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Foglio di via per l’Italia da Bruxelles

Gira da qualche anno sui social un video in cui due cani si abbaiano furiosamente in faccia separati da un cancello. Verrebbe da credere che siano pronti a sbranarsi, se ne avessero l’opportunità. Quando il cancello all’improvviso si apre i due si guardano straniti, abbassano le orecchie e indifferenti se ne vanno ognuno per la sua strada.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, vista al di qua del cancello nel nostro Parlamento e nei giornali che le sono amici, da settimane sbraita contro l’opposizione, contro l’Unione europea, contro i falchi della Bce. Non solo. Da questa parte del cancello ripete da giorni che non ci sono problemi sulle scadenze del Pnrr, non ci sono problemi per il patto sui migranti siglato a Lussemburgo, non ci sono problemi sul Mes. Tutto falso, tutto.

Le è bastato uscire dal comodo recinto di giornalisti amichevolissimi e parlamentari a disposizione per abbassare le orecchie e, di seguito, i toni. La missione Ue di Giorgia è un fallimento su ogni fronte ed è l’inevitabile e impietosa fotografia di un Paese non credibile, isolato e ostaggio della sua stessa propaganda. Hanno voluto i voti dei sovranisti e ora indossano la maschera da europeisti risultando non credibili in entrambi i ruoli.

Meloni è disistimata dall’Europa occidentale e derisa dagli ex amici Morawiecki e Orbán. Non era facile riuscire a scontentare tutti eppure le è riuscita questa formidabile impresa. Ora mogia torna in Italia ma rialzerà subito le orecchie. Tanto un giornale che le dice di avere compiuto un capolavoro lo trova di sicuro.

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E anche questo femminicidio l’abbiamo disinnescato

Ogni volta che una donna viene orrendamente uccisa in questo sbilenco Paese nelle redazioni di (alcuni) giornali e (quasi tutte) reti televisive tra le priorità, insieme alle interviste degli amici e dei parenti, c’è l’appiglio per disinnescare la narrazione.

Delle oltre 40 donne uccise nel 2023 troverete quasi sempre un particolare che viene presentato come “giustificazione” dell’efferato omicidio. Per carità, nessuno ha il coraggio di scriverlo apertamente, si tratta di un lavorio sotterraneo, perfino più vigliacco, che suggerisce vie di condono. Nel caso di Michelle Causo la traiettoria è chiarissima: si è cominciato raccontando il quartiere di Primavalle come “bronx romano” in cui una ragazza fatta a pezzi avrebbe dovuto essere considerata come un ragionevole effetto collaterale, poi hanno raccontato delle risse tra bande, poi hanno descritto Michelle come “una ragazza cresciuta troppo in fretta” e il presunto assassino come “un bastardo” e come un “hacker di telefoni”.

Un rovistare tra i cassonetti della cronaca e delle vite per spegnere l’allarme e per evitare una visuale d’insieme su femminicidi che sono ormai una patologia. Ogni volta a qualcuno dotato di pazienza tocca l’improbo compito di elencare i femminicidi di questi mesi per ricordare che avvengano nelle zone più eleganti della città come nelle zone più periferiche, che includano assassini dalla provenienza difficile come stimatissimi professionisti appartenenti alla borghesia cittadina, che interessino assassini dai 16 ai 90 anni.

Nel caso della povera Michelle qualcuno ha deciso di utilizzare la leva più stupida e vigliacca, sottolineando che il presunto assassino sarebbe “nato a Roma ma di origine srilankesi”, soffiando sulla xenofobia che di questi tempi è sdoganata fin dagli alti vertici di governo. A scriverlo non sono stati solo i quotidiani peggiori – quelli che da anni giocano alla concimazione della xenofobia – ma anche una titolatissima agenzia di stampa e qualche quotidiano distrattamente ancora descritto come progressista. Il soffio sotto l’articolo è chiaro: non è uno di noi, non sono come noi. Così il ragazzo nato a Roma ma con origini srilankesi diventa come il felino ma con origine canine, pronto a essere dato in pasto agli spaventati dall’invasione e ai nemici dell’integrazione.

E anche questo femminicidio ce lo siamo tolti dalle palle, pronto per essere messo nel cassetto dei “confini da difendere”. Che schifo.

Buon venerdì.

