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Le bugie di Salvini sugli sbarchi e una narrazione per interesse personale – Lettera43

Parole a caso, bugie vendute un tot al chilo e poi la solita speranza che tutto finisca solo in un po’ di polvere. Matteo Salvini non riesce più a trattenere la soddisfazione di vedere la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro all’Interno Matteo Piantedosi in difficoltà mentre a Lampedusa la situazione esplode e i flussi migratori non mostrano segali di flessione. È una felicità fatta di amor proprio (e quello a Salvini non manca mai) con l’aggiunta di una possibile strategia: se Meloni e Piantedosi non riescono a controllare gli sbarchi ancora una volta di più Matteo Salvini verrà ricordato come «l’unico che c’è riuscito». Mica per niente una frase simile l’ha vergata l’editorialista Vittorio Feltri che oltre agli editoriali anticipa le strategie.

L’emergenza elettoralmente gli porta sempre molta fortuna

Ebbro di felicità, Salvini non si è controllato ed è inciampato sulla guerra. Un mesto Antonio Tajani si aggirava per le vie del ministero ripetendo con il sorriso a tutti questa barzelletta della «guerra di Salvini». Il lapsus è freudiano: il ministro Salvini avrebbe voluto proporsi come l’unico comandante in grado di vincere questa battaglia e ha deviato su una guerra che non ha né capo né coda. Ciò che conta per il ministro alle Infrastrutture e vicepremier è fare annusare ai suoi elettori (e ancora di più a quelli dei Fratelli d’Italia) l’aria dell’emergenza che elettoralmente gli porta sempre molta fortuna.

Le bugie di Salvini sugli sbarchi e una narrazione per interesse personale
Matteo Piantedosi e Matteo Salvini (Imagoeconomica).

Sulle richieste d’asilo ci sono molto Paesi messi peggio di noi

Per questo, senza nessun controllo delle proporzioni, Salvini ha parlato dell’Italia come «unico Paese in Europa con un’immigrazione di queste dimensioni». Pericolo, invasione: siamo ancora sempre qui. Solo che alle 62 mila richieste d’asilo fino a giugno registrate in Italia fanno da controcanto le 187 mila richieste d’asilo che pendono in Germania (il triplo!), le 99 mila in Spagna e le 93 mila in Francia. L’Italia è mestamente fuori dal podio delle emergenze di cui il leader leghista avrebbe così bisogno per logorare la sua alleata. Se si calcolano le richieste d’asilo per ogni abitante (come ha fatto Pagella politica partendo dai dati Eurostat) va anche peggio: quest’anno, fino a luglio 2023, la Germania ha ricevuto una richiesta d’asilo ogni 447 abitanti, la Spagna ogni 483, la Francia ogni 729, mentre l’Italia ogni 947. L’incisione è molto più “invasiva” che in Italia a Cipro (una richiesta ogni 161 abitanti), in Austria (394), Estonia (458), Lussemburgo (548), Slovenia (562), Grecia (619), Belgio (640), Paesi Bassi (783), Bulgaria (841) e Irlanda (938). In questo caso ci sono 13 Paesi europei messi “peggio” dell’Italia.

Le bugie di Salvini sugli sbarchi e una narrazione per interesse personale
Sbarchi a Lampedusa (Imagoeconomica).

Guarda caso a Bruxelles nessuno calcola le esternazioni del Capitano

No, non è solo la guerra che non c’è. Nelle parole di Matteo Salvini c’è una narrazione che non ha nessuna contezza delle proporzione, al di là dei diritti umani, che lo rende un provinciale agitatore di falsità per interesse personale. Anche questo non è nuovo: parliamo dello stesso ministro che nei primi giorni di legislatura aveva rivenduto come “emergenza nazionale” i rave party che sono prestissimo scomparsi dai radar, meritandosi comunque il primo di una lunga serie di decreti sorti sul percolato della cronaca. E ha ragione Carlo Calenda quando invita a osservare come le parole di Salvini siano scivolate a Bruxelles senza che nessuno gli dedicasse nemmeno un plissé. Ma, come sottolinea il leader di Azione, non ci si può permettere di dimenticare che il redivivo Salvini che non sta nella pelle per la gioia sia un vice presidente del Consiglio dei ministri che rappresenta l’Italia. Si comporta come quei matti al bari di cui ridono tutti, quelli che hanno nemici immaginari e che discettano di tutto sparando numeri a caso. Ma qui non siamo al bar. Almeno noi no: non siamo al bar.

