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Auto-antisemitismo, folle accusa all’ebreo Ovadia. FdI ne chiede le dimissioni dal teatro di Ferrara

Oltre alla guerra, al terrorismo e all’orrore dei civili che pagano una guerra che non hanno scelto, fischia forte di nuovo la foga bellicista che usa le bombe degli altri per regolare i propri conti da cortile. A finire nel mirino ancora una volta è Moni Ovadia, colpevole di avere criticato il governo di Israele nei giorni dell’attacco di Hamas. Ovadia (dal 2020 direttore del Teatro Comunale Abbado di Ferrara) ha detto che questa guerra “è la conseguenza di una politica di totale cecità, di occupazione e colonizzazione.

La Striscia di Gaza non è un territorio libero, è una gabbia: è vero che dentro non ci sono gli israeliani, ma loro controllano comunque i confini marittimi e aerei, l’accesso delle merci, l’energia, l’acqua. Non a caso l’Onu aveva già dichiarato Gaza zona ‘non abitabile’. La situazione è vessatoria, dirò di più: è infernale. Israele lascia marcire le cose, fingendo che il problema palestinese non esista, per cancellare la stessa idea che i palestinesi esistano”. Il primo a scatenarsi è stato il senatore di Fratelli d’Italia Alberto Balboni che ne ha chiesto le immediate dimissioni. Il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi l’ha invitato a mantenere un “contegno istituzionale” (sì, proprio Sgarbi).

Così a Ovadia è toccato puntualizzare di non avere negato l’efferatezza dell’attacco di Hamas, “così come non nego il diritto di Israele a difendersi – sottolinea -. Ma ciò non toglie che le scelte politiche fatte dai governi israeliani in questi anni siano state scellerate, ai danni del popolo palestinese”. Sono del resto gli stessi giudizi di molti editorialisti israeliani. Ma niente: Ovadia è accusato di antisemitismo. Praticamente odia sé stesso, quindi.

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Dopo la sentenza di Lucano, Nordio invii una ispezione pure a Locri – Lettera43

Ispezioni, ispezioni dappertutto. Ogni volta che un tribunale non emette una sentenza confacente alle volontà del governo la parola magica è “ispezione”. La missione degli ispettori del ministero alla Giustizia in tournée per i tribunali italiani è ormai un genere letterario. Viene da chiedersi esattamente cosa dovrebbero fare questi poveri emissari che qualcuno immagina come sicari: arrivano nel tribunale, interrogano sotto la luce di una lampada sbieca come si vede nei film gialli il povero giudice di turno e gli chiedono perché abbia emesso una sentenza del genere. Presumibilmente quello risponderà che ha scritto tutto nella sentenza, rifacendosi a leggi che sono facilmente reperibili, ancora di più al ministero della Giustizia. Contro la giudice Iolanda Apostolico del tribunale di Catania il ministro alla Giustizia Carlo Nordio ha promesso un’ispezione «leggera». Ha detto proprio così. Così un’ispezione leggera? Senza manganelli? Di fronte a uno spritz? Dicono da via Arenula che l’ispezione serve «per raccogliere informazioni». Ovvero? Chiederanno in giro se hanno mai incontrato la temibile giudice libera-migranti con qualche sinistro travestimento? Chiederanno al suo fruttivendolo se la giudice è colpevole di qualche tic alimentare?

Dopo la sentenza di Lucano, Nordio invii una ispezione pure a Crotone
Iolanda Apostolico nel video del 2018.

Le ispezioni annunciate dal guardasigilli suonano come il “ti aspetto fuori” delle medie

Sono arrivati ai più alti vertici dello Stato e della politica eppure ministri, leader di partito e parlamentari non hanno ancora compreso il concetto id gerarchia delle leggi. Non gli va già che esista un diritto internazionale e delle convenzioni che (fortunatamente) impediscono di inserire gli stranieri come prede nella prossima stagione venatoria. Forse quando chiedono il “sovranismo” in fondo intendono proprio questo: che ogni governo e ogni Stato riparta ogni volta da zero potendo immaginare un concetto di legalità avulso dalla comunità internazionale, dai diritti, dalla storia. “L’ispezione” annunciata dal ministro e invocata dai partiti ormai suona come il “ti aspetto fuori” quando andavamo a scuola, dopo il litigio con qualcuno, promettendogli di sfidarsi in un ambiente meno controllato e – appunto – con meno doveri.

