Vai al contenuto

Smontati pezzo per pezzo: c’è un altro giudice, questa volta a Torino

C’è un altro giudice, questa volta a Torino, che smonta l’inefficace azione politica di un governo che vorrebbe occuparsi di migrazioni senza conoscere il quadro normativo e la situazione internazionale. Ne dà notizia Melting Pot Europa.

Il Tribunale di Torino, previa sospensione cautelare dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato per la sussistenza di “ragioni tali da giustificare l’accoglimento dell’istanza” (7.3.2023), ha accolto nel merito il ricorso ed ha riconosciuto al cittadino tunisino la protezione speciale.

In data 21 ottobre 2022 il ricorrente sbarcava sulle coste siciliane e veniva immediatamente raggiunto da un decreto di respingimento emesso dal Questore della Provincia di Trapani. Egli raggiungeva successivamente un parente in provincia di Cuneo, ove formalizzava l’istanza di protezione internazionale. A seguito dell’audizione, la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Torino non riconosceva al richiedente alcuna forma di protezione per manifesta infondatezza.

Nel merito, il Tribunale di Torino ha riconosciuto al richiedente la protezione speciale in ragione della copiosa documentazione prodotta, attestante la veridicità di quanto affermato e non documentato in sede di audizione e l’integrazione sotto il profilo lavorativo e sociale, dando altresì atto del deterioramento delle condizioni politiche e sociali della Tunisia.

Che la Tunisia sia un dittatura de facto lo sanno tutti coloro che sfogliano un giornale internazionale. Resta da capire se si tratti di ignoranza, di malafede, o di un’ignorante malafede.

Buon mercoledì. 

L’articolo proviene da Left.it qui

Dalla Liguria alla Sicilia. La Lega vede solo complotti

In Liguria c’è questa brutta storia di un’indagine che riguarda festini in cui abbondano escort e cocaina. Tra le carte compare anche il nome del vicepresidente della giunta regionale della Liguria, Alessandro Piana, come uno dei beneficiari delle prestazioni sessuali. L’inchiesta della Procura di Genova si concentra sui festini organizzati da due personaggi, l’architetto Alessandro Cristilli e l’imprenditore e albergatore Christian Rosolani, arrestati dopo un provvedimento del giudice per le indagini preliminari Riccardo Ghio.

In Liguria c’è questa brutta storia di un’indagine che riguarda festini in cui abbondano escort e cocaina

Gli organizzatori pagavano le escort ai loro ospiti. Secondo gli inquirenti sarebbe stato Cristilli a pagare le prestazioni sessuali all’interno di appartamenti esclusivi. Il vicepresidente Piana, che non è indagato e che non risulta tra i consumatori di droga, nega di essere “mai andato con prostitute”, dice di non conoscere “il contesto, né queste persone” e assicura di voler chiarire quanto prima. A fare un certo effetto è però la nota della Lega: “Quando si dice il caso. Nei giorni in cui viene ribadita con forza l’esigenza di riformare la giustizia anche alla luce dei gravi fatti di Catania, da Genova scivola la notizia di un’indagine che dà in pasto all’opinione pubblica il nome di una persona, nemmeno indagata, che viene identificata nel vicepresidente della Lega della Regione Liguria”, scrivono dal Carroccio.

In sostanza credono (e vorrebbero farci credere) che l’indagine ligure sia collegata ai loro scomposti attacchi alla giudice Apostolico di Catania. Anzi, peggio: secondo loro la magistratura per fermare le riforme sulla Giustizia avrebbe deciso di non indagare un vicepresidente di una giunta regionale. Alla faccia del complotto, eh?

L’articolo Dalla Liguria alla Sicilia. La Lega vede solo complotti sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Onu, Oms e Unicef in campo per chiedere corridoi umanitari a Gaza

“Garantire l’accesso agli aiuti umanitari su Gaza dove la situazione umanitaria era già critica prima di queste ostilità”: sono parole nette quelle di Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, sula conflitto in Medio Oriente tra Israele e Palestina. “Materiale medico, cibo, carburante e altri beni sono disperatamente necessari, – dice Guterres – così come l’accesso al personale umanitario. Gli aiuti e l’ingresso di forniture di base a Gaza devono essere facilitate, e le Nazioni Unite continueranno a compiere ogni sforzo per mettere a disposizione aiuti in risposta a questi bisogni”.

