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La condanna di Zaki, metafora dell’italica viltà

La condanna a tre anni dello studente egiziano laureatosi a Bologna, Patrick Zaki, dice molto dell’Egitto e dice molto dell’Italia. Non è un punto di arrivo, al di là della conclusione dell’iter processuale. Del presidente egiziano Al Sisi ci dice che nonostante il digrignare di denti le autarchie sono talmente fragili da avere paura anche di un giovane ragazzo.

Una custodia cautelare di 22 mesi in condizioni invivibili e un processo farsa durato più di un anno ci hanno restituito l’immagine di un despota terrorizzato e vigliacco come presidente. Del resto chi fosse Al Sisi lo sapevamo già leggendo le cicatrici del cadavere di Giulio Regeni.

Quelle mani sporche di sangue però hanno l’impronta anche di mani italiane – di ministri di diversi governi – che con l’Egitto hanno barattato la verità e la giustizia con armi e soldi. I fiancheggiatori del carnefice hanno nomi e cognomi. La condanna di Zaki dice molto di noi, di questo nostro povero Paese che lecca i dittatori inebriato dal loro denaro per simulare poi un po’ di dispiacere utile a mantenere una parvenza di dignità.

Nel 2021 però il Parlamento italiano ha votato all’unanimità la cittadinanza italiana a Zaki. Ieri quindi hanno ingiustamente condannato un italiano. A questo punto non ci sono troppe alternative. O il governo difende un suo cittadino costi quel che costi (e costa parecchio) oppure decide di imboccare la via della vergogna e della viltà, mettendo anche Zaki nel cassetto dei cittadini immolati sull’altare delle armi e dei soldi.

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Altro che approccio olistico, sui migranti è nata un’altra Libia in Tunisia

È accaduto davvero. Sette anni dopo il criminale memorandum firmato con la Libia l’Unione europea firma un nuovo patto disumano, questa volta con la Tunisia. Dopo settimane di trattative l’accordo che prevede il sostegno economico da Bruxelles in cambio dell’attuazione di riforme economiche e (soprattutto) del controllo delle frontiere è stato firmato a Tunisi dal presidente tunisino Kais Saied, dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, dalla presidente del consiglio italiano Giorgia Meloni e dal premier dimissionario olandese Mark Rutte.

Sui migranti un film già visto

Il testo oltremodo generico parla di “una cooperazione economica e commerciale” e di “un approccio olistico alla migrazione” e di “porre rimedio alle cause profonde dell’immigrazione irregolare”. Di certo l’Unione europea, esattamente come accade alla Libia, si impegna a sostenere economicamente la Tunisia per migliorare il suo sistema di ricerca e soccorso in mare oltre al pattugliamento econtrollo delle frontiere. Ma s’impegna anche a favorire il rimpatrio dei cittadini tunisini che sono arrivati irregolarmente in Europa.

Di “copione che si ripete” parla il segretario di +Europa Riccardo Magi che definisce “un errore” quello di “pagare un regime, come quello della Tunisia, che non dà alcuna garanzia del rispetto dei diritti umani. Il risultato – spiega Magi – sarà che noi copriremo di soldi Tunisi, che per tenersi i migranti i primi mesi commetterà le peggiori violazioni dei diritti e della dignità delle persone, per poi tra qualche mese ritrovarci al punto di partenza, con gli sbarchi che non si fermeranno, i centri di accoglienza pieni e centinaia di persone che oltre a fuggire dal loro paese d’origine saranno costretti a scappare anche dalle carceri tunisine”.

L’accordo con la Tunisia non piace a nessuno

Dello stesso tenore è anche la riflessione di Emergency che sottolinea come l’accordo sia stato “stipulato sulla pelle delle persone”: “il copione applicato in Libia – spiega la Ong – è destinato a ripetersi: anziché gestire la migrazione in modo strutturale e umano, l’Europa sceglie ancora di appaltare la gestione dei flussi migratori a un Paese insicuro e instabile”. I parlamentari del Movimento 5 Stelle delle Commissioni Politiche Ue di Camera e Senato sottolineano come l’accordo rischi “di essere inutile” e di “alimentare crimini visti i gravi crimini contro i migranti sub-sahariani commessi dalle forze dell’ordine tunisine e la repressione di ogni dissenso politico e civile nel Paese”.

