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Puf! “Il grande piano di prevenzione idrogeologico” promesso non c’è già più

26 luglio, tarda sera. Lancio di agenzia. Giorgia Meloni annuncia «l’obiettivo di medio termine che il Governo si dà è quello di superare la logica degli interventi frammentati varando un grande piano di prevenzione idrogeologico». «Non abbiamo tutti i mezzi necessari – diceva Meloni -. Nei mesi scorsi il Governo ha già incrementato le assunzioni tra chi è chiamato a soccorrere e sin dalla prossima legge di bilancio intendiamo aumentare le spese per la manutenzione di veicoli ed aerei. Ma i continui disastri a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi – ha sottolineato – dimostrano che le emergenze saranno sempre più presenti e questo significa che dobbiamo certo lavorare transizione ecologica, ma che dobbiamo anche fare quello che non si è avuto il coraggio di fare nel passato, cioè lavorare per mettere in sicurezza il territorio». Dicevano i bene informati che il Piano potrebbe vedere la luce nella prima metà del 2024 e ci stanno già lavorando i tecnici della cabina di regia sul dissesto.

27 luglio, pomeriggio. Il ministro Raffaele Fitto ha presentato in conferenza stampa il piano di modifica del Piano di ripresa e resilienza. La decisione principale presa dalla cabina di regia è stata quella di eliminare alcuni progetti dal Pnrr. Tra le iniziative cancellate ci sono le «misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico», per un valore pari a 1 miliardo 287 milioni e 100mila euro non sarà più ricompreso nel Pnrr. Oltre a questo, è stato eliminata la misura denominata «interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica», per la quale erano stati previsti 6 miliardi di euro.

Non si tratta di un cortocircuito. Ciò che ha annunciato il ministro Fitto in conferenza stampa è stato ovviamente condiviso con la presidente del Consiglio. Mentre Giorgia Meloni annunciava un «grande piano» in tasca aveva già la cancellazione dell’altro piano dal Pnrr. Non è malafede. È ipocrisia calcolata prevedendo che si possa governarne l’effetto. Un governo che pronuncia una promessa che sa di avere già tradita. Siamo qui.

Buon venerdì.

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Altro che riscaldamento. È l’ebollizione globale

Non si offenderanno il compagno del presidente del Consiglio, i giornalisti che gridano al complotto, gli altri giornalisti che invitano all’adattamento, i politici che ancora confondono clima e meteo e tutto il resto della masnada che si sta agitando in questi giorni se riporto le parole del Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, dopo la pubblicazione del report Copernicus Climate Change Service secondo cui luglio 2023 sarà il mese più torrido di sempre.

L’Onu certifica che il clima è cambiato. Solo i cretini sono sempre gli stessi

Temperature che – si legge nel rapporto – sono correlate all’ondata di caldo che ha colpito gran parte del Nord America, dell’Asia e dell’Europa scatenando incendi devastanti dal Canada alla Grecia. Un fenomeno che – si legge ancora – ha avuto un impatto importante sulla salute delle persone, sull’ambiente e sull’economia. Il precedente mese più caldo mai registrato era stato luglio 2019.

Il picco si è toccato il 6 luglio quando la temperatura media giornaliera dell’aria ha superato il record stabilito nell’agosto 2016 diventando così il giorno più caldo mai registrato. “A meno di una mini-era glaciale nei prossimi giorni, il luglio 2023 frantumerà i record su tutta la linea”, dichiara Guterres.

“Per l’intero pianeta, è un disastro. E per gli scienziati è inequivocabile: la colpa è degli esseri umani”. Un andamento che – a dire del Segretario generale delle Nazioni Unite – è “coerente” con le previsioni e gli avvertimenti che vanno avanti da anni- “L’unica sorpresa – dice ancora – è la velocità del cambiamento”. L’era del riscaldamento globale è finita – dice l’Onu -. Ora è l’era dell’ebollizione globale”. Solo i cretini restano gli stessi.

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Meloni paga dazio a Washington

Il bagaglio con cui Giorgia Meloni è volata alla Casa Bianca per incontrare il presidente Usa Joe Biden racconta perfettamente l’isolamento internazionale dell’Italia, al di là dei vagiti trionfanti di certi giornali e delle azzardate dichiarazioni dei membri del governo.

