Vai al contenuto

«Come persona molto ricca, in rappresentanza di un’organizzazione di persone facoltose che la pensano come me, chiedo al G20 di tassarci»

Lo chiedono perfino i miliardari. La disuguaglianza nel mondo è talmente ingiusta che provoca ribrezzo anche a coloro che ne giovano, così in vista del G20 in India 300 milionari, economisti di fama mondiale, artisti e politici dei Paesi G20 hanno deciso di firmare l’appello promosso da Oxfam, Patriotic Millionaires, Institute for Policy Studies, Earth 4 All e Millionaires for Humanity. Tra i firmatari ci sono milionari, ereditieri, politici ed economisti del calibro di Gabriel Zucman, Joseph Stiglitz, Thomas Piketty, Jayati Ghosh, Kate Raworth, Jason Hickel e Lucas Chancel.

Perché? Nell’ultimo decennio i miliardari del pianeta hanno più che raddoppiato i propri patrimoni, passati da 5.600 a 11.800 miliardi di dollari. Eppure, su scala globale, per ogni dollaro di gettito fiscale solo 4 centesimi provengono da imposte patrimoniali e con le regole attuali metà dei milionari del mondo non sarà assoggettata ad alcuna imposta di successione, potendo trasferire, esentasse, una ricchezza pari a 5 mila miliardi di dollari ai propri eredi. L’estrema concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi rappresenta “un disastro economico per l’ambiente e per il rispetto dei diritti umani che minaccia la stabilità politica in tutto il mondo – si legge nella lettera – (…) Decenni di riduzione delle tasse per i più ricchi, basata sulla falsa promessa che della ricchezza ai vertici avremmo beneficiato tutti, hanno contribuito ad acuire le disuguaglianze, portandole a livelli allarmanti”. 

I patrimoni dei miliardari sono aumentati al ritmo di 2,7 miliardi di dollari al giorno nell’ultimo triennio. In Italia la povertà assoluta è triplicata negli ultimi 15 anni. 

Buon mercoledì.

L’articolo proviene da Left.it qui

La strage delle donne continua. Ma la politica resta divisa

L’ultima è Rossella Nappini, infermiera di 52 anni uccisa a coltellate nell’androne di un palazzo a Roma. Per l’omicidio è stato fermato un ex. Tutto nella tragica norma dei femminicidi: un marito, un amante, un ex. Le donne vengono uccise da persone che hanno le loro chiavi di casa. Da inizio anno sono 79.

In Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa. In aumento i delitti commessi in ambito familiare o affettivo

In Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa. 61 feminicidi sono da far risalire all’ambito familiare o affettivo; di queste vittime, 38 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, il numero dei femminicidi risulta comunque in leggero calo, passando da 81 a 78, circa il 5% in meno.

Sono 78 le vittime da inizio anno. E la direttiva Ue sulla violenza di genere è ancora da recepire

Per quanto riguarda i delitti commessi in ambito familiare o affettivo si evidenzia un aumento nell’andamento generale, passando da 96 a 98 (+2%). In flessione, rispetto allo stesso periodo del 2022, anche il numero degli omicidi commessi dal partner o ex partner, che da 46 diventano 42 (-9%), e quello delle relative vittime donne, le quali da 43 passano a 38 (-12%).

Intanto si attende, già forse in questo mese, la discussione in commissione Giustizia della Camera del disegno di legge sul femminicidio arrivato in seguito alle nuove norme approvate dal governo lo scorso giugno. Un ddl che rafforza la tutela delle vittime della violenza di genere aumentando l’attenzione verso i cosiddetti “reati spia” e inasprendo le misure di protezione preventiva. Il provvedimento, poi, irrobustisce il Codice Rosso e riduce a 30 giorni l’intervento della magistratura in caso di denuncia da parte della vittima.

