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Nient’altro che rappresaglie

Nient’altro che una rappresaglia. L’attacco al direttore del Museo Egizio di Torino Christian Greco ha la forma e l’odore di una rappresaglia senza nemmeno bisogno di manganelli e di olio di ricino. 

Parte tutto dall’assessore regionale al Welfare della Regione Piemonte Maurizio Marrone il cui nome da quelle parti ricordano quasi tutti a proposito di un assalto dodici anni fa ai  Murazzi a Torino quando comparvero scritte come “Viva il Duce”, “Boia chi molla” e “Partigiani infami”. Siamo nel tempo in cui uno così – proprio perché è così – diventa classe dirigente del Paese. Che intenda l’esercizio del potere come la possibilità di rivalersi in ogni dove è una caratteristica naturale di quella categoria. Marrone aveva ancora in gola il can can che si era sollevato intorno al direttore Greco quando decise di praticare sconti all’ingresso per le coppie arabe. A quel tempo anche Giorgia Meloni decise di umiliarsi di fronte al Paese accusando Greco di “discriminazione al contrario”, una cretinata senza nessun fondamento poichè gli sconti si applicavano (e si applicano) ciclicamente a tutte le categorie. In quell’occasione il direttore con invidiabile calma aveva spiegato che nessun “non studente” aveva mai urlato contro gli sconti per studenti. Meloni rimediò una magra figura, ora arriva quella che sembra una rappresaglia di vendetta.

Così mentre 92 egittologi esprimono la loro costernazione per un attacco politico in un tema che richiederebbe un minimo di competenza tecnica (e un minimo di dignità nell’attività politica) noi da fuori assistiamo all’ennesima puntata di una purga nazionale che non sembra si comprenda ancora del tutto.

Buon venerdì.

Nella foto: frame del video (La7) del confronto Christian Greco-Giorgia Meloni, 15 febbraio 2018

 

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Mente sapendo di mentire. Tutte le balle di Meloni all’Onu

Dicono che Giorgia Meloni non abbia trovato il tempo per partecipare ai passaggi ufficiali dell’assemblea dell’Onu per “limare il discorso”. Se così fosse, il lavoro, c’è da dire, non è riuscito benissimo. La presidente del Consiglio si è presentata alle Nazioni Unite con la solita propaganda, già smentita dagli allarmi italiani e dai fatti. Già nel momento in cui chiede che finiscano “le ipocrisie” che hanno “fatto arricchire a dismisura i trafficanti” sbaglia completamente il focus.

L’ultimo slogan del premier Meloni all’Onu è quello dell’Italia campo profughi dell’Unione. Ma Berlino e Parigi accolgono di più

Ad arricchirsi con i migranti – lo dicono i numeri incontestabili – sono proprio la Libia che continua a ricevere soldi dai tempi dell’ex ministro all’Interno Marco Minniti (e che confonde i miliziani della cosiddetta Guardia costiera libica che di notte diventano scafisti) e la mafia tunisina nei pressi del presidente tunisino Kais Saied che Meloni vorrebbe riempire di soldi con l’aiuto dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale. Gli “scafisti da stanare in tutto l’orbe terracqueo” di cui parlava Meloni nella sua penultima conferenza stampa sul tema (dopo il cosiddetto “decreto Cutro” che è già miseramente fallito) sono i suoi referenti del cosiddetto “piano Mattei” che è stato l’ennesimo buco dell’acqua sulla questione. Meloni parla poi della battaglia contro “le cause alla base della migrazione, con l’obiettivo di garantire il primo dei diritti, che è il diritto a non dover emigrare”.

Anche qui usa un artifizio retorico facile da smontare. Il primo diritto per ogni essere umano sulla terra non è quello di “non emigrare” ma è quello di poter sopravvivere. Gran parte delle migrazioni in Europa arrivano da Paesi in cui la fame e il piombo (ovvero la povertà e le guerre) sono insostenibili per poter immaginare un futuro. Pensare di salvare paesi strozzati da decenni di colonizzazione e dai cambiamenti climatici e dalle guerre in breve tempo è propaganda.

