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La bava sull’antimafia

Da mesi provo a sottolineare come sui temi di mafia (e quindi di antimafia) in questo Paese la destra che sta al governo, con la complicità di un’opposizione troppo spesso cretinamente distratta e ignorante sul tema, stia soffiando aria di restaurazione dei tempi peggiori. Sembra la stessa mefitica atmosfera che ha ammorbato questo Paese quando, a partire dal 1994, si è voluto imporre la “normalizzazione” del fenomeno mafioso: lo stesso obiettivo di Cosa nostra dopo l’arresto di Totò Riina.

Dopo le botte ai giovani che marciavano per commemorare Giovanni Falcone, dopo la riscrittura della sentenza contro Dell’Utri, dopo gli attacchi ai magistrati di Firenze che indagano sulle stragi del ’93, dopo il paventato attacco al concorso esterno per vedere l’effetto che fa ieri il ministro Matteo Salvini (uno che di mafia ne sa poco più di un qualsiasi studente di qualsiasi scuola superiore) ha deciso di attaccare il fondatore di Libera Luigi Ciotti.

«Attenzione – aveva detto il presidente di Libera durante un’iniziativa a Bovalino, in provincia di Reggio Calabria -. C’è il rischio, poi si dovrà lottare sia ben chiaro, che il Ponte sullo stretto non unirà due coste, ma due cosche sicuramente sì». È lo stesso parere espresso da residente dell’Autorità snticorruzione Giuseppe Busia e dal suo predecessore Raffaele Cantone. È lo stesso timore che serbano tutti quello che hanno studiato e studiano Cosa nostra.

Come ha risposto Salvini? «Mi ha fatto specie – ha detto – leggere le parole di un signore in tonaca che ha detto che questo ponte più che unire due coste unirà due cosche. Un’affermazione di un’ignoranza, una superficialità senza confini. È una mancanza di rispetto nei confronti di milioni di italiani». Il ponte sullo Stretto, ha detto il ministro leghista, è «la più grande operazione antimafia dal Dopoguerra a oggi». «Mi fa schifo – ha continuato Salvini – che qualcuno pensi che Sicilia e Calabria rappresentino le cosche. Fino a che c’è qualcuno all’estero che dipinge l’Italia come mafia pizza e mandolino, fa schifo ma è all’estero. Se c’è qualche italiano che continua a dipingere l’Italia come mafia, pizza e mandolino, se espatria fa un favore a tutti».

Rientra nella strategia: colpire i simboli per indebolire le battaglie. Non si tratta solo di un attacco giudiziario. Sotto i colpi c’è l’etica antimafia di un Paese faticosamente costruita con l’impegno e le vite delle persone migliori di questo Paese. Chissà se qualcuno nell’opposizione se ne accorge in fretta.

Buon mercoledì.

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Il voto in Spagna lascia Giorgia senza… Vox

In Spagna vincono i Popolari, ma senza i numeri per formare una maggioranza al Congresso per governare il Paese. I sondaggi davano il centrodestra di Alberto Nuñez Feijóo grande favorito per la vittoria, col solo ‘dubbio’ della necessità di un accordo politico con l’estrema destra di Vox per la formazione del governo.

L’eventuale accordo (vissuto con disagio dai Popolari) comunque non ci sarà perché la somma dei seggi non basta per raggiungere la fatidica quota 176, maggioranza assoluta nel Congresso composto da 350 seggi. Tiene il Psoe, i socialisti di Sánchez. Il contraccolpo in Italia Anche in trasferta la classe politica italiana non si smentisce, nemmeno se non giocano la partita.

Ecco perché il crollo del partito amico di Fratelli d’Italia è un segnale anche per l’Italia

Il giorno dopo le elezioni in Spagna qui da noi esultano tutti. Riuscire a distorcere i risultati elettorali di altri Paesi per trasformarli in biada per la propaganda è un talento che richiede molto coraggio e una buona dose di sopportazione del ridicolo. Tra i primi a commentare i risultati spuntano “lo dos competentes” (citazione rubata alla collega Chiara Geloni) Matteo Renzi e Carlo Calenda. Renzi spiega che il risultato “sono un segno interessante: non si vincono le elezioni contro l’Europa. E le prossime europee si vinceranno al centro”.

