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Mazzetti: “Una Rai di incapaci. Peggio dei tempi dell’editto bulgaro”

Loris Mazzetti ha lavorato per una vita come capostruttura a Rai 1, Rai 3 e in Direzione Editoriale. Ed è stato collaboratore di Enzo Biagi.

Mazzetti, che sensazione ha avuto nel vedere Rai 3 ospitare Fabrizio Corona in una trasmissione di Nunzia De Girolamo raccogliendo uno scarsissimo risultato?
“Rai 3 è il loro obiettivo. La rete che è stata di Guglielmi e che ha resistito all’editto bulgaro di Berlusconi andava smantellata. E uno dei programmi che smantellano Rai 3 è quello della De Girolamo. D’altra parte io penso che questa nuova direzione non ne abbia azzeccata una. Tutti i programmi nuovi sono di bassissimo ascolto. In altri tempi non ci sarebbero stati o sarebbero stati chiusi dopo la seconda puntata. Tutto questo, al di là del pensiero unico, è semplicemente incapacità produttiva”.

Incapaci?
“Sì, incapacità di realizzare programmi. Se li guardi scopiazzano a destra e a sinistra, non c’è un’idea nuova e poi c’è la bocciatura da parte degli spettatori. Noi abbiamo sempre lavorato per il telespettatore, quello è il punto di riferimento. Non lo sono i partiti, non lo è l’ideologia. La situazione è molto grave ma nel medio periodo sarà gravissima: ci sarà un ulteriore calo delle entrate pubblicitarie e poi con l’ultima manovra c’è l’abbassamento del canone, quindi minori introiti per l’azienda. A me risulta che questi programmi abbiano dei costi altissimi a puntata. Non è che costano meno, anzi costano di più. Perché questi conduttori sono strapagati oltre a non essere all’altezza”.

E sul versante dell’informazione?
“Pensiero unico. Prendi i telegiornali: tutti e quattro (Rai1, Rai2, Rai3 e Rainews) sono una fotocopia uno dell’altro. Ma la cosa ben più grave è che non danno opinioni, non c’è un pensiero, è solo cronaca. C’è stato un giorno al Tg2 e per i primi 20 minuti non si è parlato altro che di governo e di Meloni. L’opposizione era ridotta in 30/40 secondi”.

Eppure a molti sembra andare bene così…
“Quello che mi fa più arrabbiare è che non c’è una reazione. C’è assuefazione a tutto questo. Io quando Fazio, Gramellini e altri decisero di andare via dalla Rai in un’intervista dissi che questo periodo è molto peggio di quello dell’editto bulgaro. In quel caso c’eravamo noi, abbiamo fatto la resistenza. Dopo 5 anni ho riportato Biagi in onda. Adesso c’è una classe dirigente incapace, sottomessa, che pensa alla propria carriera ed è allineata al potere politico”.

E come giudica i partiti di opposizione sulla questione Rai?
“Non c’è opposizione nel sistema televisivo. È arrivata a fare dei compromessi per avere qualche strapuntino, qualche vice direzione, come nel caso del M5S e del Pd sono rimasto sorpreso quando il mio amico Sandro Ruotolo appena entrato nella segretaria del partito come prima cosa ha difeso Mario Orfeo, come se non lo conoscessimo”.

A cosa si riferisce?
“Quando Orfeo è diventato direttore generale io ero in direzione editoriale con Carlo Verdelli per cambiare l’informazione Rai e poi siamo stati fatti fuori dalla politica. Orfeo con l’idea del centrosinistra non c’entra niente. Mi stanco di dovermi accontentare sempre del meno peggio, vorrei il migliore. Oggi vediamo un’azienda con dei direttori che con me non avrebbero fatto gli assistenti ai programmi. Quando un dirigente della Rai che ha fatto il palinsesto diventa quello che fa i programmi in prima serata senza mai avere messo piede in uno studio, senza avere mai visto costruire una scenografia ma solo perché è molto amico di Salvini e della Lega… Il sistema è ancora governato dalla legge Gasparri, la più ad personam di Berlusconi, del 2004. Sono cambiati i governi ma la legge è rimasta sempre lì. Questi che ci governano (che odorano di fascismo ideologico nei confronti della società e di chi ha meno) vanno avanti per la loro strada. Hanno i voti. Finché la gente non aprirà gli occhi e scenderà in piazza non cambierà nulla”.

