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Giù le mani dal concorso esterno: pure De Lucia smonta la riforma Nordio

Ahi maledetta Commissione parlamentare Antimafia, foriera di tanti dispiaceri! Mentre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro alla Giustizia Carlo Nordio sminuiscono qualsiasi osservazione sulla preannunciata riforma della giustizia come “male lingue” il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia audito dalla commissione presieduta dalla melonianissima presidente Chiara Colosimo (Fratelli d’Italia) smonta pezzo per pezzo la narrazione del governo.

La relazione di De Lucia

Si comincia con le odiosissime intercettazioni, strumento di indagine che proprio il ministro Nordio aveva definito poco utile perché, a suo dire, “i mafiosi non parlano al telefono”. De Lucia spiega che “le intercettazioni sono, nelle loro varie forme, uno strumento decisivo nella lotta alla criminalità organizzata. Perché ‘organizzazione’ vuol dire comunicazione, i mafiosi parlano tra di loro ed è indispensabile cercare di entrare all’interno dell’organizzazione ascoltando le loro comunicazioni”.

Anzi, secondo il procuratore di Palermo – che di mafiosi ne “ascolta” parecchi per mestiere – più che occuparsi di svilire le intercettazioni bisognerebbe preoccuparsi del fatto che “in questo momento – dice De Lucia – il meccanismo delle intercettazioni ci pone in ritardo rispetto alle forme di comunicazione che usano le mafie. Le mafie usano piattaforme criptate, rispetto alle quali noi siamo in ritardo. Quindi c’è un problema tecnologico ancor prima che normativo”.

Non solo: “L’importanza delle intercettazioni in tema di criminalità organizzata è tale che non posso immaginare una riforma in senso limitativo di questo strumento”, spiega De Lucia. Con buona pace di chi ne ha parlato senza la benché minima contezza del fenomeno mafioso. Il procuratore ha ribadito che “tutto quello che è stato fatto contro le mafia – ha aggiunto – è stato fatto con l’uso e il rispetto delle leggi”, a proposito degli “abusi” che vengono sventolati ogni volta.

Anche sui collaboratori di giustizia (volgarmente detti pentiti) il procuratore De Lucia ci tiene a precisare che sono “determinanti” per l’azione antimafiosa. Due elementi elenca De Lucia: collaboratori di giustizia e intercettazioni. A chi fa comodo indebolire questi due strumenti è presto detto: ai mafiosi. Il procuratore di Palermo, rispondendo a una domanda, ha anche spiegato che i “trojan” sono uno strumento “invasivo” ma irrinunciabile “specie in una situazione in cui il fenomeno della corruzione si manifesta come davvero pervasivo e importante”.

Il reato di concorso esterno

De Lucia è intervenuto anche sul reato di concorso esterno, che – sempre per bocca del ministro Nordio – è tornato in discussione: “Lo strumento del concorso esterno in associazione mafiosa, siccome è oggettivamente delicato, può essere oggetto di una riflessione” ma “è assai difficile immaginare di non ricorrere più a uno strumento che esiste dal 1930 e che si è rivelato uno strumento utile e corretto per colpire disvalori”, risponde De Lucia.

“È possibile rivisitare l’area applicativa ma solo per individuare forme più tipizzate. Quanto ad altre forme di riesame e all’abolizione tout court dell’istituto mi pare difficile”, dice De Lucia. Saranno scontenti coloro che vedevano all’orizzonte addirittura un’abolizione. Al procuratore di Palermo è toccato pure il compito di ricordare che “Cosa Nostra ora si è indebolita, ma è tutt’altro che sconfitta, e anzi in questo momento di debolezza cerca di ristrutturarsi per mezzo, tra le altre cose, della ricerca di nuovi capitali”. Con una precisazione importante: Messina Denaro non era “il capo” di Cosa nostra, nonostante sia stato “mitizzato”. Anche perché la mafia ha bisogno di un vertice, più di un capo.

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A proposito del Decreto Piantedosi: ora il reclamo arriva alla Commissione europea

L’associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), Emergency, Medici Senza Frontiere (MSF), Oxfam Italia e SOS Humanity hanno presentato un reclamo alla Commissione europea per chiedere un esame della nuova legge italiana in materia di gestione dei flussi migratori (15/2023). 

Le Ong evidenziano come la nuova normativa sollevi gravi preoccupazioni riguardo la sua compatibilità con il diritto dell’Unione Europea (Ue) e gli obblighi degli Stati membri ai sensi del diritto internazionale in materia di attività di ricerca e salvataggio in mare.  

