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Sulla rotta Ita-Lufthansa dilettanti allo sbaraglio

Giorgia Meloni in conferenza stampa dopo il vertice G20 ha voluto lanciare una stoccata al commissario europeo Paolo Gentiloni per non perdere terreno con i suoi alleati sull’antieuropeismo e per ridestare i suoi elettori stanchi dalla sua improvvisa moderazione. E ha sbagliato. “Sta accadendo una cosa obiettivamente curiosa, ha osservato Meloni, la stessa Commissione europea che per anni ci ha chiesto di trovare una soluzione al problema Ita, quando troviamo una soluzione al problema Ita la blocca. Quindi non stiamo più capendo e vorremmo una risposta. Su questo è stato interessato anche il commissario Gentiloni”, ha detto la presidente del Consiglio.

A stretto giro di posta un portavoce dell’esecutivo comunitario ha chiarito che “la Commissione europea “non ha ancora ricevuto alcuna notifica” sull’accordo tra Ita e Lufthansa”. La situazione è degna di un filmato comico di terza categoria: Giorgia Meloni si lamenta per la mancata risposta a una lettera mai spedita. Così poche ore dopo deve intervenire il Ministero delle finanze italiano per chiarire che tutto va ben e che il dialogo con i commissari europei procede a gonfie vele, “a stretto contatto”. 

La stoccata pubblicitaria contiene anche un altro marchiano errore: a seguito del congedo della vicepresidente Ue, Margrethe Vestager, responsabile della concorrenza, stando a quanto viene ricordato a Bruxelles in ambienti vicini al dossier, il commissario Didier Reynders è ora il responsabile del portafoglio, mentre Paolo Gentiloni è competente per le questioni relative all’economia e non alla concorrenza. Non male, eh?

Buon lunedì.

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Da Vannacci ad Almirante. Botte da orbi a destra

A Grosseto, dove da poco la prefetta nonché moglie del ministro Piantedosi ha firmato la nuova “via Almirante”, ora a destra se le danno di santa ragione per – udite udite – l’ormai famoso libro del generale Vannacci. Il consigliere comunale leghista Gino Tornusciolo accusa i suoi colleghi di Fratelli d’Italia: “Avevo organizzato l’incontro con il sindaco nella sala del Consiglio. Ho quindi comunicato l’evento ai partiti della maggioranza e a quel punto FdI ha cominciato a porre un veto ritenendo poco opportuna la presentazione del libro in città, portando di fatto a un diniego del patrocinio e innescando un dibattito nella maggioranza”.

A Grosseto, dove da poco la prefetta nonché moglie del ministro Piantedosi ha firmato la nuova “via Almirante”, ora a destra se le danno di santa ragione per l’ormai famoso libro del generale Vannacci

“Purtroppo – chiude Tornusciolo – devo ammettere che è stata la stessa maggioranza, a cui appartengo, a impedire lo svolgimento del dibattito”. Il prode generale, captati i prodromi di una polemica s’è eroicamente dileguato, rinunciando alla presentazione. Da Fratelli d’Italia rispondono in modo maschio: “Rimaniamo piuttosto esterefatti davanti a così infantili accuse, comprendiamo la voglia di ritagliarsi uno spazio politico ma invitiamo a farlo nel rispetto dei ruoli e magari con argomentazioni propositive e non con queste sterili ed inutili uscite”, dice il coordinatore provinciale, Luca Minucci.

Perfino i compagni di partito di Giorgia Meloni devono aver pensato che patrocinare un libro che azzanna gay e neri non sia un’idea intelligentissima. E quindi? Quindi ora il leghista può trascorrere i prossimi giorni a denunciare l’oppressione del “pensiero unico”, proprio come il suo amato generale. Finché non ci si renderà conto che rifuggire dalla cretineria è tutt’altro che un complotto.

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Meloni vola dall’amico Orbán. Per isolarci ancora di più

Per vedere la fotografia della situazione basterebbero le parole rilasciate al Corriere della Sera dal parroco di Lampedusa don Carmelo Rizzo: “Siamo sul tragico, sul drammatico, sull’apocalittico. Non si sa cosa fare. Qui manca l’acqua, manca tutto, abbiamo aperto anche i saloni parrocchiali per accogliere i migranti, ma continuano ad arrivare a ritmi sempre crescenti. C’è confusione e amarezza, una provvisorietà disarmante che annienta; le forze dell’ordine tengono a fatica la calca di migranti sotto il sole. La situazione è grave, serve aiuto. Devono arrivare navi e aerei con soccorsi di acqua e cibo e per spostare queste persone, la gente di Lampedusa è preoccupata e disorientata, si va avanti a tappare le falle, a questi ritmi non si regge”.