Meloni ha un enorme principale problema nelle sue richieste all’Europa e al resto del mondo: non ha il coraggio di confessare il suo sogno di bloccare tutte le partenze (missione impossibile per questioni geografiche e per le leggi internazionali) e così risulta confusa e vigliacca nelle richieste. Ha scoperto che il “blocco navale” è una barzelletta che funziona in campagna elettorale ma che non è possibile per il diritto internazionale così vorrebbe trovare qualche Stato disposto a farlo per lei. L’altra enorme bugia ossessivamente ripetuta è quella dell’Italia come “campo profughi dell’Europa”.

L’Italia è il quarto paese tra gli stati dell’Ue per numero di richieste di asilo

L’Italia, lo dicono i numeri, è il quarto paese tra gli stati dell’Ue per numero di richieste di asilo ed è addirittura il nono se consideriamo le richieste in base al numero di abitanti. Nonostante il nostro Paese sia il primo approdo è storicamente risaputo che i migranti non abbiano nessuna intenzione di fermarsi qui. Voler rappresentare l’Italia con la situazione – seppure critica – della minuscola isola di Lampedusa è una bugia che funziona solo con gli elettori più ignoranti sul tema.

Anche per questo Francia, Germania e Spagna (che accolgono molto di più dell’Italia) sono molto infastidite dall’ipocrita propaganda di Meloni e dei suoi ministri. Non esiste nessuna “invasione” in un Paese che ha accolto tranquillamente molti più ucraini degli stranieri arrivati sulle nostre coste. La differenza principale è che quelli sono bianchi e molto simili a noi mentre questi sono neri e apparentemente diversi. Ma questo di Meloni è un problema che ha a che vedere con il razzismo e nemmeno l’Onu può aiutarla a un percorso di riabilitazione.

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Porte girevoli à gogo. Ormai è Forza Italia Viva

Un mese fa il suo salto a destra più che scalpore aveva provocato un mezzo terremoto in città, innescando lo scioglimento del Consiglio di quartiere 1 a Firenze (del quale era da anni presidente) e diversi malumori in Regione per un cambio di schieramento che complicava la vita alla maggioranza di centrosinistra. Adesso, però, con l’estate ormai alle spalle ci ha ripensato.

Il consigliere regionale della Toscana Maurizio Sguanci dopo appena un mese e mezzo lascia Forza Italia, dove era stato accolto da un messaggio pubblico di benvenuto del leader del partito, Antonio Tajani, per riapprodare in Italia viva e, quindi, a tutti gli effetti nella maggioranza di centrosinistra a Palazzo del Pegaso. Dice Sguanci di essersi convinto a ritornare nel partito di Matteo Renzi per “la convocazione della fase congressuale”. Il congresso, appunto.

Il partito tenuto in mano dal senatore fiorentino e saudita ex premier ha promesso di celebrare un congresso il prossimo 15 ottobre

Il partito tenuto in mano dal senatore fiorentino e saudita ex presidente del Consiglio ha promesso di celebrare solennemente un congresso il prossimo 15 ottobre che, se ci pensate, è veramente tra pochissimo. Per ora il candidato unico è il padrone: nessuno osa contestare la linea del senatore di Rignano. Sarebbe però interessante capire su cosa convergano Sguanci e tutti gli altri visto che della mozione congressuale di Renzi non c’è traccia da nessuna parte.

Sul sito del partito non c’è alcuna sezione e nemmeno su Il Riformista, ciclostilato dei renziani, se ne vede l’ombra. Probabilmente ancora una volta la “convergenza di ideali” si risolve nell’appartenenza al padrone, com’è costume da quelle parti. Poco male: ognuno faccia come preferisce. Almeno però evitateci, per favore, le lezioni di democrazia. Saluti vivi.