È un bagaglio pesante, questo è sicuro, perché dentro c’è il rapporto del Fondo Monetario Internazionale che boccia il governo italiano. Flat tax, aumento del limite all’uso dei contanti ma anche superbonus, le critiche del rapporto del Fmi del 26 luglio scandagliano punto per punto lo scenario economico del Paese, soffermandosi tra le altre cose sul fronte delle misure fiscali e in materia di lavoro e previdenza.

Biden pretende il nostro recesso dalla Via della Seta. In cambio di un vago aiuto per fermare gli sbarchi

Le osservazioni fornite dagli economisti del Fondo Monetario Internazionale si inseriscono nella discussione sulle misure della riforma fiscale che, tra le novità, prevede il passaggio graduale ad una flat tax per tutti. Per il Fmi si tratta però di una misura costosa e rischiosa sul fronte della progressività del sistema. Critiche anche le osservazioni sulle sanatorie fiscali (proprio ieri, peraltro, il governo ha anche rivisto al ribasso anche le stime del recupero dell’evasione fiscale: le imprese sono in crisi di liquidità e verseranno meno), sull’aumento del limite all’uso dei contanti e sul superbonus del 110 per cento, ritenuto inefficace.

Intanto il Fondo monetario legato a Washington bastona il governo su condoni ed evasione fiscale

In un Paese in cui l’evasione del’Iva è pari al 20,8% del debito complessivo, con una media europea del 9,1%, con un gettito che è pari l 45% del Pil per 125 miliardi di euro e con un cuneo fiscale del 45% (valore che scoraggia l’offerta di lavoro) il Fisco italiano continua a presentare evidenti problemi – secondo il Fmi – nonostante i passati incentivi per i pagamenti elettronici e la recente introduzione della fatturazione elettronica. Il Fondo monetario internazionale punta il dito sugli interventi introdotti che potrebbero contribuire a indebolire ulteriormente la disciplina fiscale italiana e, tra questi, vengono menzionati l’incremento al limite per l’uso dei contanti, portato a 5.000 euro dalla Legge di Bilancio 2023, e le sanatorie fiscali previste nell’ambito dell’ampio progetto della tregua fiscale.

L’obiettivo di rafforzare le politiche antievasione previsto dal Pnrr sembra ben lontano, secondo il rapporto. Il Fondo Monetario Internazionale, vale la pena ricordarlo, è il braccio economico degli Usa. “Il sistema fiscale italiano è caratterizzato dalla dipendenza da aliquote elevate per generare entrate con un base imponibile ristretta. Le entrate italiane sono fra le più alte rispetto al pil attestandosi al 45% (dietro a Danimarca, Francia e Austria nel 2021)”, afferma il Fondo secondo il quale il cuneo fiscale sul lavoro è “molto alto”.Difficile credere che Biden non abbia tenuto conto dell’identikit economico di Giorgia Meloni e del suo governo.

A proposito di FMI, Giorgia Meloni alla Casa Bianca avrebbe voluto anche coinvolgere gli Usa nel suo fantomatico “Piano Mattei”, nient’altro che il coordinamento di respingimenti e detenzioni illegali già oliati nell’esperienza con la Libia. L’Africa, che sarà al centro del prossimo G7, è nei piani di Giorgia Meloni la leva con cui “bloccare” le migrazioni dopo avere fallito con il suo demenziale spot elettorale del “chiudere i porti”.

Tra le promesse che l’Italia e l’Unione europea hanno fatto al presidente tunisino Saied ci sarebbe anche l’intervento proprio del Fondo Monetario Internazionale per evitare alla Tunisia il default ormai prossimo. I 250 milioni di euro promessi da Bruxelles a Saied sono bruscolini rispetto alle esigenze del governo tunisino. Giorgia Meloni si è proposta alla Tunisia come mediatrice per esercitare pressioni presso gli Usa e Fmi. Può essere un interlocutore credibile? No, per niente.

A questo si aggiunga che dall’inizio dell’anno (al 20 luglio) le autorità tunisine hanno recuperato al largo delle coste del Paese un totale di 901 corpi di migranti: lo ha detto in Parlamento il ministro dell’Interno tunisino, Kamel Feki, precisando che 267 erano cittadini stranieri mentre gli altri non sono stati identificati. “Non possiamo accettare che la Tunisia diventi un Paese di transito o di insediamento per migranti subsahariani, così come noi non accetteremo pratiche disumane contro di loro”, ha detto proprio ieri il ministro Feki rispondendo ad una interrogazione parlamentare, spiegando che la società tunisina ha “una capacità limitata di accettare l’integrazione di migranti provenienti dai Paesi sub-sahariani”.