La premier Meloni travolta dagli sbarchi invoca l’aiuto dell’Ue. Ma poi rende omaggio all’alleato che si oppone

A Lampedusa nelle ultime 24 ore sono più di 110 gli sbarchi, più di 5mila persone sfiancate e tenute a stento assiepate sul molo in attesa di essere trasportate altrove. Lì di posto non c’è n’è più, da parecchi mesi. Il fallimento sulle gestione del fenomeno migratorio da parte del governo Meloni e dei suoi ministri Tajani, Salvini e Piantedosi è nei numeri e nelle persone. Ieri, nella notte, è morto anche un neonato di 5 mesi, caduto in acqua dopo il ribaltamento di un barchino. I soccorsi della Guardia costiera italiana sono arrivati troppo tardi. Anche lui verrà infilato nel cassetto delle “vittime collaterali” di una politica fallimentare su tutti i piani: quello umanitario, quello politico e quello internazionale.

La decisione di Germania e Francia di bloccare l’accoglienza di migranti dall’Italia e chiudere i confini è solo l’ultima puntata di un isolamento internazionale che Giorgia Meloni non riuscirà a nascondere a lungo sotto il tappeto. Gli accordi con la Libia (devastata in queste ore) e con la Tunisia non funzionano e non funzioneranno mai. Anzi, la firma celebrata da Meloni con la Tunisia ha avuto l’effetto inverso: la Tunisia di Al Saied ha iniziato a deportare i migranti casa per casa e li ha spinti nel deserto lasciandoli morire di sole e di sete. L’inevitabile terrore che si è sviluppato nella zona ha aumentato e accelerato le partenze e così l’unico risultato del governo italiano è quello di avere stretto i rapporti con l’ennesima autocrazia (dopo la Libia) che potrà usare i migranti come arma non convenzionale per chiedere più soldi al nostro paese.

Il ministro Antonio Tajani si finge sorpreso: “L’immigrazione è un problema europeo e deve essere risolto con la partecipazione di tutti i Paesi Ue”, scrive su X il ministro degli Esteri. E “le istituzioni comunitarie devono essere parte della soluzione. Si accelerino i tempi di attuazione degli accordi con i Paesi di origine e di transito”. Il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, spiega che l’Italia non può diventare “il punto di primo approdo e di unica ospitalità di una immigrazione che oggi è epocale quindi o l’Europa batte un colpo o diversamente lo dovrà battere autonomamente l’Italia, anche oltre quello che l’Europa sta facendo o non facendo. Indubbiamente – dice Foti – la posizione oggi del governo italiano non può essere anche di durissima fermezza perché gli italiani hanno gli stessi diritti degli altri cittadini europei: non si capisce per quale ragione l’Italia dev’essere abbandonata a sé stessa in ragione di una posizione geografica che tra l’altro vede nel Mediterraneo interessi di molte potenze”.

Dopo aver spinto per i ricollocamenti ora la leader FdI torna a giocare di sponda con i sovranisti

Eppure il motivo dell’impasse è semplice, quasi banale. Meloni e la sua schiera hanno promesso agli italiani una soluzione impossibile e vietata dai trattati internazionali: chiudere i porti. Quando al governo si sono accorti di avere esagerato con la propaganda la presidente del Consiglio si è affannata per provare a bloccare i porti delle partenze, ripercorrendo i tempi in cui l’ex ministro dem Marco Minniti siglò i patti dell’orrore libici. Nel frattempo è stato completamente smantellato il sistema di accoglienza diffusa che in Italia consentiva di non ammassare i migranti: ecco perché ora le poche strutture esplodono.

Nel frattempo Meloni continua a giocare contemporaneamente sul tavolo della “europeista e atlantista” e sul tavolo dei peggiori sovranisti in Europa che sono i peggiori nemici dell’Italia opponendosi a qualsiasi tipo di accordo sulla ridistribuzione. Oggi, tanto per isolare ancora di più l’Italia, Meloni vola dall’amico Viktor Orbán. Il punto è che le due facce della premier configgono tra loro, riuscendo nella mirabile impresa di non portare a casa nessun risultato in nessuna delle due direzioni.