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Bocciato il concordato. Per Santanchè va di male in peggio

Di fronte al Parlamento, con invidiabile coraggio, la ministra Daniela Santanchè aveva ribadito la bontà del suo ruolo di imprenditrice, anche con un certo vanto. Non la pensano così i pubblici ministeri di Milano, Luigi Luzzi e Giuseppina Gravina, che ieri hanno bocciato la richiesta di concordato della Ki Group, società del settore biologico gestita negli anni scorsi dalla ministra e dall’ex marito Canio Mazzaro.

Il caso della ministra Santanchè e dei pagamenti mancati ai dipendenti era stato archiviato frettolosamente dalle destre

Secondo la documentazione della Procura anticipata dal quotidiano Domani i magistrati “concludono rilevando la manifesta inattitudine del piano proposto dalla ricorrente e la non fattibilità dello stesso con riguardo alle garanzie offerte per assicurare la liquidazione”, con un riferimento ai profili penali visto che sarebbe stato fatto “in palese danno e in frode ai creditori con conseguente pregiudizio, aggravato, inoltre, dalla mancata comunicazione agli organi della procedura di importanti informazioni, come sopra evidenziato, sia con riguardo alle integrazioni richieste dal Tribunale sia con riguardo alle reali condizioni attinenti lo stato di salute economico-finanziario della società Bioera Spa”.

Nel tentato concordato Mazzaro proponeva di salvare Ki Group attraverso una serie di operazione tra gruppi, ma i magistrati hanno ritenuto “non credibili” le garanzie proposte proprio a causa delle difficoltà di Bioera, che non può indebitarsi ulteriormente stante la sua disastrata situazione finanziaria. Secondo la Procura la società che avrebbe dovuto essere una garanzia, Bioera, sarebbe afflitta da una crisi d’insolvenza mai dichiarata e per di più “non reversibile”.

No dei pm al salvataggio della Ki Group. Chiesta la liquidazione giudiziale

Per questo i pm chiedono la liquidazione giudiziale (il vecchio fallimento) di Ki Group, di altre due società del gruppo e della stessa Bioera. Già la trasmissione Report aveva raccontato in una sua puntata che mentre alcuni dipendenti non hanno ancora ricevuto il Trattamento di fine rapporto e mentre alcuni fornitori sono stati costretti al fallimento per fatture non pagate “sia Santanchè sia Mazzaro hanno ricevuto emolumenti per milioni di euro in qualità di componenti dei cda del gruppo che fa capo a Bioera”.

“I lavoratori dipendenti della Ki Group Srl verranno integralmente soddisfatti con riguardo a tutti i loro diritti di credito. Questo lo potete verificare perché è scritto nell’accordo di concordato”, aveva promesso la ministra durante il suo intervento in Senato. Non sta andando esattamente così.

Tra le carte depositate dai magistrati spunta intanto anche il fondo Geca (Golden Eagle Capital Advisors), collegato al misterioso fondo Negma con sede a Dubai e nelle Isole Vergini Britanniche che ha finanziato per 3 milioni di euro Visibilia. La ministra Santanchè nella sua difesa di fronte al Parlamento aveva negato di avere qualsiasi ruolo di gestione all’interno della società, ma erano stati gli stessi ex dipendenti a smentirla in una conferenza stampa convocata pochi giorni dopo: “Ho sentito il ministro durante il suo intervento che con Ki Group non c’entrava niente. Non entro nel merito ma so che, per quanto mi riguarda, avevo contatti non dico quotidiani ma quasi con la dottoressa e che buona parte delle cose che andavo a fare erano sotto sue direttive”, spiegò un’ex dipendente. Un ex agente disse che “nelle ultime riunioni, soprattutto, la dottoressa Santanchè era presente, noi dovevamo riferire a lei”.

Il “caso Santanchè” è stato dichiarato frettolosamente chiuso dalla maggioranza con la promessa di “fare lavorare la magistratura”. Le bugie dette dalla ministra sono state chiare fin da subito, ora sta arrivando anche “la magistratura”. Ed è un bel problema per Giorgia Meloni.