Guterres: “Garantire l’accesso agli aiuti umanitari su Gaza dove la situazione umanitaria era già critica prima di queste ostilità”

L’intervento segue una telefonata nella tarda serata di ieri con il leader dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas, che ha esortato l’Onu a rispondere immediatamente ai bisogni umanitari della popolazione di Gaza, che da domenica è posta sotto un pesante assedio. Nella sua telefonata a Guterres, stando all’agenzia palestinese Wafa, Abbas ha esortato le Nazioni Unite anche a intervenire per porre fine ai bombardamenti contro la Striscia. Gaza già subiva un blocco alle importazioni imposto da Israele a partire dal 2006. Dopo l’attacco militare sferrato da Hamas sabato mattina, Tel Aviv ha imposto “un assedio totale sulla Striscia”: come ha detto il ministro della Difesa Yoav Gallant, “non ci sarà né elettricità, né cibo, né carburante e ogni cosa varrà chiusa. Stiamo combattendo contro animali umani e quindi agiamo di conseguenza”.

Nella Striscia di Gaza vivono circa 2 milioni di persone. A rischio le vite dei bambini

Nella Striscia vivono circa 2 milioni di persone e a causa della scarsità di infrastrutture elettriche, molti edifici dispongono di generatori elettrici alimentati a gasolio, come ad esempio gli ospedali. Per questo secondo i difensori dei diritti umani, tagliare il carburante è rischioso per questo genere di strutture. Israele ha anche tagliato le forniture d’acqua, come ha confermato il ministro per l’Energia israeliano. “Profondamente preoccupata per le misure del blocco dell’elettricità e di impedire l’ingresso di cibo, carburante e acqua a Gaza” è anche Catherine Russell, Direttrice generale dell’Unicef che denuncia come la situazione possa “mettere le vite dei bambini a rischio”.

“Nulla giustifica l’uccisione, il mutilamento o il rapimento di bambini – gravi violazioni dei diritti che l’Unicef condanna incondizionatamente”, dice Russel: “meno di 72 ore dopo lo scoppio delle terribili violenze in Israele, le notizie indicano che dilagano gravi violazioni dei diritti dei bambini. Molti bambini sono stati uccisi o feriti, mentre innumerevoli altri sono stati esposti alle violenze. – continua la direttrice -. L’Unicef chiede ai gruppi armati, o a tutti i responsabili, un rilascio immediato e in sicurezza di tutti i bambini in ostaggio a Gaza per poterli riunire alle proprie famiglie o a chi se ne prende cura. Chiediamo a tutte le parti di proteggere i bambini dai pericoli, in accordo con il diritto internazionale umanitario”, ha concluso.

Ieri mattina l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) tramite il suo portavoce Tarik Jasarevic in una conferenza stampa a Ginevra ha confermato di essere in trattativa con le parti del conflitto per un corridoio umanitario “necessario per fornire forniture mediche essenziali alle popolazioni”. L’Onu ha anche sottolineato come la rappresaglia israeliana abbia colpito anche grandi torri residenziali a Gaza City e altri edifici residenziali in tutta Gaza scuole e locali dell’agenzia di soccorso e lavoro delle Nazioni Unite, l’Unrwa, causando vittime civili”. I palestinesi che provano a sfuggire dai bombardamenti si ammassano sul valico con l’Egitto a Rafah. Una fonte della sicurezza egiziana all’agenzia di stampa tedesca Dpa ha comunicato che il passaggio rimarrà “chiuso fino a nuovo avviso”.

