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La collezione di indagini sulla Santanchè continua a crescere

Chissà, forse la ministra al Turismo Daniela Santanchè e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si affidano alla memoria corta degli italiani e per questo veleggiano ostentando serenità sui molteplici casi che fanno capolino di giorno in giorno. La Santanchè è stata ufficialmente salvata in Senato lo scorso 26 luglio. Capitolo chiuso, devono avere sperato dalle parti del governo. Fa niente che le risposte offerte dalla ministra ai senatori in occasione della mozione di sfiducia presentata dall’opposizione siano risultate evidentemente mendaci. Solo che in questo ultimo mese le ombre hanno continuato ad allungarsi e ora anche la Corte dei Conti ha deciso di metterci il naso.

Dubbi sulla campagna “Open to meraviglia” voluta dalla ministra Santanchè. La Corte dei Conti fiuta il danno erariale

Sotto osservazione è la campagna annunciata in pompa magna “Open to meraviglia”, raffigurante la “Venere influencer” che avrebbe dovuto ingolosire i turisti stranieri e indurli a visitare le bellezze del nostro Paese. L’iniziativa era partita subito col piede sbagliato: il dominio internet non registrato, le immagini comprate in stock che si riferivano a una cantina slovena, le traduzioni fatte con i piedi che avevano trasformato Prato in “Rasen” e Camerino in “Garderobe”.

A oggi i 9 milioni di euro della campagna assegnata senza gara (di cui 138mila per il video promozionale prodotto dall’Agenzia Testa con una delibera di Palazzo Chigi) hanno fruttato qualche post sui social fino allo scorso 27 giugno e un video delle giocatrici della nazionale di pallavolo che indossano la maglietta promozionale. Per questo il procuratore della Corte dei Conti, Pio Silvestri, ha avviato un’istruttoria ipotizzando un danno erariale. Nel frattempo, alle ombre giudiziarie si sono aggiunti i fallimenti politici, con un agosto che ha fatto registrare 20 milioni di italiani in vacanza sul territorio nazionale (il 10% meno dell’anno scorso) e un 28% dei nostri vacanzieri che ha scelto di andare fuori dai confini nazionali, soprattutto perché riteneva le offerte più convenienti.

Sotto la lente anche l’acquisto delle azioni Visibilia fatto da Reale Ruffino poco prima di togliersi la vita

A tutto questo, si aggiungono i nuovi accertamenti sull’ingente quantitativo di azioni di Visibilia Editore (di cui era socia fondatrice Santanchè) comprate, tra giugno e luglio scorso, da Sif Italia, colosso dell’amministrazione di condomini che era guidato da Luca Giuseppe Reale Ruffino, il manager 60enne che il 5 agosto scorso si è suicidato nella sua casa milanese.

Da quanto filtra, Ruffino era parso molto turbato dopo che nell’udienza civile del 22 giugno, sulla causa intentata dai soci di minoranza contro la vecchia gestione di Visibilia, gli inquirenti avevano depositato due relazioni di Nicola Pecchiari, commercialista e docente della Bocconi, nelle quali il consulente dei pm aveva dato conto di “bilanci inattendibili”, “irregolarità” finanziarie “estremamente significative”, di un deficit “occultato” dagli ex vertici, ma anche di un valore del cosiddetto “avviamento” della società pari a zero.

Diversi esponenti del governo, quando salvarono la Santanchè, dissero di “attendere gli sviluppi”. Gli sviluppi – giudiziari e politici – sono qui: ora è l’occasione per l’opposizione di rimettere sul tavolo il tema. Anche perché la Meloni, finora muta sulla sua ministra, non potrà proteggerla all’infinito. A meno che la stessa premier voglia rispondere a due domande: perché “Open to meraviglia” si è arenata E soprattutto: perchè il manager Ruffino ha comprato oltre 2 milioni di azioni da Visibilia e poi si è ucciso?

