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Marina parlava da figlia, però sembrava Silvio Berlusconi

Ricapitolando. Nel bel mezzo dello scontro tra politica e magistratura acceso dal ministro Nordio che – maestro delle parole in libertà – aveva messo in dubbio l’utilità del concorso esterno in associazione di tipo mafioso la figlia di Silvio Berlusconi, Marina, aveva scritto una lettera per spiegare che il padre era stato “perseguitato” dalla magistratura.

C’era in quella lettera anche un attacco ai magistrati che a Firenze indagano sui mandanti delle stragi del 1993: tra gli indagati risultava Silvio Berlusconi e ora è rimasto solo Marcello Dell’Utri.

Per spegnere l’inevitabile recrudescenza provocata dalla “discesa in campo” la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sculacciato Nordio accusandolo di essere “troppo poco politico” (dove “politico” è sinonimo di “furbo”) e ci ci ha spiegato di non dovere nessuna risposta alla figlia di Silvio poiché “non è un soggetto politico”. Sembrava chiusa qui e invece Marina Berlusconi ha ripreso carta e penna per scrivere – ancora – per dirci di essere stata fraintesa (“strumentalizzata”).

Ovviamente ha precisato anche di essere intervenuta “come figlia”. Si è dimenticata di dire che la “politicizzazione” delle sue parole è opera soprattutto dei parlamentari di Forza Italia. Si è dimenticata di dire anche che quel partito ha un debito con lei e i suoi fratelli di una novantina di milioni di euro. Però Marina Berlusconi ci ha tenuto a precisare che ha “stima e rispetto per Giorgia Meloni”. Dai, è evidente che non ci sia politica in un botta e risposta così. Ci siamo sbagliati noi.

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Colosimo dà i numeri: cifre sballate per difendere Nordio

Scomparsa tra le nebbie della propaganda di governo la presidente della Commissione parlamentare Antimafia Chiara Colosimo (Fratelli d’Italia) torna a far parlare di sé. Intervistata da SkyTg24 l’esponente meloniana corre in difesa della riforma della giustizia del ministro Nordio sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio: “La lotta alla corruzione si fa nei fatti: i numeri sull’abuso di ufficio ci dicono come quel reato non porta a risultati perché non viene, con sentenza, giudicato”, spiega Colosimo.

Che poi aggiunge: “Se poi in parlamento, nella sua autonomia, ci sarà il modo per cercare di renderlo più stringente e più utile alla lotta alla corruzione immagino si farà”. Niente di nuovo sotto al sole. La narrazione del governo per smontare un reato che in molti all’interno della magistratura ritengono indispensabile perché reato “spia” di corruzione e criminalità organizzata è sempre la stessa: “troppi assolti, troppi procedimenti che intasano i tribunali”. Inutile, quindi .

Abuso d’ufficio, carta canta

I numeri, innanzitutto. Su oltre 5.400 procedimenti iscritti nel 2021, più di 4.400 sono stati archiviati e solo 18 sono state le condanne all’esito del dibattimento. Per capire l’eventuale sovraccarico delle Procure il calcolo è semplice: se nel 2021 i procedimenti iscritti per abuso d’ufficio sono stati 5.400 significa che in media ogni Procura ne ha gestiti circa 38 all’anno.

Come scrive la rivista Giurisprudenza penale la sola Procura di Napoli, nel 2021, ha iscritto oltre 100mila procedimenti. La Procura di Milano, nel 2020, ne ha iscritti poco più di 82mila (ed erano quasi 115mila nel 2019). La Procura di Roma, al solo mese di giugno di quest’anno, è già arrivata a quasi 100mila procedimenti contro ignoti (ed è facile immaginare che il numero possa sfiorare i 200mila).

Sempre nel 2021, nel solo distretto del Lazio sono stati iscritti più di 300mila procedimenti. Il tema dell’abuso d’ufficio riguarda 5mila procedimenti in tutta Italia, la stragrande maggioranza dei quali neanche arriva a giudizio. Di fronte a numeri del genere ha senso parlare di “ingolfamento della Aule di Giustizia No, per niente.

Da Colosimo in giù, le teorie strampalate della maggioranza

Si dice che il reato di abuso d’ufficio angusti molti amministratori onesti terrorizzati da apporre una firma a un qualsiasi documento. pur essendo sicuri della propria buona fede e dell’assenza di fini di favoritismo nel suo operato.