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Non va bene neanche Pertini

Infastiditi perfino da Sandro Pertini. Martedì il consiglio comunale di Lucca ha deciso di respingere una normale mozione per intitolare una strada o una piazza all’ex presidente della Repubblica, primo socialista salito al Quirinale e leader della Resistenza al fascismo. 

17 voti contrari e 12 a favore. L’assessore di Lucca Fabio Barsanti, ex leader di Casapound con cui la destra va serenamente a braccetto mentre rilascia patenti di antisemitismo, ha provato a silenziare l’opposizione. il Pd locale parla di motto fascista “A noi!” da parte del capogruppo di FdI Lido Fava e di “spiegazioni fuori dell’emiciclo ‘che no, a Lucca una strada ad uno che è stato partigiano non la si può proprio dedicare’”, col richiamo quindi al “silenzio imbarazzante del sindaco” Mario Pardini.

La giustificazione ufficiale per rigettare la mozione è una barzelletta: “una diversa road map che contiene priorità differenti”, dice la maggioranza, “probabilmente la stessa che porta i loro compagni di partito grossetani a chiedere a gran voce l’intitolazione di una strada al missino Giorgio Almirante” secondo Emiliano Fossi, segretario Pd Toscana, e Francesco Battistini, membro della segreteria.

Ovviamente la strategia è sempre quella del vittimismo. Dice il consigliere di Forza Italia Giovanni Ricci: “quanto viene chiesto poteva essere fatto dai proponenti durante il periodo in cui hanno governato la città, nella precedente amministrazione. Non vediamo il motivo per cui oggi debbano chiederlo a noi dopo che per dieci anni hanno intitolato piazze, vie e monumenti ad altre figure”. Colpa degli altri, insomma. 

Buon giovedì. 

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Dice le cose di Ovadia. Ma ad Amato è concesso

“I coloni che hanno occupato terre che erano dei palestinesi e i governi israeliani che hanno consentito tutto questo hanno creato un tale clima di scontento che Hamas ha la maggioranza. Devo essere io d’accordo con questi governi perché ritengo sacra la causa di Israele? Perbacco, no! Questi governi si stanno adoperando per far fuori la Corte suprema che è l’organismo che garantisce che la maggioranza non esorbiti dai suoi confini. Decine di migliaia di israeliani sono andati in strada contro questo governo”.

L’ex premier Giuliano Amato in un’intervista ha condannato Hamas augurandosi che “venga fermato”

Sono le parole pronunciate alla trasmissione “Di martedì” dall’ex presidente del Consiglio e ex presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato. Nella sua intervista Amato ha anche (ovviamente) condannato Hamas augurandosi che “venga fermato”. Sono parole pressoché identiche a quelle pronunciate da Moni Ovadia che invece è stato bollato come “amico dei terroristi” come in questi giorni accade a decine di intellettuali, giornalisti e politici. Molti di loro chiariscono fin da subito di condannare le azioni terroristiche di Hamas ma di non poter tacere sulla politica colonialista di Israele. Niente, non basta.

Moni Ovadia si è ritrovato bombardato da questa nuova sinistra alleanza della destra ex fascista a braccetto con sostenitori cechi delle politiche israeliane. C’è una differenza sostanziale: se lo dice Giuliano Amato non parla nessuno. Tutti muti. La vigliaccheria sta nello strumentalizzare una vicenda tragica e dolorosissima per attaccare gli avversari. A proposito, sentite qua: “Ebbene io affermo ancora una volta che i palestinesi hanno il diritto sacrosanto ad una Patria e ad una terra come l’hanno avuta gli ebrei e gli israeliti, e quindi a portare la pace in quella zona”. Lo disse Sandro Pertini.

