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Governo fuori strada. Urso vede le… Stellantis

Non si è dato il giusto risalto al filotto di successi del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, meloniano di ferro che nelle ultime ore ha incassato due risultati che dicono molto di lui, di questo governo e di quelli che “erano pronti”. Il tavolo con il gruppo automobilistico Stellantis che doveva risolversi entro ferragosto per il raddoppio della produzione in Italia fino alla soglia di un milione di auto (oggi sono meno della metà) nell’ambito della transizione verde è stata rinviato con tanti saluti al prossimo autunno.

Non si è dato il giusto risalto al filotto di successi del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

Più che una trattativa abbiamo assistito a uno scaricabarile tra l’azienda e il governo. Urso accusa Stellantis di non volersi sedere al tavolo per colpa di quei cattivoni dei sindacati e accusa “chi era al governo tre anni fa”. Sapete chi c’era Il suo compagno di governo, il leghista Giancarlo Giorgetti. Non male.

Ieri Urso ha incontrato anche Ryanair per discutere del tetto dei prezzi sui voli compreso nel decreto Omnibus. All’uscita dell’incontro Eddie Wilson, amministratore delegato della low cost dice ai giornalisti che i consiglieri del ministro “è evidente che non hanno frequentato nemmeno il primo giorno di lezione di Economia”, racconta di avere ascoltato il ministro e i suoi collaboratori parlare di un algoritmo legato ai dispositivi che “non esiste” dicendo “non capisco nemmeno da dove l’abbiano tirata fuori questa str…” e parla di un decreto che “nemmeno Harry Potter sarebbe in grado di decifrare”. Deve essere questo il “prestigio dell’Italia nel mondo” di cui continua a parlare Giorgia Meloni.

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Ecco i verbali di Messina Denaro

Dice molto più di quello che pronuncia nell’interrogatorio a cui viene sottoposto Matteo Messina Denaro, presunto capo di Cosa nostra catturato dopo una latitanza lunga 30 anni, lo scorso 16 gennaio. Ripercorrendo le dichiarazioni rilasciate ai magistrati di Palermo, il procuratore capo Maurizio De Lucia e l’aggiunto Paolo Guido, si riscontrano i caratteri tipici dei boss mafiosi nel momento dell’arresto ma si ritrovano anche elementi utili per riscrivere una storia che appare diversa da com’è stata raccontata

Matteo Messina Denaro, davanti ai magistrati di Palermo, nega di essere un mafioso. E dice molto più di quello che pronuncia

Matteo Messina Denaro nega di essere un mafioso (“No, io mi sento uomo d’onore, nel senso di altri… non come mafioso), racconta di conoscere Cosa nostra solo “dai giornali” ma a differenza di Riina e Provenzano la riconosce: “Non lo so, magari ci facevo qualche affare e non sapevo che era Cosa Nostra, però…”, dice ai magistrati, aggiungendo di augurarsi che suo padre (il boss don Ciccio Messina Denaro) fosse un uomo d’onore “quantomeno la sua vita avrebbe avuto un senso”.

“Voi mi avete preso per la mia malattia”

E chiarisce subito un punto: “Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia – dice Messina Denaro -. Era giusto che io andassi in carcere, se mi prendevate. E ci siamo arrivati. Ma una domanda così, che lascia il tempo che trova: ma cosa è cambiato secondo lei? C’è una corruzione fuori, c’è una corruzione fuori indecente… si sono concentrati sempre tutti su di me e quello che c’è fuori forse voi pensate di immaginarlo tutto ma non lo sapete tutto”.

Messina Denaro ammette di avere avuto un rapporto con Bernardo Provenzano (“sì, lettere… non l’ho mai conosciuto visivamente”) e di essere consapevole del suo ruolo all’interno dell’organizzazione “Certo che sapevo chi era, ci mancherebbe” giustificando il loro rapporto “perché quando si fa un certo tipo di vita, poi arrivato ad un dato momento ci dobbiamo incontrare, perché io latitante accusato di mafia, lui latitante accusato di mafia, dove si va”.

Smontati anche i miti intorno alla sua latitanza: “Però io non so se è chiara sta cosa: se tutti quelli che hanno avuto da fare con me, dovete fare qualche carcere nuovo, perché mezzo Campobello se ne va in carcere”. Trovano riscontro quindi le ipotesi che vedevano Messina Denaro inserito in un contesto omertoso che più che non sapere fingeva di non voler sapere e di non capire.

