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Pronto soccorso lombardi, i privati lucrano pure sulle emergenze

Privatizzare tutto ciò che è monetizzabile, quindi anche l’emergenza. La Lombardia avanguardia delle disuguaglianze e della sanità privata continua a stupire. A fine maggio a Brescia aveva debuttato il primo pronto soccorso privato d’Italia.

Il messaggio pubblicitario sul loro sito dice tutto: “Il nostro ambulatorio di medicina d’urgenza e primo soccorso nasce in risposta a tutti coloro che necessitano di una risposta rapida, ma non possono o non desiderano aspettare ore in pronto soccorso ospedaliero”. BesciaMed non nasconde la volontà di mettersi in competizione con la sanità pubblica.

Pronto soccorso, i medici a cottimo

Nella Lombardia da bere il disservizio del pubblico è il miglior socio della sanità privata, fin dai tempi dell’ex presidente Roberto Formigoni. È stato lo stesso assessore al welfare regionale, Guido Bertolaso, a dare i numeri della privatizzazione: 18.735 turni appaltati a camici bianchi a gettone solo nei quattro tipi di reparti dove il fenomeno è più diffuso (ma è presente in tutti).

E per il 2023 le previsioni sono ben peggiori: 1.524 turni nei reparti di anestesia, 2.272 nei pronto soccorso, 1.076 nelle medicine penitenziarie, 11.863 nei reparti di psichiatria saranno assegnati con i medici pagati a cottimo.

A Milano c’è invece Codice Verde, inaugurato dieci anni fa e rivolto a tutte quelle situazioni di minor urgenza che in una sanità pubblica funzionante dovrebbero essere trattate dal medico di base o da uno specialista, al di fuori del contesto ospedaliero. “Il primo soccorso senza attesa”, si legge sul loro sito.

Provincia che vai…

Al Policlinico di Zingonia, Bergamo, stessa storia: con 149 euro non si fa la fila al Pronto Soccorso. Si viene invece assistiti subito. Anche se si ha un codice bianco o verde. L’azienda è il gruppo San Donato, leader incontrastato della sanità privata lombarda, che descrive così il servizio: “L’ambulatorio ad accesso diretto di Policlinico San Marco rappresenta un nuovo servizio, offerto in regime di solvenza, per sottoporsi a visite mediche e ad eventuali esami diagnostici senza bisogno di prenotare.

In caso di necessità di prestazioni sanitarie che non hanno carattere di urgenza (come medicazioni di tagli o ferite, riscontro medico dopo un trauma di lieve-media entità, distorsione, rottura di un dente, cistite etc etc.), il paziente può recarsi presso l’ambulatorio per ricevere l’assistenza dei seguenti specialisti: Ortopedico; Chirurgo polispecialistico; Odontoiatra; Urologo”.

Pronto soccorso dei ricchi e dei poveri

Il responsabile Politiche della salute della Cgil nazionale, Cristiano Zagatti, già qualche settimana fa aveva avvertito: “Non basta l’insegna ‘Pronto Soccorso’ a garantire risposte adeguate, si pensi alle vere emergenze mascherate da una blanda sintomatologia dove ogni minuto può fare la differenza. Ecco perché ogni Pronto Soccorso dovrebbe necessariamente trovarsi in strutture adeguate per garantire la tutela delle persone e, aggiungo, del personale sanitario”, disse a proposito del pronto soccorso privato bresciano.

Così mentre la povertà rimane abbandonata a se stessa e mentre gli ospedali scontano le mancanze di personale per affrontare il periodo estivo l’articolo 32 della Costituzione italiana appassisce di settimana in settimana, fingendo di non sapere che il privato segue il profitto e non la cura.

Intanto cova il drammatico sospetto che anche nei Pronto Soccorso privati la Lombardia diventi l’avamposto di una pratica che presto coprirà l’intero territorio italiano. Che si ammalino i poveri, senza intralciare i ricchi. Con tutti i razzismi rigogliosi quello sanitario sarà una passeggiata.

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Colpirne uno per educarne cento. Pioggia di querele da Giorgia & Co

Giorno nuovo, nuova querela. Dalle parti del governo mentre promettono di difenderci da un’inesistente sostituzione etnica continuano a usare l’intimidazione giudiziaria per completare la loro sostituzione etica. Arianna Meloni, sorella della presidente del Consiglio e incidentalmente moglie del ministro all’Agricoltura Francesco Lollobrigida, ha querelato l’ormai celebre vignetta del vignettista del Fatto Quotidiano Mario Natangelo che trattava della “sostituzione etnica” evocata dal marito e derisa dai giornali di mezzo mondo.