Giuseppe Pavich (Magistrato, già Consigliere di Cassazione) ha spiegato che il legislatore riformando l’abuso d’ufficio con il D.L. n. 76, 2ha fortemente limitato la portata della norma incriminatrice. In seguito a quella riforma (all’epoca criticata da più parti come una sorta di “depenalizzazione occulta”) risponde del delitto il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle proprie funzioni intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità” (oltrechè, in alternativa, per violazione del dovere di astenersi, come già precedentemente previsto)”.

Oggi quindi il reato è configurabile nel concorso di condizioni assai restrittive: ossia violando una norma avente forza di legge (dunque, non un semplice regolamento) che per di più, se correttamente applicata, non lascerebbe al pubblico funzionario alcuno spazio di discrezionalità.

L’idea che si debbano abolire i reati che comportano troppe poche condanne è del tutto miope e illusoria: snelle raccolte di giurisprudenza sono poche le sentenze di responsabilità per i delitti di strage, di epidemia, di avvelenamento di acque, o per vari disastri. Sono molto poche anche le condanne per reati economici che riguardano soprattutto i colletti bianchi. Anzi, a ben vedere l’alto numero di assoluzioni dimostra che la magistratura giudicante – al di là della narrazione del Governo – è un’alta forma di garanzia.

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“Altro che abolire l’abuso d’ufficio, servirebbe una legge contro il conflitto d’interessi”: l’intervista a Enza Rando (Pd)

La presidente della Commissione antimafia, Chiara Colosimo, dichiara che “la lotta alla corruzione si fa nei fatti: i numeri sull’abuso di ufficio ci dicono come quel reato non porta a risultati perché non viene, con sentenza, giudicato”. Enza Rando (Pd), cosa ne pensa dell’abolizione del reato di abuso di ufficio previsto nella riforma Nordio?
“Un reato non si abolisce perché “non ci sono i numeri”. Quando abolisci un reato c’è una scelta precisa, quella di non considerare penalmente rilevante quella condotta. Io credo che l’abolizione del reato di abuso d’ufficio non sia una priorità di questo Paese. Anzi credo che abolire il reato dopo le modifiche del 2020 sia un messaggio preciso. Piuttosto bisognerebbe fare una legge sul conflitto di interessi, ragionare meglio sulla modifica del Testo unico della Pubblica Amministrazione. Anche perché quel reato in molti processi è il vero snodo di reati corruttivi”.

Quale rischia di essere il messaggio dell’eventuale abolizione?
“Nel contesto delle proposte che sta avanzando questo Governo l’abolizione dell’abuso d’ufficio si inserisce nell’indebolimento di alcuni strumenti che sono invece dirompenti rispetto alle organizzazioni mafiose che ancora oggi hanno rapporti con la cosiddetta zona grigia. Soprattutto in una fase di enormi risorse in arrivo con il Pnrr”.

Sempre Colosimo ha dichiarato: “Il tema delle stragi è uno dei temi principi della Commissione Antimafia. Io ho nella mia testa e ho condiviso con i membri della Commissione un lavoro che camminerà su due binari: quello delle verità storiche e il binario dell’attualità”. Quali sono state le condizioni con la presidenza fino a qui?
“A oggi io non conosco le linee e la visione della Presidente. Aspettiamo dopo molti mesi le linee su cui ragionare. Ci sono molte cose che dobbiamo ancora approfondire e capire. Penso alle stragi, ai depistaggi. Spero ad esempio che se la presidente ha l’obiettivo di cercare la verità sulla stragi questo non significhi rileggere quello che invece è già stato acquisito sotto un profilo giudiziario. Dobbiamo capire le connivenze che ci sono state”.