A questo si aggiunge il disastro umanitario: Mezzaluna rossa ha precisato che circa 1.500 migranti si trovano attualmente nelle strade di diversi centri urbani del governatorato di Sfax, nel sud-est, ma un gruppo non trascurabile si trova a Gafsa e Kasserine. L’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ieri hanno espresso profonda preoccupazione per l’incolumità e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo bloccati in condizioni disperate in Tunisia in seguito all’allontanamento verso aree remote e desolate a ridosso delle frontiere con la Libia e l’Algeria. Tra loro si registra la presenza di donne (alcune delle quali incinte) e minori. Sono bloccati nel deserto, esposti a temperature estreme e senza accesso a ripari, cibo o acqua.

In attesa di trovare con urgenza soluzioni dignitose, è necessario assicurare loro al più presto aiuti umanitari di vitale importanza. Infine c’è la rottura con la Cina per lisciare gli Usa. Nel 2022 l Cina ha importato dall’Italia merce per 57 miliardi di euro. Le imprese italiane stabilitesi in Cina, attraverso le varie modalità di presenza sono circa 2.300, alle quali sono complessivamente riconducibili oltre 60mila posti di lavoro ed un fatturato di circa 5 miliardi di Euro con significative quote per la meccanica e il tessile. Scindere gli accordi bilaterali potrebbe essere anche sostanzialmente facile ma la domanda a cui bisognerebbe rispondere è: chi paga Di sicure Biden potrebbe sorriderne. Molto più difficile è che Biden sia disposto a pagare. Anche al ritorno dalla Casa Bianca il bagaglio di Giorgia Meloni risulta pesantissimo.

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A Massalengo nessuno si indigna per il funerale in stile Casamonica

Immaginate il funerale di un imprenditore coinvolto in indagini di mafia con fuochi d’artificio illegalmente sparati durante il corteo funebre accompagnato da poliziotti e carabinieri e in più il lancio di palloncini bianchi. Se la scena accadesse in un qualunque paese del sud si leverebbe lo sdegno e si chiederebbero indagini senza sconti. Se accade nel dormiente lodigiano la notizia viene data di sguincio, rimane sepolta nella timida cronaca locale e non merita una mezza parola dalla politica che ha appena dismesso gli abiti per le commemorazioni di Falcone e Borsellino.

A Massalengo, nel lodigiano, corteo, inchino e fuochi d’artificio per Stefano Catanzaro. L’uomo era finito in indagini di mafia

Lo scorso lunedì, 24 luglio, si i sono svolti a Massalengo (nei pressi di Lodi) i funerali di Stefano Catanzaro, imprenditore 61enne stroncato da un malore nella sua Sicilia. “Ad attirare l’attenzione – scrive Il Giorno – dei residenti sono stati i tanti fuochi d’artificio sparati nel corso del corteo funebre, oltre alle decine di palloncini bianchi liberati alla fine della funzione religiosa”. Ma chi era Stefano Catanzaro? Nell’ambito dell’inchiesta Esperanza, in cui era coinvolta anche la figlia di Vittorio Mangano, Cinzia, si legge nell’ordinanza del Gip che “i fratelli Catanzaro Stefano ed Ignazio giungono al Nord provenienti da Palermo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 in stato “dichiarato” di povertà, tanto da usufruire dei sussidi comunali.

Inizialmente avviano un panificio, poi un bar nella centrale via Roma di Lodi ed infine, dopo aver ceduto tutte le attività commerciali, si dedicano in via esclusiva alle costruzioni edili, per poi tornare ad occuparsi di attività commerciali, mantenendo attivi entrambi i settori. Nel1985, Catanzaro Stefano, in concorso con altre persone di origine palermitana viene arrestato per rapina nei confronti di un gioielliere di Lodi. Qualche anno prima era stato denunciato per un furto in un cantiere”.