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Cancellata la Bibbia negazionista. Il clima cambia su Franco Prodi

Tempi duri per i negazionisti climatici italiani: lo studio sui cui avevano fondato gran parte del loro can can è stato ritirato da Springer Nature, uno dei maggiori editori scientifici. Per l’editore, lo studio firmato da Franco Prodi, Gianluca Alimonti, Luigi Mariani e Renato Angelo Ricci arriva a conclusioni che “non sono supportate dalle evidenze disponibili o da dati forniti dagli autori”. L’editore ha fatto sapere di aver chiesto di fornire un addendum in cui rispondere alle critiche avanzate dal processo di revisione interna, condotto da scienziati del clima ma di non avere ottenuto i dati necessari per suffragare le conclusioni.

Springer Nature ritira un articolo di Franco Prodi. Le sue tesi non “sono supportate dalle evidenze disponibili o da dati forniti dagli autori”

L’articolo (pubblicato su European Physical Journal Plus, una rivista che non si occupa di climate change) trattava delle tendenze degli eventi estremi e sosteneva che non ci sia un aumento delle precipitazioni estreme, delle inondazioni, delle siccità e un calo della produzione di cibo nel mondo. Di conseguenza, concludeva, “la crisi climatica che, secondo molte fonti, stiamo vivendo oggi, non è ancora evidente”.

Lo studio era stato ampiamente ripreso dai gruppi di negazionisti (o scettici) climatici e rilanciato in due video (con oltre 500mila visualizzazioni su YouTube) su Sky News Australia, un canale popolare per il negazionismo sul clima. “Dopo un’attenta considerazione e consultazione con tutte le parti coinvolte, i redattori e gli editori hanno concluso di non avere più fiducia nei risultati e nelle conclusioni dell’articolo”, ha dichiarato Springer Nature a AFP.

Respingere le responsabilità dell’uomo sull’inquinamento e i suoi effetti mortali fa comodo a tanti

“Sulla crisi climatica attuale – spiega il geologo e giornalista Mario Tozzi – il consenso che dipenda dalle attività produttive dell’uomo è oltre il 97%. A quel punto il dibattito è chiuso e si riapre, sempre nelle sedi deputate, non sui giornali o in tv, solo se arrivano nuovi dati. Che sul clima semplicemente non ci sono”. In ogni caso, continua Tozzi, “Quando gli oggetti lasciati cadere se ne andranno verso l’alto rivedremo la legge di gravità, ma fino a quel momento Newton ha ragione e vige la dittatura della gravitazione universale (perdonate la necessaria approssimazione). Si chiama scienza, funziona così ed è una garanzia per tutti, visto che non abbiamo altri strumenti di approccio alla realtà fisica.”.

Franco Prodi è uno degli “pseudoesperti” che quasi ogni giorno vengono intervistati da giornali e televisioni. Quando capita di sentire qualcuno negare il cambiamento climatico, la frase “l’ha detto Franco Prodi” è un classico. Ma il fustigatore degli attivisti climatici, amico di quotidiani negazionisti come La Verità, ora deve fare i conti con la scritta “Retracted Article” (articolo ritirato) stampata su ogni pagina del suo studio senza scienza.

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È riapparsa la Venere di Botticelli. Ma ora dice le bugie

La Venere di Botticelli in versione cartonata partorita per la campagna pubblicitaria “Open to meraviglia” era scomparsa dai social dallo scorso 27 giugno. Non male per quella che avrebbe voluto essere l’esca per i turisti stranieri. Nei mesi estivi invece la spericolata invenzione della ministra al Turismo Daniela Santanchè è stata latitante, suscitando la curiosità di molti ma soprattutto alimentando il sospetto della Corte dei Conti che si pone la stessa domanda di molti italiani: che senso ha spendere mezzo milione di euro (per di più senza gara) per una campagna promozionale che non promuove?

La Venere di Botticelli partorita per la campagna pubblicitaria “Open to meraviglia” era scomparsa dai social dallo scorso 27 giugno

Così il procuratore regionale per il Lazio, Pio Silvestri, ha avviato un’istruttoria e presto verranno chieste spiegazioni direttamente al ministero del Turismo, con sullo sfondo l’ipotesi del danno erariale. Non ha fatto nemmeno in tempo a bussare alla porta dell’ufficio di Daniela Santanchè che la Venere di Botticelli rediviva si è presentata sorridente sui social: “so che avete sentito la mia mancanza – si legge sotto la foto della Venere di Botticelli ‘pop’ in un aeroporto – e mi fa piacere che vi siate così tanto preoccupati per me. Ecco la verità: avevo promesso di portare le bellezze della nostra Italia in giro per il mondo e così ho fatto”.