Il risultato finale è la situazione italiana di queste ore. Il partito della presidente del Consiglio intima all’Europa di intervenire. “Altrimenti faremo noi!”, minacciano da Palazzo Chigi mentre la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha ricordato come il lavoro sull’immigrazione si basi sulla convinzione che “l’unità sia alla nostra portata”, assicurando “sicurezza e umanità”. Solo che quando ci si risiederà in Europa ancora una volta l’Italia virerà verso la peggiore destra per fare saltare tutto. E così Meloni potrà rimettersi nei panni dell’italiana che strilla contro l’Ue. Come un serpente che si morde la coda, mentre il dramma continua.

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C’è il generale Vannacci. Foa sull’attenti in Rai

Che il generale Roberto Vannacci non aspettasse altro di un’aria buona per sdoganare le sue discutibili idee non può essere una sorpresa. I mediocri sognano per tutta la vita di allinearsi alla mediocrità maggioritaria per sentirsi profeti.

Per l’ex presidente della Rai, Marcello Foa, che oggi imperversa su Radio1, “il successo del libro di Vannacci segnala un cambiamento di clima”

Che Vannacci peschi lettori tra coloro che non hanno mai letto un libro e difficilmente ne leggeranno mai uno è scontato: comprare il suo libro è spesso un omaggio alla propria “curiosità”; chiamiamola così. Sostanzialmente è il brivido di poter partecipare all’affossamento del Paese sentendosi partecipi a un’orda di idioti che vorrebbero essere rivoluzionari.

Più patetici di Vannacci – che almeno sta guadagnando dei bei soldi e umettando la sua prossima candidatura – sono i vannacetti e vannacciassori che si mettono in scia al generale per guadagnare uno spicchio di celebrità popolare. L’ultimo della lista è Marcello Foa, ex presidente Rai avallato da quel Beppe Grillo avvezzo alle glorificazioni sballate e quel Matteo Salvini che è lo stesso Matteo Salvini di oggi.

Foa è caduto in piedi, ovviamente, e oggi imperversa su Radio1 Rai, in cui dice: “Il successo del libro di Vannacci segnala un cambiamento di clima. Qui c’è un’ampia parte della popolazione italiana, secondo me maggioritaria, che non aspettava altro che qualcuno di autorevole – un generale – uscisse pubblicamente e dicesse delle cose.

E le dice con forza, e ottiene un successo incredibile, questo perché la vecchia maggioranza silenziosa è stufa degli eccessi della narrazione dell’altra parte, è stufa degli eccessi del politicamente corretto…”. Ha ragione Foa: la mediocrità non vede l’ora di trionfare. E evidentemente Foa non vede l’ora di riabilitarsi come suo vassallo.

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L’Italia aiuterà la Libia ma per il Marocco non c’è fretta

Il bilancio delle vittime del terremoto in Marocco ha superato le 2.800 persone, mentre un numero limitato di squadre di soccorso straniere si è unito alla crescente corsa contro il tempo per trovare eventuali superstiti sulle montagne dell’Atlante, dove molti villaggi rimangono inaccessibili. Le autorità marocchine, ricordava ieri il Guardian, hanno affermato di avere “risposto favorevolmente” alle offerte di aiuto delle squadre di ricerca e soccorso di Spagna, Qatar, Gran Bretagna ed Emirati Arabi Uniti, ma non hanno ancora accettato ulteriori proposte di aiuto da altri paesi nonostante la natura urgente della situazione.

Italia, Francia e Turchia, tra gli altri, hanno offerta la loro disponibilità immediata a fornire assistenza. L’agenzia di stampa statale marocchina ha affermato che le autorità di Rabat “hanno effettuato una valutazione precisa dei bisogni sul campo, dato che il mancato coordinamento in tali situazioni potrebbe essere controproducente”. Il re del Marocco Mohammed VI nel frattempo ha ringraziato i paesi amici per le loro offerte di aiuto. Il terremoto di magnitudo 6,8 di venerdì ha colpito anche un gruppo isolato di villaggi montuosi a 45 miglia a sud di Marrakech e ha scosso le infrastrutture fino alla costa settentrionale del paese.