Nel giorno della commemorazione della morte di Paolo Borsellino il fondatore di Libera don Ciotti ha parlato di “segnali inquietanti dal governo” e il fratello del giudice, Salvatore Borsellino, ha chiesto a Giorgia Meloni come può conciliare il suo impegno antimafia con la natura delle riforme annunciate da Nordio. Su queste basi sarà possibile in Commissione indagare sulle stragi senza scadere nello scontro politico?
“La Commissione antimafia è espressione di diverse forze politiche, spero non si scada nello scontro. Altrimenti si potrebbe ipotizzare, com’è già successo, che ci siano relazioni di minoranza. La lettura sistemica dei segnali di questo governo ci dice che ogni giorno c’è un indebolimento nella lotta contro le mafie. Nordio ogni giorno ci propina proposte di indebolimento. E sono segnali inquietanti. I procuratori auditi fino ad oggi ci hanno confermato che gli strumenti antimafia a disposizione sono ottimi e vanno preservati. Credo che le parole di Ciotti e Borsellino disegnino una realtà inquietante. Dobbiamo prenderci cura delle leggi scritte con il sangue di persone uccise dalla mafia”.

Qualche giorno fa sul nostro giornale il magistrato Nino Di Matteo ha confidato il timore che Nordio riesca lì dove nemmeno i governi Berlusconi sono riusciti, colpendo gli strumenti fondamentali per la lotta alla mafia. Lei vede questo rischio?
“Il rischio c’è. Io credo che noi dobbiamo fare capire l’utilità di questi strumenti. Speriamo che quello non è riuscito a Berlusconi (anche per la mobilitazione della società civile) non riesca nemmeno oggi”.

A volte pare di assistere a un pericoloso tentativo di “pacificazione” sul tema della mafia riducendo il sistema mafioso a semplice sinonimo criminale. Si ha la sensazione che anche l’attivismo antimafia fatichi di più a trovare spazio. La ritiene una sensazione sbagliata
“A questo siamo abituati, l’ho sempre visto nella mia esperienza di avvocato nei processi di mafia. La criminalità organizzata è sempre stata accumulazione economica e borghesia mafiosa. Nel momento in cui consideriamo la lotta alle mafie solo come un’emozione, anche importante, senza valutare il danno della rapina di risorse e di democrazia non possiamo pacificarci”.

Quali sono gli strumenti “intoccabili” che deve difendere l’opposizione?
“Dalla legge La Torre-Rognoni, il Codice antimafia, le misure di prevenzione, alle misure amministrative (penso alle interdittive). Non dobbiamo fare toccare le leggi sulla corruzione e sull’abuso d’ufficio (ce lo dice l’Europa). Dobbiamo ragionare anzi in un’ottica europea, pensando a una legislazione comune. Senza dimenticare la giustizia sociale, soprattutto in certi territori”.

Giorgia Meloni negli ultimi giorni ha ripetuto spesso che “è merito del governo se Matteo Messina Denaro è al carcere duro”. Le cose stanno effettivamente così?
“L’arresto di Messina Denaro è stato indubbiamente importante. Personalmente mi sono domandata perché sia passato tutto questo tempo e no, non credo sia merito del Governo. Il carcere duro non è un merito di Meloni ma di una legge votata dal Parlamento”.

Qualcuno (anche nel Pd) definisce “teoremi” le indagini della Procura di Firenze sulle stragi del ‘93 che vedono indagato Marcello Dell’Utri. Che ne pensa
“Credo che la Procura di Firenze stia facendo un lavoro profondo per dare verità che il nostro Paese merita. Il diritto alla verità andrebbe scritto nella Costituzione. Non conosco le indagini secretate ma le persone che stanno seguendo le indagini sono riconosciute per la serietà e per il rigore. Anche sull’indagine nei confronti di Dell’Utri mi pongo delle domande. Io non ho amici che mi lasciano tutti questi soldi quando muoiono”.

Un carabiniere e un consigliere comunale sono in arresto per avere provato a vendere documenti riservati sull’arresto di Matteo Messina Denaro. Cosa ne pensa
“Vendere documenti riservati offende l’Arma dei Carabinieri e la verità”.

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Governo da… Recovery: fregati pure gli studenti

Dopo diverse tribolazioni il governo Meloni ha trovato la soluzione per riuscir a incassare la terza rata da 19 miliardi del Pnrr. Non è propriamente una soluzione ingegnosa: hanno deciso di fare lo sconto.

Dopo avere presentato dieci proposte di modifiche sulla quarta rata (più correttamente potremmo dire dice obiettivi che non riuscirebbero a raggiungere) ora sulla terza tranche hanno deciso di rinunciare ai 7.500 nuovi posti letto negli studentati che Roma non ha dimostrato di avere creato ex novo.