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Quelli che vorrebbero Schlein come segretaria omeopatica

Qualcuno dalle parti del Partito Democratico sogna ancora che l’elezione della nuova segretaria Elly Schlein sia una dovuta burocrazia che lasci intatto il partito come se nulla sia cambiato. Accade così che la minoranza interna (che ancora non s’è resa conto di essere minoranza) si innervosisca perché la segretaria del partito non accetti di svolgere il proprio ruolo in maniera omeopatica.

Tra i dem c’è chi si meraviglia perché la leader del Pd, Elly Schlein, dice quello che ha sempre pensato

L’ultima scossa è data dalle parole di Schlein che ha espresso tre concetti semplici e risaputi: il “minnitismo” sull’immigrazione ha dimostrato con gli anni di essere un enorme fallimento ingrassando criminali libici e aprendo la strada al cosiddetto “Piano Mattei” della peggiore destra; la linea militarista dell’obiettivo del 2% del Pil per le spese militari volute dalla Nato in questo momento è uno schiaffo al Paese in cui si smontano la sanità, la scuola e le misure di contrasto alla povertà poiché quei 13/14 miliardi ora servono per cose ben più serie; da un anno e mezzo il dibattito in Italia sull’invasione russa in Ucraina è stato schiacciato sul versante militare e militarista.

Sono le idee che hanno spinto Elly Schlein a vincere la corsa per la segretaria eppure ascoltando questi tre semplici concetti le facce degli oppositori interni di Schlein (ex ministro Guerini in testa) si sono frantumate per la sorpresa. Le accuse alla segretaria – come spesso accade – si sovrappongono perfettamente tra i renziani che stanno con Renzi e i renziani che ancora stanno nel Pd. Si meravigliano perché Schlein dice quello che ha sempre pensato. Lo trovano inelegante. E questo è tutto quello che c’è da dire su una parte del PD.

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Non sono in crisi le cose, soffrono le persone

Leggendo i titoli dei giornali in queste ultime settimane sembra che un’epidemia abbia stretto la gola all’Italia: “in sofferenza l’hotspot di Lampedusa”, “in crisi i comuni”, “tende di fortuna”, “Prefetture in affanno”, “porti sotto stress”. È un trucco semplice, piuttosto infame: se a essere in crisi sono le “cose” ci si può permettere di non parlare delle persone.

Suonerebbe estremamente diverso raccontare che uomini donne e bambini (molti minori non accompagnati) soffrono gli spazi volutamente non organizzati dal governo e mancano di servizi e diritti volutamente negati. Sarebbe diverso scrivere che non sono “i comuni” a essere in crisi ma sono sindaci – quindi persone – che si ritrovano a governare qualcosa che gli cade addosso perché lo Stato latita, anche loro senza mezzi e senza soluzioni. Reificare un problema per alleggerirne le responsabilità è una disumanizzazione vigliacca, pensateci.

La “crisi” è voluta. A inizio anno il Tavolo Asilo e Immigrazione ha chiesto all’attuale governo di programmare gli interventi di accoglienza, come previsto dalla normativa. Li hanno ascoltati per la prima volta il 4 agosto. Anche le responsabilità non sono dei “fenomeni” o delle “cose”. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni per settimane ha celebrato “i successi internazionali per fermare l’immigrazione”. Oggi sui giornali membri del governo accusano l’Ue di “essere stati lasciati soli”.

Basta un po’ di coraggio, parliamo delle persone.

Buon lunedì.

Nella foto: frame di un video sull’hotspot di Lampedusa, Skytg24

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Il richiamo del sangue. Giorgia batte Silvio

Fermi tutti. La “privata cittadina” Arianna Meloni, sorella della presidente del Consiglio Giorgia nonché moglie del ministro all’Agricoltura Francesco Lollobrigida, ora si dichiara “militante da quando aveva 17 anni” e rivendica il proprio ruolo di responsabile della segreteria politica di Fratelli d’Italia (di cui è segretaria la sorella) e del tesseramento.

Fratelli d’Italia è un affare di famiglia. L’allieva supera il maestro di Arcore

Si sgretolano in una battito di ciglia le ripetute doglianze della cittadina che lamentava incursioni nella sua vita privata solo “perché sorella di Giorgia Meloni”. Si era sbagliata: essere sorella di Giorgia Meloni ora è il primo punto sul suo curriculum e si dice pronta a candidarsi per le prossime elezioni europee perché è “un soldato” a disposizione del partito. Ovvero della sorella.

Il familismo nella politica italiana non è una novità. Il marchio di fabbrica del “cognome che funziona” è una tentazione in cui sono caduti in molti e l’acquolina nella bocca di Pier Silvio Berlusconi sta a lì a dimostrarlo. Ma una leader di partito che guida anche un governo e che decide di scegliere una sorella per vigilare all’interno della sua compagine politica ha un solo precedente: Kim Jong-un, leader supremo della Corea del Nord. Non proprio un’ispirazione di cui andare fieri.