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Ormai pure i migranti hanno smesso di fare figli

Innanzitutto si dovrebbe aprire una riflessione sul come raccontiamo le migrazioni. Il “clima sociale e politico in Italia” da dieci anni a questa parte “è cambiato” e anche “l’attenzione dei media al tema dell’immigrazione in Italia sia sempre più orientata all’allarmismo”. Lo denuncia il nuovo Rapporto Caritas-Migrantes Liberi di scegliere se migrare o restare presentato ieri a Roma, sollecitando una nuova forma di “narrazione” che superi l’emergenza. Si scoprirebbe così che molta della propaganda politica e giornalistica sui migranti e stranieri in Italia è una menzogna.

La crisi non risparmia i migranti. Secondo l’ultimo rapporto di Caritas-Migrantes Liberi, 1,6 milioni sono in povertà assoluta

I numeri, innanzitutto: il primo gennaio 2023 le stime dell’Istat indicano la presenza di 5.050.257 cittadini stranieri residenti in Italia, in lieve aumento rispetto ai dati definitivi riferiti all’anno precedente (5.030.716). Sono soprattutto romeni (1 su 5), poi marocchini e albanesi (che si attestano all’8,4% e all’8,3% del totale) con un evidente avvicendamento delle provenienze asiatiche (del Sud Est, in particolare) rispetto a quelle africane – come la tunisina, la senegalese, la nigeriana – non più presenti nella graduatoria dei primi dieci Paesi nonostante intasino certa comunicazione. Inoltre, anche fra le provenienze asiatiche, quelle di più storica presenza (come Cina e Filippine), sono in decremento, mentre quelle di più recente arrivo (come Bangladesh e Pakistan) stanno consolidando sempre più il loro percorso migratorio in Italia.

Il rapporto svela anche come “il binomio immigrazione-sicurezza rimane di stringente attualità, generando un diffuso clima di paura e di intolleranza”, ma nel 2022 la componente straniera presente nelle nostre carceri è rimasta sostanzialmente in linea con il dato dell’ultimo anno, con 17.683 detenuti stranieri su 56.196, pari al 31,4% della popolazione carceraria complessiva. Rispetto all’anno precedente, si è invece assistito ad un consistente aumento degli ingressi di minori in carcere, sia italiani sia stranieri: questi, tuttavia, sopravanzano numericamente gli italiani. Nel 2022, infatti, i dati dei nuovi ingressi hanno fatto registrare complessivamente 1.016 ingressi, di cui 496 italiani e 520 stranieri.

Un fenomeno, almeno in parte, connesso alle gang giovanili in Italia. Il rapporto tra carcere e povertà, così come per gli italiani, è evidente anche nei numeri. In Italia, attualmente vivono in uno stato di povertà assoluta 1 milione e 600 mila stranieri residenti, per un totale di oltre 614 mila nuclei familiari. Le famiglie immigrate in povertà costituiscono circa un terzo delle famiglie povere presenti in Italia, pur rappresentando solo il 9% di quelle residenti.

Senza i flussi una carenza di addetti nel settore dell’Agricoltura e delle Costruzioni è incolmabile

“La percentuale di chi non ha accesso a un livello di vita dignitoso – riferisce il Rapporto delle organizzazioni cattoliche – risulta essere tra gli stranieri cinque volte superiore di quella registrata tra i nuclei di italiani. Tale svantaggio, rafforzatosi a partire dal 2008 (anno della grave crisi economico-finanziaria), ha oggi raggiunto livelli ancora più preoccupanti e strutturali a seguito della pandemia da Covid19”. Da un anno all’altro peggiora in modo preoccupante la condizione dei disoccupati: tra loro risulta povera quasi una persona su due; solo un anno fa toccava circa una persona su quattro. La maggiore incidenza di lavoratori stranieri nel 2022 si registra nel settore dell’Agricoltura (39,2% del totale), seguita dalle Costruzioni (30,1%) e dall’Industria in senso stretto (22,1%).