Questa modifica a uno dei 55 obiettivi della terza rata si aggiunge a quelle già decise nei mesi scorsi, a partire dall’esclusione del Bosco dello Sport di Venezia e della ristrutturazione dello stadio di Firenze dai progetti finanziati con i fondi europei per la vivibilità delle periferie e dalla correzione del regolamento sulle concessioni portuali.

La notizia risulta ancora più fastidiosa perché sulla questione del caro affitti delle residenze per universitari il governo Meloni ha cannoneggiato a lungo accusando gli studenti di politicizzare la loro rivendicazione. Vi ricordate quei giorni? “Non serve protestare perché la questione è già risolta”, ripetevano dalle parti del governo. Come l’hanno risolta Rinunciandoci.

Tanto sarà facile dare la colpa ai governi precedenti, all’Europa cattiva o a qualche amministratore. Le trattative con l’Ue per il Pnrr assomigliano ogni giorno di più all’acquisto del prosciutto: “sono 519 milioni in meno, che faccio signò, lascio?”. Lasci, lasci.

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Chi paga la “pace fiscale”

Nella pancia dell’Agenzia delle entrate ci sono, miliardo già miliardo meno, qualcosa come 1.100 miliardi di euro di crediti non riscossi. Di questa cifra enorme si pensa – lo pensano anche quelli dell’Agenzia – che solo 110 miliardi siano realmente “esigibili”, ovvero che ci sia la reale possibilità di recuperarli.

Quasi 50 miliardi di quei 110 sono stati sono stati cancellati con le ultime rottamazioni. Si sta parlando quindi di qualcosa come una sessantina di miliardi di euro che rimangono sul piatto. I numeri – che hanno l’enorme pregio di non poter fare propaganda – ci dicono che il 70% dell’enorme mole di debito con lo Stato riguarda l’1,3% dei contribuenti (anzi, di quelli che avrebbero dovuto contribuire) più ricchi: persone che mediamente hanno debiti superiori ai 500 milioni di euro. Non proprio bruscolini. Sicuramente non piccole partite iva strozzate dal fisco, come si dice dalle parti del governo.

Rimanendo sui numeri osserviamo che per l’ultima rottamazione (chiusa il 30 giugno) 60 miliardi si sono ridotti a 40 per effetti del beneficio della rottamazione. Rimangono fuori quindi 20 miliardi che stavano nel bilancio dello Stato da qualche parte e che fisicamente non ci sono più. Le ultime rottamazioni tra l’altro sono andate molto lontane dal risultato previsto: di 45 miliardi programmati ne sono entrati 17. Conta anche l’aspetto psicologico, naturale reazione alla narrazione del governo: chi avrebbe dovuto rottamare e non ha rottamato sapeva – e non si sbagliava – che avrebbe avuto altre occasioni per farsi condonare i nuovo.

A questo aggiunge che gran parte del gettito fiscale italiano proviene dai dipendenti tassati alla fonte. A questo aggiungete la tradizionale pigrizia dello Stato a tassare i grandi profitti. Il risultato è semplice.

Buon venerdì.

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Il filo rosso da Zaki a Regeni

Patrick Zaki è libero. Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha firmato il decreto di grazia presidenziale in occasione della festività dell’egira di Maometto. A dare la spinta è stata la dimissione di massa dei membri del Comitato per il dialogo presidenziale che chiedevano a al Sisi un segno di distensione. Il governo italiano aveva cominciato a muoversi subito dopo la condanna dello studente bolognese.

Al di là delle forzature politiche (il centrodestra che si intesta il merito e qualcuno nell’opposizione che ne sottolinea l’ininfluenza) resta un fatto che dopo tre diversi governi nella vicenda di Zaki si ottiene un successo tangibile. Ciò che conta è capire quale sia la natura dello scambio.

Il futuro prossimo ci dice che domenica prossima a Roma si terrà la conferenza sui migranti, un’occasione ghiottissima per al Sisi che vorrebbe entrare a pieno titolo nel cosiddetto “Piano Mattei” per ottenere denaro in cambio del controllo delle frontiere. I Paesi che si affacciano sul Mediterraneo sanno bene che la leva per mungere l’Ue sta proprio nei migranti usati come arma non convenzionale di pressione politica. Ottenere un subappalto delle frontiere significa, di fatto, avere le chiavi dei rubinetti delle partenze per esercitare pressione.