La TV di stato ha riferito che il bilancio delle vittime è salito a 2.862, con 2.562 feriti, e ci sono aspettative che il bilancio possa aumentare man mano che le squadre di soccorso raggiungono questi villaggi remoti in alta montagna. Le riprese dei droni dei canali televisivi locali hanno mostrato le tradizionali case di mattoni di fango completamente rase al suolo. “Finora non abbiamo trovato superstiti, solo morti sepolti sotto le macerie. L’odore dei cadaveri è molto, molto forte. Non abbiamo ancora né elettricità né acqua”, ha detto Aziz, un abitante di un villaggio di Ijoukak, vicino all’epicentro del terremoto, citato dal Guardian, confermando che gli aiuti e gli operatori d’emergenza sono finalmente arrivati nell’area. Ma i borghi sulle colline intorno a Ijoukak rimangono inaccessibili. “Anche i muli e gli asini non sono riusciti ad arrivare lassù perché ci sono enormi massi che bloccano le strade”, ha spiegato.

In Libia il passaggio del ciclone sub-tropicale ha creato un disastro di proporzioni immani

Intanto in Libia il passaggio del ciclone sub-tropicale Daniel in Cirenaica la notte tra domenica 10 e lunedì 11 settembre ha creato un disastro di proporzioni immani, la peggiore catastrofe della Libia e una delle più gravi dell’intero Mediterraneo. Il cedimento di due dighe risalenti agli anni ‘70 ha letteralmente sommerso la città nord-occidentale di Derna, che conta da sola tra i 50mila e i 90mila abitanti a seconda delle fonti: interi quartieri sono stati spazzati via dall’acqua. Il ministro della Sanità del Governo libico di stabilità nazionale (Gsn), l’esecutivo libico al potere nell’est e non riconosciuto dalla comunità internazionale, Othman Abdel Jalil, ha fornito un bilancio provvisorio di oltre 3mila morti, cifra poi salita a 5mila 200 nella sola Derna, ma preoccupa il fatto che i dispersi sarebbero addirittura 100mila in tutta la Cirenaica.

Oltre a Derna, infatti, ci sono molte altre aree colpite, come Susah (8mila abitanti), Al Marj (80mila), Al Bayda (250mila) e zone dell’entroterra di cui si sa poco o nulla. Le comunicazioni sono interrotte, Internet e i telefonini non funzionano, molte strade sono bloccate e i soccorsi tardano ad arrivare. Difficile spiegare le cause di un tale disastro: incuria, cambiamenti climatici, il fatto che molta gente stava dormendo quando è arrivata la piena sono possibili motivazioni.

I recenti cataclismi che hanno colpito Libia e Marocco svelano l’ipocrisia della nostra politica estera

Due Paesi in emergenza. La comunità internazionale si mobilita. E l’Italia Per leggere la politica estera del governo italiano basta leggere due dichiarazioni del ministro agli Esteri Antonio Tajani che nel giro di qualche minuto parla di Libia e Marocco. Per quanto riguarda la Libia Tajani si affretta ad annunciare di avere “l’ambasciatore a Tripoli per avere gli ultimi aggiornamenti. Il governo italiano risponde subito alle richieste di sostegno per l’alluvione nell’est della Libia: una squadra avanzata di valutazione è già in partenza coordinata dalla nostra Protezione civile”. Dice Tajani: “Ho chiamato l’ambasciatore a Tripoli per avere gli ultimi aggiornamenti. Il governo italiano risponde subito alle richieste di sostegno per l’alluvione nell’est della Libia: una squadra avanzata di valutazione è già in partenza coordinata dalla nostra Protezione civile”.

Sul Marocco il discorso cambia. “Il Marocco – dice Tajani – ha avuto offerte di aiuti da tutti i Paesi del mondo, ha scelto quelli con cui probabilmente ha relazioni di maggiore vicinanza, penso per esempio alla Spagna. Noi abbiamo dato ovviamente tutta la nostra disponibilità, così come alla Libia dove c’è stato un altro disastro naturale e siamo pronti a fare tutto ciò che serve a questo Paese che ha avuto già tante vittime a causa della guerra. Almeno per il momento non abbiamo avuto notizie di italiani coinvolti nell’inondazione, stiamo seguendo la vicenda da vicino con il nostro consolato a Bengasi e l’ambasciata a Tripoli”. Qual è la differenza Semplice: la Libia occlude le partenze verso l’Italia, il Marocco no. La differenza sta tutta solo qui.