Dice la Venere ventriloqua della Santanchè di avere “portato le bellezze della nostra Italia in giro per il mondo”. Evidentemente si è dimenticata però di farsi fotografare. Fuori scena rimane la gustosissima telefonata che avrà avvisato di inventarsi un post in fretta e furia. Ora la Venere però deve convincere il magistrato.

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Oggi la premier Meloni a Caivano. Ruotolo: “Qui occorre tutto tranne che le passerelle”

Sandro Ruotolo, attuale responsabile Informazione e Cultura nella segreteria nazionale del Partito Democratico, Caivano la conosce bene, da giornalista e da ex senatore. Forse anche per questo quando gli si chiede del recente stupro di gruppo e della visita ufficiale della presidente del Consiglio Giorgia Meloni non contiene il fastidio per le passerelle e per le emergenze passeggere. Nel corso degli anni Ruotolo a Caivano ha collaborato alla costruzione di una rete di politici, forze dell’ordine, chiese, associazioni e residenti per combattere il degrado e la malavita.

Ruotolo, che effetto le fa vedere ora Caivano su tutte le prime pagine?
Partiamo da uno studio fatto dalla Banca d’Italia che dice che dove c’è criminalità organizzata c’è meno sviluppo. Almeno capiamo che spesso in alcune aree le questioni criminali e sociali si combinano. Non c’è soltanto l’elemento culturale, che è un tema fondamentale, ma c’è anche il disagio sociale e tutto il resto. La storia di Caivano va inserita in un ragionamento molto più ampio sull’area dei Comuni a nord di Napoli. Quei Comuni che poi si trasformano e diventano terra dei fuochi. Per studiare il fenomeno della camorra basta andare lì, ci sono le amministrazioni sciolte per mafia, i clan, le zone di spaccio. Caivano diventa piazza di spaccio all’indomani della guerra di Scampia. A quel punto le 11/13 piazze di spazio di Scampia sono diventate 2 e il grosso si è trasferito al Parco Verde di Caivano. Oggi parliamo di questi fenomeni della cultura della violenza ma non va dimenticato che durante le guerre di camorra al Parco Verde sono stati trovati carbonizzati i cadaveri dei camorristi. Questa non è camorra “del muretto”. Il parco verde è anche il fallimento del centrosinistra, di queste periferie di edilizia popolare degli anni 70/80, com’era Pomigliano o a Roma Laurentino e Tor Bella Monaca o a Milano Quarto Oggiaro. Qual è il fallimento? La mancata manutenzione, la mancata sorveglianza, una terra di nessuno coacervo del sottoproletariato. Come fa una coppia di ragazzi figli della bidella della scuola con salario minimo a vivere in città? Dove li mandi? Caivano è solo uno dei mille Bronx che abbiamo in Italia. Gli stessi carabinieri della mia scorta non hanno uno stipendio che gli permette di vivere in città. Siamo di fronte a un’enorme questione sociale.

In questo scenario come si inserisce lo stupro di gruppo sulle due cuginette di 10 e 12 anni?
La mia rabbia sulla questione dello stupro è dovuta al fatto che c’entra certamente con la mancata sicurezza ma non solo. Il fenomeno è anche dentro le mura domestiche, basterebbe vedere come interagiscono questi giovano sbandati e soli con i social, con le piattaforme digitali, con la pornografia. Non servono solo più militari: servono più maestri. Il danno è provocato dalla povertà culturale, dalla dispersione scolastica. Due minori su tre non hanno mai letto un libro. C’è un grave analfabetismo funzionale. La s maiuscola dello Stato che manca sta lì. Ma perché quando ho lasciato Napoli e sono andato a vivere sulla Cristoforo Colombo a Roma i miei figli avevano due piscine nell’arco di mille metri e innumerevoli possibilità? Questo è. Caivano manca di Stato sociale. Serve più welfare, servono più servizi. Sono reduce dall’Emilia Romagna e ho toccato con mano la qualità di vita di un carabiniere a Bologna. È tutto un altro mondo.