Poi, come accade spesso, si buttano nell’edilizia e gli affari vanno a gonfie vele tanto che lì a Massalengo un intero quartiere è stato costruito da Stefano Catanzaro. Tra le carte di quell’inchiesta (da cui Catanzaro esce assolto) c’è anche la telefonata dell’allora direttore della filiale del Credito Cooperativo di Offanengo: la filiale ha appena ricevuto una visita degli ispettori bancari che chiedono spiegazioni riguardo operazioni sospette eseguite per conto e a favore di Stefano Catanzaro.

L’imprenditore non si scompone più di tanto, quando il direttore della Bcc gli racconta l’accaduto e risponde: “Dottore, noi ne abbiamo fatte tante di cose fuorilegge”. “Solo che – replica il direttore – prima non erano mai state scoperte…”. Accanto all’impresa edile Stefano Catanzaro investe anche nella ristorazione. Bar e panifici sono le sue attività preferite, ancora oggi attive a Lodi e provincia. Manca, è vero, la passione per il rispetto delle regole. Così accade che se qualcuno prova a mettersi sulla sua strada ne paga le conseguenze.

Il sindaco di Massalengo Severini si è messo di traverso alla potente famiglia. Si è ritrovato vittima di aggressione e minacce

Il sindaco di Massalengo, Severino Serafini (Lega), si è ritrovato vittima di un’aggressione. Stefano Catanzaro era stato condannato in primo grado a due mesi che gli sarebbero costati l’ingresso in carcere per le pene già accumulate. Lo stesso sindaco (ai tempi dell’inchiesta della Dda consigliere comunale) era stato minacciato dalla famiglia per avere deposto durante le indagini. Quando due anni fa la famiglia Catanzaro abbandona in un parcheggio pubblico un’auto malconcia per mesi il sindaco Serafini lo scrisse chiaro e tondo sul suo profilo Facebook: “Certe famiglie non si possono permettere di non rispettare le regole”.

La risposta furono le minacce, l’aggressione e una vigilanza predisposta dalla Prefettura per garantirne la sicurezza. È normale? No, per niente. Così come non è normale che un funerale diventi una celebrazione, quasi un inchino nel cuore della comunità. Dal Comune fanno sapere di essere stati avvisati del decesso del concittadino ingombrante la scorsa settimana. In programma c’era una semplice tumulazione. Venerdì hanno ricevuto comunicazione della cerimonia funebre. Nessuno pensava al corteo. A Massalengo, come in molti comuni d’Italia, i cortei funebri sono rimasti sospesi dai tempi della pandemia.

Dopo la celebrazione in chiesa autonomamente con le proprie auto ci si sposta al cimitero. Anche in questo la famiglia Catanzaro è riuscita a essere un’eccezione. Così alla Polizia locale e alle forze dell’ordine presenti non è restato che scortare la processione condita con fuochi d’artificio e palloncini. “L’Amministrazione Comunale esprime sconcerto per circostanze che non devono essere mai tollerate, per questo è stato chiesto alle forze dell’ordine di monitorare attentamente la situazione e di avere una relazione dettagliata”, ha scritto il sindaco. La Prefettura si è affrettata a specificare che i “fuochi” fossero di libera vendita e quindi non sottoposti ad autorizzazione preventiva. Ma lo sconcerto sta nell’esibizione di forza concessa ai Catanzaro nella placida provincia lodigiana, uno dei tanti territori del nord in cui l’antimafia sono i campi antimafia in Sicilia mentre gli amici dei mafiosi stanno a cento passi.

La politica in prima fila per le commemorazioni ancora una volta è muta. Le cosiddette associazioni antimafia mute. I quotidiani locali si fermano all’aggettivo “imprenditore”. “Non ho capito: il defunto, definito imprenditore la cui scomparsa la comunità locale piange, è scortato da ingente presenza di forze dell’ordine. Come si spiega”, chiede un lettore commentando un articolo. Alla domanda, dalle parti di Lodi, non risponde nessuno. E pensare che qui sta anche un ex ministro.

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Incolpare gli ecovandali è distrazione di massa

Quando i giovani attivisti di Ultima generazione avevano organizzato azioni di protesta per lanciare l’allarme contro i previsti disastri del cambiamento climatico una schiera di paternalisti irresponsabili (e piuttosto ignoranti) ha pensato bene di inondare giornali e televisioni per urlacciarre la loro disperazione causata dalla vernice lavabile sui monumenti. Il Governo – sempre pronto ad approfittare dell’occasione di essere ridicolo – ha preparato una legge d’urgenza contro gli “ecovandali” che tingevano di rosso le fontane.