Il boss nega il delitto del piccolo Di Matteo sciolto nell’acido: “C’entro con il sequestro, ma non con il suo omicidio”

Al boss sembra interessare particolarmente non essere accusato dell’uccisione del piccolo Di Matteo, ucciso da Cosa nostra per punire il padre diventato collaboratore di giustizia: “Decise tutto lui (Vincenzo Brusca, ndr), per l’ira dell’ergastolo che prese. Ed io mi sento appioppare un omicidio, invece, secondo me mi devono appioppare il sequestro di persona; non lo faccio per una questione di 30 anni o ergastolo, per una questione di principio. E poi a tutti… cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell’acido ed alla fine quello a pagare sono io?”.

Sfida agli inquirenti sulle protezioni che hanno evitato la cattura per 30 anni. “Dovreste arrestare mezza Campobello”

Messina Denaro trova anche il tempo di contestare il reato di concorso esterno. Per difendere l’amico Andrea Bonafede (che si è premurato di garantirgli un’identità fasulla) spiega che “l’hanno arrestato (Andrea Bonafede, ndr) per favoreggiamento e perché è mafioso riservato… Il mafioso “riservato” è tipo un altro argomento di legge, se vogliamo dire, farlocco, come “concorso esterno” io preferirei, – dice ai magistrati – se fosse una mia decisione: tu favorisci… il favoreggiamento prende da 4 a 5 anni, se favorisci un mafioso sono 12 anni; meglio così: si leva il farlocco di torno”. Chissà che ne pensa il ministro Nordio e gli altri nemici del concorso esterno: Messina Denaro – ma dai? – è d’accordo con loro.

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Giorgia Meloni: 27 minuti e la sua vera natura

Per l’ennesima volta, Rai News 24 ha mandato in onda gli appunti di Giorgia: 27 minuti “senza alcuna intermediazione giornalistica“. Una scelta che il comitato di redazione di Rai News 24  ritiene “inopportuna in quanto sminuisce il ruolo di verifica e di mediazione giornalistica che deve svolgere una redazione giornalistica”. Conclude il cdr di Rai News 24: “Questa volta non si dica che da sempre gli interventi del Presidente del Consiglio si mandano per intero. In questo caso, non si è trattato di una diretta ma di un intervento registrato e premontato” conclude la nota.

In quei 27 minuti la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pensato bene di minare l’incontro con l’opposizione fissato per domani. «Perchè se il salario minimo legale è la soluzione, non lo hanno introdotto? Probabilmente perchè si è consapevoli che non è una soluzione efficace», dice Meloni.

Riccardo Magi di +Europa si chiede a questo punto a cosa serva incontrarsi: «Se c’è la volontà di aprire alla nostra proposta bene, altrimenti non regaleremo a questo governo una passerella per poter dire “guarda quanto siamo bravi”», dice. Sulla stessa linea il leader del M5s Conte che dice: «A questo punto si comprende come l’incontro si preannunci in salita. Il governo non sembra volersi smuovere dai suoi pregiudizi. Vorrà dire che nel corso dell’incontro proverò a spiegare come stanno le cose con dei grafici». Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni: «Cosa ci ha convocato a fare?», sottolineando come quel video «sembra una provocazione». Come dimostrano i dati, il salario minimo spinge ad una crescita generalizzata dei salari». Arturo Scotto, Pd: «Il salario minimo va fatto per legge, nessuno deve lavorare sotto i 9 euro l’ora e la contrattazione collettiva va rafforzata. Questo c’è scritto nel testo e questo le ribadiremo con forza a Palazzo Chigi». Calenda chiede di tenere i toni «bassi».

Le è impossibile nascondere la sua vera natura.

Buon giovedì.

Nella foto: frame del video di Giorgia Meloni, 9 agosto 2023

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Ci sei arrivata viva, Michela

Questo non è un coccodrillo per Michela Murgia, che i coccodrilli vanno scritti sapendolo fare e non invidio coloro che oggi per mestiere dovranno comprimere in un pezzo così tante vite. Dieci ne conta lei. Non è il racconto di un episodio condiviso, con una foto ripescata.

È il lamento per l’ipocrisia, da cui Michela Murgia rifuggiva ben prima della malattia. Diceva che il cancro rende liberi, ci ha invitato a essere liberi anche senza cancro ma lei libera lo è stata sempre.

