali non riusciremmo in nessun modo a farcene una ragione”. Viva il principio di contraddizione, dunque; anzi, delle tante contraddizioni che abitano il nostro tempo e il nostro mondo. Mistero (sempre buffo però) al tempo dell’ecosostenibilità. Per dire che la gente sta progressivamente cambiando rotta, Dario Fo tira fuori anche i numeri: “Di questi tempi c’è più coscienza della questione ambientale, lo si capisce a cominciare dalla vendita delle automobili: 40 per cento in meno di vendite nel mondo, anche se il nostro resta ovviamente il paese che vende di più”. E snocciola cronache di pubblica e ordinaria amministrazione, e si sa che sotto il capitolo “sindaco di Milano” ha avuto sempre molto da dire (e da fare, candidature comprese). “Quattrocento anni fa chi inquinava le falde acquifere milanesi, progettate da Leonardo Da Vinci, veniva cacciato fuori dalle mura della città. Oggi invece non ne parliamo…”. L’acqua, e l’aria: “Il nostro sindaco Letizia Moratti, in relazione al PM10 andato ben oltre i limiti consentiti, ci consola spiegando che avviene anche in altre città europee, un altro modo per dire “se sono tutti ladri, non c’è nessun ladro” o “se tutti cadono, allora nessuno è caduto”. Lo dice anche il regista e attore Giulio Cavalli, che “il teatro può assolutamente contribuire ad abbassare il PM10, soprattutto ora che la Moratti tiene il tema chiuso nel cassetto”. Perché “l’ambiente sarà sempre un tema sottovalutato dalla politica. È un argomento che va più in là dei cinque anni previsti da un qualunque mandato,guardaalungotermine,sispinge verso il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. Soprattutto, richiede grande lungimiranza, ma si sa che questa è una parola che con la politica ha ben poco a che fare”. Teatro civile e contaminato (non in senso di polveri sottili, però), commedia umana che diventa manifesto politico, quasi – perché no – programma elettorale. E non si ricordi a Cavalli di aver dichiarato, a suo tempo, che non avrebbe mai portato in scena testi altrui: “Di certo non immaginavo che un giorno avrei incontrato sulla mia strada Dario Fo: credo che un ‘lodo teatrale’ mi sia concesso…”. Non pensiate però alla tragedia dell’apocalisse come da tradizione, se non da copione. A salutare la catastrofe, con tanto di banchetto di benvenuto, c’è il solito saltimbanco, il guitto con la pancia gonfia da ubriaco e – stavolta – le rovine futuribili di una città-macchina alle sue spalle, il giullare che è però capace di vedere più in là e meglio degli altri. Niente patetismi: il popolo rimasto “a piedi” alla fine si metterà a far festa, si farà contagiare da una vera febbre rivoluzionaria, andrà a riprendersi il rapporto con i suoi simili e con il mondo che gli sta attorno e che aveva perduto, per fondare una nuova “vivibilità”. Fo ci congeda con un invito: “Leggete qualche pubblicazione seria sulla questione ambientale, non le cose pubblicate dalle aziende petrolifere”. “Vedetevi lo spettacolo” è un invito ovviamente scontato.
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