 

Leggi anche: Il grande silenzio dell’Onu mentre la guerra diventa globale. Parla il docente dell’Università di Lüneburg, De Angelis: “Meno diplomazia, più conflitti: non è casuale”

L’articolo Onu, Oms e Unicef in campo per chiedere corridoi umanitari a Gaza sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

La Russa, manganello e querele. Con Report riparte la caccia a Ranucci

Ignazio La Russa è furioso. La puntata della trasmissione Report condotta da Sigfrido Ranucci in cui vengono tracciate le traiettorie politiche e imprenditoriali della sua famiglia ha scatenato le ire del presidente del Senato che attraverso il suo portavoce annuncia querele non solo alla trasmissione Rai ma anche contro chiunque osi continuare a parlarne.

Report ha ricostruito i collegamenti del padre, che all’epoca era segretario del Partito Fascista a Paternò, con finanzieri come Michelangelo Virgillitto e Raffaele Ursini, oltre a quelli con Michele Sindona. Il “banchiere di Dio” è morto in carcere dopo un caffè al cianuro. Nella puntata si è parlato anche delle dichiarazioni del colonnello dei carabinieri Michele Riccio sul capomafia Luigi Ilardo secondo cui Cosa Nostra avrebbe dato indicazioni nel 1994 di votare in Sicilia Orientale Antonino La Russa e suo figlio Vincenzo.

Inchiesta sul sistema di potere del presidente del Senato Ignazio La Russa. Che scappa dal contraddittorio e minaccia con gli avvocati

Nel 1956 Antonino si trasferì a Milano insieme ai figli Vincenzo, Ignazio e Romano. Secondo Report proprio per dare una mano a Virgillitto che nel frattempo aveva scalato con l’aiuto di Sindona la Liquigas. Antonino è stato vicepresidente dell’azienda. Nella sua nota il presidente del Senato sottolinea i “quasi due mesi di costose ricerche e di troupe sguinzagliate in varie regioni d’Italia” che a suo dire non avrebbero trovato “nemmeno un briciolo di attività non solo illegali ma anche solo inopportune”. Il presidente del Senato oltre che acconciare querele ha anche prodotto un’innovativa “autointervista”: ripreso in video ha risposto alle domande che il suo portavoce gli ha posto senza nessun contraddittorio, senza nessuna mediazione, al di fuori di qualsiasi canone giornalistico e istituzionale.

Nella sostanza, niente di nuovo circa l’allergia di questo governo nei confronti della stampa. Per il presidente del Senato tutto ciò che riguarda l’indicazione di Cosa Nostra di votare per i La Russa sono circostanze false e calunniose. Anzi, sarebbe impossibile perché “Antonino La Russa non era più candidato e il figlio Vincenzo (peraltro mai appoggiato elettoralmente dai familiari) era candidato non con Forza Italia bensì con l’Udc di Casini”. E “mai tale circostanza ha avuto alcun seguito giudiziario, anche minimo, né mai è stata contestata agli interessati”. Cosa che Report chiarisce: né Vincenzo, né suo padre sono mai stati indagati per le dichiarazioni di Ilardo. Le precisazioni di La Russa sono molteplici e minuziose.

Anziché rispondere alle domande della trasmissione Rai l’esponente di FdI si fa intervistare dal suo portavoce

Il portavoce dell’associazione Articolo 21 Beppe Giulietti sottolinea come “al querela bavaglio scagliata da un governante o da una carica istituzionale ha comunque un effetto dirompente, punta a scoraggiare altre inchieste, si tratta di un avvertimento rivolto ad ogni cronista, infatti si annunciano denunce anche contro chi decidesse di riprendere l’inchiesta curata dalla redazione di Report e da Giorgio Mottola, cronista rigoroso, abituato a verificare e riverificare le fonti, stimato da chiunque abbia a cuore l’Articolo 21 della Costituzione”.

Per Giulietti le minacce a Report “meritano una risposta unitaria, non solo da parte delle associazioni dei giornalisti, ma anche dai cittadini minacciati nel loro diritto ad essere informati”: “l’Italia, con le querele annunciata da La Russa, ha conquistato il primato europeo per il numero di esposti presentati da rappresentanti delle istituzioni e del governo, superando anche Ungheria e Polonia”, ricorda Giulietti. La strategia ormai è sempre la stessa: far passare le domande come “attacchi”, confondere il piano giudiziario con quello di ciò che è opportuno per un esponente politico di primo piano. L’attacco a Report probabilmente è appena iniziato.