Puniamo chi protesta con la vernice lavabile. Ma non la politica sorda sui danni al clima

Guardare il dito che indica la luna è un’ottima strategia per evitare di assumersi le responsabilità. Nel frattempo i danni per l’alluvione in Emilia Romagna ammontano per ora a circa 9 miliardi di euro, i nubifragi di questi giorni costano solo alla città di Milano più di 100 milioni di euro e il fuoco in Sicilia a oggi ha provocato danni per circa 300 milioni di euro. Mentre quelli discutevano del costo dell’acqua per lavare Palazzo Vecchio, 10 miliardi di euro sono stati sottratti alle casse dello Stato.

E questo è solo l’antipasto dei disastri e dei costi che ci aspettano in futuro, quando ancora fingeranno di assistere a eventi inaspettati. Perfino il leghista Luca Zaia ha ammesso di avere paura del negazionismo “che rischia di generare alibi”: “non possiamo lasciare soli i ragazzi a combattere per l’ambiente”, dice il presidente del Veneto. Si potrebbe fare così: i giovani condannati a ripulire la vernice e la classe dirigente condannata a sistemare le macerie di un mondo lasciato bruciare per interessi sporchi. Che dite?

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Quello strano senso dell’opposizione

Ieri Daniela Santanchè repeteva ai colleghi e a ai giornalisti di essere stata “rifiduciata”. Ne sono meno convinti i parlamentari della Lega che tra di loro a voce bassa temono di diventare come “quelli che hanno votato Mubarak”. Tutti sanno che al di là del voto di ieri in Senato a determinare la traiettoria della ministra sarà soprattutto l’iter giudiziario. È curioso: proprio coloro che denunciano l’invasione di campo della magistratura hanno silenziosamente deciso di affidare alla magistratura l’eventuale rimozione di una ministra. È solo l’ennesima ipocrisia.

A presiedere la seduta c’è Ignazio La Russa. Quel La Russa che negli affari di Santanchè c’entra eccome e che una diversa sensibilità istituzionale avrebbe dovuto consigliare di lasciare – almeno iei – in disparte. È solo l’ennesima sbavatura, del resto. La ministra si inerpica in un’orazione contro gli “pseudogiornalisti” ma prevedibilmente non spiega niente di più delle bugie già dette in Aula. Lo schema della difesa della maggioranza è sempre lo stesso: la Santanchè imprenditrice, dicono, non c’entra nulla con la Santanchè politica. Ragionamento curioso visto che è la stessa destra che attacca Elly Schlein per le sue scelte di guardaroba. È solo l’ennesima coerenza.

In questo brutto spettacolo si distinguono Matteo Renzi e Carlo Calenda – per una volta d’accordo – che danno lezioni di opposizione. Dicono i due che preferiscono non votare la sfiducia a Santanchè perché “non ha senso una mozione di sfiducia sapendo che non passerà”. Immaginiamo che alla luce del loro capitale elettorale non parteciperanno alle prossime elezioni, visto che non hanno nessuna possibilità di vincerle. Anzi, a questo punto potrebbero dismettere anche l’abitudine di depositare proposte di legge sapendo che non passeranno mai. Loro saranno quelli che “si sono astenuti su Mubarak”.

Buon giovedì.

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Rai, vendicano Facci tagliando Saviano

Occhio per occhio, dente per dente. Anche la Rai diventa il campo di battaglia dove applicare la legge del taglione e così qualcuno dalle parti del governo deve avere pensato che per vendicare la cancellazione del programma di Filippo Facci non ci fosse niente di meglio che fare lo stesso con Roberto Saviano. Ieri è stata annunciata la sospensione del programma di Roberto Saviano che sarebbe dovuto andare in onda su Rai 3 a partire dal mese di novembre. Il titolo della trasmissione avrebbe dovuto essere “Insider, faccia a faccia con il crimine”.