La Casa Internazionale delle Donne parla di “mattanza” che richiede “una reazione non solo forte ma celere”: “di fronte ad una cultura patriarcale che non ammette la libertà delle donne non possono esserci scorciatoie interpretative: c’è bisogno di una rivoluzione culturale che parta dalla scuola, fin dall’infanzia, che attraversi le famiglie, i media e tutti i luoghi di lavoro. Educare al rispetto e alla parità serve ad abbattere finalmente stereotipi insopportabili, basi solidissime della cultura del possesso che continua a mietere vittime”, scrivono.

Senza risposta l’offerta delle opposizioni alle destre. E l’assenza di un fronte comune costa carissimo

Stefania Ascari, deputata del Movimento 5 stelle, componente della commissione Femminicidio, rilancia la sua proposta di legge “per l’introduzione dell’educazione affettiva e sessuale è da tempo depositata e attende di essere discussa”. Di “svolta culturale” parla la componente della commissione Femminicidio Ilaria Cucchi, di Alleanza Verdi Sinistra mentre Valeria Valente del Pd chiede che Giorgia Meloni si confronti con le opposizioni sulle misure da prendere: “Il primo passo – dice Valente – è senz’altro recepire al più presto la direttiva europea contro la violenza di genere, poi è necessario approvare al più presto le misure contenute nei ddl all’esame del Parlamento. Tra queste, meritano priorità la legge sul consenso, fondamentale per sostenere le donne che denunciano e la legge sulle molestie sessuali con l’aggravante dei rapporti di lavoro e di studio”.

Anche Mara Carfagna, di Azione, si chiede se i femminicidi non siano “più urgenti dei rave” per arrivare subito in Aula. “Purtroppo questa volta non sono riuscita a salvarti”, ha scritto ieri su Facebook, Monica Nappini, sorella dell’infermiera di 52 anni uccisa. “Le donne che vogliono liberarsi dalla violenza non incontrano la realizzazione del loro sacrosanto diritto di dire basta alle relazioni violente. Per di più, quando sono determinate a farlo, sono a rischio della vita”, ha detto ieri Elisa Ercoli di Differenza Donna. Non solo la sorella non è riuscita a proteggere Rossella Nappini. Non c’è riuscito, continua a non riuscirci, anche lo Stato.

 

Leggi anche: Sui femminicidi il triste primato dell’Italia: siamo tra i cinque Paesi in Europa con il maggior numero di omicidi intenzionali contro le donne

L’articolo La strage delle donne continua. Ma la politica resta divisa sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

A Caivano il bottino del blitz è magro ma la propaganda gongola

Lo spettacolo inizia con le prime luci dell’alba. Un controllo straordinario definito ad “alto impatto” che impegna 400 persone tra Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza nei pressi del Parco verde di Caivano, drammatico teatro di violenze sessuali ai danni di due cugine di 10 e 11 anni, caso su cui indaga pure la DDA. Proprio lì nei giorni scorso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni era passata per promettere l’intervento del governo. “Bisogna bonificare”, aveva detto la premier, e poiché le parole rivelano la natura delle persone, di “bonifica” militare si è trattato. Ad alto impatto, sicuramente per la stampa e le televisioni.

Per il premier Meloni lo Stato si è ripreso il territorio. In realtà a però a Caivano i clan restano impuniti

“La maxi operazione è solo l’inizio di quel lungo percorso che il Governo si è impegnato a portare avanti per ripristinare legalità e sicurezza e per far sentire forte la presenza dello Stato ai cittadini. E gettare così le basi per la ricostruzione sociale e la rinascita del territorio. Contro la criminalità procederemo sempre spediti e senza esitazioni. Affinché in Italia non ci siano più zone franche”, ha scritto Meloni poche ore dopo su X.

E il ministro dell’Interno Piantedosi ha annunciato che il format verrà “replicato”. A esultare anche la presidente della Commissione antimafia, Augusta Montaruli: “Ora, quella stessa risposta sia monito per le altre zone periferiche delle nostre città, Torino compresa, con aree come Barriera e Aurora che personalmente avevo segnalato al tavolo per la sicurezza alla presenza del ministro dell’Interno”.