«La Commissione europea è la custode dei trattati dell’Ue e garantisce che gli Stati membri rispettino il diritto internazionale e comunitario» afferma Giulia Capitani, policy advisor su immigrazione e asilo di Oxfam Italia. «Dovrebbe sostenere e proteggere i diritti fondamentali di tutte le persone in Europa. Invece, sono le Ong a riempire il vergognoso vuoto in mare lasciato dagli Stati membri dell’Ue. Invece di ostacolare il loro lavoro, le Ong andrebbero coinvolte nella creazione di un sistema adeguato di ricerca e soccorso in mare».

La nuova legge italiana prevede che le imbarcazioni si dirigano senza ritardi verso il porto assegnato dopo la prima operazione di salvataggio, limitando così l’azione delle imbarcazioni nel fornire assistenza ad altre barche in difficoltà. La norma obbliga, inoltre, i capitani a fornire alle autorità italiane informazioni non meglio specificate sul salvataggio effettuato, portando a una richiesta di informazioni eccessive.

La nuova legge è aggravata dalla recente prassi delle autorità italiane di assegnare porti lontani per lo sbarco. Questa politica non è prevista da alcuna normativa, ma è diventata una pratica comune dal dicembre 2022, facendo aumentare significativamente i tempi di viaggio e limitando di conseguenza la presenza delle navi umanitarie nella zona di ricerca e soccorso.

Le cinque Ong ritengono che la combinazione di queste misure imponga restrizioni ingiustificate alle operazioni di ricerca e soccorso e limiti drasticamente la loro capacità di salvare vite in mare.

«Ogni giorno trascorso lontano dalla zona di ricerca e soccorso, sia se sotto fermo sia se in navigazione verso un porto lontano, mette a rischio vite umane», afferma Djoen Besselink, responsabile delle operazioni di MSF. «La legge colpisce le Ong, ma il prezzo più alto sarà pagato dalle persone in fuga attraverso il Mediterraneo che si ritroveranno su un’imbarcazione in difficoltà».

L’aumento dei tempi di percorrenza verso porti più lontani comporta anche rischi per la salute fisica e mentale delle persone soccorse a bordo. «Assegnare luoghi sicuri a più di 1.000 km di distanza dal luogo del soccorso danneggia il benessere fisico e psicologico dei sopravvissuti», afferma Josh, capitano della nave di soccorso Humanity 1 di SOS Humanity. «Le 199 persone che abbiamo salvato recentemente, tra cui donne incinte e neonati, sono state costrette a percorrere circa 1.300 km prima di sbarcare in Italia, anche se altri porti italiani erano molto più vicini».

«Le persone soccorse provengono da paesi colpiti da guerre, cambiamenti climatici e violazioni dei diritti umani», spiega Carlo Maisano, coordinatore Life Support di Emergency «Spesso sono in condizioni di estrema fragilità, aggravate da altro tempo trascorso in mare».

Il 23 febbraio 2023, la legge 15/2023 (al tempo ancora decreto-legge) è stata applicata per la prima volta quando l’Autorità portuale di Ancona ha notificato a MSF un ordine di fermo di 20 giorni per la sua nave (Geo Barents) e una multa di 5.000 euro per non aver fornito informazioni che non erano mai state chieste prima.

Da allora, le autorità italiane hanno fermato altre quattro navi umanitarie di ricerca e soccorso – Aurora, Louise Michel, Sea-Eye 4 e Mare*Go – per un periodo di 20 giorni ciascuna per violazione della nuova normativa. Questo significa un totale di 100 giorni persi per le navi umanitarie di ricerca e soccorso, mentre non si sono interrotti i pericolosi viaggi in mare e i naufragi nel Mediterraneo.

«Le persone salvate in mare sono giuridicamente naufraghe, prima che migranti, ed il loro ingresso sul territorio nazionale attraverso il salvataggio in mare non può essere considerato in contrasto con la normativa sull’immigrazione. L’obbligo di soccorso è, infatti, inderogabile e non limitato e, vale ribadire, prescinde dalla qualifica soggettiva della persona soccorsa» conclude l’avvocato Lorenzo Trucco, presidente Asgi.

Il grosso rischio di fronte a leggi criminogene è l’effetto della rana bollita. Ci stiamo dentro ormai da così tanto che non ci accorgiamo che finiamo cotti. Il Decreto Piantedosi è legge ma contestare le leggi ingiuste è un dovere.

Buon venerdì.