Dopo la sentenza di Lucano, Nordio invii una ispezione pure a Crotone
Carlo Nordio (Imagoeconomica).

Consigliamo a Nordio di mandare i suoi ispettori anche a Locri

Nel fitto calendario di ispezioni che il ministro Nordio promette ci permettiamo però di suggerirne una. Tanto una più o una meno ormai fa poco differenza. A Locri c’è un tribunale che non molto tempo fa ha condannato un ex sindaco che non interessava a nessuno finché non è diventato un simbolo, Mimmo Lucano da Riace. Una pena mostruosa: 13 anni e mezzo di prigione. Leggendo quella sentenza (l’abbiamo letta senza bisogno di andare lì a ispezionare) si immaginava che quel sindaco così ligio e indifeso di fronte alle telecamere fosse riuscito in un piano diabolico da bestseller: secondo i giudici di Locri fingeva di essere buono (tanto da diventare una testimonianza a livello internazionale) ma incarnava il peggio della politica italiani degli ultimi decenni. Anzi, a rileggere quella sentenza di condanna, si poteva immaginare anche che fosse talmente furbo dall’avere distratto soldi (che non sono mai stati trovati) continuando ad avere conti correnti personali pressoché vuoti e uno stile di vita pari alle persone che accoglieva. Avremmo dovuto studiare quel capolavoro di criminalità nelle scuole: Mimmo Lucano incarnava un ventaglio di reati che ne facevano il paradigma della peggiore amministrazione pubblica possibile.

Dopo la sentenza di Lucano, Nordio invii una ispezione pure a Crotone
Mimmo Lucano (Imagoeconomica).

Cosa potrebbero dirci i giudici che hanno scambiato Lucano per un boss diabolico?

Qualche giorno fa Diabolik Lucano è ritornato a essere un piccolo e dimenticabile ex sindaco di provincia dedito all’accoglienza come sancisce il diritto internazionale e come raccomandano gli ammennicoli religiosi sventolati ogni volta da membri del governo. È stato condannato per il “risibile” reato di abuso d’ufficio. L’aggettivo “risibile” lo rubiamo proprio al ministro Nordio che mica per niente quel reato lo vuole abolire. Quindi la sentenza d’Appello ci dice che al tribunale di Locri hanno preso un abbaglio non indifferente, scambiando per “boss” un quasi innocente. Ecco, sarebbe curioso sapere cosa risponderebbero agli ispettori di Nordio coloro che hanno concorso alla prima sentenza di Lucano. Sarebbe curioso chiedergli dove abbiano visto reati inesistenti e come abbiano potuto definire “diabolico” un sindaco forse solo un po’ pasticcione. Dovrebbero dirci gli ispettori – a noi oltre che a Nordio – cosa siano quei 12 anni di differenza di condanna su cui ha pasteggiato elettoralmente una certa parte politica. Anche perché – pensateci bene- non è peggio un ministro che ha usato la (mala)giustizia per accumulare credito politico che una persona di giustizia che manifesta un valore?

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Dopo la sentenza di Lucano, Nordio invii una ispezione pure a Crotone – Lettera43

Ispezioni, ispezioni dappertutto. Ogni volta che un tribunale non emette una sentenza confacente alle volontà del governo la parola magica è “ispezione”. La missione degli ispettori del ministero alla Giustizia in tournée per i tribunali italiani è ormai un genere letterario. Viene da chiedersi esattamente cosa dovrebbero fare questi poveri emissari che qualcuno immagina come sicari: arrivano nel tribunale, interrogano sotto la luce di una lampada sbieca come si vede nei film gialli il povero giudice di turno e gli chiedono perché abbia emesso una sentenza del genere. Presumibilmente quello risponderà che ha scritto tutto nella sentenza, rifacendosi a leggi che sono facilmente reperibili, ancora di più al ministero della Giustizia. Contro la giudice Iolanda Apostolico del tribunale di Catania il ministro alla Giustizia Carlo Nordio ha promesso un’ispezione «leggera». Ha detto proprio così. Così un’ispezione leggera? Senza manganelli? Di fronte a uno spritz? Dicono da via Arenula che l’ispezione serve «per raccogliere informazioni». Ovvero? Chiederanno in giro se hanno mai incontrato la temibile giudice libera-migranti con qualche sinistro travestimento? Chiederanno al suo fruttivendolo se la giudice è colpevole di qualche tic alimentare?