Come ricorda l‘associazione Baobab Experience “il memorandum è arrivato nonostante tutto, con una Tunisia in piena campagna razzista e xenofoba ad opera dello stesso presidente Saied Nel mirino, i migranti subsahariani residenti in Tunisia o in transito verso l’Europa”. Del resto, Saied nega tutto: “Gestione dei migranti violenta Fake News dalle Ong”.

Per il presidente tunisino sarebbero infondate le accuse contro il suo governo di avere arrestato e deportato da Sfax nell’ultima settimana più di mille migranti subsahariani, trasferendoli con la forza e abbandonandoli nel deserto al confine con la Libia e con l’Algeria. Anche nell’ostinata negazione della realtà Tunisi da oggi appare sempre più vicina a Tripoli. Ora non resta che aspettare una manciata d’anni per sentire le istituzioni europee recitare il prossimo mea culpa. Non potevamo sapere, diranno, e invece è un futuro già scritto.

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Dalla Rai alla Tunisia, un disastro tira l’altro

Ogni volta che l’intellighenzia di questa destra apre bocca combina un disastro. A Filippo Facci è toccato scoprire che il mondo reale non è l’ovattato ambiente del quotidiano per cui lavora. Qui fuori non vige nemmeno il giustificazionismo della sua compagnia di giuro. Così la sua striscia “I facci vostri” diventano “facci suoi” e al giornalista non resta che accomodarsi nel suo ecosistema, fuori dalla Rai.

Parabola simile anche per il telecronista Lorenzo Leonarduzzi e il commentatore tecnico Massimiliano Mazzucchi che durante la telecronaca della finale dei Mondiali di tuffi, specialità trampolino sincronizzato, a Fukuoka, in Giappone, hanno chiacchierato allegramente come una banda di sovranisti al quinto giro di birre al bancone del bar: ora stanno facendo le valigie per tornare mogi in Italia. Identiche le risibili giustificazioni: non sapevano, non volevano, non sono sessisti. È la loro natura: si vergognano in pubblico per gli atteggiamenti di cui si bullano in privato.

Culturalmente pericolose sarebbero anche le parole del ministro Salvini che dipinge gli evasori fiscali come perseguitati o quelle della ciurma di Forza Italia che ieri ha provato a riscrivere la storia delle sentenze antimafiose di questo Paese su impulso della figlia del padrone. Ugualmente pericolose sono anche le parole di chi finge di non sapere che la Tunisia diventerà un altro sacco dell’umido in cui buttare i diritti alle porte dell’Unione europea. C’è una differenza sostanziale: questi ultimi sono classe dirigente e inamovibili. Sarebbe stato meglio per noi se avessero fatto i giornalisti.

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Il grande inganno sul grano ucraino

L’accordo che un anno fa aveva portato allo sblocco dell’export di grano dall’Ucraina al Mar Nero verso il resto del mondo si è rivelato del tutto inadeguato a fronteggiare l’aumento della fame globale, acutizzato dalla crescita esponenziale dei prezzi di cibo ed energia. Scioccanti i dati: i Paesi ricchi si sono accaparrati l’80% del grano e dei cereali usciti dall’Ucraina, mentre agli Stati più poveri e colpiti dalla crisi alimentare (a un passo dalla carestia come Somalia e Sud Sudan) è andato appena il 3%.

A rivelarlo è una nuova analisi di Oxfam, diffusa in occasione del mancato rinnovo del patto a causa dell’uscita della Russia.

“L’accordo che ha consentito di riprendere le esportazioni di cereali dall’Ucraina ha certamente contribuito a contenere l’impennata dei prezzi alimentari –  aumentati comunque del 14% a livello globale nel 2022 – ma non ha rappresentato la soluzione alla fame globale che oggi colpisce almeno 122 milioni di persone in più rispetto al 2019 – ha detto Francesco Petrelli, policy advisor sulla sicurezza alimentare di Oxfam Italia – Centinaia di milioni di persone soffrivano la fame prima che la Russia invadesse l’Ucraina e centinaia di milioni continuano a soffrire la fame oggi: 783 milioni in totale l’anno scorso, secondo i recentissimi dati Fao. Paesi come il Sud Sudan e la Somalia, a cui è andato appena lo 0,2% del grano ucraino dall’entrata in vigore dell’accordo, sono ad un passo dalla carestia. Tutto questo è semplicemente vergognoso e descrive un mondo in cui la disuguaglianza di accesso al cibo continua a crescere sempre di più invece che diminuire”.