Sequestrata qualche pallottola e piccole quantità di droga. Ai criminali si è fatto solo il solletico

Poi, passata la buriana dei “Prefetti di ferro” ci si sofferma sui risultati dell’operazione. Tre persone denunciate per contrabbando di tabacchi lavorati esteri perché trovate in possesso di oltre 5 chili di tabacchi lavorati esteri privi del marchio del Monopolio di Stato. Sequestrati 14mila euro a due soggetti, e successivamente altri 30mila euro, due ordigni, di cui uno rudimentale, oltre 170 cartucce di vario calibro, tre armi bianche, di cui una mazza da baseball, un coltello a serramanico e un arco, cinque bilancini di precisione, circa 408 grammi di hashish, 375 grammi circa di marijuana e circa 28 grammi di cocaina. Inoltre, in un appartamento in disuso, sono stati scoperti materiali per il confezionamento per la droga, una pistola replica e numerose munizioni.

Dunque spiace dirlo, ma no: a Caivano non si è “sconfitto un bel niente”. Il bottino dello Stato si riduce alle quisquilie di qualche piccolo criminale che non ha nulla a che vedere con il sistema di potere (più di potere che criminale) che deprime sulla zona come molte altre in tutta Italia.

Trent’anni dopo siamo ancora qui, alla “sicurezza” che fa rima con militarismo. Nelle periferie della legalità oppresse dalle organizzazioni criminali (che a volte sono in pieno centro delle metropoli che si pensano immuni) le divise assicurano la legalità percepita. A Caivano, come nelle altre periferie, la gente ha fame, non ha servizi, non riesce a concedersi nemmeno il lusso di sperare perché non ha opportunità. Per risolvere quel malessere profondo serve tutt’altro.

“Questo è solo l’inizio”, ha detto Meloni. Non ci resta che augurarcelo. Come se lo augura Anna, la madre di una delle bambine stuprate che subisce minacce nel quartiere e che avrebbe voluto incontrare la presidente del Consiglio per riuscire “a scappare da questo inferno”. La presidente non ha trovato un minuto da dedicarle. A Anna (e le molte Anne) nel quartiere non basterà un’infruttuosa retata di prima mattina.

L’articolo A Caivano il bottino del blitz è magro ma la propaganda gongola sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Decreti come un cinegiornale

Tra cent’anni quando storici e studiosi studieranno questo tempo potranno tranquillamente scorrere i nomi affibbiati ai decreti passati dal Consiglio dei ministri per ripassare la cronaca. Dal decreto Cutro al decreto Caivano la propaganda governativa nei suoi decreti più pubblicitari che legislativi ha trasformato l’attività politica in cronaca nera di risulta. Se accade qualcosa di tragico Giorgi Meloni e la sua schiera di ministri sono pronti a confezionare un bel decreto con qualche nuova punizione: è il panpenalismo tipico degli incapaci a governare le trasformazioni. 

Nel decreto “Caivano”, l’ultimo della serie, si prevede di risolvere il disagio giovanile mandando in carcere i genitori che non garantiranno la frequenza della scuola obbligatoria. Risolvere il disagio di un ragazzo arrestando i genitori è un’idea che suggerisce una chiara idea del solo della politica: tamponare, incerottare per inettitudine nel costruire. Della stessa stregua è l’ossessione dei siti porno come colpevoli degli stupri, secondo la stessa strategia dell’alienazione per cui la “colpa” di tutto ciò che accade sia sempre “fuori” dalla società. 

Così, insieme all’ennesimo osservatorio che nel giro di qualche anno si ritroverà senza mezzi e senza risorse, si pensa a un nuovo proibizionismo: quello telefonico. Nel Paese in cui non si riesce a evitare che i detenuti pubblichino le loro gesta su TikTok il governo aveva due strade: ammonire i grandi gruppi dietro i social o partorire una punizione (che non riusciranno a controllare) contro i ragazzetti. Inutile dire quale strada abbiano preso. 