Dopo la sentenza di Lucano, Nordio invii una ispezione pure a Crotone
Iolanda Apostolico nel video del 2018.

Le ispezioni annunciate dal guardasigilli suonano come il”ti aspetto fuori” delle medie

Sono arrivati ai più alti vertici dello Stato e della politica eppure ministri, leader di partito e parlamentari non hanno ancora compreso il concetto id gerarchia delle leggi. Non gli va già che esista un diritto internazionale e delle convenzioni che (fortunatamente) impediscono di inserire gli stranieri come prede nella prossima stagione venatoria. Forse quando chiedono il “sovranismo” in fondo intendono proprio questo: che ogni governo e ogni Stato riparta ogni volta da zero potendo immaginare un concetto di legalità avulso dalla comunità internazionale, dai diritti, dalla storia. “L’ispezione” annunciata dal ministro e invocata dai partiti ormai suona come il “ti aspetto fuori” quando andavamo a scuola, dopo il litigio con qualcuno, promettendogli di sfidarsi in un ambiente meno controllato e – appunto – con meno doveri.

Dopo la sentenza di Lucano, Nordio invii una ispezione pure a Crotone
Carlo Nordio (Imagoeconomica).

Consigliamo a Nordio di mandare i suoi ispettori anche a Crotone 

Nel fitto calendario di ispezioni che il ministro Nordio promette ci permettiamo però di suggerirne una. Tanto una più o una meno ormai fa poco differenza. A Crotone c’è un tribunale che non molto tempo fa ha condannato un ex sindaco che non interessava a nessuno finché non è diventato un simbolo, Mimmo Lucano da Riace. Una pena mostruosa: 13 anni e mezzo di prigione. Leggendo quella sentenza (l’abbiamo letta senza bisogno di andare lì a ispezionare) si immaginava che quel sindaco così ligio e indifeso di fronte alle telecamere fosse riuscito in un piano diabolico da bestseller: secondo i giudici di Crotone fingeva di essere buono (tanto da diventare una testimonianza a livello internazionale) ma incarnava il peggio della politica italiani degli ultimi decenni. Anzi, a rileggere quella sentenza di condanna, si poteva immaginare anche che fosse talmente furbo dall’avere distratto soldi (che non sono mai stati trovati) continuando ad avere conti correnti personali pressoché vuoti e uno stile di vita pari alle persone che accoglieva. Avremmo dovuto studiare quel capolavoro di criminalità nelle scuole: Mimmo Lucano incarnava un ventaglio di reati che ne facevano il paradigma della peggiore amministrazione pubblica possibile.

Dopo la sentenza di Lucano, Nordio invii una ispezione pure a Crotone
Mimmo Lucano (Imagoeconomica).

Cosa potrebbero dirci i giudici che hanno scambiato Lucano per un boss diabolico?

Qualche giorno fa Diabolik Lucano è ritornato a essere un piccolo e dimenticabile ex sindaco di provincia dedito all’accoglienza come sancisce il diritto internazionale e come raccomandano gli ammennicoli religiosi sventolati ogni volta da membri del governo. È stato condannato per il “risibile” reato di abuso d’ufficio. L’aggettivo “risibile” lo rubiamo proprio al ministro Nordio che mica per niente quel reato lo vuole abolire. Quindi la sentenza d’Appello ci dice che al tribunale di Crotone hanno preso un abbaglio non indifferente, scambiando per “boss” un quasi innocente. Ecco, sarebbe curioso sapere cosa risponderebbero agli ispettori di Nordio coloro che hanno concorso alla prima sentenza di Lucano. Sarebbe curioso chiedergli dove abbiano visto reati inesistenti e come abbiano potuto definire “diabolico” un sindaco forse solo un po’ pasticcione. Dovrebbero dirci gli ispettori – a noi oltre che a Nordio – cosa siano quei 12 anni di differenza di condanna su cui ha pasteggiato elettoralmente una certa parte politica. Anche perché – pensateci bene- non è peggio un ministro che ha usato la (mala)giustizia per accumulare credito politico che una persona di giustizia che manifesta un valore?