Nemmeno Silvio Berlusconi, il più grande interprete della politica e del partito come proprietà privata, si era spinto a tanto. Le sorelle d’Italia, cognati annessi, sono un unicum internazionale che svela almeno un particolare: Meloni è ossessionata dal controllo e si fida solo del sangue del suo sangue. Anche questo non è un precedente fortunato.

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Il metodo Bandecchi

Cosa abbia fatto da sindaco e quali siano le sue qualità politiche non è dato saperlo. Stefano Bandecchi negli ultimi due mesi è riuscito a sfondare nelle pagine della cronaca nazionale solo per le sue intemperanze. In tempi sciocchi il più violentemente sciocco suscita clamore poiché in lui si identificano gli sciocchi che ne ammirano il coraggio di esserlo in pubblico. Nel sindaco di Terni Bandecchi si identificano invece i violenti. È questo è estremamente più pericoloso

In tre mesi il sindaco di Terni eletto a capo di una coalizione civica ha promesso di “perseguitare” (testualmente) un signore che si era pulito una scarpa in una fontana, ha cercato di mettere le mani addosso (nonché definito “coglione”) a un giornalista e infine ieri ha cercato il contatto fisico (e promesso di “far saltare i denti”) con un consigliere comunale dell’opposizione.

A febbraio Bandecchi, che è anche presidente della Ternana, squadra di calcio cittadina, aveva litigato con un gruppo di (suoi!) tifosi, sputandogli addosso, come si compete a una persona incapace di controllare un confronto senza sfociare nella violenza.

Stefano Bandecchi è solo l’ultimo caso di persona diventata personaggio pubblico per le sue intemperanze. Al pari di musicisti che da anni non fanno dischi o di critici d’arte che spopolano per le loro ingiurie Stefano Bandecchi è un prodotto della spettacolarizzazione della volgarità e della violenza. Ne abbiamo visti tanti, da Calderoli a Borghezio. In politica più di ciò che si fa conta quanto ci si fa notare. Ora è il tempo delle scazzottate che pagano. Sempre a proposito della violenza come matrice.  

Buon martedì.

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Il sistema dell’accoglienza dei migranti colpito al cuore per creare l’emergenza

A Fratta Todina, piccolo centro della provincia di Perugia, il sindaco Gianluca Coata racconta che da gennaio sono stati “scaricati” dal governo 50 migranti, di cui 35mila solo negli ultimi due mesi. Il paese ha 1.800 abitanti. “Siamo al collasso”, è l’allarme lanciato dal sindaco.

Coata è uno dei tanti primi cittadini che si ritrovano sulle spalle la disorganizzazione di un governo incapace di affrontare i flussi migratori. Avevano promesso l’irrealizzabile chiusura dei porti e si sono schiantati contro la realtà, hanno stretto le mani insanguinate del presidente tunisino Saied e nelle cinque settimane dopo il memorandum le partenze dalla Tunisia sono aumentate del 38%, hanno propagandato risultati internazionali straordinari e ora il ministro Urso lamenta che il governo è lasciato solo dall’Ue.

La gestione dei flussi migratori da parte delle destre sta registrando i risultati peggiori di sempre

“La verità è che la premier Meloni ha conquistato Palazzo Chigi raccontando fandonie sulla gestione dell’immigrazione – dal blocco navale al globo terracqueo – e oggi è costretta ad ammettere il suo totale fallimento e la totale mancanza di visione strategica su questo tema”, dice il segretario di +Europa, Riccardo Magi.

Il fallimento sul sistema di accoglienza parte dal lontano. Il primo passo del disfacimento risale al Decreto sicurezza dell’allora ministro all’Interno Salvini, che escludeva dal Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) i richiedenti asilo. Ne secondo governo Conte la riforma Lamorgese aveva provato a mettere una pezza ma la scure si è abbattuta definitivamente col recente Decreto “Cutro”.

I cittadini stranieri soccorsi in mare vengono condotti in centri localizzati nei pressi delle aree di sbarco per la prima assistenza sanitaria, il fotosegnalamento e la pre-identificazione. Sono i cosiddetti “hotspot”. Da qui dovrebbero essere trasferiti nei centri governativi in cui l’accoglienza prevede anche servizi che ne favoriscono l’integrazione. Ma i centri governativi sono pieni da anni, e quindi si ricorre ai Centri di accoglienza straordinaria (Cas) che da “straordinari” sono diventati la norma.