Calenda (per una volta quasi d’accordo con lui) invita a ragionare su “una larga coalizione tra popolari e socialdemocratici” per tenere ai margini la destra estrema di Vox. I due però hanno distrattamente perso la lezione più importante che arriva dalla Spagna: da quelle parti il “terzo polo” del centro dei riformisti (Ciudadanos) non esiste più in Parlamento. Che poi le “larghe intese” siano il modo migliore per foraggiare gli estremisti alla Vox è una lezione che hanno imparato quasi tutti in tutta Europa. Tranne Calenda.

Ma i risultati spagnoli bruciano soprattutto per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ieri è stata indecisa per tutto il giorno se vergare o no una nota di suo pugno sul risultato spagnolo. Una cosa è certa: in Spagna Vox – a cui Meloni ha dedicato il suo incondizionato appoggio in campagna elettorale sforando anche dai limiti del suo ruolo – ha ottenuto 33 deputati, perdendo 19 dei 52 seggi conquistati nel 2019 e vedendo svanire qualcosa come 650mila voti oltre al tracollo su feudi elettorali storicamente in mano all’estrema destra.

“In Europa è il tempo dei patrioti”, aveva urlato la presidente del Consiglio in videocollegamento durante il comizio di chiusura della campagna elettorale del leader di Vox Santiago Abascal, che ora traballa sotto i colpi della sconfitta. Le cose non stanno così. In Spagna i tradizionali partiti Psoe e Pp insieme raggiungono quasi il 65% del voto e ora il partito di estrema destra a cui Meloni ha regalato anima e corpo rischia l’irrilevanza politica.

“Ha ragione Yolanda Diaz ‘stanotte la Spagna ha dormito più tranquilla’ perché l’onda nera degli amici di Meloni è stata fermata”, scrive su Twitter il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. Angelo Bonelli di Europa Verde festeggia “la sconfitta dei sovranisti e negazionisti climatici […] insieme allo straordinario risultato di Sumar con Yolanda Diaz che ha tenuto insieme la giustizia sociale e quella ambientale”.

Soddisfazione anche nel Pd con la segretaria Elly Schlein, che esulta: “I risultati delle elezioni premiano il coraggio di Pedro Sanchez e della sua squadra e ribaltano un esito che sembrava già scritto. I veri sconfitti da un verdetto implacabile sono i nazionalisti di estrema destra di Vox. È la dimostrazione che l’onda nera si può fermare… Adelante!”.

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Dopodomani Meloni in Usa a rapporto da Biden

Dopodomani la presidente del Consiglio Giorgia Meloni incontrerà finalmente il presidente Usa Joe Biden, 278 giorni dopo il suo insediamento. Sull’invito di Meloni alla Casa Bianca hanno lavorato a lungo dalle parti del governo in questi mesi, l’incontro è utile per ingrassare la narrazione dell’Italia protagonista nello scenario mondiale e serve per affrancare la presidente del Consiglio dalle sue discutibili amicizie in Unione Europea.

Nel bagaglio Meloni porterà anche la sovraesposizione – inutile e dannosa – nell’ultima campagna elettorale spagnola, con gli amici di Vox che sono usciti sensibilmente ridimensionati dalle urne. È il metodo Meloni: patriota con i patrioti, europeista con von der Leyen e ora iperatlantista – vedrete – con Biden.

La nota della Casa Bianca: Biden riceverà il primo ministro Giorgia Meloni “per riaffermare la forte relazione tra Stati Uniti e Italia”

Nella nota della Casa Bianca si legge che Biden “riceverà alla Casa Bianca il primo ministro Giorgia Meloni per riaffermare la forte relazione tra Stati Uniti e Italia”, i due “discuteranno i nostri comuni interessi strategici, incluso l’impegno condiviso nel continuare a sostenere l’Ucraina di fronte all’aggressione della Russia, gli sviluppi in Nord Africa e una più stretta coordinazione transatlantica riguardo la Repubblica Popolare cinese”.