Il futuro che ci sta da anni dietro le spalle ci dice che il processo di Giulio Regeni rimane incagliato alla Procura di Roma perché l’Egitto non comunica le residenze degli uomini ritenuti colpevoli della morte di Regeni ai magistrati romani. Che la liberazione di Zaki sia considerata da al Sisi la chiave per “chiudere” il processo Regeni non è un’ipotesi così avventata. Sarà compito del governo disinnescare il rischio di una contropartita del genere.

Le due cose (migranti e caso Regeni) potrebbero anche incrociarsi e rientrare in una trattativa più ampia che contempla l’enorme mole di scambi commerciali (soprattutto armi) tra Italia e Egitto. Un dato però è certo: con il dittatore si continua a fare affari. Anzi no, c’è un altro dato certo: i genitori di Giulio Regeni dal 25 gennaio 2016 attendono di avere giustizia.

Buon giovedì.

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Lo scoop su Ustica e il mestiere della verità

L’aggettivo “esemplare” richiede un’enorme responsabilità nel scriverlo. Andrea Purgatori è stato un giornalista esemplare perché è l’esempio di un giornalismo in disuso in questo Paese. Nella schiera degli accomodanti che amplificano le tesi del potere Purgatori ha rispettato la massima di Mark Twain: non temere ciò che non conosciamo ma temere ciò che crediamo vero e invece non lo è.

Nell’Italia del “cedimento strutturale” del DC9 su Ustica il 21 aprile 1984 sul Corriere della Sera Purgatori scriveva senza remore delle tracce di tritolo sui resti del velivolo. Non era una notizia facile perché squassava la verità confezionata che avrebbe facilmente chiuso il caso e evitato imbarazzi.

Ma il giornalista Purgatori non si è accontentato dello scoop. La verità su Ustica l’ha inseguita, perfezionata, arrotondata in tutta la sua vita professionale, con la pazienza ogni volta di riannodare i fili della storia per renderla comprensibile a tutti. Andrea Purgatori era anche attendibile, nonostante i prevedibili attacchi di chi era danneggiato dalle sue inchieste. La credibilità mantenuta integra pur scrivendo ciò che infastidisce il potere è l’esempio di Andrea Purgatori.

E in un giorno in cui si commemora Borsellino cancellando condanne, fatti accertati, connivenze scritte nelle sentenze come se lo scopo del giornalismo fosse quello di ungere una torbida pacificazione la lezione di Purgatori è esemplare e da custodire. La separazione delle carriere più urgente in questo Paese è quella tra il giornalismo e le autorità.

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Negazionisti alla riscossa, sui giornali dilagano le false Verità sul clima

Sul podio dei negazionisti climatici c’è, manco a dirlo, La Verità. Il quotidiano di Maurizio Belpietro solo ieri ha calato un’invidiabile doppietta. Da una parte c’è l’articolo trito e ritrito che ci spiega come “le temperature di questi giorni non siano affatto una novità”, mettendo in fila le giornate calde dell’anno prima, quello precedente, poi ancora, andando a ritroso. In un Paese qualsiasi un giornalista che non sappia distinguere le temperature dal clima verrebbe bocciato a scuola, qui invece si diventa guru.

A braccetto troviamo l’editoriale di Paolo Del Debbio (uno dei volti della nuova Mediaset “non populista” che propaganda Pier Silvio Berlusconi, a proposito) che se la prende niente di meno che con il Times, colpevole di “inzuppare il biscotto in una brodaglia di idee, di ideologie, dati non verificati che gli ha fornito la stampa italiana”. Secondo Del Debbio i giornalisti del Times sarebbero vittime di “una scarsa informazione con equivalente ignoranza e di una malafede che liscia il pelo, non alla scienza del clima ma al clima ecologico-terroristico nel quale ormai siamo immersi” noi giornalisti italiani. “È estate. Fa caldo”, sentenzia Del Debbio.