Qui i servizi (e i diritti) sono inferiori, l’accoglienza quindi funziona peggio e l’integrazione è un’utopia. Il “decreto Cutro” ha creato inoltre un nuovo tipo di Cas, provvisorio, in cui è esclusa l’assistenza sociale. Un parcheggio, insomma. Il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), che consente una reale possibilità di integrazione, ormai è dedicato esclusivamente ai titolari di protezione, o quasi. Quella dei migranti, quindi, non è un’emergenza annunciata, ma un’emergenza costruita da anni.

E ci si può fare la domanda: è davvero l’incremento degli arrivi a provocare il disastro? Non proprio. In dodici mesi in Italia sono sbarcate 155mila persone: stesso livello del 2014-2017. Negli ultimi 5 anni sono stati cancellati 40mila posti su tutto il territorio nazionale. Un fallimento cercato, voluto. Inoltre l’abbattimento dei rimborsi celebrati da Salvini come una vittoria ha allontanato i privati e le associazione che non riescono a far quadrare i bilanci.

A questo si aggiunge il problema dei minori non accompagnati: in base alla legge 142 del 2015 tocca allo Stato prendersene cura in strutture dedicate, sistemandoli in strutture di secondo livello. I Comuni possono intervenire in via temporanea e senza oneri. Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori è già ricorso al Tar. Naturale è il dubbio che la vera emergenza stia nell’incompetenza e nella propaganda di chi governa.

Leggi anche: La manovra dell’austerità. Con Meloni tornano i sacrifici. Al primo Consiglio dei ministri sulla finanziaria la richiesta è stata di rinunciare a impegni per miliardi

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La mafia frena Calderoli. Ma a sparargli contro sono i compari al governo

Puntuale arriva la presunta minaccia di morte e il vittimismo. Il ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli, ha annunciato di aver ricevuto una lettera in cui si legge “se non la smetti di attuare la politica di genocidio nei confronti del Sud, con la nostra potenza di fuoco noi ti uccideremo. Siamo la mafia, non ci costa niente uccidervi”. Tutto documentato da informazione e foto diffuse dal ministro a favore dell’opinione pubblica. “Io non ho paura delle minacce, non mi spavento – ha detto Calderoli – e vado avanti fino a quando non avrò realizzato l’autonomia regionale. E poi dopo andrò a fare il pensionato sul mio trattore”.

Il ministro per gli Affari regionali e le autonomie Calderoli mostra una lettera di minacce. Le Autonomie però hanno altri nemici

Ovviamente, puntuali, sono arrivati i messaggi di solidarietà. La presidente dei senatori di Forza Italia, Licia Ronzulli, ha detto che “la risposta migliore è continuare a lavorare, con coraggio, serietà e concretezza, come Calderoli sta facendo”. Mariastella Gelmini, portavoce di Azione, ha condannato la violenza e invitato ad “affrontare il tema dell’autonomia con serietà, lontano da quelle contrapposizioni che in questi anni hanno alimentato un dibattito ideologico e dannoso per il Paese”. A condannare la violenza anche Movimento Cinque Stelle, Pd, Italia Viva e diversi ministri.

Il vero nemico di Calderoli però più che una presunta “mafia” (che si firma “mafia”) continuano a essere i suo alleati di governo. Calderoli ha aperto il dossier che svende le funzioni nelle 23 materie di autonomia differenziata. Nell’Atto 615 del Senato ha voluto impostare la trattativa su sé stesso e gli esecutivi regionali, emarginando parlamento ed enti locali. Per i Lep (i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale) ha spericolatamente deciso di demandare il tutto ai singoli decreti ministeriali.

Ma su quella proposta di legge pesano centinaia di emendamenti da parte anche dei partiti che formano la maggioranza. Già a gennaio il presidente di Forza Italia Tajani aveva parlato di “qualche riserva, non sul principio, ma su alcune formulazioni”. Il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia), ha criticato l’atteggiamento tenuto da Calderoli, avvertendo che il processo dell’autonomia differenziata deve andare in parallelo col percorso di riforma per introdurre il presidenzialismo. Il grimaldello che permetterebbe di sbloccare la situazione è però un emendamento di FdI che riscrive completamente l’articolo 3 del provvedimento nella parte che riguarda la determinazione dei Lep: blinda la loro definizione e impone alcuni paletti, ritenuti, a destra e a sinistra, indispensabili per non avere un’Italia a due velocità. Basterà? No.