L’ipocrisia di quelli che “Michela Murgia si fa scrivere i libri, ho un amico che conosce il suo autore fantasma in Einaudi”. L’ipocrisia di quelli che “Michela Murgia non è più una scrittrice, ha scelto di fare l’influencer”. Quelli che “Michela Murgia vede fascismo dappertutto per vendere più libri”. Quelli che “eccola che infine si candida per sistemarsi su una poltrona”. Quelli che “Michela Murgia crede di potersi inventare famiglie che non esistono per legge e per natura”. Quelli che “Michela Murgia non ha nemmeno l’eleganza di essere malata con un po’ di riservatezza”.

L’ipocrisia di quelli che “io posso essere anche d’accordo con lei ma sbaglia i modi”. Quelli che “la politica non andrebbe fatta dagli scrittori”, quelli che “Michela Murgia vuole morire da screanzata”, quelli che “è illeggibile”, quelli che “è inascoltabile”, quelli che “è inguardabile”, quelli che “io non capisco perché dobbiamo leggere sempre quello che pensa  questa”, quelli che “non si capisce chi sta con chi e chi è figlio di chi”, quelli che “la letteratura è un’altra cosa”, “la politica è un’altra cosa”, “l’antifascismo è un’altra cosa”.

Quelli oggi stanno sfogliando i sinonimi e i contrari per redigere un comunicato luttuoso. E scopriranno di non avere il vocabolario. Ci sei arrivata viva, Michela.

Buon venerdì.

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Conflitto d’interessi. Marina è peggio di Silvio

Avviso a coloro che ci accusavano di essere “fissati con Berlusconi anche da morto” e a quelli che si sono lasciati convincere dalle panzane degli scherani berlusconiani (in primis il figlio Pier Silvio) quando strillavano che “ormai non ci sarebbe stato più nessun conflitto di interesse”: avevamo ragione noi.

I desideri di Silvio Berlusconi sono ben custoditi nello scrigno di famiglia, con Marina e Pier Silvio nelle vesti di corazzieri

I desideri di Silvio sono ben custoditi nello scrigno di famiglia, con Marina e Pier Silvio nelle vesti di corazzieri e la cassaforte di famiglia pesa non solo sui parlamentari di Forza Italia ma anche ai piani alti, sulla scrivania della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Il quotidiano Il Foglio attribuisce un virgolettato al ministro degli Esteri nonché segretario di Forza Italia: “La Famiglia non ha gradito”.

Scritto con la maiuscola, come si usa per le famiglie talmente potenti da esercitare l’intimidazione politica. La famiglia ovviamente è quella dei Berlusconi e il mancato gradimento sarebbe in merito all’idea di tassare gli extraprofitti delle banche. A casa Berlusconi gli analisti della Banca Mediolanum stimano un impatto della tassa che si aggirerebbe intorno al 50% degli utili della banca.

Marina Berlusconi – secondo Il Foglio – avrebbe sgridato la prode Meloni invitandola “a scrivere bene la norma” e a parlare solo con i mercati chiusi. Nel frattempo alcuni giornali spingono per la discesa in campo di Pier Silvio. Ma, pensandoci bene, perché dovrebbe farlo quando senza sporcarsi le mani gli basta scrivere nella chat di famiglia, dove c’è la presidente del Consiglio?

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Extraprofitti, aerei e taxi. Il governo Meloni ha già suonato la ritirata

Dopo avere rinviato tutto il rinviabile (dalla ratifica del Mes alla riforma della Giustizia) al prossimo autunno ora il governo di Giorgia Meloni prova a eccellere nell’arte della retromarcia. L’ultima rapidissima, è quella sulla tassa sugli extraprofitti delle banche, presentata da Salvini e Meloni come l’ultima azione dei nostri Robin Hood sovranisti per lenire le difficoltà economiche dei cittadini alle prese con mutui insostenibili.

Mentre tutto intorno si levano i lamenti delle prefiche del libero mercato solo quando conviene il Mef nella serata di martedì ha firmato di corsa una nota che fissa un tetto al prelievo che non dovrà superare lo 0,1 per cento del totale attivo, ridimensionando drasticamente la portata del provvedimento. Secondo le stime delle banche stesse il ricavato del prelievo passa da 4,5-5 miliardi a 2 miliardi di euro.