Buon giovedì.

L’articolo proviene da Left.it qui

Lavoro irregolare. Qui la bonifica non c’è

A proposito della “grande retata” che Giorgia Meloni ha sventolato come mastodontica vittoria sul disagio a Parco Verde, a Caivano, recuperando qualche spicciolo e una decina di pacchetti di sigarette di contrabbando, ci permettiamo di dare un consiglio al governo per utilizzare al meglio il dispiegamento di forze per una “bonifica” che farebbe bene all’Italia intera.

Nei primo trimestre del 2023 sono stati scoperti 4.363 lavoratori completamente sconosciuti allo Stato

Dando un’occhiata all’attività di vigilanza dell’Ispettorato del Lavoro relativi solo al primo trimestre di quest’anno si scopre che su 28.563 ispezioni si è riscontrato un indice di irregolarità nell’attività di vigilanza pari al 66,7% sul lavoro, dell’83% nei controlli previdenziali e addirittura il 94,5% di irregolarità nell’attività di vigilanza assicurativa. Ben 4.363 lavoratori erano completamente sconosciuti allo Stato, 71.729 sottostavano a un rapporto di lavoro irregolari e sono 11.055 i lavoratori fittizi.

Mentre a Caivano hanno recuperato poche migliaia di euro, nei primi tre mesi dell’anno lo Stato ha recuperato 49 milioni di euro solo di sanzioni (in tre mesi, non in 80 anni come accade per i soldi che restituiscono i partiti) oltre a 210 milioni di premi e contributi. Si può intuire quindi che i controlli degli ispettori vadano quasi a colpo sicuro. Ecco qua la “bonifica” da rinforzare e moltiplicare sul territorio nazionale. Permette di recuperare molto più denaro della persecuzione di qualche furbetto, e in più garantisce un luogo più sicuro per i lavoratori italiani.

L’articolo Lavoro irregolare. Qui la bonifica non c’è sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Governo, aumentano le poltrone per la casta dei dirigenti

All’inizio c’era solo qualche cambio di denominazione, ma ora il governo Meloni ha deciso di mettere mano all’organizzazione dei ministeri e non sarà un passaggio indolore. Al di là delle modifiche necessarie per governare il Pnrr (variazioni comunque non permanenti) le modifiche che l’esecutivo ha in mente sono tutt’altro che marginali. Nel corso degli ultimi mesi infatti il Consiglio dei ministri ha esaminato preliminarmente la modifica dei regolamenti di organizzazione dei ministeri degli Esteri, dell’Interno, della Difesa, delle Infrastrutture, delle Politiche agricole e della Transizione ecologica.

Il governo Meloni riorganizza le strutture dei ministeri. E come al solito moltiplica gli incarichi

Come ricostruito da Openpolis, sia il ministero dell’Università che quello del Turismo sono dicasteri recenti, che fino a pochi anni fa facevano parte di altre strutture e le cui competenze erano gestite da un Dipartimento. Una struttura articolata a sua volta in 3 direzioni generali. Già con la nascita del nuovo dicastero dell’Università, le direzioni generali erano da subito aumentate, diventando sei (incluso il segretario generale). Ma ora, col decreto legge 44/2023, le direzioni generali sono diventate otto, almeno sulla carta.

Attualmente, infatti, non è ancora entrato in vigore il nuovo regolamento del dicastero. Le competenze del ministero del Turismo invece fino al 2021 erano esercitate dal ministero della Cultura, attraverso un’apposita direzione generale. Con la nascita del ministero invece sono state previste quattro direzioni generali (incluso il segretario generale). A fine febbraio 2023, con l’approvazione del Dl 13/2023, il numero è cresciuto, passando a cinque e, solo due mesi dopo, è aumentato ancora arrivando a 7 (Dl 44/2023). Anche in questo caso comunque il regolamento non è ancora entrato in funzione.