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Ecco tutte le balle nel discorso alla Camera della Meloni

Ci vuole talento per mentire e la presidente della Consiglio Giorgia Meloni quel talento non ce l’ha. Così la sua relazione, ieri alla Camera, in vista del Consiglio europeo di oggi e domani è talmente facile da smontare in ogni sua parte che potrebbe farlo chiunque abbia ancora un minimo di memoria e di lucidità.

Governo compatto. Giorgetti seduto tra i deputati. Non proprio un segno di unità

La prima bugia ripetuta ossessivamente negli ultimi giorni si sbriciola anche togliendo l’audio. “La maggioranza è compatta”, ripetono da giorni gli esponenti di Fratelli d’Italia più vicini a Giorgia Meloni. Falso. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti mentre parla la premier è seduto tra i banchi della Lega e non a quelli del governo. I deputati leghisti sono immobili e silenziosi mentre Meloni parla del fondo salva-Stati e il vicesegretario della Lega Andrea Crippa ai giornalisti dice “ci dica lei cosa fare” riferendosi al Mes. Lei ovviamente è Giorgia Meloni. Se questa scena possa davvero trasmettere l’immagine di una compattezza di governo lo può decidere qualsiasi osservatore.

Lady Austerity. Meloni accusa i falchi Ue. Mentre copia e incolla Draghi

Dice Meloni: “L’obiettivo è porre fine una volta per tutte alla stagione dell’austerità, pur senza venir meno a quella disciplina di bilancio sulla quale il governo italiano ha dimostrato serietà fin dalla manovra finanziaria, con buona pace dei gufi che preconizzavano catastrofi di ogni sorta”. Falso, eccome. L’austerità italiana non è colpa solo dei “falchi di Bruxelles”, come li chiama Meloni prima di diventare europeista in Europa sperando di risultare credibile come sovranista in Italia. L’austerità italiana porta la firma del suo governo. Lo certificano i tagli alla sanità che ieri perfino il ministro Schillaci ha riconosciuto, confessando che sarebbero almeno 3 miliardi che servirebbero per avere una sanità in grado di mantenere gli impegni con i cittadini. L’austerità che pesa nelle tasche degli italiani è il diritto per ogni cittadino a una vita minimamente decente che in Italia, dopo la demolizione del Reddito di cittadinanza, non esiste più. Per venire protetti dallo stato sarà necessario appartenere a una famiglia con un minore, un over-60 o una persona con disabilità: tutti gli altri l’austerità la sentono mentre gli stringe il collo. L’austerità la stanno vivendo le aziende edili che si ritrovano affossati da una riforma del Superbonus (anche in questo caso nient’altro che una demolizione) che sta rovinando le imprese e le famiglie che si sono fidate dello Stato. L’austerità la proveranno – ancor più violenta di ora – i giovani e meno giovani che porteranno addosso i segni del prossimo Decreto lavoro che apre ancora di più le porte alla precarizzazione in un Paese in cui si riesce a essere poveri anche avendo un impiego.

Solida e credibile. Ma Biden la chiama in ritardo. Il viaggio in Usa sparito dai radar

Dice Giorgia Meloni che l’Italia non è “rimasta isolata in Europa” o caduta “nell’instabilità”, ma è più “solida e credibile”. Sulla credibilità dell’Italia basterebbe citare la telefonata del presidente Usa Biden mentre la Russia traballava sotto la marcia di Prigožin. Biden nel suo primo giro di chiamate agli alleati ha contattato il premier inglese, il cancelliere tedesco, il presidente francese. La telefonata a Meloni è arrivata con ventiquattr’ore di ritardo, dopo il can can dei quotidiani e il lavoro delle diplomazie. Come fa notare la deputata dem Chiara Braga “dal Mes alla gestione dei flussi, dal Pnrr all’inflazione, Meloni non riesce a chiudere una partita, complice alleati europei imbarazzanti a Roma come a Bruxelles. Prigioniera del suo passato, dei no all’Europa, all’integrazione”. Si attende intanto il viaggio negli Usa annunciato un mese fa. A Parigi la credibilità è stata salvata dalla visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Se questa è autorevolezza…

Equilibrismo cinese. Gioco delle tre carte su Pechino. Scoperto con il caso Pirelli