E come legge la discesa a Caivano della presidente del Consiglio Giorgia Meloni?
La leggo male. Sono anche stanco delle passerelle. Avrei voluto che Meloni visitasse Caivano dopo che a tutti fosse chiaro cosa serve davvero. In quella chiesa è passata la Carfagna quando era ministra al Mezzogiorno, è passato Salvini. Io sono stanco delle passerelle, me la prendo con il politico che ci va ma anche con chi le chiede. Noi lì abbiamo costituito comitati di coordinamento anticamorra, ci siamo posti degli obiettivi, abbiamo chiesto, abbiamo fatto incontri con il Prefetto. Lì la tenenza dei carabinieri è diventata compagnia. Questo significa più uomini ma non “una tantum”. Quei carabinieri in un anno hanno fatto 223 arresti. Lo stesso discorso lo puoi fare a Quarto Oggiaro a Tor Bella Monaca: la periferia è la vera incompiuta dell’Italia del dopoguerra. Le periferie sono quelle che fanno più male. Togli il contadino degli anni ‘60, oggi hai immigrati.

Ma lo stupro è un problema solo di periferie?
No. Il presunto stupro ce l’hai anche a Milano a casa del presidente del Senato. Lì che c’entra lo stile di vita Anche lì una ragazza denuncia di avere subito violenza. Troppo facile giustificarlo solo con il contesto sociale.

Come giudica l’azione del Governo sul Sud?
Un governo che si lancia nel ponte sullo stretto di Messina e sull’autonomia differenziata è un governo contro il mezzogiorno. In più c’è la questione criminale: hai l’evasione fiscale, la guerra al pos, i condoni. Tutte azioni contro legalità. Questo è un governo antimeridionale. E il PD è il partito che ha voluto rimettere al centro il salario minimo e l’autonomia differenziata. Il tema è la povertà, la povertà, la povertà. A Caivano hanno fame, letteralmente.

 

Leggi anche: Minacce social contro la Meloni per lo stop al Reddito di cittadinanza. La premier andrà a Caivano ma Palazzo Chigi tema per la sua sicurezza

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Gli occhi del “Piano Mattei”

Il video l’ha pubblicato il quotidiano inglese The Guardian perché si sa che i migranti morti vanno raccontati a debita distanza per non sporcare il tappeto del salotto. Mostra una donna magra, magrissima, praticamente uno scheletro riversa a terra con gli occhi spalancati di chi è stata mangiata dalla sua disperazione. Al suo fianco un’altra donna grida ripetutamente è morta, è morta, è morta con una voce che sembra un ripetersi di spari. 

La scena è stata ripresa nel campo di detenzione di Abu Salim, ai bordi di Tripoli, la capitale libica dove l’Italia è il grande sponsor, con le spalle coperte dall’Unione europea, della contemporanea Shoah che come quell’altra accade serenamente nell’indifferenza delle istituzioni. Di quella donna non sappiamo nulla, come non sappiamo quasi mai nulla dei migranti che dalle nostre parti sono solo numeri e percentuali che calano o crescono e poi vengono dati in pasto all’una e all’altra parte politica. Quella donna probabilmente se fosse riuscita a trovare le forze per imbarcarsi e se avesse avuto la buona sorte di non finire incastrata in fondo al mare avrebbe potuto meritarsi l’etichetta di clandestina qui da noi, prima di essere sballottata in altri illegali centri di detenzione, questa volta nostrani, dove almeno c’è da bere e da mangiare.

Quello che sappiamo è che i finanziatori del campo che l’ha stremata fino a lasciarla morire siamo noi. Quella donna è il risultato del “Piano Mattei” che viene sventolato come vittoria per “aiutarli a casa loro” e che non gocciola dalle mani insanguinate delle autarchie nemmeno un ciotola di riso per trovare le forze che servono al giorno successivo.

Buon giovedì. 