 

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Metodo Santanchè: dalle bugie alle querele

Si dice tranquilla la ministra al Turismo Daniela Santanchè. È così tranquilla che ieri per intervenire all’assemblea generale di Confagricoltura a Roma era circondata da un cordone di poliziotti e da un collaboratore che filmava i presenti. Per difendersi da chi? Dai giornalisti, ovviamente, e da quel loro pericolosissimo vizio di porre delle domande.

La strategia della ministra è sempre la stessa: “Non partecipo ai processi mediatici”, dice ai cronisti presenti. Che si tratti di indagini giudiziarie e di valutazioni politiche continua a sfuggirle. Per non partecipare “ai processi mediatici” basterebbe rispondere, possibilmente con informazioni vere. La questione sarebbe già chiusa da un pezzo. Così sul palco ancora una volta dice di non essere disposta “a fare un passo indietro”: “non capisco per quale motivo dovrei farlo”, dice alla platea, “nessuno mi ha mai accusato nella mia funzione di ministro”.

Deve essere comodo riuscire a vivere così, da personaggio pubblico che diventa privato e poi torna pubblico alla bisogna. Il concetto di opportunità, del resto, non vige da quella parti. Ma la frase da incorniciare è un’altra. Dice la ministra: “io dico ai giornali, bene, c’è la libertà di stampa, scrivete quello che volete, poi anche lì ci sarà qualcuno che dirà se le cose erano vere o false. Mi auguro tra qualche anno di avere un bel gruzzoletto dal mio risarcimento danni” con cui “potrò magari aiutare qualcuno che ha più bisogno di me”. Le possiamo dare un consiglio: lì fuori ci sono da mesi i suoi dipendenti che aspettano il dovuto.

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Nient’altro che un’oligarchia

Spiegata semplice. Lo scorso 12 gennaio Dimitri Kunz e Laura Di Cicco hanno comprato una villa a Forte dei Marmi e dopo 58 minuti l’hanno rivenduta, guadagnando un milione di euro. La notizia l’ha scovata il quotidiano Domani: i due personaggi di questa curiosa storia sono il compagno della ministra del Turismo Daniela Santanchè e la moglie del presidente del Senato, Ignazio La Russa. A gennaio sia Kunz che Santanchè sono già indagati dalla Procura di Milano per via del tracollo di Visibilia, la società editoriale già amministrata dalla ministra. Il compagno della ministra, nel momento in cui porta a termine la plusvalenza da un milione, è  l’amministratore unico di Visibilia editrice.

Guadagnare un milione di euro in meno di un’ora accade in pochi casi. Potresti essere un genio, un talento ineguagliabile in un campo molto ristretto per cui sei un fenomeno a livello mondiale e quindi ti meriti un guadagno stratosferico perché la stratosfera è il luogo in cui pascoli. Non è questo il caso. Siamo di fronte ai “coniugi di” politici di lungo corso che non hanno mai dimostrato grandi talenti.

I pochi che collezionano guadagni spropositati hanno un nome: oligarchi. L’oligarchia, dice il dizionario, è un regime politico o amministrativo caratterizzato dalla concentrazione del potere effettivo nelle mani di una minoranza, per lo più operante a proprio vantaggio e contro gli interessi della maggioranza. Da mesi gli oligarchi per eccellenza sono i russi, spinti come rozzi e primitivi rispetto al luminoso occidente. Dalle nostre parti l’oligarchia propone come modelli di imprenditoria nomi plurifalliti oppure “unti” dalla vicinanza di qualche imprenditore di qualche generazione fa.

Ieri sera Kunz ha scritto un comunicato in cui ci spiega che  “l’effetto scandalistico basato sui ’58 minuti’ tra l’acquisto e la rivendita è intenzionalmente impressionistico e sostanzialmente falso. L’operazione immobiliare in oggetto, durata più di un anno, nasce su precisa richiesta del venditore professor Alberoni, assistito da una avvocatessa milanese. Il prezzo di vendita è esattamente quello richiesto dallo stesso professore per l’immobile che era frutto di una eredità non chiusa con sette coeredi, legatari e asseriti creditori. Al professore, sono stati versati molti mesi prima (e non 58 minuti) durante il preliminare di vendita, una parte del prezzo richiesto e accettato”. Poi “è stato individuato, dopo lavori di miglioria dell’immobile, un compratore fortemente interessato che ha provveduto a sua volta a rogitare non appena è stato giuridicamente possibile (i famosi 58 minuti). Compratore che era consapevole del prezzo pagato al professore e della continua crescita del valore delle case in Versilia. Il guadagno infine, risulta assai minore di quello riferito dal quotidiano Domani tenuto conto dei non lievi costi sostenuti per l’immobile, la alta tassazione sul reddito e sulla plusvalenza”.