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Scandalo calcioscommesse. Corona spara il nome del romanista Zalewski

Tutto in salsa della prevedibile commedia italiana: il caso delle scommesse illecite che vede coinvolti i giocatori della nazionale italiana Sandro Tonali (ex Milan ora al Newcastle) e Nicolò Zaniolo (ex Roma ora all’Aston Villa) insieme al primo indagato, Nicolò Fagioli della Juventus, costringe la stampa italiana a scrollare compulsivamente i social di Fabrizio Corona che tiene tutti con il fiato sospeso. L’ex agente dei fotografi dei vip, dopo avere collezionato una serie di condanne, ora detta l’agenda giornalistica sportiva. Visibilmente soddisfatto lo fa dai suoi account e dalla sua testata giornalistica Dilinger News.

Un contrappasso non da poco quello di Corona che decide di centellinare i nomi dei giocatori coinvolti (ha annunciato di averne a decine) e costringe ad accelerare le indagini. Ieri alle 14, come promesso, ha fatto il nome di Nicola Zalewski, esterno della Roma e della nazionale polacca, che però nega mentre i suoi avvocati promettono querele. Nel frattempo si è scatenata la caccia anche alla fonte di Corona che potrebbe essere qualcuno all’interno della Figc o del mondo delle scommesse. La vicenda, questo è certo, è appena cominciata. Fagioli, Tonali, Zaniolo e Zalewski infatti sono solo i primi di un elenco destinato ad allargarsi.

Commedia all’italiana

Sono già state individuate almeno tre piattaforme illegali, sulle quali gli investigatori sono convinti che i calciatori scommettessero. L’inchiesta della Procura di Torino nasce da un’indagine che puntava su una rete di scommesse parallela e illegale, una di quelle che molto spesso viene utilizzata per riciclare denaro sporco. Da lì si è arrivate al giocatore della Juve Fagioli che ha già ammesso di avere giocato un’ingente quantità di denaro, riconoscendo di essere affetto da ludopatia. Nel suo telefono sequestrato però ci sarebbero i fili che portano agli altri calciatori.

Così nel pieno del ritiro della nazionale di calcio guidata da Luciano Spalletti due giorni fa ha fatto irruzione la Polizia a Coverciano per sequestrare i dispositivi elettronici di Zaniolo e Tonali. L’operazione sarebbe dovuta scattare dopo la partita contro Malta in programma oggi ma le dichiarazioni di Corona (ascoltato dal magistrato come persona informata dei fatti) hanno anticipato l’intervento. Così nell’italica commedia abbiamo potuto vedere i due calciatori accusati di scommesse illegali accompagnati dal capo delegazione della nazionale Gianluigi Buffon che nel 2006 finì in un’indagine di scommesse clandestine e poi prosciolto.

Pure i club tremano

Per i calciatori il rischio penale è minimo poiché il reato si estingue con una multa o poco più. Il problema sarà il giudice sportivo: l’articolo 24 del Codice di giustizia Sportiva vieta “ai soggetti dell’ordinamento federale, ai dirigenti, ai soci e ai tesserati delle società appartenenti al settore professionistico” “di effettuare o accettare scommesse, direttamente o indirettamente, anche presso i soggetti autorizzati a riceverle, che abbiano ad oggetto risultati relativi ad incontri ufficiali organizzati nell’ambito della Figc, della Fifa e della Uefa”.

Nel caso di Fagioli l’aggravante di avere scommesso su piattaforme non legali potrebbe costare una squalifica minima di 3 anni e, nel caso in cui sia accertata la consapevolezza dell’illecito da parte dei dirigenti, a pagare potrebbero essere anche le società sportive coinvolte e i compagni di squadra a conoscenza dell’illecito che hanno preferito tacere.