Sul tavolo c’è anche la decisione del governo italiano di rescindere l’accordo con la Cina sulla Via della Seta

Sul tavolo c’è infatti la decisione del governo italiano di rescindere l’accordo con la Cina sulla Via della Seta. A oggi non si sa come l’Italia abbia intenzione di disattendere un accordo che Pechino ritiene vitale. Il rischio reale di una ritorsione della Cina (anche perché sia di monito nei confronti degli altri riottosi) potrebbe spingere la presidente del Consiglio a cercare protezione dagli Usa. Dopo l’appoggio in Ucraina la decisione sulla Via della Seta sancirebbe un’ulteriore scelta atlantista del governo.

I due leader discuteranno anche di Ucraina

Anche di Ucraina discuteranno Meloni e Biden confermando “l’impegno condiviso a continuare a sostenerla, a fronte dell’aggressione della Russia”. La portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre ha specificato che si discuterà degli “sviluppi in Nord Africa e un più stretto coordinamento transatlantico per quanto riguarda la Repubblica popolare cinese” oltre al rafforzamento della collaborazione tra Usa e Italia nel settore spaziale, un ambito in cui le relazioni ti tra i due Paesi sono considerate sempre più promettenti.

Il viaggio negli Usa serve a Meloni anche per continuare a tenere sospese le tante questioni interne

Ma il viaggio negli Usa serve a Giorgia Meloni anche per continuare a tenere sospese le tante questioni interne. Da un paio di giorni nei palazzi romani circola con una certa insistenza l’ipotesi di un possibile rimpasto tra i ministri se le situazioni della ministra al Turismo Daniela Santanchè e il caso Ignazio La Russa (con il figlio indagato dalla Procura ma già assolto dal padre) dovessero ingrossarsi. La questione è rilevante anche all’interno del partito, Fratelli d’Italia, con Giorgia Meloni che difficilmente potrebbe rischiare di aprire altre diatribe che si aggiungono a quella già in corso con il leader romano Fabio Rampelli.

Meloni sa bene anche che non potrà prolungare troppo a lungo un vero confronto sul Pnrr, con la terza rata ottenuta (ma arriverà a dicembre) solo dopo aver riconosciuto il fallimento di alcuni obiettivi. A questo si aggiunge l’imbarazzo non ancora sopito tra governo e magistratura dopo le infelici uscite del ministro della Giustizia Nordio, oltre agli imbarazzi provocati dal ministro alla Cultura Sangiuliano.

Più dietro, nell’ombra, i suoi alleati Salvini e Tajani si godono il logoramento dell’alleata nella speranza di acquisire maggiore peso nella compagine governativa mentre metà polo del cosiddetto Terzo polo ha ormai lanciato l’arrembaggio a Forza Italia orfana di Silvio Berlusconi. Dal viaggio a Washington Giorgia Meloni tornerà con una bella foto ma i casi aperti saranno ancora tutti lì.

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Saied & C. all’incasso. Sulla pelle dei migranti

Il monitoraggio dell’Ispi parla chiaro: nella settimana successiva alla firma del memorandum Ue-Tunisia, proprio dalla Tunisia sono sbarcati in Italia 7.359 migranti. Praticamente sgretolato il record di 6.431 sbarchi registrato la settimana precedente alla firma.

Nella settimana successiva alla firma del memorandum Ue-Tunisia, proprio dalla Tunisia sono sbarcati in Italia 7.359 migranti

Nel frattempo a Roma si celebrava la conferenza con i capi di Stato e di governo degli Stati di primo approdo. L’Italia era in prima fila per candidarsi al ruolo di mediatrice di uno scandaloso scambio sul Mediterraneo: scambiare le vite umane per soldi e per consenso elettorale. Quei settemila e rotti migranti sbarcati in una settimana sono il pizzino della Tunisia per suggerire come i migranti oggi siano la vera arma non convenzionale nel cuore dell’Europa.

“Non è più possibile trovare delle soluzioni a questo fenomeno con accordi bilaterali”, ha detto il presidente tunisino Kais Saied (nella foto) ubriaco dei 255 milioni regalati dall’Ue. Il premier libico Dbeibeh ha chiesto altri soldi sventolando la sua sofferenza quando vede “un migrante lottare contro la morte insieme al suo bambino”.