Quanto alle tipologie contrattuali, l’87% degli occupati stranieri è un lavoratore dipendente e il restante 12,9% ha un contratto di lavoro autonomo. Com’è prevedibile la povertà incide sulla natalità anche degli stranieri. Niente sostituzione etnica, quindi, con buona pace del ministro Lollobrigida (nella foto): “Dopo i picchi di crescita registrati nel primo decennio del 2000 (+45,2% fra il 2003 e il 2004, +22,3% fra il 1999 e il 2000) – mette però in guardia il Rapporto – è ormai da un decennio che il numero di nuovi nati stranieri diminuisce costantemente e sempre più (-5% negli ultimi due anni). Il maggior numero di nuovi nati è romeno (19,4%), seguito da marocchini (13,3%) e albanesi (11,8%)”.

“Le acquisizioni di cittadinanza, pur avendo raggiunto la soglia del milione negli ultimi 6 anni – continua -, sono in progressiva diminuzione, e solo fra il 2020 e il 2021 sono scese del 7,5%. Il tasso di abortività delle donne straniere mostra una tendenza alla diminuzione, essendo passato dal 17,2 per 1.000 donne nel 2014 al 12,0 per 1.000 donne nel 2020. Si tratta tuttavia di un tasso di 2,4 volte superiore a quello delle italiane. Secondo il rapporto cresce anche l’indifferenza per tragedie migranti. La tragedia di Lampedusa avvenuta 10 anni fa e la recente strage di Steccato di Cutro sono la cartina di tornasole.

“L’informazione italiana – si legge nel rapporto – dà rilevanza ad entrambi i casi, ma in modo differente per intensità e durata: 61 notizie il 3 ottobre 2013, con una trattazione che si protrae per almeno 3 mesi; 37 notizie il 27 febbraio 2023, con una copertura di poco più di 2 mesi”. Quello che funziona, insomma, è la percezione. Per questo occorre porre attenzione ai numeri.

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Attaccò Monti che rifiutò le Olimpiadi. Ma ora Giorgia ce lo fa rimpiangere

Forse aveva ragione l’ex presidente del Consiglio Mario Monti quando nel 2012 spiegava che per organizzare le Olimpiadi (in quel caso si parlava di un’ipotetica candidatura di Roma per il 2020) “non si possono correre rischi” e bisogna essere consapevoli che si tratta di “un’operazione che potrebbe mettere a rischio i denari dei contribuenti”. In quell’occasione l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni non ebbe dubbi nel sottoscrivere l’appello di 60 sportivi dichiarando che Roma 2020 avrebbe potuto “rappresentare per l’Italia una grande opportunità di rilancio, di sviluppo e di crescita, che dobbiamo cogliere per guardare al futuro con rinnovata fiducia”.

L’ex premier Monti ritirò Roma dalla corsa per le Olimpiadi del 2020. Adesso Meloni apre quelle del 2026 con una figuraccia

Undici anni dopo la figuraccia è completa: le gare di bob, slittino, skeleton e parabob dei Giochi olimpici e Paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026 non si svolgeranno a Cortina come inizialmente previsto dal masterplan della candidatura nel 2019 ma si dovrà andare in Svizzera, a St Moriz. Giovanni Malagò, presidente del Coni, nonché membro Cio e presidente della Fondazione Milano-Cortina, ha precisato che “a questo proposito, è importante ricordare che una decisione come questa avrà conseguenze sul budget del Comitato Organizzatore e sull’intera operazione”.

Saltata la gara d’appalto per la costruzione di la pista da bob a Cortina

Il futuro è fosco. Saltata la gara d’appalto per la costruzione di un pista in Italia il governo avrebbe dovuto mettere un’altra cinquantina di milioni sperando che il bando non andasse deserto di nuovo. A questo si aggiunge l’enorme ritardo accumulato sull’organizzazione (fino a poche ore fa negato praticamente da quasi tutti i componenti del comitato organizzatore) e le proteste delle associazioni ambientaliste.