Ma le novità più impattanti riguardano il Ministero dell’Economia e finanze, guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti. Nei mesi scorsi il ministero ha chiesto lumi al Consiglio di Stato per scorporare le competenze del Tesoro introducendo il dipartimento dell’Economia. La corte ha espresso parere favorevole pur suggerendo numerose modifiche ed esprimendo perplessità rispetto a un’operazione che si limita a scorporare da un dipartimento strutture già esistenti e funzionanti.

Il testo non è mai entrato in vigore ma il nuovo regolamento votato in Consiglio dei ministri lo scorso 26 luglio prevede il dipartimento dell’Economia e un altro per la Giustizia tributaria. Questa struttura assumerà competenze che attualmente sono esercitate dal dipartimento delle Finanze e in particolare dalla direzione generale per la Giustizia tributaria, incrementando i costi amministrativi del Mef di circa 2,4 milioni di euro l’anno.

Dall’Economia al Turismo, dall’Università alla Cultura. Le nuove posizioni sono già molte

Nel corso degli ultimi tre anni una direzione generale del ministero della Cultura è diventata un ministero composto di sei direzioni generali, un dipartimento del ministero dell’istruzione è stato trasformato in un ministero con sette direzioni generali e i dipartimenti del Mef sono passati da 4 a 6. A ognuno di questi passaggi corrisponde ovviamente un aumento del numero di posizioni di vertice, e di conseguenza un aumento dei costi o una riduzione di altre posizioni dirigenziali di livello inferiore.

Sembra non valere più il principio della riforma di fine anni ’90 per tenere a freno la proliferazione di nuovi ministeri, dipartimenti o direzioni generali. A questo si aggiunge il passaggio dall’organizzazione per direzioni generali a una per aree dipartimentali. Il risultato di tutto questo sforzo? Nuove nomine di dirigenti e, a cascata, delle strutture sottostanti. Un silenzioso spoil system fuori tempo massimo utile per allargare la vera “famiglia”, quella che non ha freni nell’assalto del potere.

L’articolo Governo, aumentano le poltrone per la casta dei dirigenti sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Femminicidi senza fine. Lo Stato non fugga

Marisa Leo ha 39 anni e lavora nella cantina Colomba Bianca di Mazara del Vallo. Ha incontrato l’ex marito, Angelo Reina, tra Mazara del Vallo e Marsala, nel Trapanese nella sua azienda agricola di famiglia. Lui le ha sparato addosso colpi di fucile, forse tre, e poi si è tolto la vita.

Sono 79 le donne ammazzate da inizio anno a oggi. In 61 casi l’omicidio si è consumato in ambito familiare-affettivo

Così sono 79 le donne ammazzate da inizio anno a oggi. Sono i dati della Direzione Centrale della Polizia Criminale, il Servizio Analisi Criminale tra l’altro tiene sotto osservazione tutti gli episodi delittuosi che integrino fattispecie riconducibili alla violenza di genere. In 61 casi l’omicidio si è consumato in ambito familiare-affettivo: 38 hanno trovato la morte per mano di compagni o ex partner.

Poiché in questo caso l’assassino non è un uomo straniero si sono placate, quasi mute, le voci di coloro che vorrebbero trasferire l’emergenza dei femminicidi in Italia a colpe altrui. Il 4 gennaio l’uccisione di Giulia Donato a Pontedecimo ha dato il via alla solita, annuale macabra mattanza. Anche Marisa Leo, come molte altre, aveva denunciato il suo ex per stalking nel 2020. Il 10 gennaio del 2022 aveva rimesso la querela. Una costante di queste storie sono denunce che vengono prese molto poco sul serio. Qui non servono centinaia di poliziotti. Qui basterebbe prendere terribilmente sul serio un fenomeno terribile, occuparsene prima che venga impegnata l’arma. Non è nemmeno “prevenzione”, si tratta di compiere il dovere dello Stato: prendersi cura, tutelare, difendere. L’obiettivo, sia chiaro, non è invitare alla pace nelle coppie: l’urgenza è togliere le donne dalle mani dei loro assassini.