Dice Meloni: “La Cina è un interlocutore imprescindibile, ma il nostro rapporto vuole essere equilibrato”. Qualcuno potrebbe chiedersi cosa intenda per “equilibrato”, visto che era in Parlamento a spiegare le sue posizioni, non per descriverci i suoi auspici. E infatti nel suo stesso discorso dice anche che la Cina “è oggi un rivale sistemico che chiama l’Unione europea ad essere da una parte ferma nella difesa dei propri valori dall’altra pragmatica nel conseguimento dei propri interessi economici, e nel confronto sulle sfide globali”. La presidente del Consiglio prova a spiegarsi: “Dobbiamo – dice – pragmaticamente prendere atto oggi che quella cinese e quella europea sono economie per molti aspetti interdipendenti. Il rapporto economico dovrebbe evolvere verso standard e regole comuni. In questo contesto, se da un lato il disaccoppiamento non è una ipotesi percorribile, dall’altro lo è ridurre il rischio”. Ha ragione il leader del M5S quando fa notare che Meloni abbia parlato di Cina per qualche minuto del suo discorso ma in Aula non c’era nessuno che sapesse dirci chiaramente che posizione avrà l’Italia sulla via della seta. “In Consiglio europeo dira’ che ci state ancora riflettendo sopra”, chiede Conte. È la domanda che si pongono in molti. Questa è peggio di una bugia, non hanno nemmeno avuto la decenza di inventarne una. Per ora rimane solo l’esercizio dei poteri speciali golden power da parte del governo per proteggere Pirelli, contro la Cina.

Pace in Kosovo. Stabilizzare la regione. A suon di scontri della Kfor

Dice Meloni: “Confermo l’impegno italiano per la pace nel Kosovo e per la stabilità di tutti i paesi dei Balcani a cui stiamo dedicando molte energie”. La stabilità in Kosovo sono gli undici italiani feriti negli scontri tra i militari della Kfor e i manifestanti. Pristina ha scelto il divieto dello svolgimento delle elezioni serbe sul territorio del Kosovo, che fino all’anno scorso si erano svolte con la facilitazione dell’Osce. Poi c’è stato il rifiuto di accettare la sentenza della Corte Costituzionale sul punto dell’Accordo di Bruxelles relativo alla formazione dell’Associazione dei comuni del Kosovo settentrionale. Infine il problema della pre-registrazione delle targhe, che in precedenza era filato liscio, dato che l’operazione veniva svolta in coordinamento tra Pristina e Belgrado. Questa volta Kurti ha deciso di farlo unilateralmente, coinvolgendo la polizia per attuare la decisione. La stabilizzazione non sta procedendo benissimo, possiamo dire.

Siamo… Mes male. Salva-Stati in stallo totale. Resa dei conti tra Lega e FdI

Eccola l’altra bugia. “Non reputo utile all’Italia alimentare una polemica interna sul Mes – ha detto la presidente del Consiglio -. L’interesse dell’Italia è affrontare il negoziato sulla governance europea, dove si discuta nel complesso nel rispetto del nostro interesse nazionale. Prima ancora di una questione di merito c’è una questione di metodo su come si faccia a difendere l’interesse nazionale”. Due appunti: la polemica interna è tutta roba di Giorgia Meloni e i suoi alleati. E chissà che ne pensano a Bruxelles di leader di governo che non riesce nemmeno a tirare le fila nella sua maggioranza. Mentre Giorgia Meloni parlava di Mes i deputati di Fratelli d’Italia si sono levati in piedi tributandole una standing ovation, mentre i colleghi della Lega sono rimasti immobili. In merito al Meccanismo europeo di stabilità il vice di Salvini Andrea Crippa tiene a precisare che il parere della Lega “è lo stesso dell’anno scorso e due anni fa”. Dopodiché, sottolinea, “ci dica Meloni cosa fare”. La palla passa alla premier che “ha l’onore e l’onere di fare il presidente del Consiglio”, sottolinea Crippa che – ribadendo la “lealtà” della Lega – continua: “Esprimiamo una posizione, ma abbiamo la responsabilità di governare un Paese e vogliamo farlo per 5 anni. Meloni negli scorsi mesi ha detto le stesse cose di Salvini sul Mes, attendiamo una sua indicazione per procedere”.