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Divieto di salvare vite per la nave di salvataggio di Mediterranea

La prepotenza che diventa patetica. Il comunicato del direttivo dell’Ong Mediterranea spiega tutto per filo e per segno. La volontà del governo italiano di ostacolare e bloccare le navi del soccorso civile ha fatto registrare nelle ultime ore un ulteriore negativo salto di qualità: “è stato infatti ordinato dalle Autorità alla Società armatrice della nostra Mare Jonio di “rimuovere dalla nave prima della partenza le attrezzature e gli equipaggiamenti imbarcati a bordo per lo svolgimento del servizio di salvataggio”, scrive Mediterranea. Pena la violazione dell’art. 650 del Codice Penale che prevede l’arresto fino a tre mesi e sanzioni pecuniarie.

L’ordine e l’intimidazione sono arrivati all’esito della visita ispettiva condotta dalle Autorità Marittime italiane a bordo della Mare Jonio, l’unica appunto della flotta civile di soccorso battente la bandiera del nostro Paese. Dopo un’ispezione lunga, approfondita e severa, iniziata infatti il 22 agosto e conclusa il 6 settembre scorso, sono stati rinnovati tutti i documenti che consentono alla Mare Jonio di navigare, ma è stata ancora una volta negata la sua certificazione come nave “da salvataggio/rescue”.

Battelli gonfiabili e salvagenti dovranno restare a terra. La Ong Mediterranea non ci sta: “Misura oltraggiosa e inaccettabile”

I pretesti “burocratici” addotti sono noti: nonostante la nave sia riconosciuta come ben equipaggiata per l’attività di ricerca e soccorso (Sar) e sia stata per questo certificata del Registro Navale Italiano (Rina), essa non risponderebbe ai criteri di due Circolari emanate dalle Autorità nel dicembre 2021 e febbraio 2022, che richiedono particolari caratteristiche tecniche dello scafo corrispondenti al codice internazionale Sps emanato nel maggio 2008. Pretesa in sé assurda, e aggravata dal fatto che il governo italiano vorrebbe far diventare questo lo standard per tutte le bandiere europee, in modo da ostacolare l’intera flotta civile.

“In questi anni pensavamo di averle viste tutte nella insensata guerra dei governi italiani contro il soccorso civile in mare: i codici di condotta e i porti chiusi, i controlli strumentali e le detenzioni tecniche, le inchieste per favoreggiamento e le multe milionarie, da ultimi gli sbarchi selettivi, i porti lontani e gli ingiustificati fermi amministrativi – dice Mediterranea -. Ma con l’assurdo ordine impartito alla Mare Jonio di sbarcare i dispositivi di soccorso si fa un ulteriore passo nella direzione della disumanità: che senso ha imporre a una nave, che si prepara a navigare nel tratto di mare più pericoloso e mortifero del pianeta – dove oltre 2.300 persone hanno perso la vita dall’inizio dell’anno – di privarsi di salvagente, battelli gonfiabili, farmaci ed equipaggiamenti medicali e quant’altro è necessario per salvare vite umane in pericolo?”.

Per l’Ong questo ordine è “semplicemente oltraggioso e inaccettabile”

Per l’Ong questo ordine è “semplicemente oltraggioso e inaccettabile”, “lo rifiutiamo e da subito contesteremo questo provvedimento in ogni sede”. Buttare i salvagenti è solo l’ultima idiozia di un governo che combatte le Ong in pubblico e poi, in privato, chiede aiuto per salvare il salvabile. “In un momento in cui nel Mediterraneo giornalmente muoiono persone che scappano dalla guerra e dalla fame, vista l’assenza di missioni salva vite, bisognerebbe chiedere la collaborazione di tutti e non certo disincentivare con ogni mezzo i salvataggi. Per ciò il provvedimento della Capitaneria di Porto di Trapani va contro la legge del mare ed è irricevibile”, dicono gli esponenti del Pd siciliano, Alfredo Rizzo e Valentina Villabuona.