Nella foto: frame del video diffuso da The Guardian

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La Germania insegna: la recessione si affronta investendo sullo Stato sociale

Salario minimo? Giorgia Meloni, al solito, utilizza la tattica del vittimismo: “sono molto colpita per il fatto che l’opposizione, dopo aver governato per dieci anni, ripeto dieci anni, consideri oggi il salario minimo la panacea di tutti i mali. Perché non l’hanno fatto prima, mi chiedo. E perché non dicono dove troverebbero le coperture. Onestà vorrebbe che quando indichi un provvedimento, segnali anche dove trovare i soldi”, ha detto ieri nella sua intervista al Sole 24 Ore.

Fa scuola pure da noi quella che a Berlino è stata battezzata “l’offensiva del governo federale”

Nessuna risposta nel merito, ovviamente. Intanto la capogruppo del Movimento Cinque Stelle in commissione Lavoro alla Camera, Valentina Barzotti, annuncia che la petizione lanciata dall’opposizione proprio per fissare il salario di base con una legge ha raggiunto le 400mila firme, e il leader di Azione, Carlo Calenda, parla di “occasione persa” da parte del governo. La stessa linea del senatore dell’Alleanza Verdi e Sinistra Tino Magni che bolla l’indennità di discontinuità per i lavoratori dello spettacolo come “mancetta umiliante”.

La sanità? Mentre i privati incassano profitti insperati e sempre nuove aree di manovra, i medici e gli infermieri “eroi” ai tempi del Covid si affannano. La Fondazione Gimbe, che ha fatto i conti per capire quanti soldi servono per dare respiro al Sistema Sanitario Nazionale con sempre meno medici e sempre giù anziani conta almeno quattro miliardi di euro. Elly Schlein attacca così il governo che “non ha i soldi per mantenere quanto promesso”. La segretaria del Pd si focalizza soprattutto sulla sanità: “Per noi è fondamentale mettere lì le risorse: loro nell’ultima manovra lo hanno volutamente dimenticato”, dice. “Non mettere le risorse sulla sanità pubblica vuol dire già tagliare i servizi a cittadine e cittadini. Stiamo già vedendo le liste di attesa che si allungano”, aggiunge la Schlein. Ma la Meloni ai suoi ministri in vista della manovra ha detto parole chiare: soldi non ce ne sono. Niente da fare, quindi.

E che dire poi degli affitti? Per i 765mila studenti universitari fuori sede in Italia trovare un alloggio è difficilissimo. L’offerta privata di case e stanze, sempre più gestita da grandi agenzie di intermediazione, è scarsa e inaccessibile, e l’offerta pubblica, con meno di 40mila posti letto, soddisfa appena il 5% della domanda. Il Pnrr ha stanziato 960 milioni di euro per realizzare ulteriori 60mila nuovi alloggi entro il 2026, di cui 7.500 entro dicembre dell’anno scorso, ma l’obiettivo è saltato. Così a guadagnare sono sempre i proprietari di casa che pretendono canoni non calmierati. Gli affitti per le famiglie invece sono un tema completamente scomparso dal dibattito politico. C’è da capirlo: per parlarne si è costretti a mettere il naso nel macro tema della povertà, e su quella il Governo sa bene che rischia di farsi male.

L’ineluttabile immobilismo italiano viene considerato l’unica risposta alla recessione. Che “soldi non ce ne sono”, lo ripete allo stremo il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Ma basta fare pochi chilometri per rendersi conto che di strade alternative alla resa dello Stato di fronte alla povertà e ai servizi essenziali c’è, eccome. In Germania il governo Scholz si trova ad affrontare, come da noi, un calo del Pil maggiore del previsto. Ma la risposta (che da quelle parti chiamano “offensiva del governo federale”) parte proprio dal Welfare.
Al primo punto Berlino ha previsto l’aumento dell’assegno mensile del Reddito di cittadinanza agli oltre cinque milioni e mezzo di beneficiari, di cui 1,7 milioni disoccupati: il 12% in più.

Sanità, Reddito di cittadinanza, salari bassi, affitti. Dove in Italia si taglia, in Germania si investe. E il Pil risale

Nel 2024 la cifra di base del Bürgergeld per i single passerà dagli attuali 502 a 563 euro, mentre agli adolescenti della fascia 15-18 anni spetteranno come minimo 471 euro al mese anziché 420, ai bambini 6-14 anni 390 invece degli odierni 348, e ai minori di sei 357 invece di 318. “In tempo di crisi i cittadini devono poter fare affidamento sullo stato sociale”, ha spiegato ieri alla stampa il ministro del Lavoro, Hubertus Heil (Spd). Una direzione opposta, se non contraria, insomma, a quella italiana.