La decisione è stata presa dall’amministratore delegato della Rai Roberto Sergio dopo aver preso atto di alcune affermazioni rivolte, di recente, dallo scrittore al vicepremier Matteo Salvini, rispetto alle quali Forza Italia ha presentato un’interrogazione in commissione di Vigilanza Rai, chiedendo la sospensione del programma. Alla base della decisione assunta in viale Mazzini ci sarebbe la considerazione che il linguaggio usato ripetutamente dal giornalista non sarebbe compatibile con il Codice etico cui s’ispira il servizio pubblico.

Ieri è stata annunciata la sospensione del programma di Roberto Saviano che sarebbe dovuto andare in onda su Rai 3 a novembre

“È davvero incredibile: in questo Paese – scrive il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni – si pone un problema di par condicio nel servizio pubblico radio-tv, sempre più occupato dal governo e dalla maggioranza e cosa fanno i vertici Rai? Invece di affrontare questo scandalo pensano bene di equiparare la vicenda dell’impresentabile Facci con lo scrittore Roberto Saviano colpevole di esprimere le proprie idee sul ministro Salvini”.

Elly Schlein, segretaria del PD che ha chiesto di portare il caso Saviano in Commissione antimafia, osserva come il Governo “non prenda sul serio la lotta alla mafia riuscendo nel giro di due giorni ad attaccare Don Ciotti da sempre impegnato nel contrasto alla criminalità organizzata e a cancellare quattro puntate di Insider (già registrate) contro le mafie di Roberto Saviano come vendetta perché e’ saltata la striscia di Facci”.

A Saviano è contestata la definizione del ministro Salvini come “ministro della mala vita”. Lo scrittore si rifà alla definizione che Salvenimi attribuì a Giolitti, accusandolo di usare il Sud come serbatoio di voti e per questo di non agire contro la mafia. Contro Saviano si erano scagliati i parlamentari di Forza Italia della Commissione di Vigilanza Rai Maurizio Gasparri, Roberto Rosso, Rita dalla Chiesa (!) e Andrea Orsini chiedendo con un’interrogazione “come i vertici della Rai valutino le offese di Saviano ad esponenti politici e se Saviano goda di una sorta di impunità, a differenza di altre persone, che gli consente di offendere le persone e di poter svolgere una funzione importante di conduzione di programmi del servizio pubblico”.

Anche FdI è sulla stessa linea, con diversi parlamentari, e in particolare tutti quelli che fanno parte della Vigilanza Rai, che sottolineano come “definire un ministro della Repubblica italiana ‘ministro della mala vita’” equivalga “a disprezzare le istituzioni italiane, e rende un personaggio come Saviano incompatibile con la tv pubblica”.

Lo scrittore risponde: “Nello stesso giorno in cui viene attaccato don Ciotti viene chiuso un programma che racconta delle mafie. È chiaro da che parte sta il governo, no?”

Saviano, intanto, tiene la barra dritta: “nello stesso giorno in cui viene attaccato don Ciotti viene chiuso un programma che racconta delle mafie. è chiaro da che parte sta il governo, no?”, ci dice. Ora la polemica si sposta in Commissione antimafia: “La defenestrazione di Saviano dalla Rai non è l’uscita di un qualsiasi giornalista – ha detto il senatore del Partito democratico Walter Verini -, ha un significato inquietante e pensiamo che l’Antimafia, per il profilo, la storia, il ruolo di Saviano, se ne debba occupare”.

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In Europa avanza il Green Deal. Da noi dilagano i negazionisti

Mentre l’Italia si spacca in due per un cambiamento climatico che ormai ha tutti i connotati di un’emergenza e mentre dalle parti del governo ancora si lisciano i negazionisti climatici la Commissione europea si rallegra per “l’approvazione definitiva della direttiva riveduta sull’efficienza energetica, del regolamento FuelEu Maritime e del regolamento sull’infrastruttura per i combustibili alternativi, nell’ambito del pacchetto legislativo “Fit for 55” volto a ridurre le emissioni di gas serra dell’Ue di almeno il 55% entro il 2030”.

Secondo la Commissione Ue, “questa versione riveduta della direttiva sull’efficienza energetica, ben più ambiziosa della precedente, ridurrà il consumo di energia in questo decennio e oltre e instraderà l’Ue su un percorso efficiente sotto il profilo dei costi, con l’obiettivo di diventare climaticamente neutra entro il 2050”. Gli obiettivi proposti sono stati rivisti al rialzo dalla Commissione dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e ora contribuiscono anche agli sforzi dell’Ue per porre fine alle importazioni di combustibili fossili dalla Russia, come indicato nel piano RePowerEu.