Buon giovedì.

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Difende i suoi e attacca i pm: è sempre la solita Meloni

Tanto tuonò che piovve. Al termine del vertice Nato di Vilnius, Giorgia Meloni si presenta, dopo tempo, di fronte ai giornalisti e questa volta non può evitare le tensioni interne della sua maggioranza. Nello staff della presidente del Consiglio pesano gli ultimi sondaggi che danno Fratelli d’Italia in caduta dell’1,8% perso in una sola settimana, passando dal 29,2% al 27,4%. Inevitabile quindi partire dal caso che si è abbattuto sul presidente del Senato, Ignazio La Russa.

Il caso La Russa

“Per quello che riguarda il caso di Leonardo Apache La Russa, comprendo da madre la sofferenza del presidente del Senato anche se non sarei intervenuta nel merito della vicenda”, dice Giorgia Meloni, che aggiunge: “Tendo a solidarizzare per natura con una ragazza che denuncia e non mi pongo il problema dei tempi”. È il classico colpo al cerchio e alla botte, uscendo dall’ambito politico (nelle vesti di madre) per poi rientrarci per rimanere in quello istituzionale. La notizia però c’è: anche Giorgia Meloni, come molti italiani, trova inopportuno che il presidente del Senato sia intervenuto in una questione giudiziaria. Con buona pace dei commentatori stesi di questi giorni.

Meloni e il caso Santanchè

Stessa strategia di mischiare pubblico e privato quando Meloni parla del caso Santanchè: “La questione Santanchè è extrapolitica, – dice Meloni – non riguarda la sua attività di ministro che sta facendo molto bene. È una questione molto complessa, va vista nel merito quando il merito sarà completamente conosciuto, ma credo che questo competa alle aule dei tribunali e non alle trasmissioni tv. L’anomalia è che al ministro non viene notificata l’indagine, ma viene notificata a un quotidiano il giorno stesso in cui lei va in Aula per l’informativa. Io segnalo un problema di procedura”.

Anche in questo caso il sottotesto è chiaro: Santanchè è più che in bilico. Come poi si possa pensare che una persona inopportuna come imprenditrice possa essere opportuna come ministra rimane un mistero che Santanchè non dirime.

Il pretesto per Meloni sulla magistratura

Il caso Delmastro invece diventa la leva per attaccare la magistratura. E questa volta non sono presunte “fonti” da Palazzo Chigi. Meloni difende il sottosegretario spiegando che “il giudice non dovrebbe sostituirsi al pm”, provando anche a correggere le parole del suo ministro Nordio. Nel merito (un sottosegretario che rivela informazioni secretate a un compagno di partito) nessuna risposta.

Proprio sullo scontro con la magistratura Meloni alza i toni: “Noi abbiamo un programma chiaro, un mandato che ci è stato dato dai cittadini, lo realizzeremo perché siamo persone che mantengono gli impegni e conveniamo che in Italia la giustizia ha bisogno di correttivi, va resa più veloce, efficiente, deve essere e apparire imparziale”, ha continuato Meloni da Vilnius. “Approfitto per fare chiarezza. Ci sono state molte polemiche, ho letto cose curiose. Non c’è dal mio punto di vista alcun conflitto con la magistratura. Chi confida nel ritorno dello scontro tra politica e magistratura credo che rimarrà deluso”.

Chissà come rimarrà delusa la presidente del Consiglio quando si accorgerà che lo scontro è già iniziato da un pezzo. Infine la presidente del Consiglio ci fa sapere che vede “molto più allarmismo sul fronte italiano che in Ue” parlando di “una polemica dell’opposizione”. E invece il Pnrr è molto semplice, come tutti gli scambi di denaro. Se non arrivano i soldi qualcosa non funziona. E Giorgia Meloni dovrebbe sapere che a preoccuparsi sono quelli che devono riceverli, molto di più di quelli che li devono dare.

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Infangato Borsellino, destre svergognate

Quelli che stanno al governo in questo momento hanno costruito la retorica della loro azione antimafia sulla figura del giudice Paolo Borsellino. Niente di che, nessuna particolare ispirazione. Devono avere letto da qualche parte che Borsellino era considerato “di destra”, al contrario di Giovanni Falcone e quindi hanno deciso di scipparlo per farne un simbolo. Berlusconi invece disse nel 2017 in un’intervista a Il Foglio che “Falcone è il simbolo di come dovrebbe essere un magistrato”, aggiungendo “al pensiero di Falcone si ispirano molte delle nostre idee sulla giustizia”.