La questione è chiusa, secondo lui. Sembra di essere tornati ai tempi del Covid in cui i negazionisti ci dicevano che “nessun parente o amico si è ammalato” e quindi il virus non esisteva. Allora si confidava sul fatto che incappare nella malattia (augurandogliela leggera) avrebbero potuto rinsavire ma i fatti ci hanno dimostrato che anche in quel caso il vero negazionista sposta il complotto su altro senza mai fare i conti con una doverosa presa di coscienza.

Negazionisti, dal clima al Covid: due facce della stessa medaglia

Clima e Covid del resto sono la stessa faccia della medaglia: una missione editoriale per chi è terrorizzato dalla fine della pandemia e quindi dalla possibile perdita di lettori e telespettatori. Il nuovo complotto quindi è “il cambiamento climatico che non esiste”. Sempre ieri su Repubblica ha trovato voce il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri. “Sono stato poco tempo fa in Giordania e c’era un caldo più che sopportabile”, dice Gasparri che nella sua intervista invita Greta (odiosissimo simbolo del complotto per i negazionisti, esattamente come i virologi in tempo di Covid) ad “andare in Cina”: “Dice che non prende l’aereo, – spiega Gasparri – allora vada in moto… Marco Polo con altri mezzi c’è andato secoli fa, perché lei no? Ha idea di come producono e di quanto inquinano?”.

In questo caso oltre a un velo di negazionismo troviamo anche qualche etto di benaltrismo. “Perché dovremmo inquinare meno per sopravvivere se gli altri inquinano”, è lo schema del ragionamento (suicida) che si ripete. Di “previsioni parascientifiche” scrive anche Giuliano Ferrara su Il Foglio, covo di negazionismo climatico ma liberale. Da quelle parti il cambiamento climatico è il nemico del libero mercato quindi se la prendono, pestano i piedi, vogliono arrogarsi del diritto di fare finta di niente. Lo scorso 24 giugno su Il Foglio si è scomodato perfino il direttore Claudio Cerasa per dirci “altro che siccità. La vera crisi dell’acqua in Italia è ideologica, nata dalla demagogia del bene comune”. Per Cerasa dovremmo preoccuparci meno del clima e più dei rubinetti che perdono per colpa dei comunisti che non hanno lasciato la gestione dell’acqua agli illuminati imprenditori italiani. Un capolavoro.

Fantascienza climatica

Il 5 luglio, sulla prima pagina del Giornale si legge il titolo, a proposito delle morti sulla Marmolada, “Gli sciacalli dei ghiacci” e la frase “i gretini strumentalizzano la strage”. È un classico dei negazionisti: accusare la scienza di “strumentalizzare”, arte di cui vorrebbero l’esclusiva. Nel giro di una sola settimana Il Mattino ha pubblicato ben due interventi. Nel primo l’intervistato ha il coraggio di affermare che i dati dell’Onu sono “sbagliati ed esageratamente caldi in partenza”, spiegando che le informazioni scientifiche sono “diffuse in maniera propagandistica” e che la Terra è calda per via di “cicli millenari e molte speculazioni”.

Nel secondo si legge che “il caldo record non è una novità” ed è condizionato dall‘“influenza dei cicli solari”. La falsa teoria del cambiamento climatico causato dal sole ha quarant’anni, è stata ampiamente smontata dall’Intergovernmental panel on climate change dell’Onu ma nei giornali italiani continua a sopravvivere. Come spiega Antonio Scalari per Valigia Blu “il negazionismo sfrutta diverse tecniche e argomentazioni. Ma c’è una costante nel suo modus operandi: prendere di mira il consenso scientifico e la sua stessa legittimità.

La presenza di pseudoesperti sui media, che si rivolgono direttamente al pubblico, suscita l’impressione ingannevole che il dibattito, nella scienza, sia ancora aperto”. Il dibattito scientifico invece è chiuso da tempo. Oggi la scienza è certa che il riscaldamento globale sia causato dalle emissioni prodotte dalle attività umane, in primo luogo, dai combustibili fossili. Il mito di un “dibattito aperto” è semplicemente l’esca dei negazionisti per tentare di legittimare posizioni che rientrano nell’alveo della libertà di avere idee false e sbagliate. Da ragazzo, al liceo, avevo un compagno di classe convinto che dei giganti abitassero nel sottosuolo e dominassero il mondo. Nessuno si sarebbe mai sognato di invitarlo a un confronto con un geologo o un gigantologo. Nessuno – nemmeno nei suoi incubi peggiori – avrebbe mai potuto immaginare che fosse invitato in qualità di esperto sui media nazionali. A lui non è successo. Ma altri come lui, evidentemente, ce l’hanno fatta.