Conte: “La premier Meloni non può non pretendere le dimissioni, siamo di fronte a un vulnus istituzionale”

“La premier Meloni non può non pretendere le dimissioni di Santanchè, siamo di fronte a un vulnus istituzionale” ha detto il presidente del M5s, Giuseppe Conte, in una conferenza stampa alla Camera.

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Governo per decreto

Nel Consiglio dei Ministri di inizio settembre il governo Meloni ha approvato ben 3 decreti. Di questi uno è anche stato successivamente modificato per aggiungere nuove norme di contrasto all’immigrazione, seguendo la crescente onda della cronaca nazionale. La decretazione da parte del governo non è una novità della politica italiana ma con Giorgia Meloni sta raggiungendo vette significativa.

Di contro ogni decreto ingolfa inevitabilmente i lavori del Parlamento dovendo essere convertito in legge entro 60 giorni. Così il Parlamento ne esce non solo svilito ma anche bloccato. Confrontando il numero dei decreti dei governi per eventi si scopre che solo questo è riuscito a raggiungere la vetta di 3,55 Dl pubblicati in media ogni mese. Seguono i governi Draghi (3,2), Conte II (3,18) e Letta (2,78), secondo la rilevazione di Openpolis. 

Delle 52 leggi approvate definitivamente dal Parlamento il 55,8% sono conversioni di decreti. C’è un’ulteriore criticità: i decreti legge emanati affrontano congiuntamente temi anche molto diversi tra loro, nonostante la Corte costituzionale nella sentenza 22 del “012 rimarcasse come il loro contenuto dovrebbe essere pacifico, omogeneo e corrispondente al titolo. Openpolis cita come esempio il decreto legge 105/2023 riconducibile a ben 10 distinte finalità, tra cui interventi volti a velocizzare i processi, contrastare gli incendi boschivi, per il recupero dalle tossicodipendenze, la riorganizzazione del ministero della cultura e la revisione di alcune norme in tema di Covid-19. Anche l’urgenza è più che discutibile, a meno che non si voglia considerare “urgente” il Ponte sullo Stretto. 

Buon giovedì. 

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Giorgia scopre l’America. E la lotta alla cancel culture

A raccontarlo non ci si crede. Nonostante si dica oberata di impegni e in prima linea nella guerra immaginaria che il suo ministro Matteo Salvini sventola ai quattro venti, la premier Giorgia Meloni in viaggio a New York per partecipare alla sua prima Assemblea generale delle Nazioni Unite ha trovato il tempo per un irrinunciabile gesto politicamente simbolico: depositare una corona di fiori ai piedi della statua di Cristoforo Colombo.

La premier Meloni in viaggio a New York ha trovato il tempo per deporre una corona ai piedi della statua di Cristoforo Colombo

Si potrebbe pensare che abbia voluto omaggiare un italiano famoso nel mondo ma non è così. Meloni è entrata in guerra – un’altra, l’ennesima – questa volta contro la “cancel culture”. La statua di Colombo infatti è finita in mezzo a un dibattito tutto americano che la stampa di destra nostrana ha usato come leva per aizzare il solito complottismo da due soldi dei “poteri forti” e dei “nuovi oppressori”. D’altra parte, sulla “caccia” alle statue, la leader di Fratelli d’Italia si è sempre scaldata. “L’odio cieco della sinistra è forgiato dall’ignoranza, la stessa che abbatte e decapita l’immagine di Colombo. Prepotenze degne dell’Isis che vogliono piegare la storia alla loro follia”, scriveva su Twitter qualche hanno fa.

Chissà cosa avranno pensato i leader politici del mondo nel vedere la fotografia della premier italiana impegnata in difesa di una statua mentre il Paese è al centro della discussione migratoria che coinvolge l’Europa, mentre la povertà sta cominciando a diventare protesta di piazza e mentre un guerra (vera) stravolge l’occidente. Ci vuole fegato per trovare il tempo, anche in trasferta, di infilare la propaganda in mezzo a ben più serie priorità. Meloni ci mette la faccia, come ama ripetere.