Su quella vignetta, dopo gli strepiti della maggioranza, era già stato aperto un procedimento disciplinare dall’Ordine dei giornalisti che aveva archiviato il tutto riconoscendo il diritto di satira. Ma la sorella di Giorgia Meloni non ci sta e ora si rivolge alla magistratura. Il finale è già scritto, sarà archiviazione. Ciò che conta in fondo è solo l’intimidazione giudiziaria, il provare a punirne uno per zittirne cento che la prossima volta ci penseranno due volte prima di esercitare il loro doveroso senso di critica. Le querele da parte del governo però stanno oggettivamente scappando di mano.

Dalle parti del governo mentre promettono di difenderci da un’inesistente sostituzione etnica continuano a usare le querele per completare la loro sostituzione etica

Tre giorni fa il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha querelato per l’ennesima volta la trasmissione Report intravedendo “testimonianze manipolate” e “una chiara volontà diffamatoria”. Non contento il ministro si è rivolto anche all’Ordine dei giornalisti “affinché proceda nei confronti del sig. Ranucci per la clamorosa e perdurante violazione della deontologia professionale”. Sigfrido Ranucci risponde chiarendo di avere “invitato più volte” il ministro che lamenta di non essere stato interpellato. Intanto la querela è lì, perché suocera intenda.

Roberto Saviano di querele ne ha prese addirittura due, dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal ministro Matteo Salvini. La prima ha chiarito di averlo querelato “non da presidente del Consiglio, ma da presidente dell’unico partito di opposizione”. “Io non politicizzo, lui sta cercando di farlo”, ha spiegato a dicembre dell’anno scorso la presidente del Consiglio. Una persona a capo del governo che accusa uno scrittore di “politicizzare” una sua querela è roba da commedia all’italiana.

Tra Salvini e Saviano è invece in corso un processo che dura ormai da 5 anni. Un ministro che querela uno scrittore è già deprimente, un ministro che non si è mai fatto vedere nel processo che lui stesso ha intentato è disgustoso. Piccola postilla: Saviano continua a definire Salvini “ministro della mala vita” e Salvini qualche giorno fa ha annunciato di avere depositato un’altra querela. E via. A settembre dell’anno scorso Giorgia Meloni ha querelato la giornalista Rula Jebreal che aveva scritto “il padre di Meloni è un noto criminale colpevole di traffico di droga che è stato detenuto in carcere”.

L’ultimo della lista è il vignettista del Fatto Natangelo. Citato in giudizio dalla sorella della premier

La notizia era sui media di tutto il mondo e non è mai stata smentita. Meloni ha mirato una giornalista per parlare a tutti. A proposito di giornalismo: Meloni ha querelato anche il quotidiano Domani. “Da cittadino, giornalista e politico, non da premier”. Ancora: tra i querelati da Giorgia Meloni c’è anche il filologo Luciano Canfora per un intervento in un Liceo a Bari. Nelle scorse ore tra le grinfie giudiziarie della premier è finito anche il cantante della band britannica Placebo.

Ci siamo ovviamente anche noi, de La Notizia. La colpa Un titolo, “Fratelli d’Italia e di ‘Ndrangheta”, dopo la condanna per mafia (20 anni) al consigliere comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso. L’Italia ha conquistato il primato in Europa per le querele scagliate da componenti del governo contro scrittori, autori, cronisti, disegnatori. Anche in questo assomigliamo sempre di più all’Ungheria e alla Polonia.

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Perché usare la parola populismo a caso dovrebbe essere reato universale – Lettera43

Magari a settembre, nel mese in cui è stato rimandato tutto il rimandabile, si potrebbe anche fare una legge che dichiari reato universale utilizzare la parola “populismo” ad mentulam canis per condonare mostruosi errori di comunicazione che pretendono di travestirsi da serietà e competenza.

Perché sventolare la busta paga da parlamentare come ha fatto Fassino è quantomeno inopportuno

Si potrebbe cominciare, per esempio, spiegando a Piero Fassino che sventolare la busta paga da parlamentare in un Paese con tre milioni e mezzo di lavoratori che con il loro stipendio non riescono a galleggiare sopra la soglia di povertà è stupido per una lunga serie di motivi. È stupido perché è inopportuno e la politica ha l’obbligo morale di aver contezza della realtà fuori dal Palazzo quando decide le priorità a cui dedicarsi e i modi con cui parlare. È stupido perché è un regalo agli avversari politici e in qualsiasi altro mestiere se qualcuno favorisce un concorrente viene considerato un fesso. È stupido farlo mentre in Emilia-Romagna si aspettano i primi spicci, mentre i percettori del Reddito di cittadinanza aspettano indicazioni, mentre alcune famiglie hanno a che fare con figli diventati orfani per decreto, mentre malati aspettano mesi per avere una diagnosi, mentre i siciliani lottano con il fuoco per non perdere tutto, mentre i milanesi ancora stano raccogliendo gli alberi, mentre il costo della benzina sale senza spiegazione. Chi ce l’ha con Fassino non è un populista. Troppo facile. Chi legittimamente contesta l’uscita di Fassino sta esercitando il suo diritto di sottolineare l’inopportunità.

Renzi dovrebbe capire che la parola ‘populista’ non può essere la risposta a tutto

Si potrebbe spiegare, per esempio, a Matteo Renzi che la parola populisti non può essere la risposta a tutto. Se il suo ex amico Carlo Calenda fa notare come sia inopportuno (appunto) bighellonare festaioli nel locale della ministra a cui si chiedeva un passo indietro pur non votando la mozione di sfiducia non è populista. Esprime una legittima opinione che tra l’altro appartiene a una buona fetta del Paese. Almeno che essere popolari non significhi essere populisti. “Populisti” ormai è l’offesa pronta per ogni occasione quando ci si vuole iscrivere alla categoria dei competenti. Hai dubbi sulla gestione del conflitto dopo l’aggressione russa in Ucraina? Sei populista. Sei contrario a investire nelle centrali nucleari per motivi economici, di sicurezza o semplicemente perché non c’è abbastanza tempo a disposizione? Sei populista. Pretendi che il Parlamento non si prenda un mese di ferie in un momento cruciale per la stabilità sociale? Vergognati, populista.

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Matteo Renzi (Imagoeconomica).

Populisti di sinistra e di destra: l’impossibilità di una definizione condivisa

Il populismo viene applicato dappertutto, a destra e a sinistra. Sono populisti partiti di sinistra come il greco Syriza e lo spagnolo Podemos, e di destra come il britannico Ukip e il tedesco Alternative für Deutschland. Mattia Zulianello, professore all’Università di Trieste che studia i populismi da anni, spiega che esistono populismi per tutti: il populismo neo-liberale, il social-populismo, la destra radicale populista. Un definizione condivisa è impossibile da trovare. Quando qualche studioso scrive di populismo la sua definizione piace a quelli che non si intendono riconoscibili e dispiace agli altri. Cas Mudde, politologo olandese e docente all’Università della Georgia, ha dato al populismo la definizione più condivisa tra i suoi colleghi. Secondo il professore, il populismo è una ideologia dal centro sottile che considera la società divisa in due gruppi: un popolo virtuoso e le élite corrotte; il popolo insegue la volontà generale e la politica deve essere espressione di questa volontà. Spiega Mves Meny, studioso francese e docente universitario di scienze politiche, che la guida politica «tendenzialmente chiamata portavoce, è un elemento caratterizzante dei movimenti populisti moderni. Sebbene infatti un’entità politica possa rientrare nell’alveo populista, oggi tutti i maggiori attori politici populisti dipendono dal leader». Secondo il docente francese «il discorso pubblico spesso viene indirizzato verso la drammatizzazione della realtà, verso l’esasperazione dei problemi a tal punto che emerge il bisogno di affidarsi al leader, considerato come salvatore o riformatore della politica, poco avvezzo ai compromessi. Intransigente e in grado di tradurre il linguaggio del politichese, perché le persone per bene non hanno tempo di seguire la politica di palazzo» e «il leader spesso abusa della violenza verbale per denunciare e esasperare i problemi delle istituzioni». Diego Ceccobelli, ricercatore in Comunicazione Politica presso la Scuola Normale Superiore, in un suo articolo per Valigia Blu scrive: «Prescindere dalle differenze tra l’uso quotidiano nel dibattito pubblico di populismo e la sua concettualizzazione dominante (sebbene con non poche critiche) in ambito accademico, appare evidente come più che permettere una migliore e profonda comprensione dei fenomeni politici, l’utilizzo concreto di questo termine stia nei fatti contribuendo a creare una confusione sempre più controproducente». Dare del populista a qualcuno è molto populista, quindi. Dare del populista a chi sottolinea un atteggiamento molto impopolare è populista. Quindi, per favore, smettetela.

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Negazionisti in cattedra ma senza titoli

Tra i capisaldi della stampa e della politica che si arrabattano per negare il cambiamento climatico c’è la fondazione Clintel (Climate intelligence foundation), fondata nel 2019 da un ingegnere olandese, Guus Berkhout (nella foto), che ha passato tutta la vita nell’industria petrolifera e da tale Marcel Crok che si definisce un “giornalista scientifico”.

Qualche giorno fa hanno lanciato la “World climate declaration” che è stata subito adottata dai peggiori negazionisti anche nel nostro Paese. Il motto del documento dice tutto: “There is no climate emergency”. Va tutto bene, insomma. Secondo gli “esperti” della fondazione Clintel il riscaldamento globale è molto più lento del previsto” e “non ha aumentato i disastri naturali“, pertanto “non vi è alcun motivo per creare panico e allarme“.

Benissimo, verrebbe da pensare. Quindi alcuno che ha studiato e ne sa più di noi ci offrirà le prove che servono per avere fiducia. Tra i 26 “ambassadors” della World climate declaration c’è un avvocato, un filosofo, un professore di scienze dell’agricoltura, un politico e industriale tedesco e il terzo visconte Monckton di Brenchley.

Tra i firmatari italiani ci sono un “fotografo e lettore di studi sul clima”, un “agronomo“, un “pensionato”, un “dottore commercialista“, un “architetto urbanista“, un “generale di divisione aerea”, un “docente in pensione” e il fondatore del gruppo Facebook “Falsi allarmismi sul riscaldamento globale”. Gli estensori della petizioni dicono che dei firmatari “più che i loro titoli” valutano “l’impegno”. Allora sì che possiamo dormire tranquilli.

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Ecco il nuovo corso dell’Antimafia targata Colosimo

Parla Chiara Colosimo. La presidente della Commissione Antimafia, meloniana di ferro assai legata a Giorgia e Arianna Meloni (e quindi a Francesco Lollobrigida) ha rilasciato una lunga intervista a Il Foglio per illustrare le linee guida della Commissione che presiede.

La presidente dell’Antimafia, Chiara Colosimo, ha illustrato in un’intervista le linee guida della Commissione che presiede

Come previsto la presidente dell’Antimafia inizia la sua chiacchierata dicendo che le “fa paura, anzi vomitare chi usa questi metodi contro gli avversari politici” riferendosi all’indagine di Perugia sul finanziere che all’interno della Direzione nazionale antimafia spiava i dossier sui politici e sui vip. Questa sarebbe già una notizia: quindi Colosimo ha informazioni che le suggeriscono che la regia degli accessi illeciti fosse politica E nel caso: essendo stati spiati il suo compagno di partito e ministro della Difesa, Guido Crosetto, il leader di Italia Viva Matteo

Renzi e il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte quale forza politica potrebbe essere interessata a combattere questi tre? E soprattutto: che partito odia Totti così tanto da mettere gli occhi nel suo conto corrente?

Dopo l’inizio esplosivo Colosimo promette come prima novità la cancellazione delle decisioni precedenti. “Basta liste di proscrizione: finisce l’antimafia show. Basta gogna. II tempo delle liste di proscrizione degli impresentabili è terminato. Proporrò di cambiare il codice di autoregolamentazione del mio predecessore Nicola Morra affinchè entri in vigore prima delle elezioni europee e delle comunali del 2024. Saremo più severi sui reati di mafia e contro la Pubblica amministrazione. Ma niente lettere scarlatte sui reati di opinione: quella non è mafia”, dice Colosimo.

Che dalle parti di Fratelli d’Italia si considerino “reati d’opinione” anche la legge Mancino che si occupa di incitamento all’odio, alla violenza, di discriminazione e per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali non sembra un problema: “Presiedo l’Antimafia, non la commissione bravi ragazzi: sono scelte che spettano ai partiti, quelle di non mettere persone discutibili”, dice Colosimo. Tesi facile da smontare: essere fascisti in questo Paese non è il vezzo di un “cattivo ragazzo” ma è – ancora, per fortuna – vietato dalla Costituzione, prima che dalla legge.

A difendere le liste degli “impresentabili è Walter Verini, capogruppo Pd in Commissione Antimafia. Che spiega come “sono liste – quasi sempre – di candidati che hanno carichi pendenti o condanne per gravi e gravissimi reati, che in ogni caso forze politiche serie non dovrebbero candidare”. “Nella riforma di questo sistema che il Pd ha proposto – continua Verini – non possono essere cancellati – come la stessa Colosimo ipotizza – gravissimi reati come quelli che riguardano l’odio razziale, l’antisemitismo, la legge Mancino, spesso legati tra l’altro all’estremismo nero collegato alla criminalità organizzata. Così come quelli legati alla diffamazione, che spesso nascondono querele temerarie e intimidatorie da parte di potentati criminali e affaristici”.

La presidente FdI vuole riaprire pure le indagini su Via D’Amelio. M5S e Pd pronti alle barricate

Colosimo nella sua intervista annuncia anche di voler aprire “un filone investigativo sulle verità storiche delle stragi di mafia, partendo da quella di via D’Amelio”. “Senza sostituirsi alla politica”, precisa la presidente dell’Antimafia che però subito dopo specifica di non credere “per formazione politica” (?) alla trattativa Sato-mafia. Un capolavoro. La verità su via D’Amelio “è quello che da prima che si costituisse la commissione chiede il Movimento 5 Stelle, ma con un approccio molto diverso”, scrivono in una nota i rappresentanti del Movimento 5 Stelle nella commissione parlamentare Antimafia: “In base alle sue parole, Colosimo sembra volersi concentrare solo sull’uccisione di Paolo Borsellino e, non a caso, definisce ‘di mafia’ le stragi. Invece gli attentati del ‘92 in Sicilia e quelli continentali del ‘93 devono essere analizzati in modo unitario, hanno un’unica matrice terroristica eversiva, – scrivono i parlamentari del M5S -. Cosa Nostra non ha agito da sola. È proprio su questo aspetto che si deve indagare: ci sono elementi investigativi consolidati che mostrano come si concretizzò un progetto di destabilizzazione politica e istituzionale con un ruolo di primo piano dei servizi segreti deviati, della destra eversiva e della massoneria. In quel disegno la mafia era solo un tassello, convergente per interessi e deputata all’esecuzione materiale”.

Per i grillini “se invece in Commissione Antimafia si vogliono accreditare tesi interessate già smentite dalle indagini della magistratura o rivelatesi depistaggi, al pari della fasulla pista palestinese che altri esponenti di FdI vogliono ancora mettere in mezzo per la Strage di Bologna, per noi è inaccettabile e lo denunceremo in ogni sede. Quelle tesi le conosciamo bene, hanno dietro suggeritori interessati e non fanno altro che rialzare il polverone che tiene lontani dalla verità: escludono il coinvolgimento nella strage di via D’Amelio di apparati statali e riducono tutto a interessi economici su cui si sarebbero ritrovati Cosa Nostra e alcuni imprenditori. Questo non è quello che dicono i riscontri emersi in anni di lavoro della magistratura, in cui alla fatica delle indagini si sono aggiunti i mille ostacoli dei depistaggi”. Basta con l’antimafia show, dice la presidente della Commissione Colosimo. A noi sembra che lo show sia appena iniziato.

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A Bergamo FdI vuole celebrare il fascista Locatelli

Non va proprio giù a Fratelli d’Italia che il Comune di Bergamo non riconosca il valore storico e culturale di Antonio Locatelli, podestà fascista che per i consiglieri meloniani Ida Tentorio e Filippo Bianchi sarebbe “un aviatore, politico, amministratore e militare italiano che si fece conoscere in tutto il mondo, unico ad essere stato insignito per tre volte della medaglia d’oro al Valor Militare”.

Non va proprio giù a FdI che il Comune di Bergamo non riconosca il valore storico e culturale del podestà fascista Antonio Locatelli

Per Fratelli d’Italia Locatelli avrebbe dovuto addirittura essere uno dei protagonisti dell’anno in cui Bergamo è capitale della cultura. In occasione dell’anniversario della sua morte, lo scorso 27 giugno, i ragazzi di Gioventù Nazionale avevano lamentato la mancanza di eventi a lui dedicati.Tra le altre cose si chiedeva alla Giunta di includere degli approfondimenti storici sulla sua figura nel palinsesto della Capitale.

Così è toccato all’assessora alla Cultura Nadia Ghisalberti ricordare che Locatelli “ha sì combattuto ed è stato decorato nella Grande Guerra, ma che poi è diventato altro, simbolo di un fascismo che la nostra Costituzione ha per sempre rigettato”.

Nelle lettere alla madre il mito dei meloniani definiva “divertimento unico” sganciare bombe sugli etiopi

A tal proposito l’Istituto Bergamasco per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea a novembre dell’anno scorso ha proposto stralci di lettere inviate dall’aviatore alla madre durante la guerra d’Etiopia, che mostrerebbero un’assenza di empatia nei confronti della popolazione locale colpita dai bombardamenti. Sganciare bombe sui civili per l’aviatore fascista era “un divertimento unico”. Evidentemente per il partito di Giorgia Meloni è un esempio di cui andare fieri.

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Dossieraggi, l’inchiesta sulla Direzione nazionale antimafia si allarga

La Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone (nella foto) ha aperto un’indagine su presunti dossieraggi abusivi all’interno della Direzione nazionale antimafia. L’indagine è partita da un denuncia del ministro alla Difesa Guido Crosetto ma già nel 2020 sui quotidiani erano apparse notizie sospette di Sos, le Segnalazioni di operazioni sospette, i alcuni politici di primo livello tra cui Giuseppe Conte, Matteo Renzi, Rocco Casalino e Francesco Totti. Le Sos sono le transazioni anomale che le banche e gli operatori finanziari hanno il dovere di comunicare alla Unità di informazione finanziaria (Uif) di Banca d’Italia per approfondimenti, vengono trasmesse per legge sia alla Dna sia al Nucleo Valutario della Guardia di Finanza. Come erano arrivate ai giornali?

L’inchiesta sui dossieraggi alla Dna si allarga. Nel mirino degli accessi abusivi del finanziere indagato oltre Crosetto, anche Renzi, Conte e molti altri

Il caso esplode quando Crosetto, ministro della Difesa, presenta una querela alla procura di Roma. “A seguito della pubblicazione di miei dati personali e non pubblici, accessibili solo da parte di persone autorizzate, ho deciso di sporgere una querela alla procura di Roma per capire come fossero stati recuperati”, scrive Crosetto, in riferimento a un articolo del quotidiano Domani in cui si svela che il neo-ministro tra il 2018 e il 2021 ha percepito quasi due milioni di compensi da Leonardo, la società parastatale che si occupa di armamenti, grazie alla sua attività di consulente o intermediario attraverso le aziende di cui faceva parte prima di entrare al governo.

La pm Antonia Giammaria scopre che nei giorni precedenti alla pubblicazione degli articoli su Crosetto, un finanziere in servizio alla Dna aveva effettuato ricerche proprio sul ministro. Scattano le perquisizioni, il militare viene sentito dai magistrati e nega irregolarità, ammettendo di aver effettuato ricerche sul ministro ma sottolineando anche che le interrogazioni al sistema venivano effettuate abitualmente dal suo ufficio per motivi di servizio, all’epoca coordinato dal sostituto procuratore nazionale Antonio Laudati.

Cantone parla di indagine estesa Tutto è partito da una denuncia del ministro della Difesa Crosetto

Considerato il possibile coinvolgimento, pure come parti lese, di magistrati in servizio all’Antimafia e dunque a Roma, l’indagine è stata trasmessa da piazzale Clodio a Perugia, procura competente per le toghe capitoline. L’ufficio inquirente guidato da Cantone ha ricostruito i percorsi di trasmissione delle Sos, finite appunto al Valutario, alla Dna, alla Direzione investigativa antimafia e in alcuni casi anche ai Servizi. Nel frattempo il finanziere sotto inchiesta è stato trasferito in Abruzzo mentre in via Giulia il procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo ha già modificato le procedure: alla guida del Servizio segnalazioni di operazioni sospette adesso ci sono ben tre magistrati.

Mentre resta da capire chi sia il “mandante” delle eventuali ricerca illecite del maresciallo della Guardia di Finanza l’indagine dimostra chiaramente una cosa: la magistratura funziona e le leggi per difendere i cittadini (politici e non) dal dossieraggio funzionano. Una risposta chiara a chi presumibilmente tenterà di sventolare questa vicenda come ennesimo caso di “malagiustizia”, magari per alimentare la retorica del “siamo tutti ascoltati”. Un probabile servitore infedele dello Stato è stato allontanato ed è indagato, com’è normale che sia. Ora resta da vedere di chi fosse la “manina” dietro queste ricerche, a quale livello appartenga e a che interessi rispondesse. E questa forse è la parte più interessante della storia.

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Il “pull factor” non esiste. E adesso?

Il titolo dice tutto: “la ricerca nella rotta del Mediterraneo centrale non favorisce la migrazione”. In parole povere: il “pull factor non esiste”. Non è vero che la presenza di navi nel Mediterraneo induce i migranti a partire. Quindi non è vero il 90% della propaganda della destra di governo e dei per niente esperti che hanno scritto quintali di parole inutili in questi anni.