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Via D’Amelio è un buco

Via D’Amelio è un buco. In questi anni ci è caduta dentro la verità del più imponente e vergognoso depistaggio di Stato. Mentre sventolano il santino di Paolo Borsellino non raccontano le stragi contro la verità avvenute dopo la bomba. A scuola bisognerebbe studiare Paolo Borsellino, la strage di via D’Ampio e le stragi senza bombe degli anni successivi.

Via D’Ampio è un buco. Lì sotto ci sta la vigliaccheria di chi non trova la voce (o non trova la penna) per ricordarsi di ricordare che un partito oggi al governo sia stato fondato da chi ha pagato in modo continuativo la mafia che ha ucciso Paolo Borsellino dopo Giovanni Falcone. Lì sotto c’è il brodo degli onori riservati ai morti e ai vivi che con quella mafia si è seduta al tavolo.

Via D’Amelio è un buco. lì entro ci sono le spoglie di un movimento antimafia che si è normalizzato – come la mafia – involvendosi in una celebrazione funebre vuota e trascinata. Lì dentro ci sono gli assassini dell’entusiasmo considerato brigatismo. Lì dentro ci sono i commentatori che oggi sfiancheranno la verità usando il cadavere di Paolo per bastonare i loro avversari.

Via D’Amelio è un buco. Lì sotto dice un giornalismo arrendevole, vigliacco e maggiordomo dei potenti di turno. Lì dentro ci sono i fautori di una “pacificazione” rosolata da trentuno anni di favoreggiamento culturale alla mafia rivenduto come “moderazione”.

Via D’Amelio è un buco. Lì sotto ci sono i denti di coloro che Paolo Borsellino l’hanno logorato da vivo e ora ne vorrebbero essere i cantori. Come hanno fiaccato Borsellino vivo oggi delegittimano i magistrati che non si accontentano di commemorare. Del resto, pensateci, come si può commemorare una storia che non ci è stata raccontata per intero?

Buon mercoledì.

foto: Di ignoto – elab. da v. (info da corriere.it), Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=5085211

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“Non solo il concorso esterno, Nordio sta attuando le riforme di Berlusconi”: l’intervista al magistrato antimafia Di Matteo

Oggi 19 luglio si commemora Paolo Borsellino nel pieno della discussione della riforma della Giustizia voluta da ministro Nordio. Di Matteo, che aria si respira

“Un’aria da una parte particolarmente infuocata e dall’altra insidiosa perché poco decifrabile. Tutti fanno a gara per rivendicare la possibilità di fare memoria o addirittura per appropriarsi della memoria di Paolo Borsellino. Di fatto ci sono sicuramente cittadini, studenti, giovani e associazioni (come le Agende Rosse e non solo) animati dalla voglia di verità e giustizia. Spero che lo siano anche tutti gli altri. Non lo sono certamente coloro che attaccavano Falcone e Borsellino Ida vivi definendoli politicizzati, protagonisti e sceriffi. Sono quelli fingono di santificarli mentre utilizzano le stesse armi e lo stesso argomentare nei confronti di alcuni magistrati ancora vivi. L’aria è questa”.

Attraversiamo un momento difficile?

“Un momento difficile proprio perché mentre si rivendica anche da parte di autorevoli esponenti politici e di governo il diritto di commemorare Paolo Borsellino – e ci mancherebbe altro – dall’altra parte si continua a ignorare il grido di dolore di Paolo Borsellino che, alcuni anni prima di morire, interpellato sulla gravità dei rapporti tra mafia e politica disse che il dramma di questo Paese è che se non c’è reato non scatta nessun altro tipo di responsabilità, politica, anche per comportamenti gravi e accertati”.

Qualcuno lo chiama garantismo…

“Ogni volta che emerge una contiguità mafiosa la politica reagisce affermando che bisogna aspettare la sentenza definitiva. Ma è proprio questo il dramma di cui parlava Borsellino: la responsabilità penale è una cosa (e risponde al principio di non colpevolezza fino a sentenza di condanna definitiva) ma quella politica dovrebbe scattare prima e a prescindere, sulla base di fatti già accertati. Io credo che quello che continua ad accadere nel nostro Paese sia la più clamorosa smentita all’auspicio di Borsellino e il tradimento delle sue idee”.

Il governo però dice di ispirarsi proprio a Borsellino…

“Cerco di attenermi ai fatti. Ci sono state situazioni, anche negli ultimi mesi, che hanno riguardato riforme in campo e riforme semplicemente annunciate dal ministro Nordio che si muovono in senso diametralmente opposto rispetto a quello che Borsellino e Falcone auspicavano. Quando si parla di concorso esterno come di un reato evanescente – come lo ha recentemente definito Nordio – si finge di dimenticare che fu proprio Borsellino con Falcone a utilizzare per primo quello strumento per indagare Ciancimino. Si finge di dimenticare che la vera forza della mafia è creare, mantenere e alimentare rapporti con la politica e il potere in generale. Si finge di dimenticare che politici come Dell’Utri, D’Alì, Cosentino sono stati condannati proprio con lo strumento del concorso esterno”.

E sulle intercettazioni?

“Quando si dice, com’è stato detto dal ministro Nordio, che non servono a nulla perché i mafiosi non parlano al telefono e perché comunque le intercettazioni costano troppo si dimostra di non conoscere una realtà che negli ultimi anni ha visto la gran parte dei processi di mafia alimentarsi attraverso l’utilizzo delle intercettazioni. Si parla di spese eccessive ma non si dice di quanta ricchezza sia stata recuperata, quanti omicidi siano stati evitati e quante vittime abbiano trovato giustizia proprio grazie alle intercettazioni”.

Si rischia un indebolimento dell’azione antimafia

“Noi abbiamo una legislazione antimafia che il resto del mondo ci invidia, che molti Stati Ue e extra Ue vorrebbero copiare. Il paradosso è che quegli strumenti oggi in Italia vengono messi in discussione. E se la tendenza continua a essere questa non mi stupirei se nei prossimi anni “l’attacco” sarà contro il 41 bis o contro i collaboratori di giustizia e l’utilizzo processuale delle loro dichiarazioni. Per capire il momento che stiamo vivendo dovremmo guardare a quello che è accaduto negli ultimi anni e prevedere quello che può accadere nei prossimi. Sono preoccupato perché mi sembra che – tranne poche e lodevoli eccezioni – neppure le forze di opposizione dimostrino un’approfondita sensibilità e conoscenza dei pericoli”.

Qualche giorno fa Marina Berlusconi ha dipinto il padre come “un perseguitato”. Che ne pensa

“Non voglio entrare nel merito ma tre cose sento il dovere di dirle: la prima è che più si vanno delineando i progetti di riforma del ministro Nordio più mi sembra che vadano nel senso dell’attuazione del programma fondativo di Forza Italia. Questo governo rischia di portare a termine una serie di progetti di riforma che nemmeno i governi Berlusconi erano riusciti a portare a compimento. La seconda è che in una sentenza definitiva, quella che ha condannato Marcello Dell’Utri si legge che Berlusconi tramite Dell’Utri stipulò nel 1974 un patto di “reciproca protezione” con Cosa nostra. Patto rispettato almeno fino al 1992 e che ha comportato che ogni anno Berlusconi versasse centinaia di milioni di lire nelle casse di Cosa nostra. La stessa che proprio in quegli anni uccise Chinnici, Mattarella, Dalla Chiesa, Cassarà, Pio La Torre e decine decine di altri suoi oppositori. La stessa che organizzò stragi. È grave che questo dato consacrato in sentenza sia ignorato da buona parte dei cittadini a causa di un’informazione che è stata – nella migliore delle ipotesi – carente. La terza cosa che mi sento di dire è che mi auguro che i colleghi che oggi sono additati come persecutori politici vengano difesi nella loro onorabilità personale e professionale da chi ha il dovere di difenderne la reputazione e l’autonomia. Mi riferisco all’ANM ma anche a quel CSM che ha il dovere di tutelare ogni singolo magistrato da ogni forma di attacco o pressione che provenga dall’interno o dall’esterno dell’ordine giudiziario”.

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