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Sindaco denuncia te stesso

Sul Fatto Quotidiano di ieri Thomas Mackinson scrive del sindaco di Portofino Matteo Viacava, effimero eroe del centrodestra perché fu tra i primi che voleva dedicare una via a Silvio Berlusconi, sfidando i termini di legge, con grande giubilo dei berluscones.

Il sindaco Viacava tra le altre cose è proprietario di un “tabacchi con rivendita di souvenir” a pochi passi dal palazzo comunale e a pochi metri dalla sede della polizia locale ai suoi comandi. Portofino, la località che vorrebbe essere regina del glamour è la meta di migliaia di turisti stranieri che considerano la città un simbolo dell’eleganza italiana. Solo che dentro la tabaccheria del sindaco vengono vendute borse di altisonanti marchi della moda palesemente contraffatte, a pochi euro. Se Viacava fosse nero c’è da scommettere che al prossimo Consiglio dei ministri avremmo avuto un nuovo decreto legge, dal nome “Portofino sicura”, che avrebbe inasprito le pene per la contraffazione. 

Pizzicato dal giornalista Viacava non nega, anzi rilancia. Dice che non gestisce personalmente il negozio, nonostante il giornalista l’abbia trovato proprio lì dentro, indaffarato a servire i turisti, e rilancia il grande successo turistico dell’ultima stagione. Un sindaco che è titolare di una tale attività nel centro della città che amministra godendo dell’indifferenza di chi dovrebbe controllare (giornalisti inclusi) è il paradigma del “fate quel che dico ma non fate quel che faccio”. Ora non gli resta che costituirsi parte civile per un processo contro sé stesso. 

Buon mercoledì. 

Nella foto: Portofino e il sindaco Matteo Viacava (fb)

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Scandalo in Polonia. Accolti 250mila migranti in cambio di mazzette

Quando Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, aveva presentato il suo “piano” in dieci punti sull’immigrazione, il presidente polacco Mateusz Morawiecki ha immediatamente tuonato: “La Polonia non sarà spezzata! Non faremo entrare nessuno! Le donne e i bambini polacchi saranno al sicuro!”. Vedendo l’indagine che sta coinvolgendo il suo governo si direbbe il contrario: in Polonia si entra eccome, basta pagare le persone giuste.

In Polonia bufera sul governo sovranista guidato da Mateusz Morawiecki. Che giurava: qui non entra lo straniero

Secondo i media polacchi dal 2021 a oggi i funzionari del governo di Varsavia sparsi per il mondo (soprattutto in Africa e Asia) avrebbero distribuito qualcosa come 250mila visti previo pagamento di una mazzetta di 5mila euro. Quando qualche mese fa si cominciò a parlare dell’indagine, il premier Morawiecki bollò le accuse come un “complotto” ordito dal suo principale oppositore (Donald Tusk) cha si sarebbe sgonfiato in fretta. Non è andata così. A oggi tre funzionari del governo si ritrovano in carcere e l’ex vice ministro degli Esteri Piotr Wawrzyk è stato rimosso dal suo ruolo lo scorso agosto. Ufficialmente il motivo del licenziamento di Wawrzyk è “la mancanza di collaborazione soddisfacente”.

“Sì, mancanza di collaborazione con il governo”, è stato il velenoso titolo dell’agenzia di stampa polacca Pap. Wawrzykm secondo fonti del ministero avrebbe parlato di un vero e proprio “sistema” che avrebbe garantito l’ingresso in Europa. A settembre l’ex vice ministro ha provato a suicidarsi senza successo. I pubblici ministeri polacchi spiegano che le domande di visto riguardavano gli stranieri che presentavano domande alle missioni diplomatiche polacche a Hong Kong, Taiwan, Emirati Arabi Uniti, India, Arabia Saudita, Singapore, Filippine e Qatar.