C’è poi il salario minimo di medici e infermieri, che in Germania salirà da 13 a oltre 16 euro l’ora come chiedevano i sindacati per ovviare all’aumento dell’inflazione. In parallelo la dirigenza Spd ha fatto sapere di avere pronta la legge per il tetto al caro affitti sul territorio nazionale, già sperimentata a Berlino con una legge poi bocciata dalla Corte Costituzionale perchè in conflitto con la norma federale. Ma ora la norma federale è pronta.

In Germania del resto le norme rigide del libero mercato non sono considerate “un intervento scorretto dello Stato” e i contratti collettivi sono strettamente controllati dal governo. Stiamo parlando di una nazione che si è ritrovata un calo del Pil dello 0,4% rispetto allo 0,1% preventivato, quindi in piena recessione, e ha deciso di reagire. Purtroppo, però, il punto è che il coraggio se non ce l’hai non te lo puoi inventare. Non ci resta quindi che vivere le settimane che portano alla manovra del nostro Governo circondati dalle lamentele sui vincoli di bilancio europeo, sulle cinghie da stringere e sulle colpe dei governi precedenti.

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La cultura che manca anche sulla sicurezza nel lavoro

Ogni volta che un morto sul lavoro balza agli onori della cronaca per la quantità delle vittime o per la modalità del decesso (come nel caso della tragedia a Brandizzo che ha ucciso cinque lavoratori) si spande nell’aria il rito abusato del “mai più” e le promesse di accertamenti e la proposta di nuove leggi. Di solito mentre si svolge l’orazione funebre per le vittime che hanno avuto occasione di diventare un caso nazionale da qualche parte in Italia accade che intanto ne muoiano ancora e ancora e ancora. Morti minori, incidenti meno spettacolari, nessuna pagina nazionale.

Resta quindi la sensazione di un attivismo retorico che delega dal giorno dopo il tutto alla magistratura. La notizia riemergerà nelle fasi di indagini e negli eventuali pronunciamenti dei tribunali. Tutto scorrerà in maniera non dissimile da com’è sempre stato, in attesa del prossimo sdegno. 

Vittorio Malagutti sul quotidiano Domani racconta che nel miliardo e 300 milioni tagliati dal Pnrr a luglio dal ministro Fitto ci sarebbero 500 milioni anche per  l’Ermts, il sistema di gestione del traffico ferroviario che probabilmente potuto evitare l’incidente. È ovviamente solo un piccolo esempio di come la sicurezza sul lavoro e i suoi dispositivi siano un “di più” che spesso rimane nascosto tra le righe, trattato con la stessa sufficienza di un lagnoso obbligo burocratico. Che in Italia manchi una reale cultura della sicurezza sul lavoro lo ripetono da anni i vari esperti che vengono disturbati solo in caso di tragedia. Disturbarli anche nella fase di scrittura delle leggi e dei regolamenti sarebbe una prima ottima idea. 

Buon venerdì.

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Meloni e le imprese. Finita la luna di miele

Alla fine la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha deciso: non sarà presente al prossimo forum di Cernobbio, vetrina e passerella di politica e imprese che si incontrano per celebrarsi a vicenda. Solo un anno fa Giorgia Meloni, annunciata vincitrice alle elezioni politiche, arrivò da queste parti nella veste di novella moderata, pronta a giurare fedeltà all’atlantismo e a promettere all’Unione europea il rispetto del vincolo di bilancio. Era la Giorgia Meloni che ce la metteva tutta per piacere agli Usa, alle banche e alle imprese.

La premier Meloni ha deciso: non sarà presente al prossimo forum della Fondazione Ambrosetti a Cernobbio

Ufficialmente da Palazzo Chigi dicono che la presidente del Consiglio sarà assente per altri imprecisati impegni. In realtà Giorgia Meloni preferisce non doversi confrontare con le banche extratassate con un colpo di mano d’agosto per poi sterilizzare il prelievo con una mossa tardiva. Un pasticcio su tutti i fronti, nei modi e nel risultato, che ancora pesa nel suo rapporto con il mondo della finanza italiana.