L’articolo Femminicidi senza fine. Lo Stato non fugga sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Giambruno, Meloni e la “libertà di stampa”

Così alla fine la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nonché compagna del giornalista Andrea Giambruno, ieri in conferenza stampa ci ha spiegato cosa sia la libertà stampa. Peccato che non c’entri nulla con il succo del discorso. Sviare, dunque, sviare sempre.

Riprendiamo la storia dall’inizio. Il giornalista Andrea Giambruno, compagno di Giorgia Meloni, dice testualmente: «Se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi». Ovviamente viene deriso e ricoperto di indignazione: la vittimizzazione secondaria è roba da lupi, appunto. Non contento Giambruno si ripresenta in televisione e non si scusa, anzi accusa i suoi accusatori di attaccare lui per attaccare il governo.

Normale quindi che si chieda conto al governo, interpellato dallo stesso Giambruno. Giorgia Meloni dice che pensa che il compagno «abbia detto in modo frettoloso e assertivo una cosa diversa da quella che è stata interpretata dai più». Cioè? È stato frainteso? Quindi avrebbe potuto spiegarsi meglio nella puntata successiva, no?

Ma il capolavoro è Giorgia Meloni che chiede ai giornalisti di smettere di chiederle del suo compagno che nel frattempo lamenta di essere attaccato per colpire la sua compagna che incidentalmente è presidente del Consiglio. E come chiama il suo desiderio di non voler rispondere alle cretinate pronunciate e mai smentite dal suo compagno in televisione? Libertà di stampa: “Vi prego, per il futuro, di non chiedermi conto di quello che un giornalista nella libera espressione del suo operato dichiara in televisione”, ha detto Giorgia Meloni sottolineando di non essere lei “a dirgli che cosa deve dire: non ritengo di poterlo fare perché io credo nella libertà di stampa davvero”.

“Libertà di stampa, davvero”. Che spettacolo osceno. 

Buon venerdì.

L’articolo proviene da Left.it qui

Un unico editore a destra. Angelucci comanda su Il Giornale, Libero e Il Tempo

Da ieri i giornali di destra, di tutte le destre che stanno al governo, appartengono a un solo editore, Antonio Angelucci, che tra le altre cose è il ras delle cliniche private e parlamentare eletto nelle file della Lega, dopo esserlo stato per diverse legislature con Forza Italia.

Da ieri i giornali di destra appartengono a un solo editore, Antonio Angelucci. Deputato della Lega da sempre vicino a Meloni

Lo stato del giornalismo italiano sta tutto qui, nell’appuntamento fissato ieri alle 11 presso lo studio del notaio Cerasi in viale Tiziano a Roma, dove Paolo Berlusconi ha ceduto il 70% della Società Europea di Edizioni Spa, società editrice del quotidiano Il Giornale, nelle mani della See, Società Editoriale de Il Giornale ad Angelucci. Il costo dell’operazione è di 14 milioni, come rivelato per primo da Il Giornale d’Italia. A questi 14 milioni dovranno essere tolte le perdite di circa 4-5 milioni maturate dal primo gennaio al 31 agosto; di conseguenza il prezzo netto dovrebbe aggirarsi tra i 10 e i 9 milioni.

L’assemblea ordinaria ha provveduto a nominare il Cda formato da sette persone, di cui due in quota a Angelucci. Presidente onorario rimane Paolo Berlusconi, che tra le altre cose è il fratello dell’ex fondatore di Forza Italia nonché componente della famiglia che nei confronti del partito di maggioranza vanta un credito tale da poterla definire senza timore di smentita “proprietaria”.

Ieri è accaduto anche che Vittorio Feltri, incidentalmente consigliere regionale in Lombardia nelle fila del partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) tornerà a Il Giornale con il neo direttore Alessandro Sallusti in veste di direttore, pronto a sostituire Augusto Minzolini, passato al suolo di editorialista ma con lo stesso stipendio di prima.

