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Inchieste su Santanchè e Delmastro. Pure Nordio manganella le toghe. Dopo Palazzo Chigi anche Via Arenula va allo scontro. Questo governo è il degno erede di Berlusconi

Eccola l’eredità di Berlusconi: il governo Meloni apre lo scontro con la magistratura, sulla scia del capostipite politico. L’indagine sulla ministra Daniela Santanchè e sul sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro sono l’innesco. Si comincia con una nota da non precisate “fonti” di Palazzo Chigi che l’altro ieri hanno descritto parte della magistratura come un fronte dell’opposizione, accusando le toghe di voler interferire nella campagna elettorale per le Europee 2024. Da Palazzo Chigi l’asse si è allungato fino in via Arenula.

Ieri altre “fonti”, questa volta del ministero della Giustizia scrivono che l’imputazione coatta per il sottosegretario Delmastro Delle Vedove, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione al caso Cospito, “dimostra, come nei confronti di qualsiasi altro indagato, l’irrazionalità del nostro sistema”. Secondo il ministero della Giustizia, trapela da fonti interne, questo caso “dimostra, come nei confronti di qualsiasi altro indagato, l’irrazionalità del nostro sistema”.

Olio di ricino

Secondo quanto stabilito dalla procura Delmastro, nel parlare con Donzelli dei colloqui in carcere di Cospito, non aveva commesso reato perché non conosceva la natura di quegli atti. Ma per il Gip, il sottosegretario non poteva ignorare la segretezza di quel contenuto: tra l’altro il parlamentare di Fratelli d’Italia è anche un avvocato penalista.

“Nel processo che ne segue – si spiega da via Arenula – l’accusa non farà altro che insistere nella richiesta di proscioglimento in coerenza con la richiesta di archiviazione. Laddove, al contrario, chiederà una condanna non farà altro che contraddire se stessa. Nel processo accusatorio il Pubblico Ministero, che non è né deve essere soggetto al potere esecutivo ed è assolutamente indipendente, è il monopolista dell’azione penale e quindi razionalmente non può essere smentito da un giudice sulla base di elementi cui l’accusatore stesso non crede. La grandissima parte delle imputazioni coatte si conclude, infatti, con assoluzioni dopo processi lunghi e dolorosi quanto inutili, con grande spreco di risorse umane ed economiche anche per le necessarie attività difensive. Per questo è necessaria una riforma radicale che attui pienamente il sistema accusatorio”.

L’opposizione insorge. “Cosa pensa Giorgia Meloni della ministra Santanchè che ha affermato pubblicamente in aula di non essere indagata quando invece risulta essere indagata Che cosa pensa di un ministro, Nordio, che ha detto che le informazioni rivelate da Delmastro non erano riservate quando si scopre che erano riservate? Stanno passando il segno”, ha detto ieri la segretaria del Pd Elly Schlein.

Di “attacco vergognoso” parla il M5S: “L’attacco di queste ore del governo alla magistratura sui casi Santanché e Delmastro è una vergogna e un bruttissimo momento per la nostra democrazia. Siamo di fronte a una fase pericolosa e grave per la vita delle nostre istituzioni, anche perché arriva dopo mesi di assalti e aggressioni ad altri soggetti istituzionali. Ogni qualvolta qualcuno, legittimato a farlo, smentisce il governo o fa osservazioni sul suo operato, partono attacchi, annunci di riforme o interventi normativi immediati. Oggi è il turno del pm, del gip e del funzionamento delle indagini preliminari”, scrivono i rappresentanti del M5S nelle commissioni giustizia della Camera e del Senato Stefania Ascari, Anna Bilotti, Federico Cafiero De Raho, Valentina D’Orso, Carla Giuliano, Ada Lopreiato, Roberto Scarpinato e la coordinatrice del comitato giustizia del Movimento 5 Stelle Giulia Sarti.

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La povertà è una malattia ereditaria

In Italia l’unico modo per fare carriera è nascere nella famiglia giusta. Solo quello, nient’altro. Da decenni si parla di “ascensore sociale” ma il Paese è messo molto peggio delle più pessimistiche previsioni. Spiega l’Istat che un terzo degli adulti (tra 25 e 49 anni) a rischio di povertà proviene da genitori che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria: la povertà è una malattia genetica.