La scorsa settimana è stato pubblicato il Rapporto Fao sullo stato della sicurezza alimentare. Da esso è emerso che: oltre 3,1 miliardi di persone – pari al 42% della popolazione mondiale – non hanno potuto permettersi una dieta adeguata nel 2021; 2,4 miliardi di persone nel 2022 erano moderatamente o gravemente insicure dal punto di vista alimentare – quasi il 30% della popolazione mondiale; in Somalia, 1 persona su 3 soffre di malnutrizione acuta e il Paese sta affrontando la più grave siccità degli ultimi 40 anni, nonostante sia uno dei Paesi meno responsabili della crisi climatica; nella sola Africa orientale, oltre 8 milioni di bambini sotto i cinque anni – quasi l’intera popolazione della Svizzera – soffrono di malnutrizione acuta.

Dove sono gli sforzi del “mondo occidentale”?

Buon martedì.

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Concorso esterno in associazione di governo

Poveri, che fatica questi editorialisti fiancheggiatori che devono cestinare gli articoli e le bozze scritti in questi giorni, esultando per la paventata abolizione del concorso esterno in associazione mafiosa.

Qualcuno ha avuto l’occasione per premere l’acceleratore sull’abolizione di quel fastidioso reato che Falcone e Borsellino avevano pensato come strumento per colpire la cosiddetta zona grigia della mafia che negli anni è diventata una zona bianchissima.

Il ministro Nordio, con la sua ennesima avventata intervista, ha riacceso la speranza agli anti-antimafiosi che in questi anni hanno sognato un’impunità certificata anche dalle legge. Ora la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha spezzato l’idillio.

Sul treno per Pompei che ha inaugurato insieme al ministro Sangiuliano (un treno “speciale” che accadrà una volta al mese) la presidente del Consiglio dopo avere deportato i giornalisti rinchiusi nel vagone dei dissidenti ha infilzato il suo ministro alla Giustizia invitandolo a concentrarsi su “altre priorità”.

A due giorni dall’anniversario della morte di Paolo Borsellino la presidente del Consiglio deve avere avuto un moto di vergogna. Del resto contro l’idea di Nordio si erano già espressi un bel po’ di persone che la mafia la combattono davvero sul campo oltre al sottosegretario Mantovano e perfino all’alleato Matteo Salvini.

“Con la premier siamo e siamo sempre stati in perfetta sintonia”, ha poi puntualizzato il ministro Nordio spiegando che la rimodulazione “del concorso esterno non è in programma”. Intanto ai giornalisti, prima forzati a salire in anticipo sul treno, poi lasciati fuori dagli scavi di Pompei e quindi assiepati al sole in attesa dell’uscita della premier è stato concesso di scrivere una notizia.

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Veni, vidi, Facci

Scrive Antonella Baccaro sul Corriere della Sera che oggi sarà il giorno in cui la Rai annuncerà la cancellazione della striscia quotidiana “I facci vostri”, che da settembre avrebbe dovuto precedere il Tg2 dell’una. L’amministratore delegato della Rai Roberto Sergio – scrive la giornalista – avrebbe preso questa decisione un minuto dopo avere letto il contestassimo fondo dell’editorialista su Libero che ha fatto scoppiare un pandemonio.

Se oggi si realizzerà ciò che scrive il Corriere della Sera potremo avere l’opportunità di analizzare ex ante le modalità di vittimismo di questa destra. Accadrà – segnatevelo – che il polemista Facci indosserà (o verrà rivenduto da certi giornali) i panni del partigiano “vittima della cancel culture della sinistra”. Potremmo già fare i nomi e i cognomi di quelli che dal centro useranno la “vicenda Facci” per rimestare la “cancel culture” nei loro editoriali. Qualcuno proverò a fare notare che qui l’opposizione, la sinistra, e il perbenismo non c’entrano un fico secco: Facci ha fatto tutto da solo.