Al quotidiano Libero (che insieme a Il Tempo compone la galassia della famiglia Angelucci) svetta come direttore editoriale Daniele Capzezzone, incidentalmente ex portavoce della prima Forza Italia e de Il Popolo della Libertà, affiancato da Mario Sechi come direttore responsabile. Un ritorno a casa pure per Sechi, che aveva lasciato Libero nel 2006, e a Il Tempo, quando però era ancora di proprietà del costruttore Domenico Bonifaci.

Deputato della Lega, l’editore è sempre stato vicino alla premier Meloni

Approdato alla direzione dell’Agi (Gruppo Eni) dopo un’elezione fallita in parlamento col partito di Mario Monti, Sechi incidentalmente è stato capo ufficio stampa del governo fino allo scorso mese. Direttore di Libero resta invece Pietro Senaldi. Quello de Il Giornale potrebbe non essere l’ultimo acquisto per gli Angelucci. La trattativa con la Verità, smentita dal direttore Maurizio Belpietro, secondo molti rumors partirebbe già all’inizio del 2024. Ed è più di una voce di corridoio che Angelucci sia in procinto di acquistare una radio privata nazionale.

Incidentalmente accade anche che i nomi dei direttori e le firme di punta della galassia dei quotidiani di destra siano gli ospiti fissi in tutte le trasmissioni politiche delle reti televisive in mano alla famiglia Berlusconi e ultimamente anche in Rai su cui spira l’aria del governo. Sostanzialmente due famiglie controllano stampa e televisione che ogni giorno bombardano con la propaganda di governo.

Badate bene: questi sono gli stessi che lamentano di essere “oppressi” da “un pensiero impernate”. Sembra una barzelletta. L’altro ieri Angelucci (l’editore, parlamentare e re delle cliniche) ha incontrato l’indaffaratissima presidente del Consiglio Giorgia Meloni promettendole che i suoi giornali saranno “anche” critici con il governo. Sottolineando “anche”.

L’articolo Un unico editore a destra. Angelucci comanda su Il Giornale, Libero e Il Tempo sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Politici impresentabili, Colosimo ora li vede

“Che problema c’è? Imparerà!”. Era questa la voce che circolava nei corridoi del Parlamento quando la meloniana Chiara Colosimo è diventata presidente della Commissione Nazionale Antimafia, e qualcuno faceva notare l’esperienza nulla della deputata sul tema. Imparerà, certo e probabilmente mentre si istruisce avrà occasione di rendersi conto dell’inutilità di certa propaganda della sua parte politica.

Ieri la presidente era con l’intera Commissione in missione a Foggia, per ascoltare il prefetto, i magistrati e le associazioni antimafia del territorio. Nell’intervista a La Gazzetta del Mezzogiorno Colosimo parla dell’importanza dello Stato, della necessità di non sottovalutare la “quarta mafia” pugliese e poi si lancia in una dichiarazione: “Bisogna essere irreprensibili. Voglio ribadire un concetto per me fondamentale: non esiste niente di peggio di un politico che finisce in un’indagine per mafia. Ma, allo stesso tempo, non mi convince la gogna tardiva. – dice Colosimo – Vorrei arrivare progressivamente all’utilizzo del controllo preventivo sempre, e per tutti, sulle candidature. Non credo sia utile, dichiarare gli impresentabili a campagna elettorale finita. Voglio dare la possibilità ai partiti di poter vagliare e scegliere prima i possibili candidati”.

Colosimo dovrebbe spiegare questo semplice concetto alla sua maggioranza che per anni ha bombardato i controlli della Commissione antimafia sulle candidature bollandole come “giustizialismo”. E magari potrebbe invitare i leader dei partiti di governo a non minimizzare la questione. Sta imparando, sì.

L’articolo Politici impresentabili, Colosimo ora li vede sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui