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Strage nera di Bologna. Meloni se la batte e diserta le celebrazioni

Niente, non ce la fanno. Nemmeno nel giorno della commemorazione, nella punta del dolore e del ricordo per l’orrenda strage alla stazione di Bologna del 2 agosto di 43 anni fa, Giorgia Meloni e i suoi non riescono a chiamarla strage neofascista. Alla presidente del Consiglio tutto ciò che ha a che vedere con il fascismo rimane bloccato in gola, anche se si tratta di atti vili e orrendi che hanno colpito persone innocenti. Meloni decide di non presenziare alla commemorazione bolognese. Un’assenza che si aggiunge a quella nel giorno della commemorazione della morte del magistrato Paolo Borsellino e al mancato omaggio alle vittime della strage di Cutro. La “presidente del popolo” ogni volta che annusa il rischio di stare in mezzo al popolo preferisce ripiegare su altri impegni.

Meloni in fuga come per Borsellino. Pur di non citare la matrice neofascista il premier diserta le commemorazioni per la strage di Bologna

Nella nota di Palazzo Chigi la presidente parla genericamente di “terrorismo”, come se non ci fossero sentenza definitive che a quel terrorismo hanno dato un nome, un cognome e una chiara matrice politica: “Giungere alla verità sulle stragi che hanno segnato l’Italia nel Dopoguerra passa anche dal mettere a disposizione della ricerca storica il più ampio patrimonio documentale e informativo”, scrive Giorgia Meloni. Il primo passo forse sarebbe farsi carico delle verità già accertate. Sarebbe un buon inizio.

Così ieri è risultato perfino più lucido il presidente del Senato Ignazio La Russa che nell’Aula di Palazzo Madama ha ricordato la “definitiva verità giudiziaria che ha attribuito alla matrice neofascista la responsabilità di questa strage”. Il collega della Camera Lorenzo Fontana ha dichiarato: “Quella strage, che sentenze definitive hanno stabilito essere stata di matrice neofascista, rappresenta una delle pagine più buie e dolorose della nostra storia repubblicana”. Anche il suo Guardasigilli, il ministro Carlo Nordio, ha riconosciuto come “in sede giudiziaria è stata accertata la matrice neofascista della strage“, trovando la forza di pronunciare la parola “proibita”.

Molto meloniano è stato invece il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, spedito a Bologna per supplire all’assenza della presidente del Consiglio. Piantedosi durante la cerimonia di commemorazione vagheggia di un “attentato terroristico” dimenticandosene il colore. Come se gli ex Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini (condannati in via definitiva) non fossero accomunati da un filo nero.

Perfino La Russa e Nordio hanno fatto meglio della premier. Mentre il Colle ricorda le responsabilità dei Nar sulla bomba

A frenare l’irresistibile voglia di revisionismo dalle parti del governo è stato il Capo dello Stato Sergio Mattarella che per fortuna le parole le sa usare tutte: “La matrice neofascista è stata accertata nei processi e sono venute alla luce coperture e ignobili depistaggi, cui hanno partecipato associazioni segrete e agenti infedeli di apparati dello Stato”, dice il Presidente delle Repubblica. E aggiunge: “L’Italia ha saputo respingere gli eversori assassini, i loro complici, i cinici registi occulti che coltivavano il disegno di far crescere tensione e paura. È servita la mobilitazione dell’opinione pubblica. È servito l’impegno delle istituzioni”.

Contro ogni revisionismo, si è espressa l’Anpi. “La magistratura”, ha dichiarato il presidente Gianfranco Pagliarulo, “ha accertato le responsabilità dei neofascisti e l’intreccio di poteri occulti dietro quella strage. Eppure sono ancora in corso, in particolare da parte di dirigenti di Fratelli d’Italia, tentativi di negazionismo e più in generale manovre per riscrivere la storia del decennio delle stragi nere. Negli anni scorsi Giorgia Meloni ha più volte messo in discussione le verità accertate dalla magistratura. Oggi è presidente del Consiglio. La sua ambiguità non è più tollerabile”. L’altolà al revisionismo è arrivato anche da Pd, Avs e M5S.

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Dillo alla mamma, dillo all’avvocato

Fa molto ridere e fa molto preoccupare la querela che Giorgia Meloni ha deciso di presentare nei confronti di Brian Molko, cantante del gruppo britannico Placebo che l’11 luglio scorso dal palco dello Stupinigi Sonic Park a Nichelino (Torino) ha definito “fascista”, “razzista” e un altro paio di improperi la presidente del Consiglio.

Fa sorridere perché Meloni si racconta come maledettamente impegnata quando c’è da fare visita ai migranti morti (o ammazzati?) nel naufragio di Cutro e poi trova il tempo di occuparsi di un concerto, parlare con gli avvocati e firmare una querela. L’idea che non vi fossero altre priorità in un Paese che perde miliardi del Pnrr, che affoga nel cambiamento climatico, che ha la sanità pubblica in demolizione, che da due giorni a mezzo milioni di poveri in più smaschera l’ipocrisia della propaganda. Fa sorridere anche che “l’underdog” Meloni (come ama definirsi) cerchi la rivincita con una band internazionale da 13 milioni di dischi. Finisce sempre così, sognavano tutti di diventare delle rockstar.

Fa molto preoccupare invece che una presidente del Consiglio non sappia distinguere la politica dal mondo che le si muove intorno, credendo di essere “capa” a tutti gli effetti in tutti gli ambiti. Chiunque abbia un briciolo di rilevanza pubblica (perfino coloro che scrivono sul giornale della scuola) sanno benissimo che potrebbero pescare diffamazioni a piene mani dappertutto. L’aspra critica politica al limite della legge tra l’altro è un tratto caratteristico di gran parte dei fan di Giorgia Meloni e della brigata di destra che sta al governo. Ma fa molto preoccupare anche il fatto che Giorgia Meloni insista nell’entrare a piedi uniti nello spettacolo e nella cultura. Come scrive lo scrittore Francesco Pecoraro “Meloni sa che il primo dato strutturale del contemporaneo è la cultura. Se le riesce di sostituire i paradigmi correnti, tutto il resto, cioè la società fascista, verrà da sé. I suoi servi sono già pronti. Altri ne stanno già accorrendo”.

Buon giovedì.

In foto Brian Molko e i Placebo, foto di Alessandro Caniglia, fonte Wikipedia

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Cari politici tornate sulla Terra

Ieri la ministra al Lavoro Marina Calderone, che ultimamente era sparita dai radar rinchiusa in un insolito silenzio, ha spiegato alla Camera che non c’è “nessuna situazione di incertezza o di abbandono dei nuclei familiari e delle persone che percepivano il reddito di Cittadinanza”. Ha promesso che gli attivabili al lavoro avranno il beneficio Sfl (350 euro al mese) dal primo settembre con cui “nessuno verrà lasciato indietro”.

Improvvisamente sono scomparsi i “furbetti” e le è toccato parlare dei poveri. Immancabile l’attacco alle opposizioni: “sapevate che il Reddito di cittadinanza sarebbe stato eliminato”, dicono dal governo. La domanda andrebbe rivolta a loro: com’è possibile togliere una misura di lotta alla povertà senza organizzarsi per tempo?

Mentre i Servizi sociali sono presi d’assalto da gente che non sa come mangiare in Parlamento si è discusso del “decoro” della Camera confrontandosi su carpe e cravatte. Sul serio. Nella stessa seduta, mentre fuori sale la rabbia, il dem Fassino ci ha tenuto a specificare che gli stipendi dei parlamentari non sono “d’oro”. Secondo lui 4317 euro netti (dimenticandosi i benefit che lo fanno arrivare arrivare a 13mila) sono uno stipendio medio, evidentemente.

Nel frattempo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, muta sul resto, ha trovato il tempo di querelare il cantante del gruppo musicale britannico Placebo, Brian Molko, (13 milioni di dischi venduti) per averla offesa durante un concerto. Un consiglio non richiesto ai nostri politici: tornate velocemente sulla terra.

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Da Fratelli d’Italia revisionismo pure sulla mafia

Un episodio locale che indica un malessere nazionale. Mercoledì 26 luglio la consigliera comunale di Macerata di Fratelli d’Italia, Lorella Benedetti, ha voluto spiegare in aula il suo sostegno alla proposta del gruppo locale di Forza Italia di intitolare una via a Silvio Berlusconi. Tra i piedi aveva, inevitabilmente, i trascorsi del fedele braccio destro del Cav, Marcello Dell’Utri, e quella pesante condanna per mafia in via definitiva.

Così Benedetti si è lanciata in uno spericolato esercizio di revisionismo mafioso: “Berlusconi? Può aver avuto contatti con la mafia all’epoca in cui in Sicilia si facevano saltare i ripetitori Mediaset. La mafia voleva essere pagata per non farli saltare e forse avrà utilizzato Dell’Utri il quale, da buon siciliano, sapeva a chi rivolgersi per trattare. Se questo si considera reato allora sarebbero dovuti essere rinviati a giudizio un bel po’ di imprenditori italiani, perché tutti sanno che, per quieto vivere, si deve arrivare a compromessi per poter operare in Sicilia”.

Una consigliera comunale di Macerata assolve Dell’Utri. “In Sicilia rapporti di quieto vivere tra imprese e clan”

L’uscita è indicativa. C’è dentro la mafia come intoppo necessario per raggiungere le più alte posizioni imprenditoriali e di potere. È il “male necessario” di andreottiana memoria che prepotentemente ritorna. C’è un po’ di sano e ignorante razzismo secondo cui i “compromessi” con la mafia sono necessari nel Sud, perdendosi gli ultimi 15 anni di inchieste che hanno inchiodato il Nord italia “colonizzato” (secondo la Dia) dalla ‘Ndrangheta.

La consigliera si è scordata anche un po’ di storia locale, con affiliati alla ‘Ndrangheta in quattro provincie nella sua regione e una presenza mafiosa che risale almeno fino al 1991 con la morte di Antonio Domenico Cataldi, il primo vero boss della criminalità organizzata operante nel territorio marchigiano nei segmenti di mercato illegale più redditizi: droga, prostituzione nei locali notturni, rapine per autofinanziamento, bische e racket. Non è un caso isolato.

Il revisionismo degli ultimi 30 anni di mafia e di antimafia diventa ogni giorno di più il tratto distintivo di questo governo che riesce a fare poco più delle abituali commemorazioni di Borsellino e (molto meno) di Falcone. L’antimafia è finita sotto attacco con le lungaggini di insediamento di una Commissione parlamentare che è sembrata fin da subito un peso, con la meloniana Colosimo insediata tra le proteste dei familiari delle vittime in evidente ritardo.

Poi c’è stato l’attacco all’abuso d’ufficio (spesso reato spia di altri reati ben più gravi di criminalità organizzata) e al concorso esterno che per qualche giorno è diventato argomento di discussione generale come un Cosentino o un Dell’Utri non avrebbe mai potuto sperare nei loro sogni più ottimisti. Poi Salvini ha attaccato don Luigi Ciotti, simbolo dell’antimafia di questo Paese che da anni con Libera prova a stare sul tema.

L’ultimo colpo sono i trecento milioni del Pnrr destinati al riuso e alla valorizzazione dei beni confiscati che sono “spariti” dalla revisione del governo. La notizia è ancora più grave perché molti bandi di quei 300 milioni (che sarebbero stati la cifra più alta mai dedicata ai beni sottratti alla mafia) sono già stati chiusi dai comuni che ora si ritrovano in seria difficoltà. È una pericolosa deriva continua. La meloniana Benedetti è l’ennesimo caso, sicuramente non l’ultimo.

Leggi anche: Strage di Bologna, così le destre vogliono riscrivere la storia. Il nodo della Commissione d’inchiesta. Opposizioni sul piede di guerra

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Altro che vera opposizione. Renzi è la stampella delle destre

Conviene mettere i puntini sui puntini sulle i di Matteo Renzi. Non è tanto per il peso politico – pressoché nullo – del suo partito che galleggia tra le macerie del Terzo polo ma perché un Matteo Renzi che convoca una conferenza stampa in Senato per dichiarare di essere “l’unica vera forza di opposizione” è uno spettacolo che merita di non rimanere impunito.

Il leader di Italia Viva si inventa un ritrovo con i giornalisti a poche ore dalla polemica che ha investito il suo partito personale per l’allegra cena al Twiga con Daniela Santanchè di Boschi, Bonifazi e Nobili. Renzi non elude il punto ma come al solito finge. Simula serenità, nonostante abbia fatto il tavolo a quattro con i suoi parlamentari nelle private stanze: “A me non interessa dove va a cena Bonifazi – dice Renzi – come non mi interessa dove va a cena Richetti”.

Il leader di Iv Matteo Renzi ripropina l’elezione diretta del premier. Dopo la cena dei suoi al Twiga con la Santanchè

Il nome di Richetti non è un caso: Renzi velenosamente fa riferimento all’accusa di molestie nei confronti del deputato calendiano. È il solito Renzi, vendicativo e pronto a mischiare personale e politico pur di cavare un ragno dal buco. Dice il leader di Italia Viva: “Mi interessa che quando vanno in aula portino avanti gli interessi degli italiani. Immaginare di imbastire una polemica sulle cene, è la stagione del grillismo di prima maniera. Parafrasando Pasolini si potrebbe dire ‘il grillismo degli anti-grillini’. Spero che la prossima volta – aggiunge – le sentenze della Corte Costituzionale abbiano lo stesso spazio delle cene di Bonifazi”.

Peccato che il senatore fiorentino sia talmente sbadato da non aver colto che è proprio l’atteggiamento dei suoi in Aula (prima della cena elegante con la ministra) ad avere acceso la polemica. La motivazione ufficiale della conferenza stampa è una nuova idea vecchia come Renzi. Il padrone di Italia Viva rispolvera il “sindaco d’Italia” incalzando Giorgia Meloni sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio: “Meloni non ha avuto la forza di fare.

Chiacchiera, chiacchiera, ha un grande consenso ma fa melina”, insiste il leader di Italia Viva presentando una proposta che, sottolinea, “sulla carta ha la maggioranza”. E non manca, ovviamente, la stoccata all’ex amico Carlo Calenda: “Ricordo anche che era nel programma del terzo polo”, aggiunge Renzi. Noi ci permettiamo di ricordargli che il cosiddetto Terzo polo è finito nel bidone dell’umido.

Su Salario minimo, Fisco e Giustizia l’ex premier ha votato con la maggioranza. Ma ora si traveste da anti-Meloni

A Calenda, Renzi dedica diversi attacchi nonostante gigioneggi dicendo che “su cosa pensa Calenda è giusto chiedere a Calenda, anche se lui spesso si esercita a dire quello che penso io” Sull’elezione diretta del premier è nel programma, poi si può cambiare idea. Sulla commissione Covid Azione ha votato a favore, poi non siamo una caserma si può anche votare no”, ha detto il senatore di Italia Viva.

Divisioni in vista anche sulla candidatura di Marco Cappato nelle elezioni suppletive nel seggio lasciato libero da Silvio Berlusconi: “La candidatura per il collegio Monza-Brianza la decideremo a settembre. Marco Cappato è capace di grandi battaglie, non sempre le condivido, dobbiamo però capire se l’obiettivo è vincere o partecipare. Se è partecipare Cappato ha un grande capacità, se l’obiettivo è vincere non lo so. Dovete chiedere al Pd. Noi decideremo negli organi all’inizio di settembre ascoltando il territorio”, ha detto Renzi.

La chiusura da brividi è il leader di Italia Viva che dichiara: “Siamo gli unici che fanno una opposizione seria e non ideologica, che non portano le badierine in piazza, ma le nostre proposte di legge”. Su Giustizia, fisco e salario minimo Renzi è in maggioranza da un bel pezzo. Lo sanno quasi tutti, manca solo lui.