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Il buco nero delle periferie. Dove si invoca l’Esercito ma serve di più la riqualificazione

No, le periferie non hanno bisogno di una sequela di operazioni militari “ad alto impatto” per salvarsi. Le periferie hanno bisogno di una rigenerazione urbana non è un’operazione tecnica o solo fisica, ma riguarda anche la riqualificazione delle relazioni sociali e di prossimità, il senso di comunità, la qualità dell’ambiente di vita e dei servizi. “Oggi quello che manca in Italia è una politica nazionale sulle periferie sostenuta da una strategia e una regia ad ampio respiro, che permetta d moltiplicare e dare coerenza agli interventi sparsi sul territorio. Un vuoto su cui il Paese deve lavorare senza perdere altro tempo”, spiega dal Coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità di Legambiente (e già ex presidente dal 2007 al 2015) Vittorio Cogliati Dezza.

Le periferie italiane non hanno bisogno di una sequela di operazioni militari “ad alto impatto” per salvarsi

L’occasione è la presentazione del Report Periferie più giuste che l’associazione ambientalista ha illustrato nei giorni scorsi raccogliendo esperienze concrete di successo, nate dal basso e realizzate interamente nell’ambito e a favore delle periferie urbane per “favorire – dice Cogliati Dezza – una discussione aperta con tutti coloro che sono chiamati a occuparsi delle sfide politiche e culturali che ci aspettano da qui ai prossimi anni e che hanno al centro le aree urbane”. Partendo proprio dalle periferie in cui “si addensano gran parte delle fragilità e dei bisogni di cui dobbiamo tener conto per affrontare la sfida della transizione ecologica”.

Milano, Bologna, Napoli. Nel Report ci sono diciotto storie virtuose

Le 18 storie virtuose nel Report raccontano storie che hanno come punto di forza proprio la sinergia tra istituzioni locali e partecipazione dal basso. Si va da Modena in prima linea contro la povertà energetica all’edilizia sociale di Ferrara al co-housing di Bologna, da Terni con la ‘cittadella delle associazioni’ nata grazie anche all’intervento dell’Ater, a Crotone con il giardino di Pitagora a Barletta con il recupero dei giardini di Baden Powell, area un tempo degradata oggi fiore all’occhiello della città grazie ad un lavoro di inclusività e partecipazione. Da Vicenza con la riqualificazione dell’aula didattica all’aperto del Parco Retrone nel quartiere Ferrovieri nata dall’esigenza di più spazi pubblici condivisi emersa durante la pandemia, per arrivare in provincia di Pescara, a Popoli, con il progetto dell’eolico solidale che si propone di utilizzare la remunerazione dell’energia elettrica prodotta annualmente dal sistema per il finanziamento di attività e opere necessarie per supportare il sistema sociale della collettività del Comune. Tra le grandi città, Roma con il Laboratorio Città di Corviale, Napoli con la prima Comunità energetica Rinnovabile e Solidale (Cer), Milano con Sharing Cities ed EnerPOP che ha avviato percorsi di accompagnamento per la riqualificazione energetica dei condomini; Palermo culla dei Cantieri Culturali alla Zisa, esempio di riconversione di un’area industriale e poi Torino con il modello Health Equity Audit per un welfare equilibrato grazie all’articolazione delle strutture sanitarie nel territorio. Uno strumento che permette di valutare le diverse scelte politiche, integrando i dati socio-economici urbani con i processi decisionali degli stakeholder locali.

Laboratori d’innovazione. E inclusione sociale

La fotografia scattata dal dossier di Legambiente racconta di un’Italia in fermento dove le perfierie diventano preziosi laboratori di innovazione, accoglienza e inclusione sociale, contrastando disuguaglianze, povertà energetica ed abitativa. Secondo gli ultimi dati Caritas, nel corso del 2022 sono state 34.633 le persone che si sono rivolte ai centri della rete per problemi di povertà abitativa, ossia il 23,1% del totale degli utenti. Uno studio del Censis del 2019 descriveva la società italiana come composta da individui che in prevalenza si sentono soli, arrabbiati e diffidenti, soprattutto nelle periferie, dove secondo i dati di Save The Children, è in costante aumento la presenza di bambini.