A dirlo è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Scientific Report, una delle prime cinque riviste più citate al mondo. La ricerca osserva come ne “le missioni di ricerca e soccorso non hanno prodotto una differenza discernibile tra il numero contro fattuale osservato e quello previsto di tentativi di attraversamento”. Lo studio dimostra come “il numero di attraversamenti di frontiera sembra essere guidato da alcuni cambiamenti nell’intensità dei conflitti, nei prezzi dei prodotti di base e delle materie prime e dei disastri naturali, nonché dalle condizioni meteorologiche, dagli scambi valutari e dal traffico aereo tra Nord Africa e Medio Oriente e l’Unione Europea”.

I ricercatori rilevano anche come la diminuzione delle partenze coincida “con le segnalazioni di un deterioramento della situazione dei diritti umani dei potenziali migranti in Libia, durante le intercettazioni e i rimpatri, nonché nei centri di detenzione”. L’unico modo funzionante per non permettere alle persone di sperare in una vita migliore è violentarli, schiavizzarli e talvolta ucciderli.

Ora che è certificato come le teorie di certa destra siano antiscientifiche oltre che razziste la questione è lapalissiana: chi è disposto a scavalcare i più elementari diritti umani per ottenere un beneficio politico? Perché è questo, nient’altro che questo.

Buon venerdì.

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Un governo rimandato a settembre

Quelli che erano pronti ieri hanno deciso ancora una volta di non decidere. La discussione sul Salario minimo si farà a settembre, molto più probabilmente a ottobre alla faccia di tre milioni e mezzo di lavoratori poveri che si sommano a quelli che il lavoro nemmeno ce l’hanno.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni nei giorni scorsi ha proposto un “dialogo” con le opposizioni. Del resto essere dialogante è da sempre la sua qualità universalmente riconosciuta. Per costruire il dialogo hanno pensato bene nel frattempo di proporre un emendamento che avrebbe mandato tutto all’aria. Sono fatti così dalle parti del governo, considerano le martellate una normale dialettica politica.

A settembre quindi a Giorgia Meloni, che vorrebbe apparire decisionista, tocca sbrogliare il nodo sul Fondo salva-Stati, altro tema su cui si è votato per votare dopo le vacanze. Intanto l’Italia è già l’unico Paese in Ue a non avere dato il via libera. Sul tavolo c’è anche il Mes, che comunque vada sarà un successo: che passi o no qualcuno nella maggioranza avrà detto una bugia. Un capolavoro.

Poi ci sarà anche la riforma sulla Giustizia, su cui Lega e FdI se le danno di santa ragione. E il decreto Calderoli sull’Autonomia differenziata, che Salvini vuole come scalpo da offrire agli elettori per le elezioni europee. Per ora l’unica grande “riforma” del governo è avere aumentato la povertà. Però a settembre potrebbero provare a convincerci che ormai “se ne parla dopo Natale, all’anno nuovo”. Finché dura. Buone vacanze, intanto.

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Transizione ecologica al palo. Ma Pichetto Fratin si lamenta se lo chiamano negazionista

Si sono asciugate le lacrime del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin. Ieri in audizione alla Commissione Ambiente alla Camera il ministro se la prende con chi sta facendo notare la ritrosia al limite del negazionismo della compagine di governo. Secondo il ministro “il governo è stato accusato ripetutamente in queste settimane di ‘negazionismo climatico’. C’è stato anche chi ha ipotizzato l’introduzione di una nuova fattispecie criminale: il reato di ‘negazionismo’ – dice Pichetto Fratin – Ed è stata anche la settimana in cui è venuta agli onori delle cronache una nuova patologia psicologica: la ‘ecoansia’. Una narrazione – scandisce il ministro – priva però di alcun aggancio con i fatti, con le azioni concrete, con i comportamenti che sin dal suo insediamento ha messo in atto, a partire dalla Cop di Sharm el-Sheikh dove la premier Giorgia Meloni, da poco insediata, ha ribadito solennemente che l’Italia avrebbe tenuto fede a tutti gli impegni sul clima assunti a livello internazionale”.

Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin piange con gli attivisti climatici. E poi si trasforma in petroliere con Eni

Subito dopo però è lo stesso ministro a chiarire che di non essere disposto a subire direttive e regolamenti che penalizzano l’Italia senza giovare all’ambiente, anzi in alcuni casi danneggiandolo e promette di difendere gli interessi nazionali, come fanno del resto a Bruxelles i rappresentanti di tutti i paesi della comunità. Insomma, il ministro afferma che faranno tutto il possibile per accelerare la transizione ecologica ma chiarisce di volerlo fare come piace a loro. Peccato che “loro” siano gli stessi che da più parti mettano in dubbio la responsabilità dell’uomo.