Dopo avere rinviato tutto il rinviabile al prossimo autunno ora il governo Meloni prova a eccellere nell’arte della retromarcia

Insomma: hanno mentito sui numeri e sulle promesse. Gli situati hanno tirato un sospiro di sollievo, i titoli in borsa hanno ripreso a correre e la coerenza è andata a farsi benedire. Ma la riscrittura del testo (anzi, la scrittura, non essendoci nulla di scritto) potrebbe fare addirittura peggio con Forza Italia pronta a immolarsi per le tasche dei banchieri. Tra i rivoli comici del dibattito di questi giorni intanto possiamo registrare coloro che rimpiangono Draghi perché vedono socialismo dappertutto e hanno già dimenticato che fu proprio Draghi a pensare alla prima fallimentare tassa proprio sugli extraprofitti. Il legittimo dubbio è che finisca allo stesso modo.

Atterraggio d’emergenza in vista anche per le nuove misure sulla fissazione del prezzo dei biglietti aerei. Dopo l’amministratore delegato di Ryanair (prevedibilmente risentito) ieri Adalbert Jahnz, portavoce della Commissione europea, ha spiegato che “i servizi della Commissione europea hanno contattato le autorità italiane e si aspettano di ricevere informazioni più dettagliate”. La Commissione, in generale, sostiene le norme per promuovere la mobilita’ a prezzi accessibili in linea con le norme del mercato interno”, ha precisato il portavoce.

“La concorrenza sostenibile con un libero sistema di fissazione del prezzo normalmente è garanzia di tariffe accessibili nel mercato europeo liberalizzato dei trasporti”, che rappresenta “un successo”, ha sottolineato Jahnz. “Solo in situazioni specifiche, per esempio nelle rotte che non sono adeguatamente servite dagli operatori di mercato, come quelle da e per regioni remote, il diritto europeo consente obblighi di servizio pubblico con regole sui prezzi”, ha ricordato il portavoce. Ciò è consentito per garantire “sia la connettività territoriale che l’accessibilità con il sostegno dei fondi pubblici”, ha concluso. Retromarcia in vista.

Il decreto varato martedì è tutto da riscrivere. E c’è l’ennesima resa alla lobby dei tassisti

La rivoluzione è stata rimandata anche sul fronte dei taxi. La bozza del testo, trapelata nei giorni scorsi, non era andata giù ai tassisti e i sindacati avevano immediatamente minacciato lo sciopero. Le norme alla fine approvate dal Consiglio dei ministri, infatti, sono state smussate ed è saltata in toto l’ipotesi di cumulabilità delle licenze, il tema più contestato dai tassisti.

“Pensiamo di aver dato una prima risposta immediata” alla carenza di auto bianche, ha commentato Adolfo Urso in conferenza stampa. Può essere, sicuramente non è la risposta che hanno promesso e in politica – come nella vita – mantenere le promesse dovrebbe essere un prerequisito necessario. Anche la retromarcia sulle intercettazioni è un ricordo ancora vivo. Magari a settembre si potrebbe fare un bel Consiglio dei ministri di riparazione, come per gli studenti che non hanno raggiunto la sufficienza a scuola.

Leggi anche: Sul Salario minimo sarà muro contro muro. Oggi a Palazzo Chigi il vertice farsa con le opposizioni voluto dal governo. Ma il finale è già scritto

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Condoglianze di carta straccia: il lutto simulato della destra che detestava Michela Murgia

Una delle sue ultime battaglie era contro il sindaco leghista di Ventimiglia Glavio Di Muro che aveva negato ai migranti perfino l’acqua del cimitero, che utilizzavano per dissetarsi e ristorarsi nel caldo. Regime fascista”, dove un essere umano non ha neanche la dignità di un topo”, ha scritto Michela Murgia. E ancora: Hai negato la più elementare dignità umana a persone senza niente altro che lacqua del cimitero”. In quell’occasione era accorso baldanzoso il parlamentare di Fratelli d’Italia Gianni Verrino: In tutte le civiltà, anche in quelle meno evolute, il culto, il rispetto, il ricordo dei defunti è sacro. Ovunque. Incommentabile lesternazione di Michela Murgia su Ventimiglia e sul sindaco”.