Il 14 febbraio del 2012, Meloni stava nella comoda posizione dell’opposizione. Da ex ministro della gioventù fu durissima con la scelta di Monti: “Il no alla candidatura di Roma ai Giochi Olimpici e Paralimpici del 2020, é un danno considerevole all’immagine della nostra Nazione nel mondo, in termini di credibilità, solidità e coesione”, disse. E aggiunse: “Mi domando come sia possibile chiedere a un qualsiasi investitore internazionale di credere nell’Italia se un governo chiamato a rilanciare la nostra economia decide di bloccare una candidatura forte, autorevole e condivisa da tutte le Istituzioni”. “I Giochi – spiegava Meloni – avrebbero rappresentato una grande occasione di crescita e sviluppo economico, per guardare al futuro con ottimismo. L’Italia ha perso oggi un’irripetibile opportunità”.

Dall’opposizione la leader FdI firmò l’appello di 60 atleti contro la decisione di Palazzo Chigi. Oggi invece tace

Oggi i ruoli si sono invertiti. Ad accusare Meloni con parole non dissimili è la leggenda dello slittino azzurro con sei medaglie consecutive ai Giochi Olimpici tra Lillehammer 1994 e Sochi 2014, Armin Zoeggeler, che ai microfono di La Presse parla di “una delusione e un’occasione persa, l’Italia rischia adesso in tutte e tre le discipline. Se non abbiamo una pista in futuro è difficile immaginare di tenere il passo della concorrenza”. “Le medaglie noi le vogliamo, – spiega Zoeggeler – anche la federazione e anche il Coni. Tutti vogliamo le medaglie, ma non vogliamo una pista. È una follia”.

È l’ennesima dimostrazione di come la presidente del Consiglio e il suo governo non riescano a dare seguito alle promesse e alle rivendicazioni sbandierate quando si trovavano dall’altra parte della barricata, sempre pronti a rintuzzare i governi degli altri. Chissà se oggi Meloni firmerebbe un appello contro sé stessa. A pensarci bene almeno sarebbe coerente.

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L’antimafia neomelodica

Oltre alla mafia in Italia sempre di più assistiamo all’antimafia neomelodica.  Il cantante neomelodico siciliano Tony Colombo e la moglie Tina Rispoli sono stati arrestati martedì 17 ottobre 2023 a Napoli e portati in carcere nell’ambito di una vasta operazione anticamorra. L’ipotesi d’accusa è che i due siano stati soci in affari del boss Vincenzo Di Lauro, figlio del capoclan di Secondigliano e Scampia Paolo Di Lauro (quello cui è ispirato il ruolo di don Pietro Savastano in “Gomorra”), da tempo in carcere al 41 bis. 

L’operazione dei Ros sta in un faldone di 1.800 pagine che descrivono minuziosamente le attività della camorra in ottima salute e va ad aggiungersi a decine di operazioni antimafia che quasi quotidianamente in Italia raccontano come le mafie continuino a infestare diversi settori economici, politici, imprenditoriali e sociali. Ma le mafie in questo Paese – da un bel po’ – fanno notizia solo nei loro aspetti più pittoreschi: le avventure amorose di Messina Denaro, il coinvolgimento di qualche politico di basso bordo e il cantante famoso su TikTok. 

Il tema complessivo è scomparso. Scompaiono anche coloro che ai tempi accusarono Roberto Saviano e i giornalisti di Fanpage per avere “criminalizzato” Colombo e la moglie: le trasmissioni televisive che irresponsabilmente iconizzarono la coppia fingendo di dargli l’opportunità di difendersi sono corresponsabili della banalizzazione.

Intanto si leggono i messaggi di Massimo Giletti ai colleghi e agli amici in cui ammette di essere stato bloccato con la sua trasmissione per essere arrivato “troppo vicino a Berlusconi”. Ma di quello non parla quasi nessuno. 

Buon mercoledì. 

Nella foto: Tony Colombo (dalla pagina ufficiale Fb)

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Bavaglio al Parlamento. E pure alla maggioranza

Il senso della democrazia e del Parlamento di Giorgia Meloni si è evidentemente involuto da quando si è accampata a Palazzo Chigi. Le vibranti proteste mentre era all’opposizione si riferivano a comportamenti che ora mantiene senza battere ciglio. Così dopo essersi alzata di tutta fretta per non rispondere ai giornalisti sulla prossima Legge di Bilancio, lasciando la comunicazione a qualche cartolina esultante da pubblicare sui social, la presidente del Consiglio ha deciso di blindare la manovra in Parlamento senza la possibilità di presentare nessun emendamento, nemmeno della sua maggioranza.