Il giornale Gazeta Wyborcza ha scritto la scorsa settimana che il ministero degli Esteri polacco avrebbe potuto consentire l’ingresso in Europa addirittura a “centinaia di migliaia di migranti”. “Il commercio di visti negli uffici in Africa, l’ammissione di migliaia di migranti, gli arresti di funzionari, nastri compromettenti, un ministro in clandestinità, il tentativo di suicidio del suo vice, gli Stati Uniti e l’Ue sotto shock”, ha twittato Tusk, leader del principale gruppo di opposizione polacco, la Civic Coalition (KO). La vicenda arriva in un momento delicatissimo per il presidente Morawiecki. Le elezioni sono fissate per il prossimo 15 ottobre e la guerra dura ai migranti rimane il punto principale della propaganda di estrema destra del partito del premier, il PiS, fedele alleato di Giorgia Meloni in Europa.

Varsavia fa asse con Budapest. Risoluzione congiunta per archiviare la proposta della von der Leyen

Proprio ieri Morawiecki ha definito “disastroso” il piano di von der Leyen (salutato come “rivoluzionario” dalla sua alleata Meloni) annunciando una “risoluzione speciale” per dimostrare la sua opposizione all’immigrazione illegale: “I burocrati europei non hanno considerazione per la sicurezza dei cittadini del continente e quindi anche per la sicurezza delle famiglie, delle donne e dei bambini polacchi”, ha detto il capo dell’esecutivo. Una cosa è certa: quando Meloni promise guerra “in tutto l’orbe terracqueo” agli scafisti che si arricchiscono con l’immigrazione illegale, non avrebbe mai potuto immaginare che la sua indagine senza sconti finisse nei cassetti del suo principale alleato in Europa.

Ieri a New York il ministro degli Esteri polacco, Zbigniew Rau ha detto: “Non mi sento complice, non sto pensando di presentare le mie dimissioni e non c’è nessuno scandalo dei visti… Guardare i dati è sufficiente per dimostrare che in Polonia nel 2022 abbiamo rilasciato visti Schengen secondo le proporzioni”. Resta da vedere come abbiano scelto chi fare entrare.

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Salvini leader di partito con licenza di mentire

Chissà se il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi si è reso conto di cosa ha detto ieri intervenendo alla trasmissione “Ping Pong” su Radio1. A chi gli chiedeva di quella squinternata idea di Matteo Salvini secondo cui esisterebbe una “regia bellica” dietro agli sbarchi, il ministro Piantedosi ha risposto così: “Una regia dietro gli sbarchi? Io non ho prove, se Salvini l’ha detto, le sue supposizioni avranno sicuramente qualche fondamento. Lui da leader politico può dirlo, io da ministro dell’Interno devo avere prove concrete”.

Chissà se il ministro dell’Interno Piantedosi si è reso conto di cosa ha detto ieri intervenendo alla trasmissione “Ping Pong” su Radio1

Non serve un’accurata esegesi del testo per comprendere che secondo Piantedosi essere “leader politici” concede il lusso di poter avanzare tesi senza nessun fondamento, purché siano utili alla propaganda. Che i leader politici utilizzino la menzogna come arma politica non è una sorpresa. Lo stesso dibattito sui migranti a cui stiamo assistendo poggia su un’invasione inesistente nei fatti e nelle cifre, nonostante sia concimata ogni ora nella percezione.

Ciò che stupisce delle parole di Piantedosi è la beata ingenuità con cui ammette la possibilità che il leader di un partito possa ricorrere alla bugia (o a una tesi non verificata e non verificabile) per governare il proprio consenso. Facciamo presente a Piantedosi però un lato della vicenda piuttosto preoccupante: il “leader di partito” Matteo Salvini è anche un suo collega ministro. Ciò significa che può usare entrambi i registri, del vero e del non vero? Anche perché se fosse così facciamo ancora presente a Piantedosi che la sua presidente del Consiglio Giorgia Meloni è incidentalmente anche “leader di partito”. Come la mettiamo?