Rigenerazione urbana. Da Legambiente sei proposte al governo

Cosa serve? Legambiente presenta 6 proposte al governo. In Italia serve: una politica intersettoriale dedicata alla rigenerazione delle periferie che tenga conto della riqualificazione fisica, sociale e culturale; serve un’integrazione degli interventi sulle singole abitazioni con quelli a scala di comunità e di quartiere; serve la garanzia del diritto ad un abitare dignitoso e bassi consumi energetici attraverso politiche pubbliche strutturali e stabili nel tempo, coerenti con la nuova direttiva europea sulle case green; serve accesso garantito alla “ricchezza comune” come diritto di cittadinanza: accesso a servizi sanitari, sociali, culturali e di istruzione prossimi e di qualità e a tutti quei fattori che nel territorio possono ridurre e compensare le povertà di ricchezza privata, dagli spazi pubblici alla mobilità, al verde, ecc.; serve il diritto di accesso all’energia per tutti, contrastando la povertà energetica con politiche strutturali, non affidate solo ai bonus; serve il contrasto alla povertà educativa attraverso una programmazione che finanzi a livello territoriale i Patti Educativi di Comunità, coinvolgendo i vari soggetti attivi (istituzionali e non) e condividendo la strategia per arricchire le aree periferiche di opportunità educative. Filo rosso che lega le sei proposte il fatto che le periferie sono destinate sempre più a diventare i nuovi centri nevralgici delle città.

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Lo squadrismo e Roberto Saviano

La condanna di un giornalista in un processo per un reato di opinione intentato da una presidente del Consiglio è già, di per sé, qualcosa che profuma di autarchia. Poiché Roberto Saviano è Roberto Saviano qui in Italia ci siamo concessi il lusso di non sottolineare la sproporzione spostando la vicenda sul piano dello scontro politico. Questa sete di vendetta ormai pacificamente normalizzata nel nostro Paese sarà la stessa rabbia impaurita che farà crollare prima o poi questo governo che la alimenta.

Una condanna con attenuanti per “motivi di particolare valore morale” smentisce in toto l’architettura della propaganda. No, non erano offese, anche se oggi qualche stralunato editorialista finge di non averlo capito. Nel discorso di Saviano, anche dentro quel “bastardi” indirizzato al governo, c’è un giudizio politico nei confronti di chi accumula potere attraverso la mendacia strutturale della sua propaganda sulla pelle degli altri. Si tratta di un modo canagliesco di fare politica che lucra sulle sofferenze dei fragili e sulle paure degli altri. È il giudizio di Roberto Saviano ma è anche il giudizio di centinaia di giornalisti, migliaia di attivisti, milioni di italiani.

Il processo comunque ha raggiunto lo scopo. La condanna è simbolica perché come un tetro simbolo campeggia sulle teste di chi da ieri sa che criticare il governo costerà caro: costerà processi, costerà esposizione alla ferocia pubblica. E quando ci si accorgerà che non è una questione “contro Saviano” ma è un metodo sarà sempre troppo tardi.

Buon venerdì. 

Ritratto di Roberto Saviano. Fonte: Di International Journalism Festival from Perugia, Italia – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17246727

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Matteo contro Renzi al Congresso farsa di Italia Viva

Tira una brutta aria in Italia Viva in vista del prossimo congresso. Anzi, a ben vedere sulla natura di Italia Viva pesano i giudizi di Ettore Rosato, ex coordinatore nazionale del partito di Renzi, e Elena Bonetti, ex ministra per le Pari opportunità e la famiglia nei governi Conte II e Draghi. Entrambi da giorni si lamentano perché hanno scoperto che Matto Renzi è uno che pensa solo a se stesso e ha uno stuolo di profili sui social che vivono solo per delegittimare i nemici.

Tira una brutta aria in Italia Viva in vista del suo primo congresso nazionale

Ma Italia Viva è anche alle porte del suo primo congresso nazionale. Candidati? L’attuale presidente Matteo Renzi è al momento l’unico in corsa per la guida del partito. La lista dei candidati a livello locale è stata pubblicata mercoledì scorso dopo che la Commissione nazionale per il congresso di Italia Viva ha verificato la validità delle candidature per la presidenza dei coordinamenti territoriali del partito, che rappresentano le sezioni locali di Italia Viva e coordinano l’attività sul territorio degli iscritti, dei simpatizzanti e dei comitati.