Qualcuno scriverà – o dirà – che “la Rai è ancora in mano alla sinistra”, segnatevelo, lamentando una “mancanza di libertà”. Qualcuno dirà che è “eccessivo punire qualcuno per una frase sbagliata” – è già stato scritto nei giorni scorsi – dimenticando che la matrice di Facci è visibile in decine di uscite infelici e non certo per una singola frase. Complottismo, vittimismo, opposizione all’opposizione. Andrà così.

Buon lunedì.

 

Foto:

Niccolò Caranti – Opera propria

Filippo Facci al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia

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Da europeista a sovranista è un attimo. Meloni premier con tante… Vox

Matteo Salvini era solito cambiarsi le felpe. A Milano indossava quella verde con la scritta Lombardia ma nello stesso giorno era capace di farsi fotografare a Napoli con il modello che recitava Campania. Qualcuno deve averlo convinto che il locale restasse nascosto oppure il segretario della Lega non ha mai pensato all’effetto straniante che produce un leader per tutte le occasioni. Poi è arrivata la maglietta con il faccione di Putin a ricordargli le sue giravolte e il ministro alle Infrastrutture ha smesso, arrendendosi a un vestiario per tutte le regioni. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha inaugurato invece un cambio di facce, al posto delle felpe, che indossa in base alla platea che ha di fronte.

Non si tratta di naturale resilienza: Meloni riesce a dire tutto e il suo contrario nei toni, nei modi e nei contenuti nel giro di qualche chilometro. Lo scopo è lo stesso del suo collega Salvini: accontentare l’uditorio. In mancanza di idee proprie ci si rivende come eccelsi interpreti delle idee degli altri.

La metamorfosi di Meloni

Così ieri la presidente del Consiglio – quella ritenuta “moderata” dal forzista Tajani – ha pensato bene di videocollegarsi per intervenire a sorpresa durante un comizio di Santiago Abascal, leader di Vox e candidato alle elezioni in Spagna del 23 luglio. Dismessa la faccia dell’europeista Meloni ha calzato il viso da barricadiera, usurato in campagna elettorale e ultimamente riposta nell’armadio. “Buonasera patrioti – ha esordito il premier -. Sono molto contenta di contribuire con il mio messaggio alla campagna elettorale e ribadire il grande legame che unisce Fratelli d’Italia e Vox. Mancano 10 giorni per una data decisiva per il futuro della vostra storia, perché i patrioti arrivino al governo in Spagna”.

I “patrioti” sono gli stessi che stanno ostacolando il governo Meloni a Bruxelles ma questo non è un problema di quella Giorgia Meloni, è un grattacapo solo per “l’altra”. Meloni è tornata a fare quello che le riesce meglio: opporsi ai suoi avversari nonostante sia al governo. “Gli spagnoli sono un gran popolo e sapranno riconoscere chi vale sul serio – ha proseguito Meloni -. La sinistra europea e internazionale non può difendere i deboli e i lavoratori, noi sì, perché diciamo la verità.In Italia abbiamo una pressione migratoria molto forte. Ci vorrà tempo ma sono sicura che la nostra ricetta è quella giusta”.

Peccato che il programma del partito di ultradestra spagnolo preveda ”l’espulsione immediata di tutti gli immigrati che accedono illegalmente”, una misura che presentata in questo modo, senza fare alcuna distinzione tra i diversi casi e situazioni, è incompatibile con le risorse disponibili, gli accordi con i paesi d’origine e la legislazione internazionale. Altro che “ricetta europea” di cui parla Meloni.

Per concludere in bellezza la presidente del Consiglio non ha risparmiato qualche accenno di negazionismo climatico dopo il voto del Parlamento Ue che ha visto sconfitto il fronte inedito dei conservatori e dei popolari: “Chi ci vuole condannare non ama la natura – dice Meloni – basta con il fondamentalismo. Vogliamo difendere la natura, con al suo interno l’uomo. La sostenibilità ecologica deve andare di pari passo con quella economica. L’Europa torni a essere consapevole del suo ruolo, si occupi dei grandi temi, in stretta collaborazione con gli stati nazionali”.