 

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Via Almirante, Grosseto, 2023

A Grosseto il sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna è riuscito a realizzare il sogno del leader locale di Fratelli d’Italia Fabrizio Rossi, ora deputato: diventare il primo capoluogo in Italia con una via intitolata al fascista Giorgio Almirante, colui che n prima persona nella promozione o nel sostegno alla violenza squadrista. Prima della Liberazione, sostenne apertamente tesi razziste e antisemite sul periodico “La difesa della razza”. Firmò inoltre personalmente, nel 1944 quale dirigente della Repubblica Sociale, regime fantoccio al servizio degli occupanti tedeschi, un duro provvedimento collaborazionista con i nazisti, attraverso il quale gli “sbandati” venivano espressamente minacciati e perseguiti con la morte. Un uomo che dopo la Liberazione non condannò mai il fascismo, facendo persino pervenire aiuti all’estero al terrorista Carlo Cicuttini, autore della strage di Peteano, nella quale tre carabinieri rimasero uccisi.

Per farlo il sindaco ha lasciato per mesi alcuni suoi concittadini in una strada senza nome (mentre infiammava lo scontro politico): quelli non potevano ricevere la posta e scaricare rifiuti e in più hanno ricevuto l’avviso di pagamento dell’Imu non potendo avere residenza in abitazioni che risultavano quindi seconde case. 

La nuova circolare interpretativa del Ministero arrivata a giugno (che sembra tagliata su misura per Grosseto) ha dato il via libera. La firma è arrivata qualche giorno fa dalla prefetta Paola Berardino, incidentalmente moglie del ministro all’Interno Matteo Piantedosi. 

Buon mercoledì.

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Destre poco… Gentiloni. Ma le accuse all’Ue sono un autogol per l’Italia

Le ultime ore sono un manifesto di inettitudine politica che va raccontata per filo e per segno. Si parte con le dichiarazioni di Giorgia Meloni a fine G20 in cui trova il tempo di attaccare anche il commissario italiano in Europa Paolo Gentiloni. La colpa, secondo la presidente del Consiglio, sarebbe quella di non avere mai “risposto” all’accordo trovato dal governo per svendere la compagnia aerea nazionale Ita (vi ricordate? Quella che “non si doveva toccare”, proprio quella) ai tedeschi di Lufthansa.

Meloni contro Gentiloni è in buona compagnia: non ha fatto altro che mettersi in scia con il suo alleato di governo Matteo Salvini che da giorni attacca. “Ogni tanto ho avuto l’impressione di avere un commissario italiano che giocava con la maglia di altre nazionali”, aveva detto il ministro ale Infrastrutture esibendo la solita poca conoscenza delle istituzioni politiche, delle rispettive competenze e della lealtà del proprio ruolo.

Il Commissario Ue, Paolo Gentiloni, non ci sta a farsi triturare. Se la Manovra del governo Meloni rischia non è per lui

Da Bruxelles a stretto giro di posta già ieri è arrivata una prima risposta che diceva più o meno che Meloni e i suoi compagni di governo stavano strillando per la mancata risposta a una domanda che non avevano mai posto. Sulle vicissitudini della compagnia aerea Ita la Commissione europea semplicemente sta ancora aspettando il governo italiano. Una brutta figura, non c’è che dire, a cui si aggiunge il grossolano errore di attaccare Gentiloni senza sapere (o fingendo di non sapere) che non è lui ad avere il ruolo sul tema.

I giornali di destra a voce unita però continuano a sparare. Non stupisce che lo facciano con il tono che pare una voce sola: sono ormai una voce sola che risponde alle dipendenze dell’editore unico Antonio Angelucci. Stupisce però che l’acredine verso il politico del Pd si sia accesa all’improvviso, senza un valido motivo apparente per scatenare così tanta bile. Ieri l’arcano si è svelato.

Sapevano, Giorgia Meloni con Matteo Salvini e tutta la ciurma, che sarebbero arrivati i dati della Commissione europea (leggi servizio a pagina 3). E sono numeri che smentiscono in toto la baldanzosa propaganda di un governo che vorrebbe piegare la realtà alla narrazione, da Caivano all’economia, senza sapere che la realtà prima o poi arriva.

Ecco il punto: le prospettive economiche italiane vengono tagliate per l’anno in corso dello 0,3% fermandosi allo 0,9% e l’Italia è il fanalino di coda nelle previsioni economiche per il 2024. A dirlo è proprio lui, Gentiloni, che di fronte alle telecamere spiega le difficoltà economiche dell’Unione europea e interrompe bruscamente la propaganda di prosperità del governo italiano.

A chiudere una giornata difficile sono arrivati anche i dati dell’Istat che segnano uno 0,7% in meno nella produzione industriale nazionale. I numeri, si sa, non si possono piegare. Tanto che perfino al ministro Adolfo Urso non resta che ammettere che siano “segnali d’allarme, in qualche misura aspettati”.