Tant’è che poche ore dopo nell’incontro tra il presidente della Fiaip, Gian Battista Baccarini, e il ministro si contesta l’attuale impostazione della direttiva energetica europea immobiliare che ad oggi, secondo la Fiap “prevede vincoli eccessivamente stringenti, tali da non consentirne l’applicabilità nel nostro Paese, vanificando gli obiettivi green e, soprattutto, tali da determinare un’inevitabile svalutazione del nostro patrimonio immobiliare a danno dei cittadini e dell’intera economia”. Per il Movimento 5 Stelle “il ministro Pichetto Fratin continua col suo piano di adattamento alle platee di fronte a cui deve parlare. Dopo essersi commosso dinanzi a dei giovani ambientalisti, dinanzi al Parlamento torna ai suoi soliti ‘slalom’ concettuali. Nicchia sulle ‘auto green’, fa il prestigiatore sui fondi del Pnrr destinati alla transizione ecologica, svia sul ciclo dei rifiuti, fa spallucce sulle rinnovabili e sull’efficientamento energetico degli edifici, non sa/non risponde sul Pniec.

Per il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli, Pichetto Fratin è “lo Zelig della politica italiana. Quando sta con gli attivisti climatici si commuove con loro, quando sta con Eni diventa petroliere e oggi ci ha raccontato che il governo Meloni è ambientalista. – dice Bonelli -. Peccato però che i fatti smentiscano le sue parole: Il Piano Clima (Pniec) non rispetta gli obiettivi climatici, trasformerà l’Italia in un Hub del gas e non raggiunge gli obiettivi sulla riduzione della Co2 della Ue. Quanto al piano di adattamento climatico, in realtà non è stato approvato ed è ancora fermo al ministero Ambiente”.

La realtà intanto bussa alla porta. Il pianeta Terra ha già esaurito il budget annuale di risorse naturali

La realtà intanto bussa alla porta. Ieri è stato l’Earth Overshoot Day 2023, il Giorno del Sovrasfruttamento della Terra calcolato ogni anno dal Global Footprint Network utilizzando i dati dei National Footprint e Biocapacity Accounts, che indica l’esaurimento ufficiale delle risorse rinnovabili che il Pianeta è in grado di offrire nell’arco di un anno. Ieri l’umanità ha già “finito” tutte le risorse che la Natura produce in un intero anno e inizia ad andare a debito. L’umanità, con i suoi oltre 8 miliardi di abitanti, consuma in quantità eccessive, oltre le capacità di rigenerazione (e riassorbimento) naturali del Pianeta.

Nel 1973 l’Overshoot day cadeva il 3 dicembre: sforavamo di pochi giorni il nostro budget annuale. Nel 2003, il 12 settembre, nel 2013 il 3 agosto. La data è sempre andata anticipandosi e il nostro il nostro debito ecologico è cresciuto. Secondo il WWF la giornata arriva in un’estate di fuoco, “dove le conseguenze della crisi climatica stanno flagellando sempre di più il nostro Pianeta, dal Nord America al Mediterraneo”. Il persistente superamento porta a effetti sempre più evidenti, tra cui ondate di calore, incendi boschivi, siccità e inondazioni.

Secondo l’ultima analisi del World Weather Attribution, infatti, le ondate di calore che nelle ultime settimane hanno attraversato l’Europa e gli Stati Uniti sarebbero state “virtualmente impossibili” senza il cambiamento climatico generato dall’uomo e se il mondo non smetterà rapidamente di bruciare combustibili fossili, di deforestare, questi eventi diventeranno ancora più comuni e il mondo sperimenterà ondate di calore ancora più calde e di lunga durata. A livello globale stiamo consumando l’equivalente di 1,7 Pianeti all’anno, cifra inquietante che dovrebbe salire fino a due pianeti entro il 2030, in base alle tendenze attuali.

Secondo il Wwf esistono molte soluzioni che possono essere adottate a livello di comunità o individualmente per avere un impatto significativo sul tipo di futuro in cui investiamo: per esempio se usassimo energia proveniente per 75% da fonti rinnovabili potremmo spostare l’Overshhot day di 26 giorni; dimezzare lo spreco alimentare farebbe guadagnare 13 giorni. Bisogna solo convincere il ministro Gilberto Pichetto Fratin.

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