Finito il suo intervento Meloni ha indossato poi la faccia per la puntata successiva. Così, di continuo. Sperando che non gli capiti di sbagliare modello: ve la vedete negazionista del cambiamento climatico mentre chiede i soldi all’Ue per l’alluvione in Emilia Romagna

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La questione immigrazione è umanitaria prima che politica: dove sbaglia l’opposizione – Lettera43

Lo scrive benissimo Giorgio Gori rispondendo a chi gli chiede perché il Partito democratico non dice che gli sbarchi sono più che raddoppiati: «Il problema, più ancora degli sbarchi, è la totale incapacità dell’attuale governo di gestire i flussi migratori, di organizzare un’accoglienza dignitosa, di attivare politiche di formazione e di integrazione, di evitare la moltiplicazione delle situazioni di irregolarità e illegalità, di costruire relazioni internazionali che consentano di realizzare gli eventuali rimpatri. Non che i precedenti governi abbiano brillato per visione ed efficienza, ma qui siamo allo sbando: sbarchi fuori controllo e nessuna capacità di governare il fenomeno».

All’opposizione vogliono rivendersi come i prossimi guardiani dei porti?

Nell’eterna discussione sull’immigrazione una parte grottesca dell’opposizione in questi giorni sta attaccando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo governo perché «gli sbarchi sono raddoppiati e non ha mantenuto la promessa di chiudere i confini». La frase è scivolosa e pericolosa. Accusare la propria avversaria politica di non essere in grado di attuare l’empietà che aveva promesso è un’idiozia. A chi si parla svolgendo un’opposizione del genere? Ci si vuole rivendere come i prossimi guardiani dei porti?

La questione immigrazione è umanitaria prima che politica: dove sbaglia l'opposizione
Migranti sbarcati in Italia (Imagoeconomica).

Gli aspetti umanitari sono una questione pre-politica

Il punto che rende colpevole questo governo non è politico. Scivolare nella politicizzazione è il più grande favore che si possa fare a Matteo Piantedosi, Matteo Salvini, Giorgia Meloni e compagnia. Il cuore della questione è umanitario e gli aspetti umanitari, in qualsiasi democrazia sana, sono una questione pre-politica. I diritti umanitari non rientrano e non possono rientrare nelle legittime scelte politiche dei partiti e dei governi che si susseguono. L’elefante dentro la stanza non è come gestire i flussi migratori, ma come evitare le morti sulla rotta balcanica e sulla rotta mediterranea. Va detto e ripetuto con forza, ogni volta, in ogni dove.

La questione immigrazione è umanitaria prima che politica: dove sbaglia l'opposizione
Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Imagoeconomica).

Il gioco meschino di chi non si dichiara apertamente razzista

Confondere la discussione umanitaria con il diritto di ingresso in Europa è il gioco meschino di chi lucra sull’immigrazione perché non ha le palle di dichiararsi apertamente razzista. Salvare le persone che affogano in mare non è questione di leggi e regolamenti. Non è plausibile sopire i soccorsi per usare l’arma della paura (di morire) come deterrente delle partenze. Molte associazioni di diritti umani contestano al decreto che fu di Piantedosi esattamente questo: non si può regolamentare il salvataggio delle persone, non si può normare il dovere di portare dei naufraghi il più velocemente possibile nel porto sicuro più vicino possibile. Non è politica, è vigliaccheria.

La questione immigrazione è umanitaria prima che politica: dove sbaglia l'opposizione
Salvataggio in mare (Imagoeconomica).

Legalizzazione della disumanità come strumento di governo

Per questo fa specie ascoltare da certa opposizione l’accusa di non essere stati all’altezza della disumanità promessa in campagna elettorale. Ed è per questo che gli accordi per la ridistribuzione dei migranti in Unione europea non possono essere confusi con le persone che abbiamo il dovere di salvare dalle onde o dal gelo o dalle sevizie nei boschi. Si intravede una maggioranza trasversale (che attraversa i partiti di governo e qualcuno dell’opposizione) che legalizzerebbe la disumanità come strumento di governo. La differenza è tra chi ritiene inalienabile il diritto alla vita e chi invece lo ritiene negoziabile con gli interessi interni di una nazione.

Per quelli in mare da che parte si decide di stare? Quella è la linea

Sull’immigrazione si può discutere di tutto. Si potrebbe discutere degli hotspot “esterni” se la Libia non fosse un crogiolo di violenze e morte. Si potrebbe discutere del ruolo dei Paesi di frontiera se si risolvesse prima la loro inclinazione alla crudeltà. In Italia e in Europa ci si ostina a scavalcare il prerequisito essenziale di ogni proposta politica (il rispetto per la vita) come se la Convenzione europea sui diritti dell’uomo fosse semplicemente un decalogo di buoni propositi per la letterina di Babbo Natale. Gli sbarchi riguardano i già salvi. Per quelli in mare da che parte si decide di stare? Quella è la linea che divide le due parti.