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La strage di Bologna e il treno palestinese

Quarantatré anni fa nella stazione di Bologna dei fascisti provocavano il più grave attentato nella storia d’Italia dopo la guerra. Come esecutori materiali sono stati individuati dalla magistratura alcuni militanti di estrema destra, appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari, tra cui inizialmente Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Nel 2020 l’inchiesta della Procura generale di Bologna ha concluso che Paolo Bellini (ex Avanguardia nazionale), esecutore insieme agli ex Nar già condannati in precedenza, avrebbe agito in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, individuati quali mandanti, finanziatori o organizzatori.

Quarantatré anni dopo a Lonate Pozzolo, Comune lombardo su cui sorge l’aeroporto di Malpensa, il leghista Armando Mantovani durante una seduta del Consiglio comunale ci dice che è tutto falso. La strage di Bologna, secondo Mantovani, sarebbe stata provocata da un “vagone palestinese fatto esplodere apposta a Bologna”. Quando i suoi colleghi consiglieri gli fanno notare che ci sono le sentenze lui replica: “Se leggete solo una certa propaganda (le sentenze di tribunale), infatti però il treno era quello dei palestinesi”. E poi insiste: “Macché storia ragazzi, non sapete ancora perché hanno tirato giù Ustica e mi venite a parlare di Bologna”.

Armando Mantovani non è un mezzo matto eletto per caso. Mantovani è il segretario della Lega di Salvini a Lonate Pozzolo, quasi 12mila abitanti per 30 km quadrati. Qui siamo oltre al negazionismo del suo segretario e ministro Salvini che impartisce ridicole lezioni di clima: qui siamo al revisionismo storico per salvare i fascisti, i neofascisti, i quasi fascisti. Nel giorno della commemorazione un dirigente politico (eh, sì) decide di sputare sulle vittime per concimare il suo elettorato. La morale della storia non ha nemmeno bisogno di essere scritta.

Buon mercoledì.

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Buio Fitto e altre bugie sul Pnrr

Ieri mattina il ministro degli Affari europei e per la revisione del Pnrr Raffaele Fitto si è presentato in Parlamento con una versione davvero difficile da credere sui 16 miliardi di euro persi dalla terza rata. Le opposizioni hanno fatto notare che perdere 16 miliardi su progetti così importanti (rischio alluvione, beni confiscati, medicina territoriale e molti altri) sia un delitto, risultato dell’inettitudine del governo che si diceva “pronto” e invece per ora è riuscito solo a essere “prono”.

Il ministro Fitto se l’è presa (questi sono dei veri talenti del vittimismo, del resto) e ha risposto che le nove misure “non saranno oggetto di definanziamento”, anzi “andranno avanti regolarmente”. Un po’ come se fosse Antani, con scappellamento a destra.

A smentirlo poche ore dopo è arrivato il Servizio studi del Parlamento che nella sua relazione sul monitoraggio dell’attuazione del Pnrr fa a pezzi la ricostruzione di Fitto fornita nell’Aula della Camera. “Si sottolinea – scrive il Servizio studi – come il Rapporto” del governo “non specifichi quali saranno gli strumenti e le modalità attraverso i quali sarà mutata la fonte di finanziamento delle risorse definanziate dal Pnrr”.

Si può scrivere quindi senza ombra di dubbio che un ministro dello Stato abbia mentito – ancora – al Parlamento per di più in modo fesso, sperando che i numeri alla fine rimanessero nel cassetto delle opinioni. Ora non gli resta che “definanzare” il Servizio studi del Parlamento.

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Sondaggio La7, la battaglia su Salario minimo e Reddito di cittadinanza trascina il Pd a crescere più di tutti

Il “fallimento Schlein” invocato dai nemici dentro e fuori il Pd continua a crescere. La battaglia sul salario minimo e sul reddito di cittadinanza trascina il Partito Democratico a crescere più di tutti. Lo certifica il sondaggio di questa settimana di Swg per il tg La7, secondo cui i dem negli ultimi sette giorni hanno conquistato lo 0,4 per cento in più, passando dal 19,6 per cento al 20. A crescere più di Fratelli d’Italia è anche il Movimento 5 Stelle che con lo 0,3 per cento in più raggiunge il 16,3.