Siamo nel Paese in cui “il merito” è una clava da usare contro gli avversari politici, svuotato di significato da una classe dirigente che spesso ha avuto il “merito” di essere nata nella famiglia giusta. Il merito, quello vero, non esiste. La notizia è spaventosa e pericolosa. È spaventosa perché ci dice che non vale nemmeno coltivare speranza, affinare talenti e impegnarsi nella crescita personale e professionale. La provenienza familiare pesa più di qualsiasi dedizione. Ma la notizia è anche pericolosa perché da anni pezzi di classe dirigente (talvolta immeritatamente) additano coloro che denunciano il blocco dell’ascensore sociale come catastrofisti, inetti, falliti. Invece sono disperati, nel senso etimologico del termine, perché sono realisti.

E che fa il governo? Bastona i disperati. L’abolizione del Reddito di cittadinanza è solo una delle tante ritorsioni contro coloro che rovinano la narrazione. E in un’Italia sempre più vecchia e sempre più povera – lo dice l’Istat – i giovani sono incagliati e derisi. Come va a finire la storia non c’è nemmeno bisogno di scriverlo.

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Non solo l’Ucraina. Dal Congo alla Palestina è strage di bambini

I numeri dei minori vittime delle guerre è il più alto di sempre. “È un momento difficile nella storia dell’agenda sui bambini e i conflitti armati. Il rapporto di quest’anno del Segretario Generale (Report of the Special Representative of the Secretary General for Children and Armed Conflict to the Human Rights Council) comprende sia il più alto numero di gravi violazioni mai verificate dalle Nazioni Unite, oltre 27mila, sia il più alto numero di situazioni di preoccupazione”.

Allarme Unicef sugli orrori delle guerre. “Gravi violazioni dei diritti dei minori”

Sono le osservazioni del Vicedirettore generale dell’Unicef Omar Abdi al dibattito aperto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su ‘Come prevenire e rispondere alle gravi violazioni contro i bambini nei conflitti armati’. “L’Unicef è seriamente preoccupato per la condizione dei bambini nelle situazioni aggiunte di recente al rapporto, tra cui Haiti e Niger quest’anno, ed Etiopia, Mozambico e Ucraina nel 2022. Tuttavia, dobbiamo ricordare che il maggior numero di gravi violazioni contro i bambini è stato registrato in conflitti di lunga durata, tra cui quelli nella Repubblica Democratica del Congo, in Israele e nello Stato di Palestina e in Somalia”, si legge ancora nella lettera.

“Queste tre situazioni – commenta Omar Abdi – sono apparse costantemente nel rapporto del Segretario generale da quando il meccanismo di monitoraggio e segnalazione è stato istituito nel 2005, il che significa che i bambini in questi contesti hanno affrontato gravi violazioni senza sosta per anni e, in alcuni casi, come i bambini nello Stato di Palestina, per decenni. A causa delle recenti escalation, ci aspettiamo che le violazioni verificate in almeno alcune di queste situazioni aumentino nei prossimi mesi”.

“Sebbene lo scoppio di un nuovo conflitto in Sudan sia avvenuto al di fuori del periodo di riferimento del rapporto di quest’anno, l’Unicef è anche molto preoccupato per l’impatto del conflitto in corso sui 21 milioni di bambini del Paese. Più di un milione di bambini sono stati sfollati a causa dei combattimenti e le Nazioni Unite hanno ricevuto rapporti attendibili, in corso di verifica, secondo cui centinaia di bambini sono stati uccisi e feriti- aggiunge – L’agenda bambini e conflitti armati è efficace, ci sono innumerevoli storie dell’impatto positivo che l’agenda ha avuto sui bambini colpiti dai conflitti a livello globale. Dal 2000, almeno 180mila bambini sono stati liberati dai ranghi delle forze e dei gruppi armati. Dal 2005 sono stati firmati 39 piani d’azione in 18 diverse situazioni di conflitto. Questi Piani d’azione sono riusciti a prevenire e a porre fine a gravi violazioni contro un numero incalcolabile di bambini grazie alle misure proattive adottate dalle parti in conflitto”.

Tra le vittime dei conflitti, oltre ai bambini, ci sono anche tante donne. A preoccupare l’Onu i crescenti casi di violenze sessuali

“Nella Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, l’attuazione del piano d’azione del 2012 ha portato a una significativa riduzione del numero di bambini reclutati e utilizzati dalle Fardc, tra cui il monitoraggio e la separazione di oltre 1.100 bambini, che ha portato alla cancellazione delle Fardc dall’elenco per tale violazione – prosegui il commento – Uno dei maggiori punti di forza dell’agenda sui bambini e i conflitti armati è il meccanismo di monitoraggio e segnalazione delle gravi violazioni da parte delle Nazioni Unite, che funge da base di prova per questo rapporto.