Via libera alla direttiva Ue sull’efficienza energetica. Mentre le destre danno sponda ai complottisti climatici

In un Comunicato del Consiglio europeo si legge che “gli Stati membri garantiranno collettivamente una riduzione del consumo di energia finale di almeno l’11,7% nel 2030 rispetto alle previsioni di consumo energetico per il 2030 formulate nel 2020. Ciò si traduce in un limite massimo al consumo di energia finale dell’Ue pari a 763 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 993 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio per il consumo primario. Il limite per il consumo finale sarà vincolante per gli Stati membri a livello collettivo, mentre l’obiettivo per il consumo di energia primaria sarà indicativo”.

Tutti gli Stati membri stabiliranno contributi nazionali indicativi e traiettorie per il conseguimento dell’obiettivo nei rispettivi piani nazionali integrati per l’energia e il clima (Pnec). I progetti di Pnec aggiornati erano previsti per giugno 2023 e i piani definitivi sono previsti per il 2024. La Commissione Ue calcolerà se tutti i contributi raggiungono l’obiettivo dell’11,7% e, in caso contrario, apporterà correzioni ai contributi nazionali inferiori all’importo che si otterrebbe utilizzando la formula (il cosiddetto meccanismo per colmare i divari). La formula si basa, tra l’altro, sull’intensità energetica, sul Pil pro capite, sullo sviluppo delle energie rinnovabili e sul potenziale di risparmio energetico.

L’obiettivo di risparmio energetico annuale per il consumo di energia finale aumenterà gradualmente dal 2024 al 2030. Gli Stati membri garantiranno in media un nuovo risparmio annuale dell’1,49% sul consumo di energia finale nel corso di tale periodo, raggiungendo gradualmente l’1,9% il 31 dicembre 2030. Le nuove norme prevedono “l’obbligo specifico per il settore pubblico di conseguire una riduzione annuale del consumo energetico dell’1,9%, che può escludere i trasporti pubblici e le forze armate. Inoltre, gli Stati membri saranno tenuti a ristrutturare ogni anno almeno il 3% della superficie totale degli immobili di proprietà di enti pubblici”.

Il testo prevede anche l’implementazioni di stazioni di ricarica per coprire l’intera rete stradale entro il 2030. Mentre in Italia i partiti al governo fanno le barricate per la auto a benzina, irridono i bonus per l’efficientamento energetico e ancora confondono il meteo con il clima l’Europa sta già programmando il futuro. Basta questo per pesare l’autorevolezza del dibattito nostrano.

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Mascariamento contro Borrometi. Per screditare il giornalista anti-mafia

“Questa inchiesta dimostra che il mascariamento è una tecnica che ancora funziona. Delegittimare una persona, colpendo se serve anche i suoi affetti più cari, è il modo per non rispondere mai nel merito”. Non c’è delusione nelle parole di Paolo Borrometi, condirettore dell’agenzia giornalistica Agi e presidente di Articolo 21.

Un ex deputato regionale, due cronisti e una scrittrice. Imputati per diffamazione contro il vice direttore dell’Agi Paolo Borrometi

Forse c’è solo un po’ di stanchezza perché l’inchiesta della Procura di Siracusa che ha emesso un decreto di citazione a giudizio davanti al giudice monocratico per l’ex deputato della Regione Siciliana Giuseppe Gennuso, due giornalisti e una donna arriva dopo anni di denunce e materiale raccolto. Il discredito (il “mascariamento”, appunto) nei confronti di giornalisti che si occupano di temi scomodo con le loro inchieste è una pratica che la Sicilia conosce bene.

In questo caso il livello raggiunto è però preoccupante per la macchina organizzativa messa in campo e perché Borrometi è un giornalista che con la sua testata giornalistica di inchieste online (laspia.it) si è occupato profondamente della mafia ragusana e siracusana. Nel 2014 è stato vittima di un’aggressione. Per le minacce ricevute (e che continua a ricevere) sono stati condannati l boss Giambattista Ventura (già condannato per omicidio, concorso in omicidio ed estorsione), Francesco De Carolis del clan Bottaro-Attanasio di Siracusa, Venerando Lauretta (boss di spicco del clan Carbonaro-Dominante di Vittoria) e altre decine di persone, più o meno collegate ad ambienti mafiosi.