L’articolo La Russa, manganello e querele. Con Report riparte la caccia a Ranucci sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

La lezione non è servita. Dall’Ucraina a Israele è ripartito il tifo bellicista

Non abbiamo imparato niente. O forse abbiamo imparato troppo bene. Mentre infiamma la controffensiva di Israele dopo la controffensiva di Hamas – le ennesime in decenni di guerra ininterrotta che in queste ore raggiunge numeri da strage – l’Italia si distingue per provincialismo e cinismo ripetendo il solito copione. Diceva Winston Churchill che gli piacevano gli italiani perché vanno alla guerra come fosse un partita di calcio e infatti il tifo è già qua. I titoli di alcuni giornali e di alcuni siti di informazione declina dal dovere di informare lanciando la rincorsa alla polarizzazione: stare con Israele è l’occasione per un po’ di sciacallaggio politico contro gli avversari, presumendo di poterli mettere in difficoltà. Ubriacati dal bellicismo allenato da più di un anno di guerra in Ucraina alcune firme del giornalismo nostrano invocano addirittura il diritto alla rappresaglia, sventolando la vendetta israeliana agli orrori compiuti da Hamas come un “ripristino della civiltà”.

Persino gli editoriali dei giornali israeliani risultano più equilibrati degli ultrà di casa nostra

Anche la formula è quella già sentita: “Bisogna difendere l’Occidente”, ripetono, dove per “difesa dell’Occidente” intendono lo sterminio di un popolo. Quando scoppia una guerra per una parte della stampa italiana sembra che non esiste né passato né futuro. Non esistono gli ultimi 20 anni in cui Gaza è diventata la più grande prigione a cielo aperto e non esiste la capacità di distinguere il popolo israeliano dal suo pessimo primo ministro Benjamin “Bibi” Netanyahu. Ieri il professore di Sociologia della Suola Normale di Pisa, Lorenzo Zamponi, proponeva di partire da due semplici verità: “Che i palestinesi subiscono un’ingiustizia storica e presente a cui hanno diritto a resistere, e che i massacri di civili (tutti, sempre) sono inaccettabili e ingiustificabili. Mettere in discussione uno di questi due punti porta fuori strada”.

Ora è ancora più difficile parlare di Pace. Rimossi vent’anni di storia in Medio Oriente

“Lo dico perché si stanno costruendo mostri politici, – spiega Zamponi – dalla guerra di civiltà “perché Israele è Occidente” alle odi a Hamas vendicatrice degli oppressi. Per non parlare di chi legge la questione attraverso la bandierina ucraina o russa che ha nel profilo”. Niente da fare. Chi osa ribellarsi al tifo viene marchiato come “pacifinto”, al solito. Risultano più equilibrati perfino gli editoriali israeliani: “Il disastro che ha colpito Israele durante la festa di Simchat Torah è la chiara responsabilità di una persona: Benjamin Netanyahu. – scrive il quotidiano israeliano Haaretz – Il primo ministro, che si è vantato della sua vasta esperienza politica e della saggezza insostituibile in materia di sicurezza, non è riuscito completamente a identificare i pericoli in cui stava conducendo consapevolmente Israele quando ha istituito un governo di annessione e espropriazione”.

Il pluripremiato giornalista e attivista politico israeliano e direttore esecutivo di +972 Magazine, Haggai Matar, scrive: “Ricordo che tutto ciò che sento ora, che ogni israeliano deve condividere, è stata l’esperienza di vita di milioni di palestinesi per troppo tempo. L’unica soluzione, come è sempre stata, è porre fine all’apartheid, all’occupazione e all’assedio e promuovere un futuro basato sulla giustizia e l’uguaglianza per tutti noi”. Dalle nostre parti verrebbe tacciato di filoterrorismo. È la guerra per amore della guerra. Sullo sfondo rimangono i “poveri cristi” di cui parlava Gino Strada: le famiglia israeliane che piangono i morti, i feriti e i rapiti e le famiglie palestinesi che attendono la controffensiva che le cancellerà. I governi si fanno la guerra e i popoli ne pagano le conseguenze. I nostri “esperti” si godono un altro giro ai bordi dell’arena cancellando il passato e senza nessuna preoccupazione per il futuro.