Il senso della democrazia e del Parlamento di Giorgia Meloni si è evidentemente involuto da quando si è accampata a Palazzo Chigi

Gli alleati di Lega e Forza Italia hanno accettato il loro ruolo di parlamentari ridotti alla liturgia dell’unico pulsante in nome della “compattezza” che da quelle parti è il sinonimo di “mantenimento del potere”. Così Meloni potrà presentarsi sorridente con la finanziaria in tasca alla festa dicembrina del suo partito ad Atreju. L’opposizione da canto suo promette “battaglia” ma è difficile immaginare di opporsi se il Parlamento viene usato come semplice ceralacca delle scelte del governo.

Siamo messi così, con le raccomandazioni del Presidente della Repubblica che valgono come una letterina a Babbo Natale e con il prossimo Decreto Milleproroghe di gennaio che verrà riempito di prebende per i deputati e i senatori della maggioranza che hanno accettato di “fare i bravi”. In mezzo ci sarebbe il rispetto della Costituzione e del ruolo del Parlamento che avrebbe dovuto essere “sovrano” ma a certi giornalisti di quest’epoca interessa non dare dispiacere al re. Non si sa mai che prima o poi un regalino spunti anche per loro, oltre che per gli oppositori che non si oppongono.

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Le destre danno lezioni di antisemitismo. E poi intitolano strade ad Almirante

Ci deve pur essere un limite alla decenza. In Italia le lezioni di antisemitismo arrivano da coloro che vorrebbero intitolare una via al sottoscrittore de La difesa della razza Giorgio Almirante e dagli amici di Casapound. L’occasione è stata ieri l’ottantesimo anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma, quando truppe tedesche appartenenti alle SS o alla polizia d’ordine (Ordnungspolizei), con la collaborazione dei funzionari del regime fascista, arrestarono 1.259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 bambini, quasi tutti appartenenti alla comunità ebraica romana.

Tante le iniziative per celebrare il leader del Msi, Giorgio Almirante. Organico alla rivista filofascista “La Difesa della razza”

Ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ricordato il tragico evento augurandosi “che non accada mai più”. Il suo compagno di partito, il deputato di FdI Luciano Ciocchetti, ci ha tenuto a dirci che quella vicenda “assume oggi un valore ancora più significativo di fronte ai nuovi e atroci delitti efferati in nome dell’antisemitismo”. “Mai più” tuona anche il ministro alla Difesa Guido Crosetto, pure lui di Fratelli d’Italia. Il partito scrive una nota: “L’antisemitismo sia debellato per sempre”. E così via. Anche in casa Lega l’europarlamentare Anna Cinzia Bonfrisco dice “che oggi più che mai abbiamo il dovere di ricordare, alla luce del vile attacco che il popolo di Israele sta subendo dagli estremisti di Hamas” e che bisogna onorare “la memoria di chi perse la vita in quella pagina buia e violenta della nostra storia”. La segue a ruota il vicepresidente leghista del Senato Gian Marco Centinaio: “è un nostro dovere condannare senza ambiguità chi ancora manifesta sentimenti antisemiti e mette in dubbio o minaccia la sopravvivenza di Israele”, dice.

Fiumi di peana sul rastrellamento nazista al ghetto di Roma. Ma da Salvini a La Russa, flirtano con Casapound e con il Duce

Il leader della Lega Matteo Salvini già di primo mattino ieri ha parlato di “pagina buia, violenta e disumana della nostra storia che deve tenere accesa, oggi più che mai, la memoria dell’orrore portato dall’antisemitismo”. Tutto bello, tutto bene, ma davvero basta così poco per diventare difensori degli ebrei confidando che il recente passato dei partiti italiani e dei loro leader venga dimenticato? Cosa pensasse degli ebrei Giorgio Almirante non c’è nemmeno bisogno di ricordarlo. Del viceministro alle Infrastrutture di questo governo che si travestiva da nazista “per gioco” (Galeazzo Bignami, Fratelli d’Italia) s’è detto e scritto.

A fine del 2021 i compagni di partito di Meloni a Napoli hanno brindato con sorrisi e saluto fascista. Il 18 febbraio di quest’anno per l’inaugurazione della nuova sede di Fratelli d’Italia a Cremona alcuni presenti al taglio del nastro hanno scandito il motto fascista Credere, obbedire, combattere, innescando esultanza e applausi. A maggio il segretario di Fratelli d’Italia di Lavello (Potenza), Antonio Di Vietri, è stato rimosso dal suo incarico dal responsabile nazionale organizzazione del partito della Meloni, Giovanni Donzelli.

Questi sono solo alcuni dei molti casi. Inutile dire delle innumerevoli uscite del presidente del Senato Ignazio La Russa. In casa Lega, dal 2014 al 2016, Salvini è andato serenamente a braccetto con Casapound: con loro fa raduni anti-immigrati, ci va a cena, indossa i loro giubbini allo stadio. Ci scappa persino un libro. I milanesi Igor Iezzi e Max Bastoni sono entrambi vicini ai neonazisti di Lealtà Azione che si ispira a Leon Degrelle e a Corneliu Zelea Codreanu. In corteo con Forza Nuova è stato anche l’attuale presidente della Camera, Lorenzo Fontana. A giugno 2022 al tribunale di Cuneo l’editore di Domani Carlo De Benedetti è stato assolto dopo avere dato dell’antisemita a Salvini: “Il giudizio critico, a carattere soggettivo, espresso dall’imputato faceva riferimento a eventi accaduti”, scrisse la giudice. Davvero abbiamo dimenticato tutto?

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Parla l’ex br Giordano: “È ripartita la gogna mediatica. Nel mirino c’è la pace in Palestina”

Francesco Emilio Giordano (ex militante della Brigata XXVIII marzo, condannato per l’omicidio di Walter Tobagi, e oggi educatore) che effetto le ha fatto vedersi sulle pagine dei giornali?
“Devo dire che davvero non me lo aspettavo. Quando un amico al mattino mi ha avvisato di aver visto la foto ho pensato fosse una delle tante foto che si fanno durante i cortei. Non mi aspettavo una aggressione di tale portata, così raccogliticcia che solo Il Giornale poteva fare, evidentemente ordinata da altri”.

Una precisazione, per iniziare: è vero, come si legge, che lei non ha mai rinnegato le azioni violente per cui è stato condannato e quegli anni?
“Nell’azione più grave eravamo in sette, ben cinque si sono dissociati dopo solo poco tempo, e solo per poter uscire dal carcere; quindi, non potevo evitare di rivedere criticamente quel percorso. Mi hanno arrestato il 7 ottobre 1980 su una delazione di uno dei sette, un amico fino ad allora. Arrestato e torturato sono stato tenuto in isolamento per 38 giorni. Il Dottor Spataro durante il primo interrogatorio mi ha proposto di ammettere tutto quello che gli altri avevano dichiarato, e che siccome ero quello con meno responsabilità “me la sarei cavata” con meno di 3 anni a fronte dell’ergastolo o 30 anni. Come ho già scritto in altre occasioni, subito dopo quel fatto non ho più frequentato quelle persone ed ero ritornato a lavorare in Fabbrica (Mtm di Rho). Mi avevano proposto di scappare in Francia ed ho rifiutato. Forse sarei rimasto libero, ma non era quello che mi interessava”.

Ieri in alcune trasmissioni televisive e nel dibattito politico è stato detto che “un ex brigatista non ha il diritto di partecipare a manifestazioni”. Molte di quelle parole arrivano da coloro che si professano “garantisti” e alcuni di loro hanno assunto posizioni pubbliche a favore di persone con condanne per terrorismo nero sulle spalle. Che effetto le fa questo doppiopesismo?
“A mio parere dimostra semplicemente che hanno una moralità molto scarsa e che tutto quel che fanno è strumentale perché pensano che quel “pensiero” li aiuti nella carriera politica, giornalistica. Poi vero che ci sono “due pesi e due misure”, infatti sono molto meno severi con elementi fascisti. In questi anni è venuto meno non solo l’antifascismo, ma anche quella idealità che ha caratterizzato la sinistra e di conseguenza – rotto quell’argine – è emerso tutto il liquame che vediamo anche nella vicenda di questi giorni”.

Ma è vero – come scrive qualcuno – che lei è per l’eliminazione fisica degli israeliani?
“Assolutamente falso, anche perché mi sono sempre assunto le mie responsabilità. Da sempre la mia posizione è quella di uno Stato palestinese dove possano vivere in pace ebrei, musulmani, cristiani ed anche noi atei, che non sarebbe una novità. Si tornerebbe a quel tempo in cui in Palestina si viveva così, prima dell’arrivo dei sionisti, quelli che ancora oggi vorrebbero una Grande Israele che arriva fino al mare, esattamente quello che è la Palestina”.

Cosa ne pensa del violento attacco di Hamas?
“Penso che sia frutto di decenni di occupazione, gli ultimi 17 anni sono stati di completa chiusura, di numerose aggressioni come quella di questi giorni, eppure prima non si erano verificati episodi come quello del 7 ottobre: Piombo Fuso (2008), Margine Protettivo (2014). No, io sono convinto che l’obiettivo di Israele sia esattamente quello di scacciare in qualsiasi modo i palestinesi e costruire quello che avevano già prefigurato un decennio prima che arrivasse Hamas”.

Da anni si occupa della causa palestinese. Perché?
“Credo sia perché, come ebbe a scrivere un intellettuale palestinese, la questione palestinese è così ingiusta che ogni essere umano non può che difenderla. Sono stato più volte a Gaza, ho conosciuto compagni e compagne, Vittorio Arrigoni, ed altri. Insomma, non posso né voglio tirarmi indietro finché la Palestina non sarà libera, e come dicevo prima, finché possano vivere in pace ebrei, musulmani, cristiani e atei. Aggiungo che fino a poco tempo fa i cristiani non venivano toccati, solo i palestinesi venivano repressi; invece, ultimamente i coloni sono un loro obbiettivo”.

Riscenderà in piazza
“Assolutamente sì, credo sabato prossimo ci sarà ancora una manifestazione dato che la mattanza a Gaza prosegue. Ed io sarò con le migliaia di giovani a chiedere la fine dei bombardamenti e la fine dell’occupazione. Sarò in piazza anche per non tradire il mio passato di comunista internazionalista che vuole restare umano”.

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Giorgia Meloni e l’acchiapparella con i giornalisti

Carlo Canepa di Pagella Politica fa notare come per la prima volta in dieci anni la presidente del Consiglio non abbia risposto alle domande dei giornalisti sulla Legge di bilancio. Sottolinea Canepa come tra l’altro lo scorso 27 settembre 2023 il governo Meloni ha approvato la Nadef di quest’anno, ma la presidente del Consiglio non ha partecipato alla conferenza stampa di presentazione del documento, a cui ha presenziato invece il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti.

Chi ha avuto la sfortuna di assistere in diretta alla scena ha potuto apprezzare la presidente del Consiglio che scocciata si è limitata a un saluto iniziale e ha poi lasciato la parola al ministro Giorgetti, in modo più che brusco. Nel frattempo il ministro agli Esteri Antonio Tajani ha spiegato agli altri di “dover andare anche lui”. Uno scambio di battute simile a quelli di un raduno di alpini quando c’è da scegliere chi deve pagare la bottiglia di vino. 

Già l’anno scorso, il 22 novembre 2022, Meloni era stata criticata per la gestione della conferenza stampa sulla legge di Bilancio per il 2023. In quell’occasione la presidente del Consiglio aveva avvisato che la conferenza si sarebbe dovuta concludere dopo poche domande perché doveva presenziare all’Assemblea nazionale di Confartigianato, creando malumori tra i giornalisti presenti in sala.

Al di là del poco rispetto per la stampa che non è certo una novità la strategia è fin troppo facile: oggi Meloni e compagnia potranno dire che i giornalisti “strumentalizzano” o “fraintendono”. E via con il prossimo giro. 

Buon martedì.

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