Questi dati consentono all’Onu e ai suoi partner di indirizzare meglio i nostri sforzi per prevenire le gravi violazioni e sostenere i bambini che hanno subito gravi violazioni. Ad esempio, aiutano l’Unicef a indirizzare le azioni di prevenzione e le risposte a episodi tragici come quello che il mese scorso ha ucciso 27 bambini e ne ha feriti altri 53 nel sud della Somalia, dopo l’esplosione di un ordigno in un campo da gioco. Mentre l’Unicef ha raggiunto più di 9 milioni di bambini a livello globale con la formazione sui rischi legati agli ordigni esplosivi nel 2022, i pericoli della contaminazione diffusa delle armi ci impongono di fare di più”.

Sempre a proposito di guerre ieri l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Unocha, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) e Organizzazione Mondiale della sanità (Oms) hanno espresso sconcerto e condanna per i crescenti casi di violenza di genere in Sudan, tra cui violenze sessuali legate al conflitto contro donne e ragazze sfollate e rifugiate, da quando sono scoppiati i combattimenti nel Paese più di 11 settimane fa.

I responsabili delle agenzie delle Nazioni Unite chiedono la fine immediata della violenza di genere

In un comunicato congiunto, i responsabili delle agenzie chiedono: la fine immediata della violenza di genere, compresa la violenza sessuale come tattica di guerra per terrorizzare le persone; indagini rapide, approfondite, imparziali e indipendenti su tutte le presunte gravi violazioni e abusi dei diritti umani e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario; e che i responsabili siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Sottolineano che tutte le parti devono rispettare i loro obblighi in materia di diritto internazionale umanitario e dei diritti umani di proteggere i civili, comprese le donne e le ragazze, anche consentendo un passaggio sicuro ai sopravvissuti per accedere all’assistenza sanitaria e agli operatori sanitari per raggiungere le strutture sanitarie.

Anche prima dello scoppio dei combattimenti il 15 aprile, più di 3 milioni di donne e ragazze in Sudan erano a rischio di violenza di genere, compresa la violenza nelle relazioni di coppia, secondo le stime delle Nazioni Unite. Questo numero è salito a circa 4,2 milioni di persone. Dall’inizio del conflitto, l’Ufficio per i diritti Umani delle Nazioni Unite in Sudan ha ricevuto notizie attendibili di 21 episodi di violenza sessuale legata al conflitto contro almeno 57 donne e ragazze. Le vittime comprendono almeno 10 ragazze.

In un caso, circa 20 donne sarebbero state stuprate nello stesso attacco. L’Unità per combattere le violenza contro le donne sotto il ministero dello Sviluppo sociale del Sudan continua a ricevere notizie di violenza sessuale legata al conflitto. Sono stati documentati almeno 42 presunti casi nella capitale Khartoum e 46 nella regione del Darfur.

Gli operatori sanitari, gli assistenti sociali, i consulenti e le reti di protezione comunitaria all’interno del Sudan hanno segnalato un netto aumento delle denunce di violenza di genere a causa del perdurare delle ostilità in tutto il Paese. Le donne, comprese le rifugiate che vivevano in Sudan prima del conflitto, hanno denunciato episodi di violenza di genere durante la fuga da Khartoum verso altre aree.

Le donne in fuga attraverso i confini del Sudan hanno raccontato all’Unhcr e ai team delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Paesi limitrofi le orribili violenze che hanno dovuto affrontare. Il rischio di violenza sessuale è particolarmente alto quando donne e ragazze si spostano alla ricerca di luoghi più sicuri. È urgente aumentare l’assistenza nei siti di accoglienza per gli sfollati interni nelle zone di conflitto del Sudan e nei Paesi limitrofi.

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Altro che Mediaset pluralista. Il conflitto d’interessi resta

Seconda puntata di Mediaset nuova terra di pluralismo e libertà e di Pier Silvio Berlusconi convertito per la morte del padre. Nel corso della presentazione dei palinsesti Pier Silvio ha parlato di televisione e di politica. Al solito. Pier Silvio ai cronisti spiega di non voler “scendere in campo”.