Balle migratorie. La difesa dei confini nazionali. Smentita dagli accordi Ue

Come ci si poteva aspettare sull’immigrazione la presidente del Consiglio dà il peggio di sé. Nel suo discorso si infervora e parla di un Paese in cui “una volta venivano speronate le navi della Marina”. Falso. Il processo a Carola Rackete si è chiuso con un’assoluzione che scrive nero su bianco che lo speronamento sia un’invenzione di Meloni, Salvini e compagnia cantante. In compenso proprio ieri il Senato ha salvato il ministro Salvini dal processo che lo attendeva per aver diffamato la capitana di Sea Watch. A speronare le navi italiane (sparando) sono le motovedette della Guardia costiera libica che (anche) Giorgia Meloni continua a foraggiare. “Dalla Ue non accetteremo soldi che trasformino l’Italia nel campo profughi d’Europa”. Falso. L’Italia ha da poco sottoscritto un accordo per il quale se un altro Paese Ue non ci sta al ricollocamento basta che paghi 20.000 euro a migrante/rifugiato che resta nel Paese di prima accoglienza (l’Italia più di tutti). Meloni promette di difendere l’Italia da un accordo che si è accorta di avere sottoscritto. Incredibile.

Fine guerra mai. L’invio di armi a Kiev unica via. Il Papa però non la pensa così

Appena sente nominare la guerra Meloni diventa più atlantista degli atlantisti che disprezzava. “Se non avessimo aiutato gli ucraini, come anche qualcuno in quest’Aula suggerisce – rivendica la presidente del Consiglio – ci troveremmo in un mondo in cui alla forza del diritto si sostituisce il diritto del più forte, un mondo senza regole se non quella delle armi”. Falso. In quell’Aula non c’è un solo esponente di un solo partito che abbia chiesto di “non aiutare gli ucraini”. Ci sono interpretazioni diverse su come dovrebbero essere aiutati: chi con le armi, chi con la diplomazia. Il Papa, ad esempio, non la pensa come Giorgia Meloni. Il Papa lavora per il “diritto del più forte”? Dai, su, un po’ di serietà.

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A proposito di quel “bastardi” di Roberto Saviano

Roberto Saviano polarizza. Succede a lui, succede per le parole di Michela Murgia, accade in questo Paese a chiunque abbia un’esposizione pubblica che decide di usare non rimanendo tra le righe di un dibattito che tende a normalizzare, talvolta anche a dignificare ciò che non è degno.

Il processo di una presidente del Consiglio contro uno scrittore (ovvero di una capa di governo che occupa un tribunale per una resa dei conti sproporzionata nei ruoli, anche se legittima) avviene perché nel 2020 in una trasmissione televisiva Saviano parlando della morte di un bambino della Guinea durante una traversata nel Mediterraneo, affermò: “Vi sarà tornato alla mente tutto il ciarpame detto sulle Ong: taxi del mare, crociere… ma viene solo da dire bastardi. A Meloni, a Salvini, bastardi, come avete potuto? Come è stato possibile tutto questo dolore descriverlo così? Legittimo avere un’opinione politica ma non sull’emergenza”. “Dopo l’intervista a Saviano nessuno ha chiesto rettifiche o mandato diffide né tantomeno è stata chiesta la rimozione del video”, ha spiegato ai giornalisti il conduttore di quella trasmissione, Corrado Formigli.

A quel processo non si presenterà la querelante, Giorgia Meloni. È curioso che una presidente del Consiglio che imbastisce un processo contro un cittadino non accetti di presentarsi in Aula ma è anche significativo: Meloni non ha nulla da dire, ciò che le serve è solo la lezione del “punirne uno per educarne cento”. Missione compiuta. Il giornalismo paludato racconta spesso quelle udienze con la vischiosità di chi non ha nemmeno bisogno di essere censurato perché si censura da solo.

Nel frattempo, in quegli stessi anni, il ministro dell’Inferno Matteo Salvini scorrazzava per giornali e televisioni definendo la capitana della nave Sea Watch 3 Carola Rackete “sbruffoncella, fuorilegge e delinquente”. La sua colpa era quella di avere forzato le decisioni del ministro Salvini dopo aver salvato 53 persone. La giustizia italiana ha sancito che Rackete abbia fatto benissimo. Anzi, la giustizia italiana sta processando Salvini per aver costretto 160 persone ad attendere a bordo dell’Open Arms 19 giorni prima di poter sbarcare in un porto sicuro nell’agosto del 2019. Rackete, come Giorgia Meloni, ha chiesto di poter avere un processo per la diffamazione continua del ministro Salvini. Il Senato ha negato l’autorizzazione.

Così siamo al punto in cui una presidente del Consiglio trascina in tribunale uno scrittore e una cittadina deve intascarsi gli insulti di un ministro salvato dai suoi senatori.

Bastardi non so ma vigliacchi di sicuro.

Buon giovedì.

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Lo chiamavano Capitan fuggiasco

Il prode Matteo Salvini di fronte ai giornalisti appena aveva saputo di essere stato denunciato da Carola Rackete, all’epoca dei fatti comandante della Sea Watch 3, la nave della Ong tedesca impegnata nel soccorso di 53 migranti nella zona Sar libica il 12 giugno 2019, aveva testualmente detto: “Non vedo l’ora di incontrarla in tribunale […] una che ha provato a uccidere militari italiani”.

Nel frattempo sono accadute un po’ di cose. Carola Rackete è stata assolta da ogni accusa perché, dice la sentenza, “ha agito nell’adempimento del dovere perché non si poteva considerare luogo sicuro il porto di Tripoli”. Anche lo “speronamento” raccontato da politici e giornalisti era una bufala. Una bufala che – tra l’altro – ieri Giorgia Meloni ha ripetuto in Parlamento, senza nemmeno un briciolo di vergogna.

Ieri il Senato ha votato per salvare Salvini dal processo che non “vedeva l’ora” di affrontare. Per i partiti di maggioranza (Italia Viva si è astenuta) i giudizi di Salvini sono “parole coperte da insindacabilità”. Sapete quali erano i “giudizi” del ministro? “Zecca tedesca“, “complice degli scafisti e trafficanti” e “sbruffoncella”.

È vero che dal leader della Lega non ci si aspettano disamine elaborate ma definire giudizi degli insulti è piuttosto ributtante, se non fosse che a farlo sono gli stessi partiti che votarono Ruby nipote di Mubarak. Capitan Coraggio alla fine è scappato. Aveva promesso di difendere sé stesso e il Paese e invece si è rivelato solo un disertore. Per di più libero di diffamare. Finché dura.

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Frontex confessa: la missione viola i diritti umani

“La sorveglianza aerea (di Frontex sul Mediterraneo) è stata messa in atto senza misure che potrebbero mitigare rischi per i diritti umani (per i migranti), per esempio attraverso il dispiegamento parallelo di asset navali”. A mettere sotto accusa l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nota anche come Frontex, è il Forum per i diritti umani di Frontex stessa.

A mettere sotto accusa l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera è il Forum per i diritti umani di Frontex stessa

Che Nel suo X rapporto annuale sottolinea anche come “in circa il 50% dei casi, gli avvistamenti di Frontex hanno innescato operazioni di ricerca e salvataggio e/o intercettazioni da parte delle guardie costiere libiche di migranti e rifugiati provenienti da acque internazionali, portando al loro sbarco in Libia”. Tutto ciò, sottolinea il documento porta “a un aumento del numero di persone soccorse riportate in Libia, dove successivamente subiscono detenzioni arbitrarie in condizioni disumane, nonché torture, maltrattamenti e altre gravi violazioni e abusi dei diritti umani.

Nel 50% dei casi gli avvistamenti in mare si risolvono nella consegna dei migranti alle autorità libiche

Tale comportamento può anche sollevare questioni relative al diritto di asilo e al divieto di respingimento sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. È l’ennesimo atto d’accusa contro la cosiddetta Guardia costiera libica tanto cara ai governi italiani e alla quale l’esecutivo Meloni pochi giorni fa ha “regalato” altre due motovedette per poter più comodamente operare respingimenti illegali. Un’operazione di ricerca e soccorso in mare è la richiesta da tempo di tutte le organizzazioni internazionali e, nelle ultime settimane, anche del Pd di Elly Schlein. Ora lo certifica anche Frontex. Che manca per muoversi?

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Lo Stato della nostra stampa

Osservare i fatti messi in fila può aiutare a rendere consistente l’idea. Solo negli ultimi giorni è accaduto che un ministro della Repubblica, tra l’altro un ministro alla Difesa che ha accesso a informazioni riservate, abbia rilasciato un’intervista da cui si evince l’accusa di oltraggio allo Stato per i giornalisti che hanno raccontato i misfatti imprenditoriali di una sua collega. L’intervista di Guido Crosetto in difesa di Daniela Santanchè contiene tutti i topos dell’attacco alla stampa con l’aggiunta della minaccia velata. Un capolavoro dell’orrore.

Sono questi i giorni in cui uno scrittore – Roberto Saviano – è sotto processo per avere pronunciato la parola “bastardi” nei confronti di Giorgia Meloni, in riferimento alle politiche xenofobe e ai discorsi d’odio che questa destra ha concimato in questi ultimi anni. Lasciando perdere inutili letture pietistiche (che Saviano sia minacciato dalla mafia non c’entra nulla con questo discorso, usare questa roba è inutile) che una presidente del Consiglio quereli il giudizio di un cittadino è una sproporzione inaccettabile. Come dice Corrado Formigli che “la persona più potente d’Italia” monopolizzi “un’aula di giustizia per la sua personale resa dei conti” alla ricerca di una pena esemplare “del chiodo al quale appendere, d’ora in poi, il diritto di critica” è una pessima notizia per il giornalismo. È un avvertimento per chi si ritrova a scrivere notizie sul governo.

Ancora. Secondo quanto riferito dal presidente della Federazione nazionale stampa italiana, Vittorio Di Trapani, nella bozza del contratto di servizio presentata nel nuovo consiglio di amministrazione della Rai – guidato da Roberto Sergio – sono stati tolti i riferimenti all’obbligo di “valorizzare e promuovere la propria tradizione giornalistica d’inchiesta”. In più, secondo il presidente della Fnsi, dai principi generali è stato eliminato il comma relativo al “diffondere i valori dell’accoglienza” e viene introdotto l’obbligo di diffondere i valori della “natalità”. La principale azienda d’informazione pubblica italiana si ritrova ad avere scritto, nero su bianco, il passaggio dall’informazione alla propaganda.

Nel frattempo l’ex responsabile della comunicazione di Giorgia Meloni, Mario Sechi, annuncia di lasciare il suo ruolo politico per trasferirsi a un ruolo giornalistico come direttore del quotidiano “Libero”. Nel Paese in cui il conflitto di interessi tra stampa e potere (ma anche imprenditoria, soprattutto nel campo sanitario) vige da 30 anni ormai le “porte girevoli” non sono nemmeno più una notizia. La pacifica indifferenza con cui si assiste a tutto questo è l’effetto di un Paese narcotizzato. Eppure lo stato della stampa è il sintomo dello stato dello Stato.

Buon mercoledì.

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Giustizia, Melillo boccia la riforma Nordio

Chissà se il ministro della Giustizia Carlo Nordio riterrà “interferenze” anche le parole del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo (nella foto), per di più audito dalla Commissione parlamentare antimafia, mentre smonta la narrazione del governo sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio prevista nel disegno di legge sulla giustizia preparato dal governo.

“Vi sono profili di condotte abusive di pubblici ufficiali finalizzate al procacciamento di vantaggi ingiusti che normalmente trovano applicazioni in contesti investigativi mirati alla ricostruzione di complessi interessi mafiosi, condotte che hanno avuto contestazioni anche nel campo della distribuzione commerciale“, spiega il procuratore antimafia, confermando le preoccupazioni di chi la mafia la combatte sul campo.

Il concetto l’avevano ribadito prima di lui il procuratore di Roma Francesco Lo Voi e il vice procuratore europeo Danilo Ceccarelli, quando il disegno di legge d Nordio ancora non esisteva e la discussione verteva su due proposte molto simili di Azione e Forza Italia. Sulla stessa linea è anche il procuratore di Perugia, ex presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, che aveva spiegato come “la principale utilità” del reato di abuso d’ufficio a livello di indagini “è un’altra e sta nella natura di “reato spia” della corruzione”. Anzi il procuratore nazionale antimafia ha ricordato come sul reato di abuso d’ufficio esistano “obblighi assunti dall’Italia in sede internazionale” di cui il Parlamento dovrebbe tenere conto.

