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Ha superato il concorso: una fanatica di Putin si aggirerà per il Senato

Dal primo novembre farà il suo ingresso in Senato come “coadiutore parlamentare” la trentacinquenne russa Irina Osipova. La figlia dell’ex direttore del centro russo di scienza e cultura a Roma è risultata 78esima nel ‘concorso per esami, scritti e orali’ di Palazzo Madama per assumere in Senato personale con delicati ruoli di natura amministrativa e contabile, con la responsabilità di consultare le banche dati e ‘classificare’ e archiviare la corrispondenza di Palazzo.

Tutto regolare, insomma. Solo che Irina Osipova è conosciuta negli ambienti della politica romana non solo perché figlia di Oleg Osipov, per anni direttore del Centro russo di scienza e cultura di Roma, ma soprattutto per la sua indomita passione per Vladimir Putin.

Osipova assunta al Senato: per lei prima lo zar

Sulle sue pagine social si sprecano gli elogi: “Il modello per l’Italia per difendere gli interessi nazionali’’, scrive Osipova, definendo Putin “un leader che non ha pari al mondo”. Nel 2012 ha fondato l’associazione ‘Rim – Giovani Italo-Russi’, per riunire “giovani attivi e creativi, che usano principalmente il russo nella loro vita quotidiana”.

Pasionaria instancabile, Irina da anni organizza eventi e va in piazza per dire no alle sanzioni europee alla Russia, scattate dopo l’annessione della Crimea del 2014. Numerose anche le manifestazioni per sostenere la politica russa in Ucraina e attaccare la politica ‘nazista’ di Kiev nelle province russofone.

Tra i suoi contatti c’è anche Andrea Palmeri, il neofascista lucchese arruolato nelle milizie filorusse del Donbass, ritratto con lei mentre sfoggia una maglietta con su scritto ‘Defend Italia’ con tanto di kalashnikov disegnato. Nel 2016 Osipova ha provato anche con la politica: candidata con Fratelli d’Italia alle elezioni amministrative a Roma raccolse poco meno di 200 voti.

Ma la politica per Osipova è soprattutto il ministro Matteo Salvini. È stata collaboratrice dal 2014 dell’associazione ‘Lombardia-Russia’, guidata dal leghista Gianluca Savoini, già braccio destro di Salvini e a lungo suo portavoce.

Ha personalmente accompagnato Salvini nelle sue trasferte russe in veste di interprete. È lei stessa a raccontare, in un’intervista al Corriere della Sera, di avere accompagnato il leader della Lega per una conferenza alla Duma e successivamente all’importante agenzia di stampa Tass. Fu lei, proprio in quell’intervista al Corsera, a difendere l’attuale vicepremier dall’accusa di avere cercato finanziamenti russi il 18 ottobre del 2018: “Solo fango contro Salvini. Certa sinistra in Italia, penso al Pd, mal digerisce che lui le abbia tolto il potere”, disse al giornalista con una certa sicumera.

Poca opportunità

Tra le foto del suo profilo Facebook spicca anche quella con Yan Petrovsky, leader del gruppo neonazista russo, affiliato alla Wagner, ‘Rusich’, quel Petrovsky arrestato nelle scorse settimane in Finlandia, con l’accusa di crimini di guerra.

All’uscita del bando di Palazzo Madama, pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 80 dell’8 ottobre 2019, Irina Osipova si butta nel studio. Hanno superato tutti un concorso di alto livello, con prove davvero difficili”, aggiungono dalla Commissione che ha promosso la russa Osipova e gli altri 123 colleghi ‘coadiutori’.

Ma la questione non è la regolarità di concorso, qui si tratta di un tema ancora più insidioso per Salvini e per la Lega: come un reperto affiorato Irina Osipova si aggirerà per i corridoi del Senato per ricordare chi fossero gli amici del putinismo che oggi simulano atlantismo di interesse. L’inopportunità politica, dunque, non è solo quella di Osipova: riguarda quelli che governano lassù.

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La lezione di Batistuta alla politica da spettacolo – Lettera43

Potremmo chiamarla “la lezione di Batistuta”, ma poiché la frase preferita dei leader politici nostrani è sempre “non prendiamo lezioni da nessuno” figurati se porgeranno l’orecchio alle parole di un ex calciatore imbolsito ormai incastrato dentro al mito. Per le elezioni amministrative a Firenze ha circolato il nome del 54enne Gabriel Omar Batistuta, indimenticato e indimenticabile attaccante della Viola, campione argentino impresso nella memoria dei tifosi e dei cittadini toscani per il suo carisma e i suoi gol. Quello segnato a Wembley nel 1999 contro l’Arsenal è un souvenir malinconico come certi monumenti miniaturizzati nella palla di vetro.

Le apparizioni sui giornali e nelle televisioni fanno curriculum

Nella politica che è spettacolo, il nome di Batistuta a qualcuno è sembrato la leva perfetta per strappare la città di Firenze al centrosinistra. Ci avevano già provato con l’ex portiere Giovanni Galli, è vero, ma Batistuta è nel cassetto degli eroi, di fianco al semplice cassetto degli ex calciatori. Nella politica degli anni duemilaventi le apparizioni sui giornali e nelle televisioni sono le caratteristiche fondamentali di un buon curriculum. Basta scrivere un pessimo libro che inneschi una pessima polemica per diventare cangiabile e credibile. Lo sanno benissimo nella Lega di Matteo Salvini dove storicamente, ben prima di lui, una frase razzista o crudele è il viatico per polarizzare l’attenzione dei media, emergere dalla massa e abilitarsi in poche ore in un “politico di primo piano”. La successiva candidatura e la successiva elezione sono semplici conseguenze. Lo sa bene Roberto Calderoli, lo sa bene lo stesso Salvini che era uno sconosciuto consigliere comunale prima di proporre un vagone della metropolitana milanese riservato alle persone con la pelle più scura.

La lezione di Batistuta alla politica da spettacolo
Gabriel Omar Batistuta (Getty).

Diventare personaggi serve per garantirsi una lunga sopravvivenza

Così quei nove anni di Batistuta in maglia viola a partire dal 1991 sotto l’iconica presidenza di Vittorio Cecchi Gori e quei suoi 208 gol sembravano abbastanza per proporsi come amministratore di una delle città più importanti d’Italia. Sembrava un’ottima idea avanzare un candidato che non ha bisogno di spiegazioni e che avrebbe semplicemente dovuto “non sbagliare niente” per vincere. La televisionizzazione della politica è un morbo che ha infettato molti: giornalisti, sportivi, soubrette, virologi. Un caravanserraglio di nomi “spettacolari” che riempie il parlamento italiano e europeo. Sono politici televisivi utili alle feste di partito, quando c’è da vendere la birra e la saltella per incassare. Sono politici televisivi che garantiscono l’approdo al grande pubblico anche delle idee più strampalate. Il vizio è ormai talmente conclamato che i politici, quelli che tapini provengono solo dalla politica o dal lavoro, anelano a diventare personaggi il prima possibile per garantirsi una lunga sopravvivenza nelle istituzioni.

La lezione di Batistuta alla politica da spettacolo
Batistuta allo stadio Franchi di Firenze (Getty).

I posti dovrebbero essere occupati da chi ha la preparazione giusta

Batistuta però ha risposto dando una lezione di politica. Sembra incredibile, sì: «Voglio smentire la notizia che mi vede come possibile candidato sindaco a Firenze. Non faccio politica né in Italia né in Argentina. Non voglio trovarmi in alcun modo in una posizione di potere che dovrebbe essere occupata solo da coloro che sono stati adeguatamente preparati e con sufficiente merito per meritarselo», ha scritto sui suoi social. Il campione è convinto – non solo lui – che i posti di potere dovrebbero essere occupati da chi ha la preparazione e sufficiente merito anche solo per provare la corsa. E Batistuta, come molti altri, è convinto che avere fatto molti gol non rientri in questi parametri, come non lo è evidentemente avere condotto un telegiornale, avere litigato in una popolare trasmissione televisiva o avere ballato al fianco di un noto conduttore.

La lezione di Batistuta alla politica da spettacolo
Damiano Tommasi (Getty).

Il caso dell’ex calciatore Tommasi a Verona è diverso

I più rognosi, rimasti male per la risposta, dicono che a Verona sia accaduta la stessa identica cosa con l’ex calciatore Damiano Tommasi, fingendo di non sapere che lui si è dedicato per anni all’attività sindacale, quindi alla politica. Una cosa è certa: la risposta di Batistuta è un dribbling talmente intelligente nel deserto morale e intellettuale della politica italiana che alla fine l’avremmo votato come sindaco, a saperlo.

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Normale non lo è. Generale, se ne faccia una ragione

La storia immagino la sappiate. C’è questo generale, tal Roberto Vannacci, che dopo essersi dedicato a comandare i soldati in Afghanistan e in Iraq ora guida l’Istituto geografico militare a Firenze. Lì probabilmente è stato folgorato dalla carta e dalla cultura e ha deciso di autoprodursi un libro dall’originalissimo titolo Il mondo al contrario in cui ci fa sapere cosa pensa del mondo.

Gli omosessuali: “Normali non lo siete, fatevene una ragione”. La convivenza civile: “Le discutibili regole di inclusione e tolleranza imposte dalle minoranze”. I disoccupati: ” I dibattiti non parlano che di diritti, soprattutto delle minoranze: di chi asserisce di non trovare lavoro, e deve essere mantenuto dalla moltitudine che il lavoro si è data da fare per trovarlo”. Paola Egonu: “Italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità“.

Niente di nuovo sotto il sole. Vannacci si è preso la briga di sprecare carta per condensare in un sol luogo ciò che gli elettori di questo governo spargono a piene mani tutti i giorni sui social. Un lavoro filologico, più che creativo. Solo che in questo caso il giornalista di Repubblica Matteo Pucciarelli ha reso pubblico la chiara matrice dell’estro del generale Vannacci e quindi l’esercito e il ministro hanno deciso di prendere le distanze. Lui, il generale, rivendica il diritto di avere idee cretine senza capire che nessuno glielo impedisce: semplicemente uno con quelle idee non deve ricoprire un incarico pubblico. Questo è il punto. Per il resto potrà scendere tutte le sere al pub e giocare alla parte del nazista.

Alcune domande rimangono. Come ha fatto un tizio come Vannacci a diventare così alto in grado nell’esercito? Non sarà mica che ha trovato terreno fertile per le sue idee? Perché di questi deliri se n’è accorto solo il giornalista Pucciarelli? E soprattutto, il ministro Crosetto giudica (giustamente) “farneticazioni” le parole di Vannacci. Quindi giudica “farneticanti” una bella fetta dei suoi elettori? E in ultimo: che ne facciamo degli altri Vannacci in giro per eserciti, Parlamenti e pubbliche amministrazioni? E ci sarebbe anche una curiosità dolorosa: come ha operato il generale in territori di guerra, con idee del genere?

Buon venerdì.

Foto del Generale Vannacci tratta da Wikipedia

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Urso e le incredibili contraddizioni della sua guerra al caro benzina – Lettera43

Mettere in fila le dichiarazioni è un brivido. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso all’inizio di questa storia ce l’aveva con i benzinai. Per il ministro erano loro a giocare sporco e ad alzare i prezzi dei carburanti approfittandosi della povera gente. Ha deciso di ergersi a difensore delle tasche dei cittadini. Qualcuno ha provato a fargli notare che i gestori dei distributori sono l’ultimo anello della catena e incidono sul prezzo della benzina per pochissimo, quasi niente. Gente che guadagna dai tre ai quattro centesimi al litro difficilmente potrebbe mettere in atto una «stangata contro gli italiani». Il ministro avrebbe potuto fare il duro sul serio, il duro con i duri e prendersela con le speculazioni della società petrolifere, calpestando l’articolo 42 della Costituzione poiché nel settore petrolifero la stragrande maggioranza delle società è pubblica o a controllo pubblico. Niente da fare. Urso ha deciso che per frenare il complotto della Spectre dei benzinai serviva un cartello con i prezzi medi della benzina.

La cartellonistica era uno strumento non necessario

Nelle intenzioni del ministro un cittadino esce di casa alla mattina, butta un occhio sul prezzo medio, devia il suo percorso per confrontare i prezzi dei distributori vicini, spiando di tanto in tanto sull’appunto del prezzo medio per non dimenticarselo, finché non trova qualcuno davvero conveniente. «Se l’esposizione dei prezzi medi presso i distributori doveva servire a ridurre i prezzi o quanto meno a mitigarne l’aumento, allora è stato un fallimento», ha spiegato Massimiliano Dona, avvocato esperto di consumatori. Dello stesso avviso era fin dall’inizio anche l’Antitrust. Secondo il presidente Roberto Rustichelli la cartellonistica era uno strumento non necessario. Inoltre c’era il problema, poi verificato, di ridurre gli stimoli competitivi.

Urso e le incredibili contraddizioni della sua guerra al caro benzina
L’esposizione del prezzo medio del carburante non è servito a nulla (Ansa).

Fermi tutti: colpa delle accise. Quindi dello Stato

Il 16 agosto è cambiato tutto. «Il prezzo industriale della benzina depurato dalle accise è inferiore rispetto ad altri Paesi europei come Francia, Spagna e Germania». Così in una nota il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, sempre lui, sul caro-benzina, spiegando come sia «falso quanto affermano alcuni esponenti politici che il prezzo di benzina e gasolio sia fuori controllo, anzi è vero il contrario: l’Italia ha fatto meglio di altri Paesi europei». Quindi il ministro spiega che i prezzi dei carburanti sono alti per colpa delle accise. Per logica verrebbe da dire che lo speculatore quindi è lo Stato. Quindi è lui.
Dunque che si fa? Si tagliano le accise? Lasciamo perdere Matteo Salvini e Giorgia Meloni che quando stavano all’opposizione promettevano l’eliminazione delle accise ogni volta che aprivano bocca.

Urso e le incredibili contraddizioni della sua guerra al caro benzina
Caro benzina per gli italiani in vacanza (Ansa).

La dura realtà: tagliarle costa 1 miliardo al mese…

L’8 febbraio 2023 il prezzo dei carburanti saliva in modo vertiginoso costringendo a un aumento generalizzato dei costi dei beni primari. Il ministro delle Infrastrutture Salvini prometteva: «Contiamo che la benzina non torni sopra i 2 euro. L’accordo è che, qualora per situazioni internazionali e problemi non dipendenti dall’Italia, si arrivasse a quell’aumento, il governo interverrà come è stato già fatto l’anno scorso», con un taglio delle accise. Il leghista continuava: «Adesso però siamo a 1,8 euro e conto che il 2 davanti non lo si vedrà più». Ma le accise non possono essere tagliate. Chi lo dice? Il ministro Urso, ovviamente: «Il taglio sulle accise costa 1 miliardo al mese. Se riproponessimo la misura fatta dal governo Draghi, dovremmo trovare in altro modo, con altre tasse, 12 miliardi di euro l’anno, ossia più di quello che costava il Reddito di cittadinanza», ha detto il ministro delle Imprese e del Made in Italia in un’intervista ad Agorà su RaiTre.

Urso e le incredibili contraddizioni della sua guerra al caro benzina
Adolfo Urso e Matteo Salvini (Imagoeconomica).

Urso è riuscito a dire tutto e il contrario di tutto

La favola triste ha una morale semplice: quando qualcuno inventa nemici immaginari (preferibilmente pescandoli tra gli ultimi) lo fa perché sa che i nemici veri sono persone a cui non può negare il saluto. In un Paese normale un ministro che nel giro di qualche settimana riesce a dire tutto e tutto il suo contrario sarebbe gentilmente messo alla porta e invitato a trovare qualcuno disposto a pagarlo così lautamente nel libero mercato. Ma in un Paese normale Urso non avrebbe come colleghi ministri quelli che si ritrova. Quindi è tutto nella media. Loro, mica la benzina.

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Bambini per strada

Sindaci leghisti. Marcello Bano, sindaco di Noventa padovana, a proposito dei migranti, soprattutto minori scaricati sui comuni: «Ma cosa siamo, il front-office? Se tu me li scarichi di fronte al municipio io li carico su un autobus e te li riporto davanti alla prefettura. Si deve arrangiare il governo. Punto. È gravissimo quello che sta succedendo». Michele Poli, sindaco di Gambellara: «Mi è stato detto: ‘alle due di notte ti arriveranno 3 persone. Non si sapeva se uomini donne o bambini. Ce le hanno scaricate come fossero pacchi davanti al municipio».

Gian Paolo Lovato (Lega), sindaco di Montagnana, in provincia di Padova: «Noi siamo favorevoli all’integrazione ma se ci vengono inviati extracomunitari o profughi, e lo Stato non ci aiuta, le nostre casse comunali non possono resistere. Ad esempio, stiamo iniziando con i pasti a domicilio, ma abbiamo dovuto raschiare il fondo del barile, come si suol dire. È evidente che c’è un grosso problema e dal governo non abbiamo risposte». Il segretario regionale della Lega in Veneto: «caricare richiedenti asilo come ‘pacchi postali’ davanti ai Municipi, così come accaduto nei comuni del Vicentino, è un atto ostile che non fa parte della leale collaborazione che si deve instaurare tra prefetture e Comuni».  Il sindaco forzista di Ancona, Daniele Silvetti: «Siamo ai limiti delle nostre possibilità». Vito Bardi, Forza Italia, presidente in Basilicata: «Non possiamo reggere numeri importanti».

Il piano di distribuzione firmato dal ministro Matteo Piantedosi sta facendo infuriare gli amministratori locali, di destra e sinistra. Gli hub e le strutture utilizzate per l’accoglienza sono sature e offrono condizioni al limite della vivibilità. L’integrazione con le cittadinanze locali, nonostante gli sforzi e i buoni propositi, restano difficili. A Giorgia Meloni non rimane che gettare la maschera e chiedere senza retorica da “piano Mattei” alla Tunisia di “fermare le partenze”, il suo unico vero obiettivo. L’Italia è appesa alle voglie dell’ennesimo autocrate. Intanto la Corte di Cassazione ha sancito che la propaganda di questa becera destra è falsa, certificando che non sono “clandestini” quelli a cui si rivolgono Giorgia e Matteo.

Fallimento annunciato. Buon lunedì.

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Crosetto “vede fascisti dappertutto”

Il ministro della Difesa Guido Crosetto – quando era un arrembante dirigente di partito che si occupava di Difesa e prometteva di non diventare ministro per evitare il conflitto di interessi che poi è magicamente svanito – si distingueva per la sua ironia su chi vedeva “fascisti dappertutto” lamentando una drammatizzazione della ferocia sparsa in giro da parte dei “comunisti”. Per Crosetto ovviamente sono comunisti tutti quelli che non hanno in casa un busto di Mussolini.

Qualche giorno fa senza pensarci troppo ha detto quello che pensano in molti sul vomitevole libro (omofobo e razzista) del generale Roberto Vannacci: “farneticazioni” che “screditano l’Esercito, la Difesa e la Costituzione”, disse Crosetto, prima di fare partire un’azione disciplinare. Il problema è che i suoi elettori e i suoi alleati sono fatti della stessa pasta del generale Vannacci e quindi hanno cominciato ad azzannare il ministro, manca poco che gli diano del “comunista”. Crosetto è stato attaccato dal suo collega di partito Galeazzo Bignami (quello che con molta meno fatica ha indossato una divisa nazista senza sprecare tempo a scrivere libri), il responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli e ieri anche dal suo collega ministro Matteo Salvini, che per erodere voti a Giorgia Meloni è disposto a tutto.

Dicono che Crosetto si sia ritirato in un religioso silenzio ripetendo “io non sono come loro”. Può anche essere vero. Il problema è che li ha ammaestrati anche lui quegli alleati e quegli elettori. Il domatore mangiato dalle belve è un classico nella storia.

Buon martedì.

Nella foto: il ministro Crosetto in visita al contingente militare italiano, Riga, 10 luglio 2023 (governo.it)

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La misdirection è il segreto centrale

Come spiega bene Wikipedia nell’illusionismo la misdirection (lett. “depistaggio”) è una forma di inganno in cui l’esecutore attira l’attenzione del pubblico su una cosa per distrarla da un’altra. Gestire l’attenzione del pubblico è il requisito principale di tutti gli spettacoli di magia. La misdirection è il segreto centrale.

La misdirection di questi giorni attira l’attenzione di un generale dalle idee aberranti mal scritte in un risibile libro. Nel frattempo senza soccorsi e senza accoglienza gli arrivi dal Mediterraneo hanno portato sulle coste italiane oltre 100mila migranti in un sistema al collasso. Come ha notato Pagella Politica la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha scritto soli 2 tweet sul tema, mentre in tutto il 2019 ne aveva scritti più di 200, quando il numero degli sbarchi è stato il più basso degli ultimi 10 anni. Matteo Salvini nel 2023 ha fatto solo 6 tweet sul tema degli sbarchi, mentre nel 2020 parole come “clandestini” e “immigrati” sono comparse in oltre 800 tweet.

Nel frattempo la stampa italiana ha dato il peggio di sé raccontando in modo sensazionalistico (e pericoloso per le vittima) uno stupro di gruppo, come se fosse un romanzetto erotico. Migliaia di italiani cercano online il video dello stupro per masturbarsi illudendosi di non incorrere in reato. Salvini definisce l’omosessualità “un dibattito superato”. Nelle città i poveri si mettono in fila per ritirare la Carta Acquisti Spesa, in una processione sconcia. Su Rosa e Marmolada si registrano record di caldo e ghiacciai in ritirata. La benzina raggiunge prezzi da economia di guerra.

La misdirection è il segreto centrale.

Buon mercoledì.

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Sono milioni quelli da castrare

Bestialità per vendicare le bestialità. Sullo stupro di gruppo di Palermo vale tutto, l’importante è indicare “quelli” come diversi da noi. L’alienazione come soluzione, ovvero la vigliaccheria travestita da vendetta. 

Il ministro Matteo Salvini ingaggia una guerra di testosterone chiedendo la castrazione chimica: “se stupri una donna o un bambino hai evidentemente un problema: la condanna in carcere non basta, meriti di essere curato”, dice Salvini. L’uscita mostra almeno due cretinaggini evidenti: castrare è una forma di cura (come i nazisti?) e la condanna è una punizione, al contrario di quello che dice la Costituzione. Immaginiamo che sia di “buon senso” castrare anche coloro che cercano online quel video (potenziali stupratori), coloro che applicano altre forme di violenza patriarcale e coloro che vedono le donne solo come prede sessuali. Il conto finale è di qualche milione di maschi italiani veri. La ministra Roccella invece vuole vietare “i porno”. Altra forma di alienazione: va tutto bene, i maschi sono tutti buoni e bravi ed è solo una “corruzione esterna” che complica le cose, secondo lei. 

Troppo difficile invece allargare il discorso non solo ai colpevoli ma anche ai responsabili. Toccherebbe mettere in discussione l’idea dell’essere maschio in una società in cui la capacità di sopraffazione è una virtù richiesta fin da bambini. Toccherebbe decostruire gli stereotipi e prendersi la responsabilità (gli uomini) di invertire i modelli senza sentirsi persi. Ci si accorgerebbe che la politica dello stesso Salvini è come quella di un sopraffattore che si cela dietro il “buon senso” e “il fin di bene”.

Buon giovedì. 

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Volevano essere sovranisti, sono solo familisti

Come ha osservato l’ex parlamentare Elio Vito nel mondo solo due leader politici e capi di governo hanno affidato alla sorella la gestione del loro partito: Kim Jong-un, dittatore a capo della Corea del Nord nonché segretario generale del Partito del Lavoro di Corea e Giorgia Meloni, presidente del Consiglio dei Ministri in Italia e presidente di Fratelli d’Italia. Inutili i guaiti degli accoliti meloniani: questo è un fatto incontestabile, sotto gli occhi di tutti. Nemmeno Silvio Berlusconi – che della proprietà privata del suo partito ne ha fatto una religione – era mai arrivato a tanto. 

Che poi Arianna Meloni sia anche la moglie del ministro Francesco Lollobrigida rende le loro vacanze estive insieme (seguite con audace riverenza da cronisti politici prestati al familismo d’avanspettacolo) il vero “luogo di potere”. In riva al mare, in barba ai luoghi istituzionali e di partecipazione democratica. 

La nomina di Arianna Meloni a cane da guardia delle intemperanze interne di Fratelli d’Italia viene difesa con forza dal responsabile dell’organizzazione del partito Giovanni Donzelli e dagli altri meloniani, nella speranza di poter familiarizzare il più possibile con Meloni per non uscire dal cerchio delle sue grazie. Eppure dovrebbero essere proprio loro i più arrabbiati: se una leader politica e capa di partito sceglie la parentela come qualità per fare carriera significa che ritiene tutti gli altri irrimediabilmente mediocri e senza possibilità di redenzione. 

È la naturale involuzione di ogni sovranismo: stringersi per paura a una cerchia sempre più ristretta per la preservazione del potere, unica vera preoccupazione. Immaginate come Kim Jong-un e Meloni possano essere spaventati dal Paese lì fuori. 

Buon venerdì. 

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