Il governo che si ispira a Borsellino (e un poco meno a Giovanni Falcone) ha iniziato demolendo le già malridotte intercettazioni come strumento di indagine. Il ministro Carlo Nordio ci ha detto che “non servono contro la mafia” perché “i mafiosi non parlavano al telefono”. Mentre pronunciava queste parole le intercettazioni permettevano la localizzazione e la cattura di Matteo Messina Denaro.

Poi il ministro si è messo in testa di abolire il reato spia dell’abuso d’ufficio. Ora lascia intendere di voler smantellare il concorso esterno in associazione mafiosa “inventato” proprio da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con l’ordinanza del loro primo maxi processo. Come spiega Gian Carlo Caselli “in sostanza, Falcone e gli altri del pool sostengono che lo strumento giuridico con cui affrontare il nodo nevralgico delle responsabilità penali nell’area grigia è la fattispecie del concorso esterno”. Alla fine di Falcone e Borsellino resteranno solo le vie, buone per farci una foto da pubblicare sui social.

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Nella morsa delle ecomafie: in Italia commessi 84 crimini ogni giorno

Nel 2022 non si arresta la morsa delle ecomafie. I reati contro l’ambiente restano ben saldi sopra la soglia dei 30mila, esattamente sono 30.686, in lieve crescita rispetto al 2021 (+0,3%), alla media di 84 reati al giorno, 3,5 ogni ora. Crescono anche gli illeciti amministrativi che toccano quota 67.030 (in crescita sul 2021 del +13,1%): sommando queste due voci – reati e illeciti amministrativi – le violazioni delle norme poste a tutela dell’ambiente sfiorano quota 100.000 (97.716 quelle contestate, alla media di 268 al giorno, 11 ogni ora).

I numeri del rapporto Ecomafie 2023

A fare il punto è il nuovo rapporto Ecomafia 2023, realizzato da Legambiente, edito da Edizioni Ambiente, media partner Nuova Ecologia. Il rapporto mette in fila dati e numeri sulle illegalità ambientali nella Penisola. Ciclo illegale del cemento, reati contro la fauna e ciclo dei rifiuti sono le tre principali filiere su cui nel 2022 si è registrato il maggior numero di illeciti. A farla da padrone quelli relativi al cemento illegale, (dall’abusivismo edilizio agli appalti) che ammontano a 12.216, pari al 39,8% del totale, con una crescita del +28,7% rispetto al 2021.

Crescono del 26,5% le persone denunciate (ben 12.430), del 97% le ordinanze di custodia cautelare, che sono state 65, addirittura del 298,5% il valore dei sequestri e delle sanzioni amministrative, per oltre 211 milioni di euro. Viene stimato in crescita, da 1,8 a 2 miliardi di euro, anche il business dell’abusivismo edilizio.

Seguono i reati contro la fauna con 6.481 illeciti penali (+4,3% rispetto al 2021) e 5.486 persone denunciate (+7,6%). Scende al terzo posto il ciclo illegale dei rifiuti con una riduzione sia del numero di illeciti penali, 5.606, (?33,8%), sia delle persone denunciate (6.087, ?41%), ma aumentano le inchieste in cui viene contestata l’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti (268 contro le 151 del 2021). Crescono anche gli illeciti amministrativi (10.591, +21,4%) e in misura leggermente minore le sanzioni, che sono state 10.358, pari al +16,2%.

Al quarto posto, dopo il terribile 2021, i reati legati a roghi dolosi, colposi e generici (5.207, con una riduzione del – 3,3%). In aumento i controlli, le persone denunciate (768, una media di oltre due al giorno, +16,7%) e i sequestri (122, con un +14%). Come sempre, un capitolo a parte viene dedicato all’analisi delle attività di forze dell’ordine e Capitanerie di porto nel settore agroalimentare, che hanno portato all’accertamento di 41.305 reati e illeciti amministrativi.

Sul fronte archeomafia, sono 404 i furti d’arte nel 2022. Infine, a pesare e a preoccupare è il virus della corruzione ambientale – censite da Legambiente dal 1° agosto 2022 al 30 aprile 2023 ben 58 inchieste su fenomeni di corruzione connessi ad attività con impatto ambientale – il numero e il peso dei Comuni sciolti per mafia (22 quelli analizzati nel Rapporto, a cui si è aggiunto il recentissimo scioglimento di quello di Rende, in provincia di Cosenza), e la crescita dei clan mafiosi: dal 1994 ad oggi sono 375 quelli censiti da Legambiente. Il fatturato illegale delle diverse “filiere” analizzate nel Rapporto resta stabile a 8,8 miliardi di euro.