La trama diventa visibile. Gli attacchi scoordinati al commissario Gentiloni non erano altro che il perpetuarsi della strategia – la solita – di questo governo: additare un nemico per coprire gli errori. La mole di dichiarazioni e di editoriali contro Gentiloni non erano altro che il concime per preparare il proprio elettorato alle pessime notizie che sarebbero uscite dalla sua bocca.

Additare la persona per coprire ciò che comunica è l’anima del populismo. Avere attaccato inutilmente per l’ennesima volta l’Ue per poi ritrovarsi bastonati (con una Legge di Bilancio all’orizzonte sempre più difficile) è lo scotto del governo sovranista. Gentiloni da parte sua non ha risposto “per non fare male all’Italia”. Del resto a fare male ci pensano già quelli che la governano.

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Un montagna di affetto per l’addio a De Masi

Per misurarne l’influenza bastava buttare ieri lo sguardo sulle persone che si sono radunate all’interno del Tempio di Adriano, alle spalle del Pantheon, a Roma per salutarlo: il sociologo Domenico De Masi negli ultimi anni della sua vita è stato senza dubbio uno degli ideologi del Movimento Cinque Stelle, ma per tutta la vita è stato e resta un uomo di sinistra.

“È stato un grande amico del MoVimento 5 Stelle, una grande fonte di ispirazione per le nostre battaglie sul salario minimo, per la riduzione del tempo del lavoro, le nostre battaglie di protezione sociale per non lasciare nessuno indietro”, ha detto il presidente M5S Giuseppe Conte, ricordando come lo studioso, mancato all’età di 85 anni per una malattia fulminante, sia “stato amico di tanti potenti ma prima di tutto amava la chiarezza, la verità intellettuale. De Masi è stato portatore di una visione del mondo, e senza una visione del mondo non andiamo da nessuna parte”, ha detto Conte.

Una folla ha riempito il Tempio di Adriano per l’ultimo saluto sociologo Domenico De Masi. Conte: “Fonte di ispirazione per i 5S”

Prima del presidente M5S si erano succeduti altri interventi, a partire dall’amata moglie Susi del Santo, dalla nipote e dalla famiglia del Fatto Quotidiano, giornale che gli aveva affidato la scuola di formazione. L’amministratore delegato Cinzia Monteverdi, il direttore Marco Travaglio e poi altri hanno ricordato l’entusiasmo che “Mimmo” aveva messo in questo progetto. Poi tanti altri ricordi di amici ed ex studenti del sociologo. Presente alla cerimonia laica anche il direttore della Notizia, Gaetano Pedullà che ha portato ai familiari il cordoglio di tutta la redazione. Come sanno i nostri lettori, De Masi era spesso ospite delle pagine di questo giornale, che arricchiva con interviste e interventi sempre lungimiranti e interessanti.

La storia del professore, d’altra parte, è stata costellata di generosità, passione e amicizie di grande livello.
Nato in Molise e formatosi in Campania, De Masi frequentò Parigi da allievo di Touraine e il Brasile dell’amico Lula che in questi giorni ha voluto, da presidente, ricordarlo ufficialmente. Intendeva il suo ruolo di professore universitario in modo totalizzante, sempre a disposizione dei suoi studenti, senza rinunciare a un marcato profilo politico. A Milano, lavorò alla Cmf del gruppo Iri e ottenne un riconoscimento dall’allora Cee, la Comunità Economica Europea.

Consigliò a Grillo le modalità di ideazione e di realizzazione del Reddito di cittadinanza

Da preside della facoltà di Scienze della Comunicazione alla Sapienza nel 2009 non si tirò indietro quando ci fu da organizzare la protesta contro i tagli dell’allora ministra Gelmini, tenendo lezioni nelle piazze per denunciare le condizioni “da straccioni” in cui versavano gli atenei. Amava la tecnologia, seguendo e utilizzando i progressi tecnologici utili alla divulgazione. Quando si avvicinò ai Cinque Stelle, dopo le delusioni per un Centrosinistra che aveva puntato all’egualitarismo troppo timidamente, consigliò a Beppe Grillo le modalità di ideazione e di realizzazione del Reddito di cittadinanza.