Secondo il sondaggio di questa settimana di Swg per il tg La7, il Pd negli ultimi sette giorni ha conquistato lo 0,4 per cento in più

Nel centrodestra, Forza Italia è l’unico partito della maggioranza a non guadagnare punti percentuali e resta ancorata al 7,2 per cento, mentre il negazionismo climatico non porta fortuna a Salvini che porta la Lega al 9,7 con appena lo 0,1% in più. Aria pesante tra le macerie del cosiddetto Terzo polo dove i litigi tra Matteo Renzi e Carlo Calenda, sommati alle cene al Twiga dopo avere salvato la ministra Santanchè e ai voti in soccorso della maggioranza non sembrano funzionare.

Se si andasse alle urne ora, infatti, Italia viva incasserebbe il 2,5 per cento, facendo registrare lo 0,2 in meno rispetto a sette giorni fa. Stessa sorte per Azione, che scende dal 3,6 al 3,4%. Entrambi hanno bisogno di fingere di andare d’accordo per puntare alla sopravvivenza elettorale. Perde lo 0,1 + Europa e Alleanza verdi e sinistra si ferma al 3 per cento con lo 0,2 in meno della scorsa settimana. Tra gli altri partiti stabili +Europa e Unione Popolare.

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Li vogliono poveri e zitti. Chi osa protestare è un agitatore di piazza

La strategia la indicano fin dalla mattina ed è sempre la stessa: vittimismo, in questo caso addirittura anticipato. “È evidente che sull’abolizione del Reddito di cittadinanza c’è chi, come Giuseppe Conte, Elly Schlein e la Cgil, soffia sul fuoco, sperando forse di ottenere un’estate torrida dal punto di vista politico”, spiega il capogruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti (nella foto) in un’intervista a Il Messaggero.

Foti e Ciriani avvertono il Centrosinistra e accusano: “Conte e Schlein soffiano sul fuoco”

È invece su La Stampa l’intervista del ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani: “È pericoloso agitare la piazza. – dice -. I Cinque stelle hanno creato un’enorme leva elettorale, assegni vitalizi per ottenere voti. Un sistema viziato alla base. E se qualcuno lo difende evocando la piazza si comporta in maniera irresponsabile”.

Possiamo immaginare gli editoriale di Feltri, Belpietro o Sallusti se nei prossimi giorni ci sarà un incidente qualsiasi, fosse anche un vaso di fiori spostato durante una manifestazione: “Ecco i mandanti morali del caos”, titoleranno. Il contenuto degli editoriali e delle dichiarazioni politiche è talmente scontato che non vale la pena nemmeno sprecare qualche riga. Il comandamento del Governo è di “tirare dritto”, disinteressandosi delle macerie e delle persone schiacciate dalla furia di propaganda.

Qui non si tratta solo della cancellazione di un sussidio che getta migliaia di italiani nella disperazione. La battaglia contro il Reddito di cittadinanza sulla pelle dei poveri è una prova di forza – l’ennesima – per dare ai propri elettori la soddisfazione della vendetta, mica del governo. Di “macelleria sociale” parla il deputato del Movimento 5 Stelle Sergio Costa: “Quanto sta accadendo in questi giorni in Italia non è degno di un Paese civile. Chi ha perso il reddito di cittadinanza è abbandonato a se stesso, alle sue difficoltà. Non è l’Italia che i nostri padri hanno contribuito a costruire”, spiega.

Ma la povertà non è una preoccupazione solo del M5S, nonostante a qualcuno faccia comodo raccontarla così. Il segretario dei Radicali Massimiliano Iervolino spiega che “il Governo Meloni conferma la volontà di perseguire una politica punitiva nei confronti di soggetti deboli e in condizioni di disagio, voltando le spalle ai principi dell’universalismo selettivo e del reddito minimo, applicati in quasi tutta Europa, riducendo la platea degli aventi diritto e rendendo inaccessibile l’Adi per molte persone e famiglie in condizioni di effettivo bisogno”.