Non c’è bisogno di Cosa nostra per bloccare una legge molto criticata pure nella maggioranza

Sull’autonomia differenziata si gioca anche un battaglia politica tra Meloni e Salvini. Il leghista Zaia anche ad agosto ha cercato di mantenere a tutti i costi la questione dell’autonomia differenziata in cima all’agenda di governo, trascinando il presidenzialismo/premierato appoggiato anche da Renzi. Alla Lega però la riforma serve prima delle prossime elezioni europee per potersi confermare come “partito del Nord” e erodere la presidente Meloni. A Salvini la riforma serve per riuscire a rimanere in sella all guida del suo partito.

Difficile che la leader di Fratelli d’Italia (che invece punta al voto nazionale, non solo del nord) possa concedere così facilmente un regalo all’alleato, ancor di più ora che dalle parti della Lega si dicono pronti a logorare la premier per i trovi sbarchi. A Calderoli insomma conviene guardarsi intorno, più che nella casella delle lettere.

Leggi anche: La denuncia di Cappato: “I Servizi segreti mi intercettano”. Il tesoriere dell’associazione Coscioni afferma che l’Aisi lo sorveglia da sei mesi. La replica di Mantovano: “Lo escludo nel modo più assoluto”

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Flop sui migranti. Un La Russa si ravvede

“Sono troppi” i migranti “che vengono distribuiti in Lombardia e senza fondi faremo fatica a gestirli”. Lo dice in una intervista a Repubblica Romano La Russa, fratello del più celebre presidente del Senato Ignazio Benito Maria nonché assessore alla Sicurezza e Protezione civile della Regione Lombardia. Il La Russa meno noto ne ha per tutti: se la prende con “gli sbarchi sulle coste del Sud” e perfino con “i continui flussi dall’Ucraina”. “Questa è un’emergenza umanitaria”, dice il La Russa minore dimenticando la retorica dell’invasione.

“In Lombardia non c’è più posto”. Il fratello di Ignazio La Russa contro il governo

Ben svegliato, Romano La Russa. Ci rimane un dubbio: a chi parla La Russa Perché rilascia interviste? Non potrebbe porre le sue questioni al fratello dirigente del partito di governo Fratelli d’Italia (appunto) oppure scrivere alla sua segretaria nonché presidente del Consiglio Giorgia Meloni?

Qualcuno dovrebbe bussare sulle spalle dei politici di questa maggioranza e svegliarli dal beato sonno in cui pensano di poter dare la colpa agli altri. Qualcuno potrebbe dire all’assessore lombardo La Russa che nella stessa situazione sono in tutte le regioni d’Italia (per quanto poco gli possa interessare).

Dopo avere esercitato la propaganda sull’immigrazione (che invece richiede competenza e autorevolezza internazionale) ora i fratellini d’Italia stanno provando a passare direttamente alla rimozione. Nel loro magico mondo i Fratelli d’Italia sono sempre governati da poteri oscuri che li opprimono. Ma stavolta il vittimismo non funziona, al governo ci sono loro. E di oscuro c’è solo il futuro di un Paese governato così.

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Non beva, Giambruno

Il prode conduttore televisivo Andrea Giambruno, nonché compagno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva promesso che in qualità di primo first gentleman nella storia d’Italia sarebbe stato invisibile. Sì, ciao. Non riuscendo a controllare il testosterone che gli chiedeva di uscire dal dietro le quinte ha scelto di condurre una trasmissione di carattere politico. Il compagno della presidente del Consiglio che tutti i giorni in tivù discetta di politica pretendeva di non essere associato a Meloni. Che beata ingenuità. 

In veste di conduttore di trasmissione politica il prode Giambruno è riuscito a inanellare una strepitosa serie di figure barbine che talvolta gli hanno fatto meritare articoli più estesi di quelli dedicati alla non moglie. L’ultima risale a pochi giorni fa quando, con la capacità analitica di un giocatore di briscola al bar di fronte al sesto bicchiere di vino bianco, ha detto che se le donne non bevono sono al sicuro. Un’idea strepitosa al pari di quella del ministro Piantedosi che consigliava ai disperati di morire di fame e di guerra nei loro Paesi per non rischiare di morire annegati. 

Dopo avere detto una banale sciocchezza che fa Giambruno? Torna in televisione e contrattacca: «anche le mamme dicono alle proprie figlie di stare attente», dice il prode Giambruno, dimostrando di non sapere la differenza tra un messaggio giornalistico e un rimbrotto materno. Avrebbe potuto scusarsi, spiegare meglio la sua frase che ha fatto scalpore. Niente di tutto questo: Giambruno contrattacca. «E la sinistra, quindi, vuole tutti ubriachi, drogati?», risponde. Niente, proprio non riesce a tenere a freno il testosterone. 

Buon mercoledì.

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