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Schlein nella tana di De Luca: a Napoli per regolare i conti con il governatore

“Una e indivisibile, perché l’autonomia differenziata minaccia l’unità d’Italia” è il titolo del convegno che il Partito democratico tiene in questi giorni a Napoli con cui la segretaria Elly Schlein prova a cementare la sua comunità politica.

“Non solo una manifestazione contro ma un’occasione per le proposte”, fanno sapere dal Nazareno. Schlein vuole lavorare su due fronti. Da una parte prova a fare del Pd il perno di un’opposizione meno disunita, lavorando sui temi comuni più che sulle differenze, come nel caso del salario minimo. Contemporaneamente la segreteria vuole che il Pd rappresenti una credibile alternativa di governo, senza limitarsi a pungere il governo.

La sfida Schlein-De Luca

Ma la due giorni di Napoli è anche la mappa della geografia interna del Partito Democratico, ancora alle prese con gli assestamenti per la vittoria di Schlein che evidentemente non è ancora stata assorbita da tutti. Lo scontro principale, manco a dirlo, a Napoli è quello con il presidente della Campania Vincenzo De Luca che nelle ultime settimane ha moltiplicato gli attacchi contro la sua segretaria, non disdegnando i suoi abituali toni sprezzanti.

Ufficialmente De Luca è stato invitato (“come tutti i membri del partito”, fanno sapere dalla segreteria) senza nemmeno rispondere. Il presidente campano ha lanciato la sfida a Schlein, al commissario del Pd campano Antonio Misiani e alla commissaria Dem a Caserta Susanna Camusso.

De Luca ha deciso di andare allo scontro ponendo il veto sulla partecipazione all’evento di Napoli per tutti i suoi consiglieri regionali. Missione non del tutto riuscita. La guerra a Schlein e alla nuova segretaria sta logorando il governatore campano e tra i nove consiglieri regionali Dem qualcuno ha già fatto sapere di “non essere al guinzaglio di nessuno” e di partecipare all’iniziativa.

Oggi dovrebbe esserci Massimiliano Manfredi (consigliere regionale nel gruppo del Pd nonché fratello del sindaco di Napoli), e la consigliera Bruna Fiola. Il capogruppo Mario Casillo ieri avrebbe dovuto aprire uno dei panel della kermesse ma è stato precettato dal Consiglio regionale convocato proprio da De Luca. Il fallimento peggiore però è nazionale.

L’opposizione interna del Pd in cerca di un leader?

Vincenzo De Luca ha creduto di poter essere la lepre in fuga dello scontro aperto con la segretaria, convinto di potersi accreditare come nuovo leader dell’opposizione interna. La minoranza del Pd oggi ha infatti vertici debolissimi: su Bonaccini pesa la sconfitta alla corsa per la segreteria e soprattutto l’accusa di avere brigato più per ottenere la presidenza del partito che per conquistare posti per i “suoi”.

Discorso simile per Lorenzo Guerini (leader in decadenza di Base riformista) che secondo qualcuno si è impegnato più per la presidenza del Copasir che per un vero lavoro di “squadra” all’interno del partito.

Anche per questo De Luca ha ritenuto di potersi rilanciare come leader dell’opposizione a Schlein. Il governatore non ha però tenuto conto dell’anima margheritina degli anti-Schlein che amano poco i modi e i toni visti in queste ultime settimane.

Ma soprattutto il presidente campano non ha tenuto conto dell’antico adagio che risuona nella fronda interna contro la segreteria: “per andare allo scontro bisogna avere qualche pedina nelle posizioni giuste”, dice un senatore Dem.

E di posizioni, per ora, non ce ne sono. la segretaria Elly Schlein si ritroverà oggi sul palco insieme a Stefano Bonaccini, Michele Emiliano e praticamente tutti i dirigenti nazionali. L’isolamento di De Luca diventerà plastico. “Per questo potrebbe presentarsi a sorpresa”, suggerisce qualcuno. Ma sarebbe solo l’ennesima macchietta.