Il Procuratore nazionale antimafia Melilli, sentito in Parlamento, boccia la riforma del ministro della Giustizia

Ma non solo di questo ha parlato Melillo che in audizione ha toccato i nervi scoperti della lotta al crimine organizzato. C’è innanzitutto il tema delle mafie integrate per gestire il traffico internazionale di droga. “Le differenze tra organizzazioni mafiose italiane esistono e sono ancora molto importanti” – spiega Melillo – ma c’è “il rischio di perdere di vista i processi di integrazione nella loro dimensione operativa. Non vi è indagine significativa che riguarda la proiezione transnazionale del crimine organizzato che non riveli queste forme di integrazione”.

Le dimensioni sono oggi “transnazionali” su tutti i “tavoli condivisi di comuni interessi speculativi in vari settori economici”, spiega il procuratore: “come ho detto esiste una sorta di Opec degli stupefacenti, che stabilisce i prezzi e le ripartizioni verso Europa o Sudamerica, che riunisce i più grandi cartelli criminali. E le piazze di spaccio costituiscono una sorta di bancomat per le organizzazioni che le gestiscono”. Anche i soldi sono più difficili da individuare. Melillo ha spiegato come “i cambisti, soggetti che trafficano denaro, assicurano con reti cibernetiche la disponibilità di grandi somme di denaro preventivamente piazzati in determinati Stati.

In tal mondo il denaro non si sposta e sfugge al controllo antiriciclaggio. Anni fa le transazioni comportavano spesa del 15% mentre adesso non hanno costi visto che il denaro non si sposta”. Ciò che si sposta tranquillamente sono invece i quintali di droga, anche nei porti italiani. Secondo il procuratore “ci sono molti elementi di allarme”, come ad esempio al porto di Gioia Tauro che “per quanto sia migliorata la capacità di controllo dei flussi di merce”, resta un hub importante del traffico di droga”.

Tra i campi in cui l’Italia è in ritardo secondo Melillo c’è anche la cybersecurity: “L’usuale visione del cybercrime come fenomeno criminale separato dalle strutture criminali più – dice il procuratore – pericolose è incapace di spiegare granché”. Le reti cibernetiche sono un cardine organizzativo comune sia delle reti mafiose che delle reti terroristiche. Ne risulta quindi “tutta la dimensione di una sfida sul versante della sicurezza cibernetica rispetto alla quale siamo in grave ritardo”.

In più “nello statuto normativo dell’agenzia per la sicurezza cibernetica non vi sia alcun riferimento alle competenze dell’autorità giudiziaria” e questo, secondo il capo della Procura nazionale antimafia pone un serio problema di coordinamento delle competenze. Il predecessore di Melillo alla Procura nazionale antimafia ora deputato 5 Stelle e vicepresidente della Commissione antimafia Federico Cafiero De Raho ha sottolineato anche come non sia ancora “partita la Banca dati degli appalti pubblici, un mezzo indispensabile per mettere al riparo dalle mafie i capitali del Pnrr.

Bisogna avviarla quanto prima per mettere sotto un monitoraggio diretto le procedure avviate da tutte le stazioni appaltanti, inclusi i Comuni”, spiega De Raho. Tra le stoccate di Melillo c’è anche il “caporalato” come “forma di gestione richiesta dalle imprese agricole per abbattere i costi” e il bonus edilizio su cui il sistema ha “rinunciato ad ogni anticorpo”: “correzioni sono state fatte ma ormai era tardi e penso siamo ancora lontano dal calcolare l’entità del buco per l’uso criminale fatto di queste risorse”, ha spiegato il procuratore.

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Giorgia tutta Draghi e stellette

Se avete bisogno di cambiare una lampadina, di imparare una ricetta per la domenica o di organizzare una gita ormai il generale Figliuolo è a disposizione. Anche per matrimoni e funerali. È lui il nome scelto, dopo settimane di irrispettosi tentennamenti, dal governo Meloni come commissario alla ricostruzione per il post-alluvione in Romagna.

Il generale ha ricoperto il ruolo di commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 da marzo 2021 a marzo 2022. In quel tempo Giorgia Meloni definì la scelta dell’obbligo di green pass del generale “raggelante, è l’ultimo passo verso la realizzazione di una società orwelliana. Una follia anticostituzionale che Fratelli d’Italia respinge con forza. Per noi la libertà individuale è sacra e inviolabile”.