“Ragazzi, la politica è un mestiere serio. I mestieri si studiano e ancora di più si imparano, non è che dall’oggi al domani uno fa politica”, spiega Berlusconi junior. A nessuno dei cronisti presenti è venuto in mente di chiedere conto del folto gruppo di parvenu che suo padre ha generosamente lanciato nell’agone politico, dai Consigli regionali fino al Parlamento. Perché la conversione sia credibile è importante che la memoria collettiva sia corta, anzi, cortissima.

Pier Silvio Berlusconi sostiene che la questione è risolta con la morte del padre. Ma il partito resta in mano alla famiglia

Pier Silvio Berlusconi aggiunge che il secondo motivo per cui non entrerà in politica “è che anche mai fosse, io non penso sia giusto lasciare le cose a metà. Oggi Mediaset sta attraversando un momento importantissimo, di nuovi progetti, di sviluppi. Ritengo che io debba rimanere a Mediaset a fare il mio mestiere”.

La risposa è un gioiello di retorica televisiva: aziendalistico nel confermare il suo impegno ma con uno spiraglio di apertura. Com’è accaduto al padre (che avrebbe preferito dedicarsi alle sue aziende più che immolarsi per “il bene degli italiani”, come ripeteva spesso) un buon motivo per mettersi in gioco lo si trova sempre, se serve.

Ma il vero motivo per cui il secondogenito (dopo Marina) di Berlusconi oggi non si ritrova costretto a percorrere le orme politiche del padre per difendere i propri interessi lo spiega inconsapevolmente proprio Pier Silvio: “Ad oggi – dice ai giornalisti – non c’è nessuna emergenza: per la prima volta dopo tanti anni c’è un governo votato dagli elettori, che sta facendo del suo meglio. E penso che Forza Italia debba e possa garantire stabilità al governo”.

La traduzione è semplicissima: a garantire la difesa degli interessi di famiglia per ora bastano i patti siglati tra Marina Berlusconi e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni di cui i giornali hanno parlato per giorni (mai smentiti). In più c’è Forza Italia che è nata proprio per questo e sta in Parlamento a ricordare il suo primo punto del programma non scritto: difendere le aziende del suo fondatore. La prossima puntata la possiamo già scrivere prima che accada.

“Mio padre è Mediaset, noi dobbiamo tutto a lui e mai dirò che questo gruppo potrà funzionare meglio senza mio papà”

“Mio padre è Mediaset, noi dobbiamo tutto a lui e mai dirò che questo gruppo potrà funzionare meglio senza mio papà. Detto questo, è ovvio che delle barriere strumentali, come quelle poste in Germania e anche in Italia, sono cadute. Quello che ho sempre chiamato il conflitto d’interessi al contrario non c’è più”, dice Pier Silvio.

Ora in effetti sarà ancora più facile nascondere il conflitto di interessi sotto il tappeto. Sarà ancora più comodo possedere di fatto un partito politico senza il peso di un Berlusconi tra i suoi dirigenti. Dopo Mediaset “progressista” – con gli ingaggi di Bianca Berlinguer strappata alla Rai e Myrta Merlino in arrivo da La7 – avremo anche la favola di Forza Italia “tempio della democrazia”. E il gioco è fatto. Così nessuno si accorgerà che un altro Berlusconi ha dedicato una bella parte della sua conferenza stampa aziendale alla politica italiana, come se nulla fosse. Ora il berlusconismo 2.0 sogna di fare politica senza nemmeno mettercisi dentro.

 

Leggi anche: A Dell’Utri la liquidazione per il suo silenzio. Il lascito all’amico condannato per mafia che ha tenuto fuori il Cav. L’ex braccio destro di Berlusconi ha fatto da intermediario fino al 1980 sugli investimenti del boss Bontate

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Poveri sempre più poveri, ricchi sempre più ricchi

Negli ultimi due anni 722 tra le più grandi imprese del mondo hanno realizzato, in media, quasi 1.000 miliardi di dollari di extraprofitti all’anno, mentre i prezzi di beni di consumo, cibo ed energia schizzavano alle stelle assieme ai tassi di interesse, con un impatto devastante sul costo della vita per miliardi di persone in tutto il mondo. A rivelarlo è una nuova analisi di Oxfam e ActionAid, che ha passato in rassegna le compagnie della classifica “Global 2000” di Forbes, valutandone gli extraprofitti realizzati nel 2021-22.