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La campagna di von der Leyen e Le Pen

E se fossero Giorgia Meloni e Matteo Salvini gli utili idioti? A leggere la stampa nazionale sembra che la premier e il ministro abbiano, nello scorso fine settimana, posto l’Italia al centro dell’Unione europea. La narrazione prevalente è parzialmente credibile: Meloni così può manifestare la vicinanza dell’Unione europea a Lampedusa insieme alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e Salvini può sperare di recuperare consenso ingozzandosi di Prosecco e saltellando al fianco della francese Marine Le Pen. Ma è credibile anche il contrario.

Ursula von der Leyen punta al secondo mandato a Bruxelles. La leader del Front National Marine Le Pen a rovinarle la festa

La campagna per le prossime elezioni europee è già iniziata da un pezzo e sia von der Leyen sia Le Pen hanno bisogno di mostrarsi per confermare i propri voti e soprattutto per recuperarne di nuovi. Lo spostamento a destra di von der Leyen, alla ricerca del suo secondo mandato, è una trasformazione in atto da mesi. Nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione ha mandato molti messaggi alla sua parte politica: nonostante l’apparente ambientalismo per non perdere il centrosinistra con cui ha rassicurato che “non ci saranno passi indietro” dopo l’uscita di Frans Timmermans tornato in Olanda per candidarsi alla politiche von der Leyen ha voluto rassicurare innanzitutto l’industria: “Mentre entriamo nella prossima fase del Green Deal, una cosa non cambierà: continueremo a sostenere l’industria europea attraverso la transizione”, ha detto la presidente della Commissione Ue. Proponendo “dialoghi” agli industriali e agli agricoltori altamente corteggiati perché garanti della “sicurezza alimentare”.

A Bruxelles più di qualcuno ha intravisto in quelle parole un’apertura all’Ecr, il partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei guidato in Europa proprio da Meloni. Anche la guerra alle auto elettriche provenienti dalla Cina riporta a un protezionismo molto caro alla premier italiana e ai suoi elettori.

Un accordo tra Ppe e Ecr, alla luce della cavalcata delle destre in Europa, è un’ipotesi consistente e se von der Leyen vuole tentare il bis ha bisogno di piacere a Meloni ogni giorno di più. Vista da qui la visita a Lampedusa, così come il sorvolo delle zone terremotate in Emilia Romagna, assume tutt’altro contorno: non sono i problemi italiani a essere una “priorità per l’Europa”, come si legge in giro. È Giorgia Meloni a essere una priorità elettorale per Ursula von der Leyen. E a perderci, come dimostrano le novità di queste ultime ore in cui il Consiglio europeo ha demolito le promesse della presidente della Commissione, sono sempre gli italiani.

Giorgia Meloni a Lampedusa e Matteo Salvini a Pontida hanno recitato la parte degli utili idioti al servizio delle due leader

Discorso identico per Marine Le Pen che alle prossime elezioni europee tenterà di spingere l’eurogruppo di Id a raccogliere i voti necessari per diventare indispensabile nella formazione di una possibile maggioranza a Bruxelles, nonostante i ripetuti attacchi del Ppe (di cui fa parte Forza Italia). Il gruppo Identità e Democrazia ha eurodeputati provenienti da dieci Paesi, la maggior parte dei quali provengono dal partito italiano della Lega, dal Rassemblement National francese e dall’Afd tedesco e Le Pen è senza dubbio il nome più rappresentativo in termini elettorali.

Essere al fianco di Matteo Salvini proprio nei giorni in cui l’Italia è sui giornali di tutto il mondo per la crisi migratoria è un’occasione ghiottissima per logorare la credibilità delle destre europeiste (Giorgia Meloni, per intendersi) che soffrono le mancate promesse dell’Ue. Le Pen vuole incarnare il “coraggio che manca” a von der Leyen, proprio come sta cercando di fare Salvini. Ecco perché l’Italia è diventata un’appetitosa terra di propaganda.

Leggi anche: Carta straccia l’intesa con Tunisi sui migranti. Ora lo dice pure il Consiglio Ue. Sconfessato il Memorandum firmato dalla von der Leyen. “Procedura violata, serve l’Ok di tutti gli Stati membri”

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