Oggi va bene. L’importante per Meloni era fare fuori il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini che ormai aveva confessato di non ricevere nemmeno una telefonata dal ministro Musumeci e non dare soddisfazione all’alleato in punizione, Matteo Salvini.

Figliuolo è perfetto. Indossa la divisa che attizza i membri di questo governo in tutte le sue declinazioni. Richiama la continuità con il governo Draghi che Meloni insegue per provare a darsi un tono al di fuori della Garbatella e soprattutto è l’uomo perfetto da scegliere quando non si vuole scegliere.

Un santino da sventolare come magico risolutore in ogni occasione. È l’icona da dare in pasto agli elettori e alla stampa. Figliuolo è il nuovo Bertolaso, con in più lo scudo delle stellette.

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Non bastava Santanchè ci mancava il caso Crosetto

Oggi pomeriggio la riunione dei capigruppo potrebbe riunirsi per decidere se, come e quando portare il caso Santanchè in Parlamento. La ministra al Turismo è stata oggetto di un’inchiesta nella trasmissione di Report che ha fatto emergere gravi irregolarità nelle sue attività imprenditoriali.

M5S e Pd in pressing sulla ministra Daniela Santanchè. Ma intanto la Difesa bombarda Report

Il Movimento 5 Stelle nei giorni scorsi aveva scritto ai presidenti dei due rami del Parlamento, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, chiedendo “una informativa urgente del ministro Santanché in merito ai gravi fatti emersi dall’inchiesta giornalistica di Report” a proposito delle attività imprenditoriali dell’esponente di Fratelli d’Italia.

Ma il Partito democratico al Senato ha presentato una interrogazione sul tema al presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, al ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elvira Calderone, e al ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, e l’orientamento del Pd potrebbe essere quindi quello di chiedere che la ministra Santanchè e il governo si espongano nel question time in programma giovedì 29 alle 15 o in un analogo appuntamento successivo.

L’interrogazione del Pd, primo firmatario Antonio Misiani, si conclude chiedendo “quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare al fine di fare al più presto chiarezza sui gravi fatti esposti in premessa, che, al di là delle loro eventuali implicazioni sui piani civile e penale, non sono degni della disciplina e dell’onore che dovrebbero caratterizzare le azioni di un ministro della Repubblica; quali azioni il Governo intenda altresì adottare al fine di tutelare i lavoratori delle società Visibilia e Ki Group e sanzionare i comportamenti scorretti delle due società nei confronti dei loro dipendenti”.

La senatrice FdI si è detta pronta a riferire alle Camere. Ma c’è chi lavora per bloccare tutto

Angelo Bonelli, deputato e co-portavoce nazionale di Europa Verde, annuncia di avere raggiunto in 4 giorni ben 25mila firme per la petizione che ne chiede le dimissioni. Anche i calendiani di Azione, attraverso la deputata Ruffino, fanno sapere che “tanto disprezzo nei confronti del Parlamento vale già un’autoaccusa” chiedendo alla presidente del Consiglio Meloni di intervenire. Dal canto suo la ministra Santanchè si dice pronta a “rispondere su tutto”.

“Sono 23 anni che faccio politica, la faccia ce l’ho sempre messa”, risponde ai giornalisti a margine di un evento a Milano. A Palazzo Chigi, Meloni segue la diatriba per ora senza intervenire. Nella maggioranza sembrano però rientrate le voci critiche che si erano levate dai banchi della Lega, più per indebolire la presidente del Consiglio che altro.

A fare discutere ieri è stata però l’intervista del ministro della Difesa Guido Crosetto che dalle pagine del Corriere della Sera fa riferimento a “una parte di soggetti istituzionali che dovrebbero occuparsi d’altro” che utilizzerebbero “tivù e giornali con fini ben precisi”. Crosetto avvisa anche chi “fa lo sciaccallaggio”: “Non si illudano – dice il ministro da qualche parte, purtroppo, c’è un dossier (quasi sempre inventato) che aspetta chiunque in Italia abbia un po’ di potere”. Parole che sono risuonate come una minaccia verso chi osa criticare il governo.

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