Avrebbe dovuto anche dire alle imprese che nulla di quello che ha promesso sarà nella prossima legge di Bilancio, dove di soldi ce ne sono pochi, quasi niente. E forse avrebbe dovuto spiegare perché il Pnrr che erano “pronti” a modificare un anno fa ora si trascina claudicante sotto l’occhio severe e spazientito dell’Europa.

Così dodici mesi dopo l’arrembante comparsa sul palco di Villa d’Este ora Giorgia Meloni appare arroccata nel suo ufficio, circondata solo dal suo cerchio magico. In attesa della prossima conferenza stampa senza stampa o della prossima intervista compiacente senza troppe domande.

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Paura per le minacce a Meloni. Ma quelle vere non avvisano

Chissà se qualcuno il giorno dopo non prova un minimo di vergogna. Chissà che fine faranno i tanti editoriali e articoli che ieri descrivevano la presidente del Consiglio Giorgia Meloni pronta “a metterci la faccia nonostante le minacce e il clima infuocato”, come se la guerra a Caivano (come in tutte le periferie d’Italia) non sia per la sopravvivenza, ma contro l’esponente di Fratelli d’Italia.

Continua la retorica del vittimismo, anche sulla sicurezza. Molti giornali hanno dato risalto a una possibile aggressione. Di preparato però c’era la claque

La narrazione della visita della premier come novella discesa del Prefetto di ferro si è sbriciolata di fronte alla realtà. Nessun esercito di camorristi attendeva Meloni, accolta – oltre che dalla propria claque – da uno sparuto gruppo di persone incazzate (questo sì) che chiedono solo una cosa: il lavoro. L’urlo di disperazione, tra l’altro, è stato coperto dai militanti di Fratelli d’Italia accorsi all’esterno della scuola Francesco Morano di Caivano: “Giorgia! Giorgia!”, hanno urlato. Eccola qui la terribile cappa di minaccia che avvolgeva la rischiosissima gita della presidente del Consiglio.

Tant’è che a rileggerle il giorno dopo, le gride d’allarme di Palazzo Chigi e del viceministro alle Infrastrutture Galeazzo Bignami, fanno sorridere, se non altro perché sarebbe bastato grattare poco sotto il solito vittimismo di governo per rendersi conto che i terribili terroristi erano una manciata di commenti di Facebook che ogni giorno bersagliano qualsiasi personaggio minimamente pubblico.

“Le intimidazioni non impediranno la nostra presenza al fianco dei tanti cittadini che chiedono sicurezza e la possibilità di un futuro migliore per i propri figli. Nella lotta alla criminalità organizzata questo governo non farà passi indietro”, aveva detto la premier, scambiando per mafiosi i tanti utenti incazzati che popolano i social. Anche perché, diciamolo chiaramente, chi potrebbe pensare che i mafiosi annuncino via Facebook le proprie intenzioni?

Al di là del ministro Calderoli che riceve presunte lettere di presunte minacce addirittura firmate da una presunta mafia che si firma “mafia”, chi potrebbe seriamente pensare che la criminalità organizzata – argomento serissimo, chiedete proprio a Caivano – possa diventare uno zimbello da utilizzare per spargere un po’ di vittimismo?
Le responsabilità su cui discutere sono ben altre, come ad esempio le ultime 24 ore di allarme declamato in televisioni e sui giornali che non hanno fatto altro che aggiungere tensione a un territorio già disperato.

E qui non può non sorgere un dubbio: non sarà che qualcuno in fondo ci sperava davvero che accadesse un incidente – seppur minimo – per poter insistere sulla retorica del vittimismo? Anche perché, questo lo sa chiunque sappia qualcosa di tutele, annunciare il rischio è il modo peggiore per garantire sicurezza. Dovrebbe essere la regola numero uno.