Considerando i dati per gli specifici settori dell’economia, l’analisi rivela come 45 società energetiche abbiano realizzato, in media nel biennio 2021-2022, 237 miliardi di dollari all’anno di profitti in eccesso. Ebbene, se i governi avessero tassato al 90% gli extraprofitti realizzati dagli operatori nel settore dei combustili fossili e riversati ai ricchi azionisti,avrebbero avuto risorse sufficienti per aumentare del 31% gli investimenti globali in energia prodotta da fonti rinnovabili. Oggi, al contrario, nel mondo ci sono 96 miliardari che hanno costruito le proprie fortune grazie ai combustibili fossili e possono vantare un patrimonio complessivo di quasi 432 miliardi di dollari (50 miliardi in più rispetto all’aprile dello scorso anno).

Anche le multinazionali del comparto alimentare, le banche, le maggiori aziende farmaceutiche e i principali rivenditori al dettaglio hanno visto migliorare le proprie posizioni durante la crisi inflattiva, che ha visto portate alla fame 250 milioni di persone in 58 Paesi. Nel settore food and beverage 18 colossi hanno realizzato, in media nel biennio 2021-2022, oltre 14 miliardi di dollari all’anno di extraprofitti. Una cifra equivalente a oltre due volte il gap di finanziamento di 6,4 miliardi di dollari indispensabile per fronteggiare la tremenda crisi alimentare che in Africa orientale – tra Etiopia, Kenya, Somalia e Sud Sudan – rischia di far morire per fame 1 persona ogni 28 secondi nei prossimi mesi, a fronte anche del drastico aumento, di oltre il 14%, dei prezzi dei prodotti alimentari a livello globale nel 2022.

Nel comparto farmaceutico 28 grandi imprese hanno totalizzato, 47 miliardi di dollari all’anno di extraprofitti, mentre 42 grandi rivenditori al dettaglio e catene di supermercati hanno registrato utili in eccesso per 28 miliardi di dollari all’anno, in media nel biennio 2021-2022. Nove tra le più grandi società del settore aerospaziale e della difesa hanno realizzato 8 miliardi di dollari all’anno di profitti in eccesso in media nell’ultimo biennio, mentre 9.000 persone muoiono ogni giorno di fame, in gran parte a causa di conflitti e guerre. Il “problema profitti” sta emergendo prepotentemente nell’attuale crisi inflattiva, soprattutto nel contesto europeo. Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’aumento dei profitti spiega il 45% dell’aumento dei prezzi in Europa nel 2022. Autorevoli figure istituzionali, come la presidente della BCE, Christine Lagarde, si sono anche spinti a paventare il rischio di una greedflation o “inflazione da avidità”. Un termine che indica il tentativo di alcune imprese di ottenere opportunisticamente un vantaggio dall’inflazione, incrementando i prezzi ben oltre i costi di produzione senza che ciò sorprenda i consumatori vista l’inflazione generale.

“Che si tratti di avidità o meno, la questione di fondo è che le imprese sono comunque riuscite a traslare integralmente l’aumento dei costi sui prezzi”,  ha detto Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale e lotta alle disuguaglianze di Oxfam Italia. E ha spiegato: “Se in aggregato la profittabilità delle imprese si sta anche rivelando costante, mostrando una incredibile resilienza, le imprese più grandi, in non pochi settori, beneficiando di situazioni di monopolio e dell’aumento della domanda, hanno visto un considerevole aumento dei margini. È innegabile che i profitti siano oggi i veri vincitori nel conflitto distributivo, mentre i salari – che cambiano meno in fretta dei prezzi, riflettendo i ritardi nei rinnovi e la debolezza contrattuale dei lavoratori – sono tra i perdenti. L’esito – conclude Maslennikov- è profondamente iniquo con una sola categoria, i lavoratori, lasciata a sostenere il peso della crisi del caro-prezzi. Ed è anche profondamente inefficiente, visto che i salari alimentano la domanda di beni e servizi delle stesse imprese”.

Secondo le stime di Oxfam, 1 miliardo di lavoratori in 50 Paesi ha subito una riduzione media della retribuzione di 685 dollari nel 2022, con una contrazione complessiva, in termini reali, di 746 miliardi di dollari della massa salariale. Non tutti i “lavoratori” hanno visto ridursi il proprio salario nel mezzo della crisi inflattiva: nel 2022 gli amministratori delegati più pagati di quattro Paesi (India, Regno Unito, Stati Uniti e Sudafrica) hanno visto crescere i propri emolumenti del 9% in termini reali, mentre i salari dei lavoratori sono diminuiti del 3%. In Italia sempre nel 2022 la caduta dei salari reali ha raggiunto il 7,6%.

Buon venerdì.

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A Dell’Utri la liquidazione per il suo silenzio

Il silenzio è d’oro. E quella tra Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi ha tutti i connotati per essere la storia di un patto d’onore. Sono 30 i milioni di euro che Berlusconi ha lasciato al suo storico collaboratore, fondatore con lui di Forza Italia nello stesso periodo in cui una sentenza definitiva racconta che il manager offriva a Cosa nostra “un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra, alla quale è stata, tra l’altro offerta l’opportunità, sempre con la mediazione di Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici”.

Il silenzio è d’oro. E quella tra Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi ha tutti i connotati per essere la storia di un patto d’onore

Per i giudici il sigillo del suo accordo con la mafia sarebbe l’assunzione di Vittorio Mangano come stalliere nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi. Mangano avrebbe assicurato protezione contro l’escalation dei sequestri a Milano. Marcello Dell’Utri avrebbe, sino al 1980, fatto da intermediario per gli investimenti a Milano di Stefano Bontate, che aveva bisogno di riciclare denaro sporco, frutto del traffico di droga, in aziende del nord Italia.

Il processo di Dell’Utri è stato usato da Silvio Berlusconi (e da tutta Forza Italia) per dimostrare un avvelenamento giudiziario nei confronti di Berlusconi. Dell’Utri, pervicace e silenzioso, ha scontato la sua pena senza mai cedere. Ha negato – e continua a negare – fatti che sono assodati da una sentenza definitiva. Ha sempre tenuto fuori Berlusconi dai suoi processi.

L’ex braccio destro del Cav ha fatto da intermediario fino al 1980 sugli investimenti del boss Bontate

“Quando stamattina (ieri, ndr) mi ha chiamato il notaio, sono rimasto choccato dalla notizia – ha raccontato Dell’Utri all’Ansa -. Non me lo aspettavo perché non mi doveva nulla. Io ho dato tutto per lui e lui ha dato tutto per me”. Ma non la racconta tutta, Marcello: l’ex cavaliere ha pagato al suo braccio destro tutte le spese legali e dal 2021 anche un vitalizio di trentamila euro al mese.

“Un compenso per la detenzione subita e per averlo coperto, secondo i magistrati di Firenze che indagano sulle stragi. L’inchiesta sui presunti mandanti esterni alle stragi del 1993 che uccisero dieci innocenti aveva Dell’Utri e Berlusconi come indagati. Ora, ancora una volta, Dell’Utri è rimasto solo. Ma ancora una volta il suo amico Silvio si è ricordato di lui, fino all’ultimo.

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Il vero lascito di Silvio agli italiani

Le aziende ai figli, 200 milioni al fratello, 100 milioni alla moglie per finta Marta Fascina, 30 milioni al fidatissimo e silenziosissimo Marcello Dell’Utri. E a noi? Cosa c’è per noi nel testamento di Silvio Berlusconi? Ce n’è eccome, basta guardarsi in giro.

Ci ha lasciato in eredità una destra impensabile al governo che ha sdoganato e normalizzato: “Siamo stati noi a far entrare nel governo Lega e fascisti. Li abbiamo legittimati noi, li abbiamo costituzionalizzati noi”, disse nel 2019. Poi, nel frattempo, quelli se lo sono mangiato e ora governano. Grazie, Silvio.

Ci ha lasciato il mito della ricchezza come metro di successo. Così Santanchè, Briatore e compagnia cantante sono diventati dei maître à penser grazie alla cilindrata delle loro auto. Insieme ai fascisti ha istituzionalizzato anche il maschilismo: le donne fanno carriera se sono disponibili, se stanno al gioco (dei maschi) e se stanno al loro posto. La fallocrazia è diventata un accettato sistema di selezione della classe dirigente. Grazie, Silvio.

Ci ha lasciato la normalizzazione della mafia come inciampo burocratico in un’ascesa professionale. Nell’anno 2023 gli antimafiosi sono diventati tipi sospetti che tramano con i magistrati. Un’inversione dell’etica. Grazie, presidente.

Ci ha lasciato questo stigma per la povertà e per l’insuccesso che è diventato un marchio di fabbrica. Così oggi se sei povero hai un ulteriore problema: sei considerato un coglione. Ah, ci ha lasciato anche la legalizzazione della menzogna come metodo politico. Grazie, Silvio.