Più che diverse, incompatibili

Ora Michela Murgia è morta, “il sacro rispetto dei defunti” è un’acquasantiera di piscio di quelli che esultano e a dissertarsi nel cimitero ci corrono loro, i politici, nella speranza che le condoglianze pronunciate a denti strette possano normalizzare l’allarme che Murgia ha lanciato fino all’ultimo. “Voglio esprimere sincere condoglianze alla famiglia e agli amici della scrittrice Michela Murgia – ha scritto su Twitter la presidente del Consiglio Giorgia Meloni –. Era una donna che combatteva per difendere le sue idee, seppur notoriamente diverse dalle mie, e di questo ho grande rispetto”.

Condoglianze respinte, glielo possiamo assicurare. La “famiglia” a cui si rivolge Giorgia Meloni ha una forma che lei riterrebbe illegale e amorale. Il rispetto per le “idee” della scrittrice che la presidente del Consiglio mima nel suo messaggio è carta straccia. Michela Murgia riteneva questo governo (Meloni inclusa) un governo fascista nei modi, nelle azioni e nelle parole. Le idee non sono “diverse”: sono incompatibili, su fronti opposti. Meloni avrebbe potuto serenamente soprassedere sulla morte della scrittrice come le capita ogni volta che non trova le parole. Anche in questa occasione le parole non le ha trovate. 

Una preghiera… bestiale per Michela Murgia

Risulta quasi meno disdicevole il senatore Matteo Salvini, mandante del fango che Michela Murgia ha dovuto scrollarsi di dosso per anni. “Una preghiera”, scrive Salvini. Prega dopo avere usato la scrittrice come combustibile per la rabbia insaziabile dei suoi adorati follower ammaestrati dalla Bestia della sua propaganda. Questa volta il ministro non ha frugato per trovare una foto in cui Michela apparisse sformata. Si è contenuto in nome della “sacra defunta” ma non ha rinunciato a fare un giro nel cimitero di Michela per collezionare qualche like.

Il cofondatore del Family Day Simone Pillon, che giusto qualche settimana fa con diabolica perfidia aveva augurato a Murgia una “buona guarigione” ora si atteggia da martire: “Non sapevo che la situazione fosse già compromessa – ha scritto Pillon – pensavo e speravo ci fosse ancora margine di guarigione. Mi spiace. Non condividevo nulla del tuo pensiero ma avrei voluto continuare a confrontarmi con te, come abbiamo fatto tante volte”. C’è una definizione di Pillon nel suo Vangelo: farisei ipocriti, li chiamava Gesù. 

Dissentire e… detestare

L’editorialista de La Verità Daniele Capezzone ricorda Murgia dicendoci che “si può dissentire profondissimamente senza tuttavia detestarsi” e dichiarandosi dispiaciuto della sua morte. Lui è uno dei tanti che il detestare l’ha reso una linea editoriale, quando Michela Murgia era l’osso da lanciare ai cani. Il lutto simulato della destra che odiava Michela Murgia ha un unico obiettivo: suggellare la fine della lotta con lei che li chiamava per nome. Non sanno che Michela Murgia ha già distribuito le responsabilità. 

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Pronto Soccorso in tilt. Vacanze senza scampo per chi si ammala

Attenzione a non ammalarsi mentre siete in villeggiatura: “In questo momento ci mancano circa 5.000 medici di Pronto soccorso, un dato dinamico considerando che l’esodo sta continuando. Non c’è dubbio che non riusciamo a controbilanciare le fughe con i nuovi ingressi, sempre estremamente ridotti.

“In questo momento ci mancano circa 5.000 medici di Pronto soccorso, un dato dinamico considerando che l’esodo sta continuando”

Ad esempio, in Sicilia, a fronte di 786 medici necessari per svolgere attività di Pronto Soccorso ce ne sono solo 414, una copertura organica pari al 53%”. Lo spiega il presidente della Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) Fabio De Iaco, che sul Ferragosto ormai alle porte precisa: “Incubo Ferragosto per i cittadini che dovessero recarsi nei prossimi giorni nei Pronto soccorso italiani? Non direi, parlerei piuttosto di grave carenza organica. Una carenza a cui durante il periodo estivo si aggiunge la necessità di far andare in ferie i colleghi”.

“Al momento – continua De Iaco – la situazione rispecchia, più o meno, quelle che si verificano ogni estate, con un netto incremento dell’afflusso nelle località turistiche e una diminuzione nelle grandi città che, invece, si spopolano”. Fabio De Iaco tiene, però, a lanciare un messaggio alla popolazione. “Per Ferragosto voglio dire ai cittadini che i Pronto soccorso rimarranno aperti come sempre e, come sempre, i medici lavoreranno come matti. Nelle località turistiche il 15 agosto sarà una giornata di vera passione, perché i Pronto soccorso verranno assaliti da un numero di pazienti a cui non sono abituati.

Nelle città, invece, Ferragosto sarà, speriamo, un giorno tranquillo, con un numero di pazienti inferiore rispetto al solito. Ricordo però a tutti che il Pronto soccorso è l’unico luogo sempre aperto h24 e sempre a disposizione di chi ne ha bisogno. Ogni tanto piacerebbe anche a noi fare sciopero ma non mancheremo mai un giorno dal nostro posto di lavoro”. De Iaco racconta l’incubo die medici del Pronto soccorso nelle località vacanziere che lavorano “anche 12 ore al giorno consecutivamente”.

“In quel lasso di tempo- dichiara De Iaco – un medico visita un numero di persone e risponde a una quantità di domande, richieste da parte di malati, colleghi e infermieri davvero impressionante. Dopo 12 ore usciamo dal Pronto soccorso davvero stremati e anche un po’ straniti. Io dico spesso che le nostre istanze sono le stesse di quelle dei malati. Ciò per cui noi ci lamentiamo, protestiamo e chiediamo aiuto coincide esattamente con l’interesse dei pazienti che si trovano nei Pronto soccorso”.

Solo in Sicilia nei reparti d’urgenza sono in servizio 414 camici bianchi su 786 previsti

A farne le spese sono quindi gli utenti e i lavoratori. Per De Isco è necessario “rifondare l’intero sistema, dentro il quale è necessario portare idee nuove e aderenti alla realtà. Bisogna rifuggire da qualunque tipo di posizione corporativistica e rifondare il Servizio sanitario nazionale, ragionando in futuro, senza misurare le nostre possibilità di intervento sulle criticità di oggi”.

Per il presidente Simeu “è fondamentale valorizzare il sistema dell’emergenza-urgenza, Pronto soccorso e 118, l’unico che in questo momento garantisce la sicurezza. Bisogna premiare quel tipo di lavoro e, soprattutto, migliorarne le condizioni attraverso il potenziamento degli ospedali e l’eliminazione dell’attesa di ricovero all’interno dei Pronto soccorso stessi, ovvero i pazienti che devono essere ricoverati e che, invece, vi rimangono per molti giorni”.

A questo vanno aggiunti gli episodi di violenza: “e ciò accade – spiega De Iaco – perché da una parte c’è un comportamento davvero criminale di qualcuno, veri e propri delinquenti, persone che non devono mai essere comprese e giustificate. Dall’altro lato perché spesso molte persone sono esasperate, arrivano in Pronto soccorso già prevenute contro l’intero sistema, perché non ottengono quello che ritengono sia giusto avere”. È la fotografia dell’Italia vacanzieri ben lontana dai lustrini raccontati dalla ministra Daniela Santanchè: non basta una campagna pubblicitaria per fare funzionare i servizi.

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Musk & Zuck, due bulli al Colosseo

Che due tra gli uomini più ricchi del mondo, il proprietario di X e Tesla Elon Musk e il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, decidano di inscenare un combattimento, vero o presunto, dopo mesi passati a insultarsi sui social è il manifesto di una classe dirigente nata e cresciuta nel brodo del machismo. Non c’è differenza, non c’è evoluzione rispetto alle singolar tenzoni di un tempo.

Siamo ancora lì, ugualmente disuguali, ugualmente animali. Non stupisce quindi che una rievocazione di plastica che fingerà di essere storica, senza nessuno spessore culturale al di là dell’evento sensazionale (una volta erano i leoni), abbia trovato terreno fertile in questa Italia che guarda al passato senza nemmeno studiarlo. A rivelarlo è Musk in un messaggio social, in cui scrive: “Ho parlato con la premier italiana e il ministro della Cultura. Hanno concordato una location epica”.

“Il combattimento sarà gestito dalle fondazioni mia e di Zuck – aggiunge -. Il livestream sarà su questa piattaforma e su Meta. L’inquadratura sarà l’antica Roma, quindi niente di moderno. Tutto porterà rispetto al presente e passato dell’Italia, e il ricavato andrà ai veterani”. Il ministro Sangiuliano ci avvisa di avere prestato il patrimonio culturale con la promessa che “un’ingente somma, molti milioni di euro, sia devoluta a due importanti ospedali pediatrici italiani per il potenziamento delle strutture e la ricerca scientifica per combattere le malattie che colpiscono i bambini”. La Sagra dei bulli ha trovato i suoi interpreti perfetti.

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L’eredità di Michela Murgia e la natura degli intellettuali non allineati – Lettera43

Non esistono intellettuali allineati. Quelli sono cantori, porta idee, intelligenze organiche alle dipendenze di un potere interessato a salvarsi dalla superficialità dei suoi ideali. Gli intellettuali non possono essere simpatici, utilizzano l’irriverenza come motore e osano nella terra che i benpensanti chiamano comunicazione. Gli intellettuali non piacciono. Se piacciono non servono, sono muti. La partenza di Michela Murgia, che molti brigano per contenere nel cassetto degli scrittori, è la testimonianza di un’intellettuale a cui bastano le parole, anche se la scelta di impiegare il proprio mestiere per entrare nel dibattito è sconveniente di questi tempi. Letteralmente, non conviene. Il consiglio è sempre lo stesso: smussati, calmati, lascia perdere, non intervenire. Pensa a scrivere libri, dicono, e non si accorgono di ripetere le stesse parole di chi ti combatte.

Il non piacere a tutti come colpa, banalizzazione dei benpensanti

Qualcuno mi diceva che «scegliere di dividere il Paese non è un buon ufficio», riferendosi a Michela. Il non piacere a tutti come colpa, banalizzazione dei benpensanti che hanno l’immobilità come più alta aspirazione. Ancora questa cretina convinzione che non possano esistere persone libere che prendono posizione per senso di giustizia (verso gli altri e verso se stessi), che tutto debba essere un’incessante valutazione dell’impatto sul pubblico, inteso come ammasso di clienti.

L'eredità di Michela Murgia e la natura degli intellettuali non allineati
Michela Murgia (Imagoeconomica).

Il mondo sui temi che contano è diviso e divisivo, da sempre

Michela Murgia è partita ripetendo che la libertà sta nel non sottostare alla voglia di compiacere. Dice di essere stata utile anche a chi la detesta perché con lei ha avuto l’occasione di autodefinirsi. Non c’è logoramento nelle voci che in queste ore usano il lutto come una clava per esprimere il proprio disprezzo. Il mondo sui temi che contano è diviso e divisivo, da sempre. È diviso tra chi ritiene il fascismo una natura mai sopita e chi ritiene che il fascismo sia storia vecchia. È diviso tra chi ritiene gli ultimi i primi da soccorrere e chi li considera materiale umano di risulta. È diviso tra chi ritene i diritti solo se universali e chi progetta uguaglianze che valgono a cerchi. È diviso tra chi considera il dissenso un obbligo civile e chi lo vorrebbe spegnere chiamandolo tradimento.

La formula dell’intellettuale apolitico e sorridente è una truffa

La formula dell’intellettuale apolitico, sorridente, diligentemente settoriale e compiacente è una delle tante truffe di quest’epoca in cui l’imperativo è normalizzare l’indicibile, renderlo potabile, ungere l’incredibile. La partenza di Michela lascia un’eredità – lei stessa ha usato questa parola – di lotta. Colpire lei, anche adesso, ottiene l’effetto di saldare ancora di più le fila di chi si oppone alla cattiveria indecente come strumento di controllo. Scrive Michela Murgia: «Chi è differente, chi non si adegua (o non si integra, che è lo stesso), è quindi considerato a-normale e la conseguenza dell’a-normalità è sempre la discriminazione. Il contrario di quella brutta idea di identità non è infatti la differenza: è la disuguaglianza, la gerarchia di valore tra la soggettività normata e quella fuori norma. Così la norma bianca vede anormalità nella pelle nera, la norma benestante teme l’incontro con la povertà, la norma maschile riduce a eccezione il femminile e il cristiano impara a vedere nemico il musulmano. Invocare la differenza spiazza queste carte ed esige la molteplicità, perché per essere differenti occorre essere almeno in due. Fondarsi sulla differenza significa fondarsi sulla necessità della relazione ed è per questo che la ricchezza della differenza (e il suo rispetto) sono i fondamenti della democrazia, che senza dialettica tra le differenze non avrebbe ragione di essere». Non esistono intellettuali allineati. Il vostro dispiacere è la loro fortuna. E no, Michela Murgia non lascia solo i libri e le parole. Michela Murgia lascia rapporti saldi e lascia un solco.

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