Leggi anche: L’inutile passerella di Meloni a Caivano. Tra tifosi e contestatori. Temendo le proteste nelle chat di FdI è stato chiesto ai militanti di andare a supportare la leader del partito

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Salvini alle Europee vuole in lista tutti i big

L’unico porto che Giorgia Meloni è riuscita a chiudere è quello che ha tenuto fuori dalla porta dei migranti e dell’autonomia Matteo Salvini. Ma il segretario della Lega ha deciso di non “stare più buono” e di preparare la controffensiva, che si svolgerà su due fronti: migranti (ovviamente) e l’avvicinamento alle prossime elezioni europee.

La premier Meloni ha messo all’angolo la Lega. Ma Salvini in vista delle europee sta preparando la controffensiva

La decisione di affidare la regia del tavolo sull’immigrazione all’uomo forte di Palazzo Chigi, Alfredo Mantovano, è solo l’ultima di una serie di sberle che la presidente del Consiglio ha riservato a leader del Carroccio. Nominare di fatto un “commissario” per l’immigrazione significa togliere visibilità e potere al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (ex capo di gabinetto proprio di Salvini) e avocare a Palazzo Chigi la questione. La prima istantanea reazione del segretario della Lega, quel “staremo a vedere i risultati” pronunciato a mezza bocca è un’avvisaglia che alla premier non è passata inosservata.

A dividere gli alleati non c’è solo il tema migratorio. Nella prossima legge di bilancio proprio Salvini non riuscirà a ottenere nulla delle sue promesse elettorali, a cominciare dallo smantellamento della legge Fornero, dovendosi accontentare della conferma di quota 103 che per la Meloni è già una lauta concessione. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha detto d’altronde che non ci sono i sette miliardi che servirebbero.

Lo stesso Ponte sullo stretto di Messina, ultimo giocattolo elettorale rimasto in mano alla Lega, è coperto da nubi per la coperta sempre troppo corta. In difficoltà è anche l’Autonomia differenziata che il ministro Roberto Calderoli tenta di tenere in piedi puntando a farla diventare legge prima delle prossime elezioni europee. Quella legge la vuole solo la Lega: Forza Italia e Fratelli d’Italia l’hanno coperta di emendamenti. Se il livello di insofferenza l’interno della maggioranza dovesse alzarsi (e tutti gli indicatori suggeriscono che potrebbe andare esattamente così) l’autonomia sarebbe la prima vittima dello scontro tra partiti di governo.

Salvini ha quindi deciso di ripartire dal pezzo forte della sua propaganda: la battaglia ai migranti. “Dopo la scelta della Meloni di affidare tutto a Mantovano ora ci sentiamo con le mani molto più libere”, dice un parlamentare leghista di lungo corso. Ripartiranno in fretta, quindi, gli attacchi a Meloni (sotto le mentite vesti di consigli) sui numeri degli sbarchi. Gli appelli alla “linea dura” sugli arrivi nelle nostre coste “nelle prossime settimane si moltiplicheranno da parte leghista”, giurano negli ambienti salviniani e questa volta sarà difficile per Meloni rispondere che “Salvini ha scelto il suo ministero e ha in mano la Guardia costiera”.

Il caso Vannacci non basta. Dopo lo schiaffo sui migranti Matteo deve togliere ogni voto possibile a Meloni

Sul fronte delle prossime elezioni europee, invece, il segretario leghista ha intenzione di riempire le liste di nomi che pesano. Il logoramento a Fratelli d’Italia sarà anche elettorale. Per questo la Lega ha già aperto le porte al generale-scrittore Roberto Vannacci e continuerà a farlo con qualsiasi nome che possa erodere voti a Meloni. ma c’è di più. Salvini starebbe preallertando anche i pezzi da novanta del suo partito che guidano le Regioni.

Insieme al presidente del Veneto, Luca Zaia (al suo ultimo mandato in Regione), potrebbe essere chiesto di metterci la faccia anche al governatore friulano Massimiliano Fedriga e ad altri campioni sul piano delle preferenze. Solo con un eccezionale consenso nelle tradizionali roccaforti Salvini potrà cambiare gli equilibri nella maggioranza. E se non è in dubbio, per ora, l’unità delle destre, le urne che portano a Bruxelles saranno comunque il metro per misurare i rapporti di forza tra gli alleati.

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