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Diritti umani calpestati, la Tunisia come la Libia

Segnatevelo: la nuova Libia si chiamerà Tunisia. Accadrà ancora, fra qualche anno, che qualcuno finga di non aver saputo che l’Ue stesse appaltando un olocausto, esattamente come avviene a Tripoli.

Arrestati altri 48 profughi: 20 già rispediti nei lager di Tripoli. Anche in Tunisia i disperati sono considerati un rubinetto da aprire per ottenere soldi

La Tunisia “alleata forte” della presidente del Consiglio Meloni sta imparando in fretta la lezione. Ieri Alarm Phone ha raccontato le modalità. La Ong, ha dichiarato che “in Tunisia, dopo una perquisizione in una casa a Sfax, 48 persone (migranti, ndr) sono state arrestate, e 20, tra loro, sono state espulse in Libia.

“Ora si trovano nella regione di confine e chiedono urgentemente aiuto: sono stati minacciati da uomini armati, denaro e cibo sono stati portati via, i loro telefoni cellulari sono stati distrutti”, scrive Alarm Phone su Twitter. Con loro ci sono sei donne, due incinte, e una ragazza (di 16 anni).

“La Croce Rossa tunisina, l’Iom e l’Unhcr sono stati informati, ma ancora nessuno è andato in loro aiuto. Le persone devono essere prelevate ora e ricevere cibo e forniture mediche”, lamenta Alarm Phone. “Queste pratiche di deportazione e violenza perpetrate dalle autorità tunisine sulle comunità migranti sono documentate da tempo!”.

Come spiega il portavoce dell’OIM Flavio Di Giacomo “le persone che stanno fuggendo dalla Tunisia vivevano lì da anni, ora stanno fuggendo” a causa del razzismo contro i migranti africani. “C’è un problema razziale, come in Libia, quindi non è possibile parlare con questi Paesi di partenza”. Come in Libia i migranti per la Tunisia saranno il rubinetto da aprire per ottenere soldi. Persone come armi non convenzionali. Segnatevelo.

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Altro che svolta Mediaset. Berlinguer non basta per rifarsi una verginità

A Mediaset, quando hanno saputo che Bianca Berlinguer sarebbe stato il primo vero “colpo” di Piersilvio Berlusconi nell’anno zero dopo Silvio, hanno commentato così: “Abbiamo comprato il cognome”. A ben vedere il cognome ce l’avevano già, Laura (sorella minore di Bianca) a Mediaset è di casa da tempo, giornalista apprezzata di cose di politica. Ma Bianca Berlinguer è “la figlia di Berlinguer” che gli italiani conoscono e riconoscono, e Berlusconi jr, come il padre, sa bene che ciò che conta è avere una buona storia facilmente riconoscibile da raccontare.

Mediaset, da sempre fortino di interessi (e solo dopo di idee) del capo Silvio Berlusconi ora si scopre patria del “pluralismo”

La “storia” da servire è già cotta: Mediaset, da sempre fortino di interessi (e solo dopo di idee) del capo Silvio Berlusconi ora si scopre patria del “pluralismo”. “Basta trash e più informazione, ecco la nuova Mediaset di Pier Silvio Berlusconi” battono le agenzie, titolano i giornali, dice la gente. Basta l’ingaggio di Bianca Berlinguer per sventolare una verginità prêt-à-porter da rifilare all’opinione pubblica e gli inserzionisti. Secondo i canoni della buona pubblicità la narrazione è sostenuta da un “nuovo” che arriva (il caravanserraglio berlingueriano che fu Cartabianca) e un “vecchio” che si rottama.

La vittima sacrificale è Barbara D’Urso, che dopo 20 anni si ritrova in panchina. Niente paura, la panchina è comoda e ben pagata fino a dicembre. Poi nel 2024 in questo calderone di finto mercato televisivo che mischia le carte ma mantiene sempre gli stessi protagonisti uno spiraglio si aprirà anche per lei. L’ex conduttrice di Pomeriggio 5 promette battaglia: “Continuano a dirmi trash: se fossi trash, – dice – col programma sotto testata giornalistica avrei un richiamo dal cdr, mai successo”.