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Dieta di Stato con la Social card: ora decidono anche cosa mangiamo

La nuova classe “digerente”, più che dirigente. Dalle parti del governo sono stati presi dal piglio dei nutrizionisti e hanno deciso cosa si può comprare con la nuova “social card”, la mancetta che hanno contestato quando erano all’opposizione e in campagna elettorale e che invece sono riusciti a formulare nel peggiore dei modi. I fruitori della card potranno acquistare (con nemmeno una moneta di 2 euro al giorno) chili di cioccolato o cacao in polvere, potranno trastullarsi con zucchero e caffè (non più di un caffè al giorno, viste le cifre) ma non potranno acquistare nessun cibo surgelato, ad esempio.

Con la Social card arriva la dieta di Stato

Nell’idea del governo permettersi il lusso di scaldarsi qualcosa già pronto è una mollezza che evidentemente non si addice alla stirpe italica. Niente da fare nemmeno per i gelati: ai bambini toccherà al massimo – se saranno stati bravi – un cucchiaio di miele (consentito) o una manciata di arachidi. Obbligatorio quindi il “pescato fresco” (sembra una barzelletta ma è così) e chissà che fine fanno gli eventuali ricorsi per il pesce scongelato che viene venduto nella stragrande maggioranza dei banchi della grande distribuzione.

Il pesce che “è stato surgelato” e ora si presenta fresco è una truffa allo Stato? Ci saranno uomini della polizia alimentare che si aggireranno nelle corsi dei supermercati per valutare la vivezza dell’occhio della triglia Ma le stranezze non finiscono qui. Aceto sì, aceto balsamico no. Zucchero sì ma non sia mai che si faccia colazione con la marmellata. Ah, niente sale, tutto insipido per decreto. Sì la camomilla ma niente risate. Nel libro nero ci finiscono anche le bibite gasate.

Con la Social card niente farmaci

A tal proposito tocca ritirare fuori quel campione di coerenza che è il ministro Salvini, uomo forte di questo governo. Nel 2019 l’attuale ministro alle Infrastrutture tuonava contro una tassa sulle bibite gassate: “Follia e malattia – diceva Salvini – Occhio ai pericolosi detentori di spuma nera e bianca, gazosa e aranciata. Vedo già perquisizioni negli zainetti dei bimbi a scuola”. Ci aveva visto giusto: ora che è arrivato al governo è accaduta la distopia che lo tormentava.

Chissà come dormirà male, ora. A proposito: se i possessori della social card commettono il grave errore di prendere un’otite o un’influenza non si azzardino a comprare gocce o Tachipirina. La nuova classe digerente ha deciso che i farmaci non sono un bene “primario”. Si torna agli impacchi di legumi come ai vecchi tempi e a posto così. Sempre che la social card i bisognosi riescano a ottenerla.

Non solo la dieta, gli esclusi dalla Carta Dedicata a te

Il governo infatti non ha potuto esimersi dal stilare la classifica delle famiglie più famiglie degli altri e così in nome delle risorse limitate (500 milioni di euro) ha deciso che l’elenco dei beneficiari viene individuato tra le famiglie con non meno di tre componenti. Non solo. Ad avere la priorità sono i nuclei familiari con i figli più piccoli e – in seconda battuta – coloro che hanno un reddito più basso. È il ritorno del proletariato: avere prole è la caratteristica principale per essere riconosciuto (e premiato con mancia) dal governo.

E le famiglie con meno di tre componenti? Per loro cattive notizia. Se è infatti è vero che il decreto legge non esclude espressamente single e coppie dal beneficio, difficilmente questi nuclei familiari avranno diritto alla nuova carta acquisti. Il motivo è banale: le risorse sono limitate e come abbiamo visto la priorità viene data alle famiglie con almeno tre componenti e un figlio piccolo. “A questi 382 euro c’è la possibilità di sommare gli sconti del 15% che abbiamo ottenuto da tutti quelli che nella distribuzione hanno aderito al progetto, e che ringrazio, sconti cumulabili alla scontistica già applicata”, ha detto ieri il ministro Lollobrigida. Il quadro è completo: la mancia e la caccia agli sconti. Basta attenersi alla dieta di cittadinanza.

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