I comitati sono un altro organo di Italia Viva e sono creati dagli iscritti sulla base di singoli temi. In base alle verifiche di Pagella Politica, i coordinamenti regionali, provinciali e comunali chiamati al voto domenica prossima per eleggere il loro presidente sono 143, per un totale di 182 candidati. In 109 coordinamenti territoriali – circa il 77 per cento – c’è solo un candidato alla carica di presidente. In altri 29 coordinamenti ci sono due candidati, mentre in cinque coordinamenti ce ne sono tre. Insomma, un partito che è il barboncino del suo proprietario. Stupisce? Ma va.

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Poveri avvoltoi sulla testa di Mimmo Lucano

Eh, no, Mimmo Lucano non era un delinquente. La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha smontato la ridicola sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che aveva aizzato una masnada di razzisti, di salvinisti-meloniani, di giornalisti con più bile che cultura giuridica, di liberali pelosi, di riformisti con il minnitismo conficcato dentro il petto e di giornalacci garantisti solo con gli amici degli amici. Quei 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio sono diventati un anno e sei mesi di reclusione per un reato bagatellare amministrativo (abuso d’ufficio per la determina sindacale del 5 settembre del 2017) con pena sospesa.

Crollano tutti quelli che aspettavano con il sangue tra i denti che a cadere fosse Mimmo Lucano. Crollano le penne bavose di chi colpiva Lucano per colpire l’accoglienza. Il “business criminale” nel sistema di accoglienza di Riace non sta a Riace. Era facile: bastava seguire i soldi, come suggerivano Falcone e Borsellino: di soldi in questa storia non ce ne sono mai stati nelle tasche di Lucano.

È vero però che su Mimmo Lucano hanno lucrato le copie vendute di qualcuno, ha lucrato lo share di qualche mendace trasmissione. Riace sta lì, ben piantata con i piedi per terra, a schiaffeggiare gli incapaci di immaginare l’accoglienza e l’integrazione. Ora, vedrete, i manettari sculetteranno da garantisti.

Resta una domanda interessante? Chi furono i ministri che pasteggiarono con le ispezioni a Mimmo Lucano? Chi era il Prefetto a Reggio Calabria che montò un disegno inesistente? Che carriera hanno avuto?

Buon giovedì. 

Nella foto: Mimmo Lucano nella piazzetta di Riace (Carlo Troiano Wikipedia), 15 agosto 2018

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Nemici giurati di Hamas. Ma amici dei suoi amici

Ci vuole il fisico per fingere ogni volta di essere dalla parte giusta senza togliere le scarpe dal lato sbagliato. Mentre infiamma la guerra in Medioriente il governo italiano sembra aver scoperto solo adesso che il nuovo nemico pubblico (utile per non parlare e far parlare della disastrata politica interna) è Hamas.

Ci vuole il fisico per fingere ogni volta di essere dalla parte giusta senza togliere le scarpe dal lato sbagliato

L’attacco dell’organizzazione politica e paramilitare palestinese islamista, sunnita e fondamentalista di estrema destra svela l’ipocrisia dell’Occidente che sventola diritti umani e poi li seppellisce sotto il denaro. Non importavano i terroristi di Hamas quando c’erano da intascare i soldi e le relazioni per organizzare i Mondiali di calcio in Qatar. L’Italia aveva spedito 380 militari per la sicurezza del Campionato del mondo. Costo dell’operazione “Orice”: 10 milioni di euro.

Oggi fa sorridere che l’Italia concorresse alla sicurezza di un Paese che spende 30 milioni di dollari al mese per Hamas e che è sempre stato supporter dei terroristi, come i jihadisti, come i talebani. Grande giubilo da Giorgia Meloni e soci quando l’Algeria avrebbe dovuto salvarci “dalla dipendenza dal gas russo”. L’Algeria oggi è dalla parte di Hamas. A dire la verità, lo era anche quando esultavano tutti ma allora il “chiodo schiaccia chiodo” bastava. Soddisfazione anche per i campionati europei di calcio che l’Italia organizzerà con la Turchia di Erdogan.

Solo che Erdogan è alleato di Putin, quindi della Siria e quindi di Hamas. Ops, se ne sono accorti solo ora. E bin Salman? Le squadre italiane finaliste nella Supercoppa non vogliono ovviamente volare dagli “amici dei terroristi” in Arabia Saudita. La Figc risponde: manderemo altri. La coppa dei moralisti immorali tanto l’abbiamo già vinta.