Fu molto critico con il Movimento nel periodo del governo gialloverde: “Quelli del Movimento mi danno ragione in privato e criticano Salvini, ma poi davanti alle telecamere non tengono coraggio”, ripeteva. Per De Masi “il Movimento 5S era fatto da granelli di destra e di sinistra, Salvini si è fregato i granelli di destra e il M5s si è quasi dimezzato”. Fu critico anche con Luigi Di Maio quando decise di rompere con Conte e Grillo: confesso di avere “passato ore a parlarci per convincerlo a restare”, ma ammise che non era servito a nulla. Ha da sempre approfondito le tematiche socio-organizzative, il post-industrialismo e di recente anche il fenomeno del lavoro agile (oggi chiamato smart working). De Masi ha elaborato un suo paradigma sociologico, partendo dal pensiero di maestri come Tocqueville, Marx, Taylor, Bell, Gorz, Touraine, Heller e la Scuola di Francoforte.

“La sinistra non esiste più”, amava ripetere, “in Italia ci aspettano quattro lunghi anni di opposizione. Potrebbero essere però l’occasione per trovare un modo di rifondare la sinistra. E bisognerebbe partire proprio dai 14 milioni di poveri che ci sono in Italia, ma devono diventare una classe, una classe sociale consapevole: individuare i nemici, come Meloni, e organizzarsi. Come insegnava Marx. Ma nessuno lo legge più”. La nipote Irene ieri durante la celebrazione si è commossa mentre lo definiva un “nonno e un padre meraviglioso che ci ha accompagnato tutta la vita, cosi’ come faceva con gli studenti”.

Il sociologo è stato tra gli sostenitori del Reddito di cittadinanza e di un nuovo welfare

Dopo hanno preso la parola anche l’attrice Marisa Laurito, Antonio Bassolino, i giornalisti Myrta Merlino e Manuela Rafaiani e tanti altri. Presenti anche Marco Tardelli, Paolo Cirino Pomicino, Umberto Croppi, Maurizio Gasparri. Quest’ultimo uscendo dal Tempio di Adriano ha ricordato che De Masi “aveva dato attenzione ad un libro che avevo scritto con Urso”. Poi “ci eravamo ritrovati tempo dopo “su posizioni diverse soprattutto nei dibattiti televisivi”, ma lui “era una persona aperta al confronto. Quasi mai eravamo d’accordo sul reddito cittadinanza” ma era “una persona da stimare e rispettare”. “Aveva cuore a sinistra e testa in avanti”, ha affermato Bassolino. Ora resta da vedere, passato il cordoglio, se qualcuno avrà voglia di prendersi la responsabilità di attuarne la visione. Ma nemmeno De Masi, sempre così ottimista, pareva avere troppa fiducia.

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Fratelli d’Italia. E cugini

C’è la sorella di Giorgia Meloni, Arianna, diventata donna di peso nel partito e pronta in rampa di lancio per le prossime elezioni europee. C’è il marito di Arianna, Francesco Lollobrigida, ministro all’Agricoltura e alla Sovranità alimentare, cognato di Giorgia Meloni. Ora c’è Rocco Bellantone, cugino da parte di madre (lo scrive Il Foglio) di Giovanbattista Fazzolari, politico di Fratelli d’Italia, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero Giorgia Meloni.

Rocco Bellantone avrebbe potuto diventare ministro alla sanità ma a quel tempo qualcuno deve avere pensato che non fosse elegante inserire un ulteriore parente. Passati i mesi e rarefatto l’imbarazzo ora Bellantone è stato nominato commissario straordinario dell’Istituto superiore della sanità con un decreto del ministro Orazio Schillaci, quello che occupa la poltrona che avrebbe potuto occupare Bellantone. 

Rocco Bellantone è un medico chirurgo endocrino e metabolico. Nato a Villa San Giovanni, Reggio Calabria, il 2 agosto 1953, si è laureato in Medicina e Chirurgia all’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma nel 1977. Ha una specializzazione in urologia. Il suo curriculum è stato scelto “tra personalità appartenenti alla comunità scientifica, dotato di alta e riconosciuta professionalità”, come si legge nel documento della sua nomina.

Delle due l’una: o le famiglie dei dirigenti del partito di Giorgia Meloni sono un concentrato di talenti e di professionalità di cui per anni non ci eravamo accorti oppure il tanto decantato sovranismo è solo una declinazione del familismo.

Buon martedì. 

Nella foto: il professor Rocco Bellantone, frame di un video del Policlinico Gemelli

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