Le regioni con più reati ambientali

A livello regionale Campania, Puglia e Sicilia sono le regioni con più reati ambientali. Sale al quarto posto il Lazio (2.642 reati) che supera la Calabria. A livello provinciale, quella di Roma – con 1.315 illeciti – si conferma l’area con più crimini contro l’ambiente. Tra le new entry si segnala la provincia di Livorno, nona in graduatoria, con 565 infrazioni.

Mai come in questo momento”, commenta Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, “si devono alzare le antenne per scovare inquinatori ed ecomafiosi. E bisogna farlo presto, dentro e fuori i confini nazionali, perché stiamo entrando nella fase operativa del Pnrr. L’Italia può e deve svolgere un ruolo importante perché la transizione ecologica sia pulita anche nella fedina penale, come prevede l’aggiornamento della direttiva sulla tutela dell’ambiente, da approvare entro la fine della legislatura europea, ma soprattutto deve recuperare i ritardi accumulati, dando seguito alle dieci proposte inserite nel nostro Rapporto Ecomafia”.

Per Legambiente occorre approvare il disegno di legge contro le agromafie; introdurre nel Codice penale i delitti contro la fauna; emanare i decreti attuativi della legge 132/2016 che ha istituito il Sistema Nazionale per la protezione per l’ambiente; garantire l’accesso gratuito alla giustizia per le associazioni iscritte, come Legambiente, nel Runts, il Registro unico nazionale del Terzo settore.

Ecomafie, le opere sotto la lente

Per Ciafani “è necessario – chiarisce – sul versante nazionale rivedere, in particolare per quanto riguarda il meccanismo del cosiddetto subappalto “a cascata”, quanto previsto dal nuovo Codice degli appalti e garantire il costante monitoraggio degli investimenti previsti per il Pnrr”. “È necessario- spiega Ciafani – rendere più efficace l’azione delle istituzioni a partire dall’approvazione delle riforme che mancano all’appello, anche in vista della prossima direttiva Ue sui crimini ambientali, di cui l’Italia deve sostenere con forza l’approvazione entro l’attuale legislatura europea”.

Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, ha riconosciuto il dovere da parte del governo di “mettere mano al Codice dell’Ambiente” assicurando che il governo “assumerà con una prima stesura da parte del mio ministero e, dall’altra parte – spiega il ministro – però con un percorso che sarà parlamentare dove è fondamentale il contributo di tutti”.

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L’effetto del governo su Rainews24

Ieri un bel pezzo della redazione di RaiNews24 si è ribellata contro il direttore Paolo Petrecca, considerato da tutti il primo “meloniano” che si ritrova a dirigere un canale Rai. Non sta andando benissimo.

Il Comitato di redazione denuncia di avere dovuto “stravolgere” un articolo per il sito Rainews.it sulla denuncia per violenza sessuale nei confronti di Leonardo Apache La Russa, figlio del presidente del Senato Ignazio. La giornalista autrice dell’articolo ha ritirato la propria firma. La decisione è arrivata perché il testo – denuncia il Cdr – “è stato stravolto rispetto alla versione da lei scritta (dal testo sono stati eliminati ampi stralci di quanto accaduto)”. Le modifiche, spiega il comitato, “secondo quanto riferito dalla line alla collega”, “consistevano nel togliere i riferimenti alle polemiche” e “sarebbero state richieste dal direttore con la motivazione che non si trattava ‘di una notizia’”. Una posizione giudicata “ovviamente inaccettabile”. E di fronte alle richieste di spiegazioni dell’organo sindacale interno della redazione Petrecca “ha preferito scrivere alla collega e non rispondere al Cdr, manifestando, ancora una volta, il disprezzo per le regole sindacali”.

Il Cdr parla di “assoluto sbilanciamento degli ospiti in diverse trasmissioni”, già in precedenza segnalato alla direzione. “Clamoroso il caso della rassegna stampa di sabato sera (la registrazione è a disposizione di tutti) nel corso della quale lo stesso conduttore ha espressamente preso posizione sullo scontro governo-magistratura”, scrive il Comitato di redazione riportando quanto espresso dal conduttore: È bastato che il guardasigilli Nordio annunciasse i capisaldi della riforma – queste le parole del conduttore – che sono scoppiate due nuove vicende: quella di Delmastro e quella di Santanchè”.

“Se dovesse proseguire l’atteggiamento di mancate risposte da parte del direttore, porteremo la questione in azienda e valuteremo se informare la Commissione di Vigilanza”, conclude il Cdr. Come ha reagito il direttore Petrecca Parlando di “polemiche strumentali riportate da qualche giornale, spesso composto più, lasciatemelo dire, da pennivendoli dell’informazione che da seri cronisti”. Niente male, eh?