Il “Piano Mattei” è un’operazione coordinata di cannibalismo e ricatto. È la questua di governanti illiberali che aprono e chiudono i rubinetti da cui fuoriescono disperati indifesi da dare in pasto all’opinione pubblica per alzare il prezzo del loro illegale contenimento. Quelle settemila persone sbarcate sono l’avviso di garanzia all’Italia e all’Ue: vi illudete di fermare le persone che scappano dalla fame e dal piombo senza occuparvi della fame e finanziando il piombo.

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La strana coppia Cappato-Zaia (e basta)

La signora “Gloria”, paziente oncologica veneta di 78 anni, è morta il 23 luglio. È la seconda persona in Italia ad aver scelto di porre fine alle proprie sofferenze tramite l’aiuto alla morte volontaria, reso legale a determinate condizioni dalla sentenza della Corte costituzionale sul caso Antoniani.«La sanità del Veneto ha evitato a Gloria una morte tra sofferenze che non avrebbe mai voluto» ha detto Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. «Il fatto che l’aiuto sia arrivato nella Regione presieduta da Luca Zaia della Lega dimostra che su questo tema non valgono i recinti dei partiti e delle coalizioni, ma conta la sensibilità nei confronti delle persone che soffrono e delle loro scelte».

Sulla coraggiosa scelta del presidente del Veneto Luca Zaia di fregarsene dei dettami del suo partito e di questa destra s’ode un fragoroso silenzio. Non interviene Giorgia Meloni, non s’ode proferir verbo dall’onnipresente Roccella, non parla Matteo Salvini che pur parla di tutto. Immaginate i titoli di qualche giornalaccio di destra se l’aiuto fosse arrivato da qualche presidente di Regione del centrosinistra. Solo imbarazzo.

Il silenzio – ahinoi – non riguarda solo la destra. Silenzio assordante arriva anche da Giuseppe Conte (che sui diritti claudica spesso) e arriva anche da Elly Schlein. Sappiamo bene che nel PD ci sia una parte (ne conosciamo bene i nomi) che su questo tema ha idee opposte a quelle della segreteria. Sappiamo – purtroppo – anche che per gli equilibri interni ancora una volta la posizione è quella di non prendere posizioni.

Capita spesso di dover essere d’accordo con Cappato. Questa volta ci tocca essere d’accordo con Cappato e con Zaia.

Buon martedì.

Nella foto: Marco Cappato e gli attivisti di Liberi Subito, dopo la consegna di 9mila firme in Consiglio Regionale del Veneto a favore della proposta di legge per regolamentare l’aiuto medico alla morte volontaria elaborata dall’Associazione Luca Coscioni, 30 giugno 2023 (dalla pagina facebook di Marco Cappato)

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Il ripugnante ballo delle lettere intorno a Silvio Berlusconi

Ci sono momenti storici, certi bivi, che indicano in quale parte qualcuno decide di collocarsi nella storia. Che Marina Berlusconi figlia di cotanto padre decida di prendere carta e penna per scrivere a Il Giornale (ch’era di famiglia) per dipingere il padre Silvio come perseguitato dalla magistratura era prevedibile.

Che Marina Berlusconi decida di scrivere a Il Giornale per dipingere il padre Silvio come perseguitato dalla magistratura era prevedibile

Di mezzo c’è il rapporto filiale con l’accusato, c’è l’esigenza di non sporcare il brand che da quelle parti dà lavoro a tutti e c’è un’abitudine congenita all’ipocrisia. Dipingere come perseguitato un uomo che ha il suo migliore amico e ex braccio destro condannato per mafia con sentenza definitiva perché faceva da tramite tra lui e Cosa Nostra è un atto che richiede sprezzo del pericolo. Non c’è che dire. I veri perseguitati sono coloro che l’hanno avuto come presidente del Consiglio senza nessuna spiegazione sugli amici dei suoi amici e sui soldi con cui è diventato imprenditore.

Quella discussione appartiene però all’alveo del berlusconismo. Ha invece addosso la macchia del centrosinistra la lettera che allo stesso giornale ha scritto Matteo Renzi per difendere Berlusconi. Nella missiva Renzi dà dei “folli” ai magistrati che indagano sulle stragi del ’93 accusandoli di alimentare una certa “narrazione che i vertici delle istituzioni più lontani dalla sinistra avessero rapporti con la mafia” e ci dice che “bisogna smetterla di considerare gli avversari come mafiosi”. La negazione della realtà per interessi parentali fa già schifo ma quella per interessi elettorali è un abominio ripugnante.

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Lo sblocco navale

“Combattere l’immigrazione illegale, combattere le reti di trafficanti, ci consente soprattutto di offrire nuove opportunità di migrazione legale, noi infatti dobbiamo interrogarci su come possiamo cogliere i i frutti positivi delle migrazioni e questo è possibile soltanto con una gestione fondata sulla cooperazione tra di noi”. Così la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in un passaggio del suo intervento alla Farnesina durante il convegno sulle migrazioni. “Il sostegno a profughi e rifugiati è un dovere al quale nessuno può sottrarsi, nel pieno rispetto del diritto internazionale – ha aggiunto la leader di Fratelli d’Italia – chi fugge dalle guerre, chi fugge dal terrorismo, dalla fame, dalle catastrofi naturali, ha il diritto di mettersi in salvo anche quando questo comporta attraversare i propri confini”.

Se Giorgia Meloni avesse pronunciato anche solo qualche grammo di queste frasi in campagna elettorale ora non sarebbe dov’è. Sarebbe stata considerata troppo “morbida” da un bella fetta dei suoi elettori. Del resto è proprio il cattivismo l’incipiente di qualsiasi sfondamento elettorale a destra. Matteo Salvini è stato quel Matteo Salvini perché “ha il coraggio di fare cose che gli altri non vogliono fare”. Ci si aspettava da lui che “chiudesse i porti”, che punisse gli stranieri (soprattutto quelli neri) e che maledisse l’Europa sbattendo la porta. Salvini si è scontrato con la realtà ed è stato soppiantato da Giorgia Meloni.

Ora tocca a lei. Dopo la propaganda la presidente del Consiglio si schianta contro due scogli ineludibili: le leggi che obbligano ad  accogliere e salvare le vite (che tutt’ora non sono rispettate dall’Italia e dall’Ue) e il “bisogno” di immigrati per sostenere l’economia e il vivere civile. Così Giorgia Meloni si ritrova a pronunciare gli stessi concetti dell’ odiatissima Boldrini. Perché alla fine irrompe sempre la realtà.

Buon lunedì.

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Il lavoro con dignità è un’anomalia anche per la stampa. Parla Bakdounes, Ad di Velvet: “Solo fango contro il My Way Work”

Bassel Bakdounes, a leggere i giornali di questi giorni sembra che lei sia diventato il simbolo dell’imprenditoria da non fare. Vastiamo dall’inizio: che è successo alla sua azienda
“La mia azienda è stata un modello per diversi anni. Purtroppo, per alcune concause e mie scelte sbagliate, non sono riuscito a risolvere la situazione di tensione creatasi dopo il primo anno di Covid anche in seno ad alcuni comportamenti scorretti di alcuni “professionisti” che ci han messo in ginocchio. Ci dovevo arrivare prima Sì. Avrei dovuto ascoltare chi mi consigliava di stare attento? Sì. Ho sbagliato, ma gli errori non sono nel modello Velvet ma nelle mancanze del sottoscritto. Non tollero si utilizzi strumentalmente questa vicenda per attaccare un modello imprenditoriale che era ed è il futuro”.

Qual è il modello aziendale che secondo lei si cerca di attaccare?
“Il modello Velvet è stato per anni tra l’innovativo ed il rivoluzionario, per lo meno per la nostra Italia. Negli ultimi due anni le cose si sono complicate per ragioni che sono totalmente estranee a concetti di smart working, cani in ufficio, lavoro per obiettivi et similia. Sono concetti che possono spaventare? Si, me ne rendo conto. Ma trovare espedienti per demonizzarli è scorretto. Siamo diventati noti a livello nazionale per il My Way Work, ossia per la modalità di lavoro completamente libera: il dipendente aveva tutte le tutele del contratto stabile e a tempo indeterminato, ma anche tutti i vantaggi della partita iva. Sceglieva se e quando presentarsi in azienda, ovviamente il tutto organizzato in una strategia di lavoro per obiettivi. A molti non è piaciuta questa nostra fuga in avanti, proporre un modello che la norma non prevedeva ancora possibile”.

Perché secondo lei certa stampa (e quindi certa imprenditoria) è così spaventata da un nuovo paradigma del rapporto tra dipendenti e imprenditori?
“Il nuovo fa paura. Da sempre. Il cambiamento fa paura. Normalmente sottende un riposizionamento e una ridiscussione di ruoli e gerarchie… penso sia facile capire che può spaventare chi è inchiodato allo status quo. Credo che chi debba temere questo modello siano in particolare gli imprenditori vecchio stampo, ma anche il mondo della rappresentanza dei lavoratori che, spesso, si muove ancora come se fossimo nell’Ottocento”.

Quel modello di impresa innovativa è comunque il futuro, anche qui da noi?
“Ne sono certo. Tutto deve andare, ed andrà, in una dimensione più Human, più vicina alle esigenze delle persone, delle famiglie. Tutto tende in quella direzione. Ovvio, va fatto nel rispetto di risultati operativi, e va gestito sapientemente caso per caso, azienda per azienda, settore per settore… ma questo è già un altro tema”.

Da uomo che ha sempre lavorato nella comunicazione cosa pensa dell’atteggiamento di certa stampa sulla colpevolizzazione dei giovani, sul mito della meritocrazia e sui molti luoghi comuni da cui sembra che non riusciamo a liberarci?
“Speravo che il passaggio offline/online avrebbe migliorato un’attitudine poco cool di certa stampa, pronta a rincorrere il titolone anziché la vera informazione. Mi son sicuramente sbagliato, vorrei dire che, nel caso di specie, c’è stata, al contrario, una sorta di involuzione che sta spingendo tutto verso una spasmodica ricerca di sensazionalismo da clickbait, tralasciando sovente la vera informazione. Questo genera odio, l’odio genera commenti, i commenti generano traffico, il traffico muove i soldini… fine del gioco”.

Qualcuno sui suoi social scrive che “spera che lei smetta di fare l’imprenditore”: “ha fatto lavorare dipendenti e fornitori consapevole di non poterli pagare ed ora con la retorica fa mea culpa per avere un gran finale da eroe? Gli eroi salvano le persone non le fanno sprofondare”…
“Ah beh questo è il minimo! Grazie al tenore delle uscite mediatiche ho ricevuto minacce, di e non vado oltre… Ora, io non ho moglie o figli, ma penso a quando cose del genere capitano a chi ha una famiglia a casa. Alimentare odio è grave. Quanto alla persona in questione sappiamo chi è, roba da legali. Tutti stan cercando visibilità dietro al caso Velvet. Sono tutti CT quando gioca la Nazionale. Solo non capisco perché usare i social quando hanno il mio numero. Ho sempre lo stesso numero da oltre 20 anni. Non mi chiamano, come mai?”.

Se dovesse dare un consiglio a qualche giovane, alla luce degli errori che ha riconosciuto, cosa gli direbbe?
“Sicuramente di essere accorto nella selezione delle persone. Di avere il coraggio di prendere decisioni difficili anche quando si tratta di tagliare personale. Io non ce l’ho fatta. È stato il mio più grande errore. Ero convinto di potercela fare, ma è mancato un soffio. Basta un ramo malato per infettare l’albero, e spesso, quando te ne accorgi, come nel mio caso, è già troppo tardi”.

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Enna, l’ennesimo femminicidio e le colpe di abituarsi all’orrore – Lettera43

A Troina, in provincia di Enna, in via Sollima nel rione San Basilio, c’è una donna che urla per chiedere aiuto e prova a ripararsi in un portone vicino a un supermercato. Si chiama Mariella Mariano, ha 56 anni e da lì a poco verrà raggiunta da almeno tre colpi di una pistola calibro 7,65. Il suo aggressore, Maurizio Impellizzeri, che di anni ne ha 59, ha diviso con lei molti anni della sua vita. È stato suo marito. Mariella l’aveva lasciato da circa un anno, ma Maurizio aveva deciso comunque di non lasciare la casa coniugale. Avrà pensato – come pensano in troppi – che occupare fisicamente spazi che non sono più abitabili come coppia fosse un modo per logorare la decisione della moglie. Avrà pensato che starle addosso avrebbe potuto sfibrarla, fare tornare indietro.

I carabinieri erano stati avvisati, eppure non è servito

Così alla fine a Mariella non è rimasto che trasferirsi dalla sua anziana madre. Ma Maurizio non si è arreso, tutt’altro. Così ha cominciato a perseguitarla. A ottobre del 2022 Mariella Mariano ha chiesto ai carabinieri di fare qualcosa, di farlo smettere. Ha raccontato anche alle forze dell’ordine che quel marito mai arreso le aveva promesso la morte. Lui viene condannato a 8 mesi – dopo un patteggiamento – per atti persecutori, ma quella frase («ti ammazzo») rimane appesa ai gangli della legge. Maurizio non ha precedenti penali e, soprattutto, non si riesce a ritrovare a casa sua nessuna arma durante le perquisizioni. Niente da fare, anche se nelle parole dell’ex marito – raccontata Mariella – c’era anche la modalità dell’omicidio promesso: «Ti sparo», diceva lui. E infatti le ha sparato.

Notizie uguali che imperversano quasi tutti i giorni

L’arma che non si trovava è spuntata poche ore dopo l’omicidio, ovviamente con la matricola abrasa. Troppo tardi. Lui ora si trova in carcere. Il suo avvocato di sempre si è rifiutato di difenderlo di nuovo, anche questa volta. La sua avvocata, Elvira Gravagna, ha rinunciato all’incarico. «Non me la sento», ha spiegato ai giornalisti. Racconta di avere raccomandato a Maurizio di stare alla larga di sua moglie, spiega che lui stava anche seguendo un corso di riabilitazione che evidentemente non ha funzionato. La notizia che leggete qui sopra ha tratti comuni con decine di notizie che imperversano quasi tutti i giorni. Cambiano le modalità, cambiano i nomi e i luoghi, come in un videogioco in cui si modificano le situazioni, ma il motore è sempre lo stesso, così ripetitivo che dopo qualche ora irrompe la noia.

Enna, l'ennesimo femminicidio e le colpe di abituarsi all'orrore
Mariella Mariano e Maurizio Impellizzeri.

Un femminicidio che presto finirà nelle cronache locali

Anche questo femminicidio, come accade per quasi tutti i femminicidi, quando questo articolo sarà pubblicato sarà scomparso dai giornali nazionali. Rimarrà a brandelli sulle cronache locali, lue uniche che riprenderanno poi il processo e scriveranno due righe sulla sentenza. Non so se possa essere considerata una colpa questa straordinaria capacità dei lettori italiani di ingoiare e digerire i femminicidi che si ripetono. Potrebbe essere una modalità di sopravvivenza a un’emergenza sempre così uguale da sembrare naturale. Tra gli ingredienti comuni troviamo la donna che chiede aiuto ma non ottiene protezione, c’è il marito che finge di volersi riabilitare e invece sta semplicemente covando e perfezionando il delitto, gli amici che si dicono stupiti anche se il copione è sempre lo stesso, la città introno che finge di non sapere che i potenziali omicidi sono in quelle case apparentemente tranquille che ogni sera chiudono ordinatamente le imposte.

I comunicati delle istituzioni sono sempre uguali

Il dipartimento della Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno ha diffuso un documento che analizza il numero di femminicidi commessi nel periodo primo gennaio-16 luglio 2023: 173 omicidi totali, commessi da inizio anno, di questi 62 riguardano donne (49 precisamente in ambito familiare/affettivo). Sono 29 quelle morte per opera di partner o ex. Ogni articolo scritto su un femminicidio dura come l’acqua su una superficie liscia. Rimane nella pancia di Google, a disposizione dei pochi che fra qualche anno cercheranno «Mariella Mariano» per ricordarsi la fine che ha fatto. Ogni femminicidio viene accompagnato dai comunicati stampa delle istituzioni che sono ferocemente sempre uguali a sé stessi. Ogni volta si fa il conto delle vite che avrebbero potuto essere salvate. Raramente si capisce come avremmo potuto salvarle. Qualche settimana fa le prime pagine dei giornali erano invase dalle morbose curiosità intorno al femminicidio di Senago, dove Alessandro Impagnatiello ha ucciso la compagna incinta di sette mesi Giulia Tramontano. C’erano commenti sulla vita sessuale di lui, sulla casa di lei, sul sangue gocciolato sulle scale e sul cappuccio dietro al quale l’assassino si era nascosto. Dite la verità, ce ne eravamo già dimenticati. Chissà se è un crimine abituarsi al terrore.

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Condoglianze acchiappa-click di Salvini. L’ultima figuraccia social del ministro. Matteo rilancia una balla su una mamma morta a Bari e il marito lo seppellisce: “È l’ultimo da cui cerchiamo pietà”

“Noi (io e la mia famiglia), siamo il tuo opposto, bianco/nero, nord/sud, destra/sinistra, salato/dolce. Per cui, se mai dovessimo stilare un elenco di persone da cui non vogliamo abbracci/pietà/compassione, non te la prendere, ma il tuo nome sarebbe sicuramente sul podio”. Il ministro Matteo Salvini riesce a sbagliare perfino le condoglianze, pubblicate in bella vista sui social in cerca di qualche like facile e fa infuriare il marito della commerciante barese Feliciana Chimienti, morta il 16 luglio dopo un cancro, lasciando due figli piccoli.

Salvini aveva pubblicato un post di cordoglio sottolineando il grande coraggio dimostrato dalla donna nel non sottoporsi alle cure per la patologia così da non danneggiare la vita del piccolo che sarebbe nato di lì a poco. Tutto falso, ovviamente.

L’autogol

Il marito Gabriele contesta la ricostruzione fatta dal leader della Lega sulla base delle fonti giornalistiche. “Metà del tuo post, è un virgolettato che riprende le “grandi” testate, le quali (come te o il tuo “web staff”) hanno avuto poca cura nello scegliere le “fonti”, o peggio ancora, le “grandi” testate hanno voluto “romanzare” appositamente la cosa per qualche click in più… Allora: 1) Mia moglie ha scoperto “la cosa” solo dopo aver partorito la nostra secondogenita. 2) si è sempre sottoposta a tutte le cure previste”, scrive il marito.

Le ragioni della sua reazione sono presto dette: “L’amore di mia moglie era, – scrive in un post pubblicato dal profilo Instagram della Libreria Zaum di Bari, del quartiere Madonnella, poco distante dal negozio di sua moglie – ed è immenso, verso i nostri figli, verso di me e verso gli “ultimi”, i più sfortunati, tipo quelli che si imbarcano perché hanno 2 alternative : a) morire a casa propria di fame/stenti/guerra; b) imbarcarsi (essendo anche al corrente dei rischi del viaggio) nel tentativo di “svoltare” e cambiare vita”.

Alla base c’è chiaramente una visione della politica (a partire dalla gestione dei flussi migratori) opposta tra la famiglia barese piegata dalla tragedia e Salvini. E se non fosse ancora chiaro, il vedovo chiude il suo post con una goccia di veleno: “Un’ultima cosa, sai la bambina da voi citata come si chiama Carola. Nome ispirato da 3 guerriere, le due nonne (Carmelina/Laura) e Carola Rackete!!! Te la ricordi, vero…???”.

Chi di social ferisce…

Il segretario della Lega nei giorni scorsi aveva scritto riferendosi a Feliciana Chimenti: “Ha sacrificato se stessa per dare la vita alla sua bambina. (…) In questo sacrificio così grande, di fronte al quale le nostre preoccupazioni quotidiane diventano piccolissime, c’è tutto l’incondizionato amore di cui è capace una madre, un amore che dà la vita e trascende ogni limite umano”.

Come spesso gli accade si è affidato a una frettolosa lettura di un fatto di cronaca per piegarla alla propria propaganda. Spesso lo fa con qualche reato di stranieri preferibilmente scusa solo che quelli non hanno voce per reagire.

Questa volta gli è capitato qualcuno visibile abbastanza per vergare una lettera di risposta e ne rimane inchiodato. Non è passato molto tempo da quando la “bestia di Salvini” che macchinava sui social rimediava i dibattiti e i giornali. La mente di quel metodo (Luca Morisi) non c’è più ma il cannibalismo fatto sulla pelle delle persone continua. Chissà se ogni tanto gli capita di provare un po’ di vergogna.

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