L’articolo La lezione non è servita. Dall’Ucraina a Israele è ripartito il tifo bellicista sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

La Tunisia, il “Paese sicuro”

Quando Giorgia Meloni infiocchettò l’accordo che finora non ha mai funzionato con la Tunisia puntava evidentemente sulla superficialità emotiva dei suoi elettori. Disse, tra le altre cose, che il presidente Kaïs Saïed era “amico dell’Italia e amico dell’Europa”, tentando di normalizzare un Paese a cui appaltare le frontiere europee ricreando un avamposto di lager per bloccare le partenze.

La Tunisia “amica” di Giorgia Meloni in queste ore è l’opposto dell’Italia nella questione medio orientale: Saïed ha espresso il suo sostegno totale e incondizionato al popolo palestinese ricordando che la striscia di Gaza «è un territorio palestinese sotto occupazione sionista da decenni e che il popolo palestinese (…) ha il diritto di recuperare e di riprendere tutta la terra di Palestina come il diritto a creare il suo stato indipendente con Gerusalemme capitale». Ieri la bandiera palestinese sventolava su tutti gli istituti scolastici.

Nel frattempo Saïed continua a sfornare leggi per comprimere i diritti e le libertà dei suoi cittadini. Il 6 ottobre è stata arrestata Abir Moussi, avvocata e leader del Partito desturiano libero, considerata dai sondaggi l’unica candidata in grado di battere Saïed nelle elezioni presidenziali previste nel 2024. Da febbraio sono una trentina gli oppositori politici, i giornalisti e gli intellettuali arrestati con accuse gravissime. 

Intanto il presidente tunisino continua a ribadire il suo fermo no alle riforme richieste dal Fondo monetario internazionale per ottenere il prestito di 1,9 miliardi di dollari promesso da Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen definendoli “diktat stranieri”. 

«È un paese sicuro e amico, la Tunisia», dicono. Sì, come no.

Buon martedì. 

Nella foto: Giorgia Meloni e Kaïs Saïed, Tunisi, 6 giugno 2023 (governo.it)

L’articolo proviene da Left.it qui

Gioventù disperata. Un suicidio ogni 11 minuti

In occasione della Giornata mondiale della salute mentale, l’Unicef ci ricorda che a livello globale oltre un adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni vive con un problema di salute mentale diagnosticato. La maggior parte delle 800mila persone che ogni anno si tolgono la vita sono giovani e il suicidio è la quarta causa principale di morte tra i giovani fra i 15 e i 19 anni. Quasi 46mila adolescenti muoiono a causa di suicidio ogni anno – più di uno ogni 11 minuti.

In occasione della Giornata mondiale della salute mentale, l’Unicef ci ricorda che quasi 46mila adolescenti muoiono a causa di suicidio ogni anno

Nel 2022/23 l’Unicef Italia insieme all’Unità operativa semplice (Uos) di Psicologia clinica, in accordo con la direzione generale della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli, ha realizzato il progetto #WITHYOU – La psicologia con te” per far fronte all’aumento dei disagi psichici fra gli adolescenti. Il progetto, durato un anno, ha coinvolto 1.571 giovani e 1.942 genitori, per un totale di 3.513 persone che hanno avuto accesso diretto a servizi di sostegno e 35.130 beneficiari indiretti.

Dai risultati del progetto è emerso che il 39% della popolazione presa in carico avverte e soffre di una sintomatologia affettiva ansioso-depressiva che potrebbe sfociare in una definitiva psicopatologia; dai dati preliminari di efficacia terapeutica si evince tuttavia che alcuni disordini possono cambiare traiettoria. Il nostro Paese risulta ultimo in Europa per il benessere psicologico: ansia e depressione colpiscono il 20% della popolazione, soprattutto nell’adolescenza. Nonostante questo quadro, parlare di salute mentale è ancora un tabù ed eliminare lo stigma sociale appare difficile. Nel mazzo delle finte priorità create per distrarre forse sarebbe il caso di fermarsi su questa.