A conti fatti il tele-mercato estivo ha rimescolato le carte di un mazzo che è rimasto intatto

Non ha tutti i torti. Sono in molti a chiedersi come possano essere definiti “giornalistici” programmi televisivi che sfidano i principi deontologici della professione. Nella favola di Mediaset improvvisamente responsabile, plurale e adulta ci sono, ovviamente, delle omissioni. Anche questa è una vecchia regola: raccontare solo ciò che è funzionale alla narrazione è il principio di ogni propaganda. Passa in secondo piano quindi che Bianca Berlinguer sia stata lasciata partire dalla Rai anche per i risultati più che deludenti della sua trasmissione regolarmente battuta da Giovanni Floris su La 7.

Passano in secondo piano anche gli ospiti della corte di Bianca che Mediaset ha garantito di non toccare. Che Mauro Corona con il suo grappino possa diventare simbolo di “un’apertura al pluralismo” e a un “giornalismo meno trash” è una boutade cui non credono nemmeno coloro che sono costretti a ripeterla. Stessa cosa per Myrta Merlino, data in dirittura d’arrivo alla corte di Pier Silvio nel cestello dei “nuovi”: le sfumature delle solite posizioni rivendute come idee contrapposte è il segreto di sistema per garantire la sua autopreservazione. Un metodo che si subblima con Piero Sansonetti, dilagante da anni sulle reti del Biscione, ora con l’etichetta di direttore dell’Unità, anche se in mille circostanze pronto a sponsorizzare le destre, e comunque sempre contro Conte e i 5 Stelle.

Uscendo dal racconto, provando a osservare a una giusta distanza, il telemercato estivo è stato un rimescolamento di carte che ha lasciato intatto il mazzo. Si sventola l’etica per proporre come verginità un complessivo maquillage con un trucco steso di fretta e male. Quelli riescono a svicolare dal tetto di stipendio della televisione pubblica, questi riescono a simulare un claudicante progressismo e la politica, dall’alto, controlla che la somma comunque alla fine sia sempre zero.

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Le bugie di Santanchè

Breve riassunto delle bugie che la ministra al Turismo Daniela Santanchè ha pronunciato senza battere ciglio nell’aula del Senato.

La commistione politica e professionale tra la ministra e il presidente del Senato Ignazio La Russa era stata bollata come “notizia falsa”. Da ieri è diventata vera. C’è stato un “unico intervento professionale e, peraltro, amichevole da parte dello studio La Russa su questa vicenda”, dice Santanchè. Quindi c’è stato. Quindi era vero. L’aggettivo “amichevole” è stato messo lì per provare a sfumare la menzogna. Missione fallita.

“Non ho mai avuto partecipazione nel settore dell’alimentare biologico, come molti media hanno raccontato, la mia partecipazione in Ki Group non ha mai superato il 5%”, dice Santanchè. “Nel 2010 il gruppo del settore biologico è stato preso non da me ma dal padre di mio figlio con cui non avevo più alcun legame e comunque con il suo intervento i lavoratori hanno avuto 12 mesi di retribuzione”, aggiunge. “Voglio essere del tutto trasparente: da gennaio 2019 e per meno di due anni ho assunto una carica sociale senza alcun potere. Da allora ho cessato tutte le cariche e messo cesura totale dopo che già un anno prima ero rimasta pro forma nel consiglio”. Falso. Nel 2018 dichiarava lei stessa di essere presidente del consiglio d’amministrazione di Ki Group. Ogni anno e fino al 10 ottobre del 2022 scriverà nel documento della sua situazione patrimoniale che obbligatoriamente devono compilare i parlamentari che non ci sono variazioni. Sparisce qualsiasi incarico solo a gennaio 2023.

A proposito della notizia data dal quotidiano Domani sull’indagine nei suoi confronti la ministra dice era “segretata, vi pare normale che un giornalista può scrivere cose secretate ignote all’interessato e ai suoi avvocati”. Falso. Quando in quell’inizio novembre per provare a smentire la notizia Santanchè sbandierò la certificazione di routine della Procura all’istanza dei suoi legali contemplata dall’articolo 335 del codice di procedura («non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione»), chiunque non sia uno sprovveduto sa della possibilità di ricorso dei pm al 3 bis di quell’art.335, cioè alla facoltà in caso di indagini complesse di ritardare (per un massimo di 3 mesi) la comunicazione dell’iscrizione.

Queste sono solo le bugie conclamate. Le questioni da spiegare sono ancora di più. Ognuno tiri le somme.

Buon giovedì.

Nella foto: frame del video della seduta al Senato, 5 luglio 2023

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