Il giornalista è uno che ormai con le minacce ci convive

Borrometi è uno che ormai con le minacce ci convive. Per le minacce e per la sua sicurezza è stato trasferito dall’agenzia Agi a Roma e nonostante le minacce ha raccontato il commisariamentoà per mafia di Italgas, gli affari sporchi del mercato ortofrutticolo di Vittoria e la presenza di Cosa Nostra nel sud-est siciliano. Che un giornalista debba convivere protetto dalla scorta con la rabbia della mafia in questo squinternato Paese purtroppo è un fatto assodato. Che debba difendersi dal fango architettato da politici e colleghi giornalisti è uno sfregio ulteriore.

I pm di Siracusa scrivono di un “disegno criminoso” posto in essere dall’ex deputato regionale Gennuso. Coinvolti sono anche il direttore del giornale on line “Diario 1984”, Giuseppe Guastella, il giornalista Giuseppe Gallinella, e una donna, Valeria Micalizzi. I quattro sono accusati, a vario titolo, di aver concorso, o scritto, “una lunga serie di articoli” che avrebbero leso la “reputazione di Borrometi”. Tra gli articoli denigratori ce ne è stato uno di Guastella, in cui lo si accusava di aver “utilizzato” le auto di scorta per recarsi a “incontri con il suo amichetto del cuore”, integrando in questo modo la duplice e denigrante accusa di sperpero del denaro pubblico e il diffamante sospetto sugli orientamenti sessuali.

Contro Borrometi è stato anche pubblicato un libro, di Micalizzi e Gallinella, dal titolo Parlano di Borrometi che concorreva allo scopo generale. La Procura ha raccolto, tra l’altro, la dichiarazione resa da un collaboratore di giustizia alla Dda di Catania, secondo cui nell’estate del 2019 Guastella gli avrebbe parlato di approcci perché diffondesse notizie infamanti non solo su Borrometi, ma anche sull’ex capitano dei carabinieri di Siracusa, Enzo Alfano.

Figura tra le parti offese del procedimento anche il vicequestore Antonino Ciavola, ex capo della Squadra mobile di Ragusa. Il mascariamento ancora funziona, nel 2023. Ma proteggere i vivi mentre si commemorano i morti è ancora una priorità per l’antimafia in questo Paese?

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L’Emilia-Romagna Colpa del Pd. Ma al Nord invece…

Basta poco per smascherare l’ipocrisia, basta mantenere la lucidità anche nei momenti più critici come queste ore che spaccano l’Italia tra ghiaccio e fuoco, entrambi figli di un cambiamento climatico che – come dice bene Cecilia Strada – sarebbe meglio chiamare “disastro climatico”.

Sull’alluvione in Emilia-Romagna le destre accusano i dem. In Lombardia e Veneto gli eventi avversi

Gli effetti (preannunciati dalla stragrande parte dei climatologi) sono nelle grandinate, nelle trombe d’aria e nel fuoco di questi giorni ma sono ancora freschi nella memoria dei cittadini in Emilia-Romagna che stanno facendo i conti con la ricostruzione dopo gli alluvioni. Quando l’acqua sommerse l’Emilia Romagna i rappresentati di questo governo ci dissero (più o meno velatamente) che la colpa fosse tutta del Partito democratico, più precisamente del presidente della Regione Stefano Bonaccini e della sua ex vicepresidente e ora segretaria del Pd Elly Schlein.

È una bieca strumentalizzazione politica, certo, ma indica un certo modo di leggere gli eventi. Ora che i danni toccano Lombardia e Sicilia, regioni governate dalla stessa destra che sta al governo, la chiave di lettura è capovolta. Ora la colpa è del cambiamento climatico o comunque degli “eventi climatici eccezionali”.

Così la maggioranza che ha sempre minimizzato (se non negato) il cambiamento climatico oggi lo sfodera per assolvere i suoi con un ragionamento inverso (e perverso). Confidano evidentemente che non se ne accorga nessuno. Confideranno anche che ci si dimentichi in fretta delle tempeste e del fuoco per tornare a difendere il diesel, vedrete. Basta poco per smascherare l’ipocrisia, basta mantenere la lucidità.

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