Riccardo Magi di +Europa parla di “brutalità gratuita”, il capogruppo del Pd in commissione Lavoro alla Camera, Arturo Scotto parla di “una destra docile con chi sfrutta, ammiccante con chi evade, feroce con chi non ha nulla”. Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Associazione dei Comuni è allarmato perché, dice, “erano anni che non vedevo la gente sotto gli uffici del Comune” e parla di un “errore nella forma e nella sostanza”.

Dure le opposizioni. Quanto sta accadendo sul Reddito di cittadinanza è indegno di un Paese civile

A proposito di forma ieri la Cgil Abruzzo Molise ha comunicato che l’sms di governo che annunciava la cancellazione del Reddito di cittadinanza è arrivato a 9.795 persone (5.204 i nuclei familiari) molisani generando “disperazione e sconforto tra chi già quotidianamente deve fare i conti con la povertà e tutto quello che questo comporta”. Sempre la Cgil avvisa che “in Puglia il 27,5% delle famiglie vive condizioni di povertà relativa”. Ci penseranno i Comuni, dicono dal Governo.

Gli assistenti sociali di Campania e Toscana ieri hanno chiesto un intervento urgente almeno alle Regioni: manca il personale, mancano le informazioni, manca tutto. Non sarà un autunno caldo perché la temperatura sociale è alta già ora, qui. Non basterà la campagna di comunicazione avviata in ritardo dall’Inps. Non basta la retorica sui fannulloni ripetuta a pappagallo da Salvini. Non basterà, come scrive in una nota il Segretario di Presidenza alla Camera e deputato di Fratelli d’Italia, Riccardo Zucconi, dire “di non voler prendere lezioni dall’opposizione”. La povertà, quando stringe, se ne frega della dialettica politica.

 

Leggi anche: “Dal governo attacco agli ultimi. Per vendicarsi dei 5 Stelle”. Il sociologo De Masi: delinquenziali le critiche a Tridico. “Ai tempi del Covid ha gestito l’Inps eroicamente”

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Come va in Emilia Romagna dopo l’alluvione? Zero

I fondi stanziati col decreto del 6 luglio “sono insufficienti quelli per la ricostruzione pubblica, assenti quelli per i privati. Ad oggi, dopo quasi tre mesi, i cittadini hanno ricevuto solo i primi 3 mila euro che come Regione, insieme alla Protezione civile nazionale, abbiamo stanziato con procedure spedite. Ma è un contributo di primo sostegno”. L’ha detto Stefano Bonaccini, presidente di quell’Emilia Romagna travolta dagli alluvioni e dimenticata per convenienza elettorale.

Alle imprese non è arrivato “nulla, e non sanno ancora come verificare e periziare i danni. Comuni, Province, Consorzi di Bonifica e Agenzia regionale di protezione civile non vedono un euro da settimane. Il governo ha sottovalutato un punto che pure avevamo evidenziato in modo ossessivo fin dal primo giorno: il fattore decisivo è il tempo, perché i lavori per mettere in sicurezza fiumi e frane e ripristinare le strade vanno fatti in estate”. Col governo “non c’è il raccordo che auspicavamo”. Al contrario, “il raccordo con la struttura del Commissario Figliuolo è pressoché quotidiano. Ma con poche risorse e procedure non definite o sbagliate anche il Commissario non può fare miracoli”.

Quello zero alle imprese che dovrebbero (e vorrebbero ripartire) può avere solo due significati. O è una scelta deliberata – e quindi questo è un governo che boicotta le Regioni in mano al centrosinistra per concimare le elezioni successive – oppure è un governo assolutamente incapace di mettere i cittadini e le imprese in condizione di poter ripartire. In Emilia Romagna siamo ancora all’anno zero. Con la solidarietà non si ricostruiscono le strade e le case. Entrambe le ipotesi sono spaventose.

Buon martedì.

Nella foto: il Ponte della Motta sull’Idice crollato

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