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Vespa regala a La Russa Cinque minuti in ginocchio

Sarebbe troppo facile scrivere che Bruno Vespa “fa” il Bruno Vespa, come ha sempre fatto e come solo sa fare. Il Bruno Vespa visto lunedì sera nel suo ennesimo salotto Rai a spese dei contribuenti è riuscito a toccare il fondo e poi scavare di fronte al presidente del Senato Ignazio La Russa, fresco di una puntata di giornalismo (quell’altro che non è propriamente la professione di Vespa) dedicatagli dalla trasmissione d’inchiesta Report.

Nel salotto della trasmissione Cinque minuti Vespa ha chiesto a Ignazio La Russa cosa ne pensi della puntata di Report

Nel salotto della nuova trasmissione Cinque minuti su Rai 1 il giornalista chiede a La Russa cosa ne pensi della puntata di Report (in onda su Rai 3, va tenuto a mente) in cui si ripercorrono la rete di relazioni della famiglia della seconda carica del Senato. Che fissa la telecamera e risponde: “Report? Su di me non sono riusciti a dire niente, ma sul resto… Siccome si tratta di calunnia da parte di calunniatori seriali, non mi voglio esprimere, credo sia più corretto che lo faccia la magistratura”.

Vespa, ecumenico fino all’andreottismo, non fa un piega. È il cortocircuito della Rai targata Meloni: su un canale Rai un presidente del Senato calunnia una trasmissione Rai di fronte a un conduttore che continua a essere lautamente pagato con soldi pubblici. L’azienda non esiste più, lo spirito aziendale men che meno. Un non dipendente Rai come Vespa (che da non dipendente può garantirsi guadagni maggiori) consente che venga diffamato un giornalista Rai (che come Vespa avrebbe potuto benissimo “mettersi in proprio” ma non l’ha fatto) per compiacere il potere. Servire i potenti per Bruno Vespa, si sa, è una missione.

Ci si è dimenticati in fretta di come da direttore del telegiornale del servizio pubblico Vespa considerasse la Democrazia cristiana suo “editore di riferimento” ammettendolo senza troppi problemi, già allora svilendo l’idea stessa di servizio pubblico. È lo stesso Vespa, vale la pena ricordarlo, che nel 2005 intercettato dalla Procura prometteva di “confezionare una puntata addosso” all’allora ministro degli Esteri Gianfranco Fini. Per lui consentire a La Russa di difendersi offendendo e senza rispondere nel merito è una semplice passeggiata.

Da Viale Mazzini e dall’Ordine dei giornalisti tutto tace Solo la Fnsi prova a farsi sentire

Ci sono però due elementi che vale la pensa sottolineare. Nel salotto di Vespa al presidente del Senato è stato concesso di calunniare. Sì calunniare: La Russa definisce “calunniatori seriali” i giornalisti di Report che non hanno mai perso una causa per diffamazione. In sostanza La Russa accusa di un reato la redazione della trasmissione di Rai 3. Così per difendersi da presunte “calunnie” tutte da dimostrare riesce a calunniare i giornalisti. Il secondo aspetto preoccupante e prevedibile è il silenzio della dirigenza Rai, ormai trasformata in una greve TeleMeloni dissanguata negli ascolti e nella credibilità. Silenzio anche dall’Ordine dei giornalisti.

Solo Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione nazionale della stampa, ricorda che “come seconda carica dello Stato, La Russa avrebbe il dovere di essere garante anche dell’art. 21 della Costituzione, che garantisce la libertà di stampa e il diritto dei cittadini a essere informati. Invece minaccia querele preventive e si sottrae al confronto”. Ma sono poche voci dissonanti nell’ammorbidimento generale.

Fratelli d’Italia ieri ha accusato Report di “illazioni e teoremi sconclusionati, frutto di visioni evidentemente ideologiche” parlando addirittura di “killeraggio”. Ed ha annunciato: “Depositeremo subito un’interrogazione per sapere se la Rai intenda continuare a finanziare con i soldi dei contribuenti un pessimo giornalismo ideologico e di teorema”, scrivono i membri meloniani in commissione di Vigilanza. Per loro il servizio pubblico evidentemente è roba alla Pino Insegno.

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