Buon mercoledì.

Nella foto: Paolo Petrecca, frame del video del Premio Morrione, 11 novembre 2022

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“Lavorare per una pace giusta, non tocca solo al Papa farlo”: l’intervista a Gribaudo (Pd)

Siamo nel pieno del vertice Nato in un momento cruciale del conflitto in Ucraina. Chiara Gribaudo, vicepresidente del Pd, che ruolo sta giocando l’Italia di Giorgia Meloni?
“Mi pare che Meloni faccia una gran fatica. Da un lato sta provando a farsi riconoscere in un contesto internazionale che fino a ieri la guardava come feroce interprete del sovranismo. Dall’altro ogni volta che le parte la frizione, torna la populista euroscettica. Lo ha fatto anche recentemente in Parlamento, dove ha attaccato il Commissario Gentiloni. Il rischio è la marginalità dell’Italia nelle scelte delle cancellerie europee. Anche sul tema migranti, l’Italia sta rischiando l’isolamento. E i suoi alleati storici come la Polonia sono i più duri a dire no alle nuove regole sulle politiche migratorie”.
Sembra complicarsi la promessa a Zelensky di un suo ingresso veloce nel patto atlantico…
“L’ingresso nel Patto Atlantico non è tema da campagna o da promesse elettorali. Serve l’unanimità di tutti i membri. L’obiettivo è liberare l’Ucraina dalla guerra e dall’invasione russa, dare una mano alla ricostruzione del Paese, e poi accelerare sull’ingresso in Ue ed eventualmente nella Nato. Ma ogni cosa a suo tempo. Mentre continuiamo a sostenere l’Ucraina senza se e senza ma, bisogna provare a lavorare anche per una pace giusta. Serve un lavoro di diplomazia che non possiamo lasciare unicamente a Papa Francesco e alla Chiesa”.
A proposito di Europa. Non le sembra che ci sia poca consapevolezza sul reale rischio di perdere un’occasione come il Pnrr?
“La verità? Non erano pronti 9 mesi fa, e non lo sono oggi. Fitto ha annunciato che finalmente manderà le modifiche al Piano. Il rischio reale è perdere altro tempo e quindi le risorse necessarie per modernizzare l’Italia. Volenti e nolenti, sono i migliori alleati dei teorici dell’austerity. Per la prima volta l’Europa fa debito comune, e proprio l’Italia la nazione che avrebbe da usare più risorse di tutti, non riesce a spenderli. Se fallisce l’Italia nella spesa del Pnrr, fallisce l’idea di Europa solidale che stava nascendo post-covid. In fondo è l’idea della destra europea, integrazione solo economica e monetaria e nulla più. Proprio per questo le prossime Europee sono una sfida all’anima che deve avere l’Ue del futuro. Noi ci siamo”.
Cosa accadrà con il Mes?
“Pura furia ideologica. Per anni hanno sbraitato contro il Mes, e l’Europa cattiva che voleva controllare l’Italia. Adesso sono al governo. E ogni giorno che passa di mancata ratifica, l’Italia diventa sempre meno credibile tra le cancellerie europee. Quanto a lungo possono andare avanti così? Già in commissione sono andati sotto. Su questo il Pd non fa sconti”.
Mentre infuriano i casi Santanchè, Delmastro e gli scontri con la magistratura, Giorgia Meloni non parla più…
“E cosa deve dire? Sì avete ragione, non ho una classe dirigente all’altezza del governo del Paese? Direi che l’imbarazzo suggerisce il silenzio. Però per quanto possa girarsi di lato e far finta di nulla, le Santanché, i Delmastro, e anche i La Russa, incidono sulla reputazione e sull’immagine di questa maggioranza e di questo governo. Pesantemente”.
Voterete la mozione di sfiducia della ministra Santanchè?
“Per dignità dovrebbe dimettersi. Dopo la puntata di Report, mi pare evidente che non ha raccontato la verità fino in fondo al Parlamento. Se questo non dovesse succedere, sì voteremo a favore della mozione di sfiducia”.
Con Schlein il Pd finalmente ha cambiato rotta sugli accordi con la Libia. Sarà possibile cambiarla anche a livello nazionale e europeo?
“Sono tra quei pochi parlamentari che ha sempre votato contro il memorandum libico. Quindi sì, sul tema abbiamo cambiato decisamente rotta, è doveroso. Ma non è solo una questione umanitaria che ci muove. L’Italia e l’Europa stanno invecchiando rapidamente. Servono nuove regole e nuove canali per l’immigrazione. Soprattutto perché ne abbiamo bisogno per salvare il nostro sistema economico e sociale. Abbiamo bisogno dei migranti almeno quanto loro hanno bisogno dell’Europa. È realismo pragmatico. Zero ideologia”.
Il Pd è consapevole degli errori fatti sugli accordi con i libici?
“Direi di sì. E per questo anche sulla Tunisia ci opponiamo a scelte simili. Detto ciò, non c’è da fare processi o confessioni pubbliche da parte di nessuno. Dobbiamo avere il coraggio di rovesciare una narrazione tossica in Italia e in Europa”.
Schlein. Chi l’ha votata dice è troppo molle. Chi si oppone dall’interno dice che è troppo radicale e massimalista. Non si rischia di scontentare tutti?
“Si tenta inevitabilmente di polarizzare. Schlein rappresenta una novità perché fa parte di una generazione che non viene da Ds o Margherita, è una nativa democratica, ha una naturale portata innovativa. La dirigenza del Pd era meno abituata perché ha un percorso diverso. Non credo sia né molle né massimalista. Molle non mi pare perché ha messo al centro battaglie da cui bisognava ripartire per strutturare un percorso veramente progressista, penso al salario minimo e a una tensione diversa al mondo che cambia. Lo fa non ponendo questioni che guardano al passato ma con un livello di contemporaneità a cui si dovrà abituare il Pd”.
La convergenza sul salario minimo può essere il primo passo di un’alleanza elettorale?
“È un buon inizio. Perché insisto nei prossimi anni dobbiamo attrezzarci a fare opposizione dura e senza sconti. Detto ciò, prima di pensare alle alleanze dobbiamo fare bene il Pd. La prima alleanza è quella con gli astenuti. Sulle tematiche dobbiamo continuare a costruire il fronte dell’opposizione. Non dobbiamo però rinunciare alla nostra cifra politica, con questa nuova guida che sancisce un passaggio delicato e importante. In questa fase storica la segretaria fa bene a provare a sedersi con tutti perché vincerà il leader più aperto, non quello più fazioso ed egoriferito. Magari con un nuovo approccio, non solo leaderistico come l’abbiamo conosciuto fin qui”.
Guardando al Pd da fuori sembra già iniziato il logoramento dei guastatori contro la segretaria…
“Purtroppo è una prassi consolidata. Dovremmo imparare anche dai nostri avversari politici che le discussioni di merito vanno benissimo ma i personalismi non portano a nulla. Mi auguro che ci sia il buon senso e la responsabilità di capire che in una situazione come questa, con il governo più di destra dal dopoguerra a oggi, non serva alimentare una discussione surreale e incomprensibile. Chi si assume oggi la responsabilità di fare quello che fa non è in connessione con il nostro popolo che è stufo di questo dibattito incomprensibile. Chi si mette da quella parte oggi è un irresponsabile”.

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Onore senza oneri. Ecco il metodo Meloni

Oggi dovrebbe parlarne. Ma intanto un altro giorno è passato senza una parola, un cenno, un gesto o una nota della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Nel frattempo lì fuori infuria lo scontro con pezzi della magistratura mentre il ministro Nordio ripete di voler andare avanti con la sua riforma senza fermarsi nemmeno di fronte ai mal di pancia dei suoi alleati.

Nel frattempo accade che i giornalisti abbiano smascherato le bugie pronunciate dalla ministra Santanchè nel suo intervento in Senato. Nel frattempo qui fuori accade che l’imputazione
coatta del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro sbricioli – al di là dell’aspetto giudiziario – tutte le giustificazioni politiche portate in sua difesa, dopo la sua rivelazione di informazioni riservate.

Accade anche che un’indagine per un presunto stupro sia diventata una questione politica per la sprovvedutezza del presidente del Senato Ignazio La Russa che ha voluto occuparsi di un aspetto che non ha nulla a che vedere con la delicatezza del ruolo che ricopre.

A parlare è stato invece il ministro Nordio che tra le altre cose si è premurato di dirci che Giorgia Meloni non ha pronunciato “una sola parola contro i magistrati”. L’effetto è singolare. “Meloni non interverrà sulle questioni di politica interna”, fanno sapere da Palazzo Chigi.

Così ciò che accade è merito suo se piace ed è colpa degli altri se imbarazza. A lei spetta solo il gravoso compito di tacere e confidare nei suoi ventriloqui tutti intorno. Facile essere leader così. Dall’autorevolezza siamo passati al mimetismo.

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