L’articolo Gioventù disperata. Un suicidio ogni 11 minuti sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Ignazio Benito Maria La Russa si autointervista

Il presidente del Senato Ignazio Benito Maria La Russa sul solco della presidente del Consiglio Giorgia Meloni inventa un nuovo genere: l’autointervista. Accade perché la trasmissione Report decide di fare quello che dovrebbe fare il giornalismo: indagare, raccontare ricordare. Così il giornalista Giorgio Mottola decide di andare a Paternò, città d’origine dei La Russa che con soli 45mila abitanti si è aggiudicata il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, un parlamentare e un consigliere del Csm.

La Russa sul solco della presidente del Consiglio Meloni inventa un nuovo genere: l’autointervista

Report indaga sulle origini del potere e della ricchezza della famiglia La Russa. E in particolare sullo strettissimo legame con un controverso finanziere paternese, Michelangelo Virgillito, che dal nulla aveva costruito un impero finanziario che sarebbe scaturito grazie al patrimonio di ebrei costretti ad abbandonare il paese per le leggi razziali. Ad amministrare questo patrimonio chiamerà, nel dopoguerra, Antonino La Russa che rimarrà anche dopo gli anni Settanta, quando si scoprirà che la galassia delle società messe in piedi da Virgillito erano state finanziate dal banchiere della mafia Michele Sindona.

Che fa La Russa Non risponde ai giornalisti ma, come racconta Report, “dopo le cassette inviate ai tg da #Berlusconi e le dirette Facebook di politici monologanti, il presidente del Senato invece di sedersi davanti alle nostre telecamere, risponde alle nostre domande, lette dal suo addetto stampa, senza concederci il contraddittorio”.

In un Paese normale questa mattina bisognerebbe discutere nel merito delle informazioni trovate dalla trasmissione Report. Non accadrà. Intanto, vedrete, qualcuno dalle parti della maggioranza di governo penserà che nemmeno spostare la trasmissione d’inchiesta alla domenica, annacquata dal calcio, è bastato.

 

L’articolo Ignazio Benito Maria La Russa si autointervista sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

C’è un (altro) giudice a Catania

C’è un (altro) giudice a Catania, a dimostrazione che le leggi si discutono nel merito e non martellando gli uomini di legge. Ieri il giudice Rosario Cupi non ha convalidato il trattenimento di sei migranti a Pozzallo, disposto dal Questore di Ragusa. La decisione ricalca quella già presa dalla giudice Iolanda Apostolico, gettata nel liquame politico dall’irresponsabile ministro Matteo Salvini insieme ai suoi colleghi detti garantisti che aveva avanzata un’analoga richiesta nei confronti di quatto tunisini.

Il giudice Cupi ha sottolineato una decisione della Corte di giustizia dell’Ue secondo la quale “il trattenimento di un richiedente protezione internazionale” costituisce “una misura coercitiva che priva tale richiedente della sua libertà di circolazione e lo isola dal resto della popolazione, imponendogli di soggiornare in modo permanente in un perimetro circoscritto e ristretto”. “Ne discende – osserva – che il trattenimento costituendo una misura di privazione della libertà personale è legittimamente realizzabile soltanto in presenza delle condizioni giustificative previste dalla legge”. E ricorda che anche la Corte di Cassazione ha stabilito che “la normativa interna incompatibile con quella dell’Unione va disapplicata dal giudice nazionale”.

Ora non resta che scovare un audio in cui il giudice Cupi confessa di disprezzare le politiche di Giorgia Meloni oppure un video in cui Cupi gioca a carte con una masnada di comunisti. Oppure si potrebbe scovare un suo post sui social in cui si augura che i diritti umani siano sempre rispettati. E il gioco è fatto.

Buon lunedì. 

L’articolo proviene da Left.it qui

Italia capitale europea dello smog. Ogni giorno 140 morti premature

In Italia c’è un’emergenza di cui si parla poco, pochissimo, per non assumersene la responsabilità: i più di 140 morti ogni giorno per il particolato fine (il Pm2.5). L’Italia è il Paese Ue dove ogni anno si registrano più decessi prematuri a causa di questa sostanza. Come riporta Openpolis secondo l’organizzazione mondiale della sanità (Oms), nel mondo quasi 7 milioni di persone ogni anno muoiono a causa dell’inquinamento atmosferico, presente sia nell’ambiente esterno che dentro casa.

Il particolato fine è una delle sostanze più nocive. E il nostro Paese detiene il primato negativo

In Europa esso rappresenta il principale fattore di rischio per la salute. Tra le sostanze più pericolose, l’Oms individua il particolato (Pm), il biossido di azoto (No2), il biossido di zolfo (So2) e l’ozono troposferico (O3). Il particolato fine però rappresenta un fattore di rischio particolarmente rilevante per via delle dimensioni estremamente ridotte delle sue particelle (inferiori ai 2,5 micrometri di diametro), che gli permettono di raggiungere in profondità il sistema respiratorio umano. Entrando anche nel sangue, si sparge in tutti gli organi e i tessuti. Al momento risulta accertata la relazione con infarti, ischemie, tumori ai polmoni e patologie respiratorie acute e croniche come l’asma, ma il particolato fine può anche avere effetti sul sistema nervoso e riproduttivo.

In Europa nel 2020, l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati, circa 238mila persone sono morte prematuramente a causa del Pm2.5. Un dato in calo da alcuni anni (nel 2011 il valore era pari a oltre 392mila), ma in aumento rispetto al 2019. Parliamo, complessivamente, di 2,4 milioni di anni di vita persi a causa degli effetti del particolato fine. Tra i vari paesi membri dell’Unione, l’Italia detiene il record negativo. Seguono la Polonia con quasi 37mila e la Germania con circa 29mila.

Rapportando il dato con la popolazione, vediamo che è soprattutto nell’Europa orientale e centrale che si registrano i valori più elevati. Prime la Bulgaria e la Romania con rispettivamente 153 e 112 decessi ogni 100mila abitanti. Soltanto in Italia sono più di 462mila anni di vita persi, un dato a cui si avvicina solo la Polonia con quasi 416mila. In Bulgaria, Romania, Polonia e Ungheria sono oltre 1.000 ogni 100mila abitanti. Complessivamente in tutta l’Ue la situazione è migliorata e tra il 2011 e il 2020 il numero di decessi prematuri causati dal Pm2.5 è diminuito del 39,4%.

L’Italia, oltre a essere il Paese con più morti, è anche uno di quelli dove la situazione ha visto il miglioramento più contenuto, registrando un calo delle morti premature pari al 21,3% tra 2011 e 2020. Ci precede solo la Spagna con una riduzione di entità ancora inferiore: 18,8%. Valori molto più marcati li riportano invece vari stati dell’Europa settentrionale e occidentale. Inoltre il nostro Paese ha riportato un nuovo aumento nel 2020, probabilmente anche a causa della pandemia da Covid-19 che, essendo una patologia respiratoria, ha un legame con l’inquinamento atmosferico.

La situazione rimane critica in tutta l’area Ue. Ma gli altri Stati fanno più progressi di noi

Un problema che si è presentato soprattutto nel nord Italia, la zona più colpita sia dal virus che dall’inquinamento. L’Italia ha registrato costantemente valori superiori rispetto agli altri grandi paesi dell’Ue, dal 2011 al 2020. Si tratta anche dello stato che ha visto il maggior aumento tra il 2019 e il 2020, arrivando a 88 decessi ogni 100mila abitanti, una cifra più che doppia rispetto agli altri grandi paesi europei. Per intervenire presto e bene sulla riduzione di smog sarebbe necessaria una reale consapevolezza ambientale e la volontà di accelerare la transizione ecologica. Nel Paese dove il ministro ai Trasporti approfitta di una strage come quella di Mestre per attaccare i mezzi elettrici le speranze sono ridotte al lumicino.

L’articolo Italia capitale europea dello smog. Ogni giorno 140 morti premature sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui