Vai al contenuto

Emilia-Romagna allo stremo e ricostruzione al palo

A mettere in fila i numeri è la vicepresidente del Gruppo Socialisti & Democratici a Bruxelles, la dem Elisabetta Gualmini. Le alluvioni in Emilia-Romagna sono iniziate il 3 maggio, oggi, 27 giugno, si contano 12mila aziende agricole danneggiate, 70.300 edifici coinvolti, 14.200 imprese danneggiate, 8,5 mld di danni stimati, 3325 cantieri solo in montagna. Servono solo per gli interventi urgenti 1,9 miliardi di euro. Soldi arrivati finora dal governo? 30 milioni.

È sempre stallo sul nome del commissario per l’emergenza maltempo in Emilia-Romagna. Meloni e Salvini si litigano la poltrona

Il Decreto legge Alluvione è in Commissione ambiente ala Camera. Ieri era l’ultimo giorno per la presentazione degli emendamenti: 28 sono stati proposti dai partiti che sostengono la maggioranza di governo: 116 da Forza Italia, 117 da Fratelli d’Italia, 89 dalla Lega e 6 da Noi Moderati. Gli emendamenti del Pd sono 164.

Gli appelli intanto si moltiplicano. Il Cispel Emilia-Romagna, l’associazione che riunisce le Acer della regione, nel corso di una assemblea generale che si è svolta venerdì a Roma ha presentato al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini e a Federcasa un documento unitario di tutte le Acer della regione per chiedere al governo di “non lasciare sole le case popolari nella ricostruzione post alluvione”.

E mentre sulla pelle dei romagnoli si gioca la battaglia politica con Richetti di Azione che intima al Pd di dover cambiare strategia in previsione delle prossime elezioni regionali e con Fratelli d’Italia che non perde occasione per usare il fango (che si è seccato e fatto cemento da quelle parti) per attaccare la segretaria del Pd Elly Schlein la vicepresidente della Regione con delega alla Protezione civile, Irene Priolo perde la pazienza con il governo: “si stanno assumendo delle responsabilità, perché se succede qualcosa a settembre poi gli esposti li faccio io”, manda a dire Priolo da Bologna, colloquiando con i cronisti dopo il ricordo di Flavia Franzoni in Consiglio comunale.

Il commissario per la ricostruzione “se lo nominano devono dargli delle risorse, altrimenti cosa fa Il commissario senza portafoglio? Un po’ impegnativo”, afferma la vice del governatore Stefano Bonaccini, che intanto sta già svolgendo l’incarico di commissario per l’emergenza. A lui “per ora è attribuito un pezzo di competenze specifiche”, riepiloga Priolo, aggiungendo che se per la ricostruzione fosse nominato un altro commissario allora “sarebbe la prima volta che coesistono” due figure di questo tipo: insomma “abbiamo avuto due papi, avremo anche due commissari”.

Sul territorio, dice Priolo, “abbiamo dei cantieri che veramente si stanno fermando, le aziende piccoline se non hanno copertura finanziaria – avverte la vicepresidente – vanno a lavorare in altri posti, perché vanno dove ci sono le risorse, quindi è un dramma”.

Alla luce di tutto ciò, che il Governo stia rimandando le decisioni e i decreti “per noi è spiegabilissimo, dopodiché – conclude Priolo – si stanno assumendo delle responsabilità perché se succede qualcosa a settembre, poi gli esposti li faccio io”.

Il Consiglio dei ministri slittato lo scorso giovedì oggi dovrebbe finalmente decidere. Lega e Fratelli d’Italia continuano lo scontro politico interno sulla pelle dei cittadini. Solo su un punto la premier e il ministro sono d’accordo: sbarrare la strada al presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini.

La priorità per Meloni è di andare allo scontro con i suoi alleati e con l’opposizione per ribadire la sua forza e per accentrare il controllo della ricostruzione, usandolo come serbatoio di propaganda. Al suo fianco, infaticabile, il ministro Musumeci. Bonaccini nei giorni scorsi ha ricordato che “dopo il sisma del 2012 il commissario fu nominato in una settimana”. Ma qui la ricostruzione non è la priorità.

L’articolo Emilia-Romagna allo stremo e ricostruzione al palo sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Lo sbrocco di Giorgia Meloni

Dopo i rave party, dopo gli orsi, dopo la sostituzione etnica e dopo un’innumerevole sfilza di argomenti di distrazioni di massa ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha deciso di buttarsi sulla “droga” – come argomento – per rinverdire la propaganda spicci, fatta solo di luoghi comuni sputati come se si fosse al bar.

Così in occasione dell’evento alla Camera per la Giornata mondiale contro le droghe ha infilato una serie di panzane in cui riesce a prendersela con Netflix perché si è permesso di investigare nella vita e nei modi di Vincenzo Muccioli e della comunità di San Patrignano. Non contenta se la prende – i nemici come linfa vitale, siamo sempre lì – con quelli che spacciano «la droga come un forma di libertà» (ma chi sono? dove sono?) proclamando «finita la stagione dell’indifferenza, del lassismo, del disinteresse». In effetti tagliare la sanità e quindi la prevenzione e la riabilitazione sembra confermare la mendacia del proposito.

«Le droghe fanno male tutte, non esistono distinzioni, chi dice una cosa diversa dice una menzogna. Dire che ci sono droghe che possono essere usate è un inganno», dice Giorgia Meloni, provando ad alludere anche all’utilizzo di cannabis quando si debbano alleviare dolore (oncologico e non), disturbi cronici associati a sclerosi multipla o a lesioni del midollo spinale, malattie reumatiche e neuropatie. Finge di non sapere che nel marzo 2007 la rivista scientifica The Lancet ha pubblicato uno studio che evidenzia minore pericolosità della cannabis rispetto ad alcool (di cui questo governo è uno sponsor eccezionale), nicotina o benzodiazepine.

Dopo ore di banalità Riccardo Magi di +Europa decide di mostrare un cartello che recitava “se non ci pensa lo stato ci pensa la mafia”. «È stata una kermesse, – spiega Magi – non è stato un convegno, nella quale sono stati forniti all’opinione pubblica italiana da parte del governo e che sicuramente avranno la massima evidenza mediatica su giornali e telegiornali, i principali luoghi comuni e le principali fake news sul fenomeno del consumo delle sostanze stupefacenti in questo paese. Siccome noi crediamo che il governo abbia delle responsabilità serie nell’affrontare un fenomeno sociale serio come quello del consumo delle sostanze stupefacenti, a un certo punto dopo due ore non potevamo restare in silenzio e quindi abbiamo semplicemente esposto dei cartelli».

A questo punto la presidente del Consiglio si infiamma, diventa paonazza, impugna il microfono come una spada e comincia a urlare contro il parlamentare. Un’esplosione di volgarità nei modi e nei toni ben lontana dalla recitazione che Meloni si è imposta per apparire una papabile leader dei conservatori e non un’aizzapopoli tra i sovranisti. Basta osservarla qualche secondo per comprendere il motivo per cui Giorgia Meloni non tenga una conferenza stampa dai tempi della strage di Cutro. Lo schema è semplice: falsità propagandistiche e subito dopo incapacità di argomentare se viene smentita.

Buon martedì.

tratto da The Lancet

L’articolo proviene da Left.it qui

La stampa che piace al regime

Un ministro della Repubblica che in un’intervista delegittima in un colpo solo la stampa e la magistratura per difendere una sua collega è un capolavoro di berlusconismo nell’anno primo dopo Berlusconi. Il ministro alla Guerra Guido Crosetto lo fa evocando “dossier confezionati” da “pezzi di istituzioni” per “far male al governo”.

Anzi, fa di più, avvisando quelli che lui chiama “sciacalli” (ovvero i giornalisti) del rischio di dossieraggio. Crosetto non sa che i giornalisti lavorano con le notizie e dimentica di essere nella delicata posizione di essere l’unico ad avere accesso ai “dossier”. Poche ore prima il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri se l’era presa con il giornalista Marco Damilano (parlando di “suoi spartiti da nullità”) e la giornalista Lucia Annunziata accusata di “faziosità, approssimazione e maleducazione”.

Tra le altre cose Gasparri è un giornalista. Nella stessa giornata Matteo Renzi annuncia che presenterà un’interrogazione in Vigilanza Rai per sapere dei compensi di chi – secondo lui – difenderebbe Putin in televisione. Renzi e Crosetto – vale la pena segnalarlo – hanno fatto asse per il comune odio verso Sigfrido Ranucci e la sua trasmissione Report.

Renzi – giova ricordarlo – prende soldi (questo non ha bisogno di verifiche) dal regime Saudita, dove i giornalisti non se la passano benissimo. Nel frattempo il capo ufficio stampa di Giorgia Meloni lascia il suo posto per la poltrona di direttore di un quotidiano “che piace” al governo. In questo Paese politica e informazione sono una melassa indistinguibile. Altrimenti la stampa è un pericolo da estirpare.

L’articolo La stampa che piace al regime sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Unica strategia: opporsi all’opposizione

L’altro ieri il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha fatto un salto al Convegno nazionale dei giovani imprenditori di Confindustria a Rapallo, per elogiare il governo di cui fa parte com’è normale che sia. La profezia è da opuscolo pubblicitario: “Nei prossimi anni l’Italia vivrà una rivoluzione positiva infrastrutturale, economica, sociale, ambientale e lavorativa, che è paragonabile solo al boom del secondo dopoguerra. Questo governo durerà per tutti i 5 anni, non un minuto di meno. Sono sicuro che andrà così. In Silvio (Berlusconi, ndr), in Antonio (Tajani, presente tra il pubblico, ndr), in Giorgia (Meloni, ndr) sto trovando non dei colleghi, ma degli amici. Più provano con ricostruzioni fantasiose e surreali ad allontanarci, più ci uniscono. Ci sentiamo 2, 3, 4, 5 volte al giorno”.

Fin qui niente di più del previsto. Poi arriva l’unica vera strategia che unisce questo governo: opporsi all’opposizione. Lo fanno benissimo, sono forgiati da anni di esperienza. Odiare i presunti “nemici” è l’unico collante di questa maggioranza. Così Salvini comincia prima a bastonare la Cgil: “Se critica il mio codice degli appalti, allora vuol dire che è fatto bene. Ho scoperto che c’è questa nuova categoria filosofica: dopo i terrapiattisti, ci sono i no pontisti. I signori del no sono sempre molto bravi a farsi sentire. Io sono sicuro che, se adesso accendete la tv per vedere un telegiornale – dice il ministro – vedrete Landini, Tizio, Caio, Sempronio. Quelli del no, i no Tav, i no ponte, i no flat tax, i no autonomia, i no Brennero, i no alta velocità, i no qui, i no là sono bravissimi: pochi, organizzati, spesso ignoranti e arroganti ma molto presenti. Quelli del sì invece passano le loro giornate lavorando e non hanno questo gran tempo come quelli del no”.

Poi attacca gli studenti: “C’è il tema casa a cui stiamo lavorando da 8 mesi, non in base alle tendopoli davanti al Politecnico di Milano, perché abbiamo una programmazione che prescinde dalla volontà scoutistica di qualche studente. Quello dei cretini che si stendono sulla tangenziale non è ambientalismo, quelli sono nemici dello sviluppo del nostro paese“.

Poi bastona gli odiatori di Berlusconi e i nemici della ministra Santanchè: “La sua morte è stata la morte non di un alleato politico, ma di un amico. E io penso che mancherà al paese e a chi gli voleva bene. Mancherà anche a coloro che lo odiavano, perché adesso dovranno ricollocarsi ma penso che abbiano già parecchi obiettivi a loro disposizione. Se la politica dovesse lavorare in base alle inchieste di Report e del Fatto Quotidiano, saremmo un paese delle banane. E quindi, per quanto mi riguarda, do massima fiducia ai colleghi in carica, perché l’ho vissuto sulla mia pelle”.

Infine, non riesce a trattenersi e incastrato nel suo personaggio Matteo Salvini dice anche agli organizzatori del convegno: “Andrei avanti per ore, però vedo facce un pochino affamate. Fuori è brutto, sta diluviando. Avete scelto un brutto posto per fare questa assemblea: un brutto albergo e una brutta città con un brutto clima“. E saluta così. Il piccolo episodio di cronaca politica rivela l’antropologia di questo governo che per sentirsi vivo deve fingersi sempre assediato da qualcuno. Era la modalità della campagna elettorale ed è la modalità di Salvini, berlusconiani e Meloni negli ultimi anni. Ora che sono arrivati al governo – ormai da più di qualche mese – non riescono a schiacciare l’interruttore per mettersi in posizione di governo e come un cucù rotto continuano a cantare una parte che non ha più senso. Viene quasi il dubbio che se non avessero “nemici” stamattina sarebbero lì, spersi in mezzo al deserto, a pregare che arrivi un nemico per tenerli vivi.

Buon lunedì

Nella foto: Matteo Salvini al Convegno nazionale dei giovani imprenditori di Confindustria a Rapallo, 24 giugno 2023, frame del video

L’articolo proviene da Left.it qui

La coincidenza tra Renzi e Santanchè

Quando Carlo Calenda e alcuni parlamentari del Terzo polo fecero presente che la nomina di Matteo Renzi a direttore del quotidiano Il Riformista aveva espresso dubbi sulla “confusione di ruoli” il leader di Italia Viva rispose con un’alzata di spalle. “Quando Renzi prenderà una posizione, lo farà come esponente politico o come direttore?”, chiese con una certa preoccupazione Calenda.

In questi giorni accade che una puntata della trasmissione televisiva Report abbia raccontato gli affari non proprio fortunati delle aziende della ministra al Turismo Daniela Santanchè, esponente di punta di Fratelli d’Italia. Tra quelle aziende c’è anche la Visibilia di cui Santanchè è stata azionista principale fino a metà ottobre e presidente fino a gennaio 2022.

I debiti societari di Visibilia nei mesi scorsi sono arrivati all’attenzione della Procura di Milano. Praticamente tutto l’arco parlamentare ha incalzato la ministra per avere spiegazioni. L’opposizione ne ha chiesto le dimissioni ma anche i suoi alleati le hanno chiesto di riferire in Parlamento. Perfino la presidente del Consiglio Giorgia Meloni pare che sia molto irritata per la situazione.

Santanchè si è difesa dicendo “Visibilia è un’azienda che ho fondato, ma è stata venduta. C’è una cartella esattoriale non pagata e i nuovi soci se ne occuperanno. Non ci sono reati, non c’è un’ipotesi di reato”.

Uno dei pochi giornali che ha difeso la ministra è proprio Il Riformista – quindi il Matteo Renzi nel suo costume da direttore – che non ha avuto modo di raccontare ai suoi lettori i rilievi giornalistici che sono da giorni un caso politico ma ha pubblicato un unico articolo dal titolo “Santanché, schiaffo a giustizialisti e alleati (e a Meloni): “Pronta a riferire in Parlamento”” parlando di “gogna”.

Chi raccoglie la pubblicità per il quotidiano Il Riformista? Visibilia, proprio loro. Che nome ha questa curiosa coincidenza Conflitto di interessi. Sempre quello.

L’articolo La coincidenza tra Renzi e Santanchè sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Altro che Piano Mattei, dimezzati gli aiuti all’Africa

Lo chiamano, con poco pudore, Piano Mattei. “Ci stiamo lavorando”, soprattutto “ascoltando e coinvolgendo i Paesi africani” assicura la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. L’ambizione è di presentare al mondo in occasione del summit intergovernativo Italia-Africa, il prossimo ottobre. Fare di più per l’Africa, per fare fronte alle tante emergenze umanitarie, a partire da quella somala che per l’Onu è “una delle peggiori crisi umanitarie al mondo”, e contenere i flussi di migranti illegali.

Ma anche per sostenere lo sviluppo economico e la stabilizzazione sociale di Paesi nei quali altrimenti, senza un “ruolo forte” dell’Italia e dell’Europa si aprono inevitabilmente le porte “all’ingresso di altri attori”. Sin dal suo discorso d’insediamento alla Camera dei Deputati, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto riferimento a un Piano Mattei per l’Africa e il Mediterraneo definendolo “un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area sub-sahariana. Ci piacerebbe così recuperare, dopo anni in cui si è preferito indietreggiare, il nostro ruolo strategico nel Mediterraneo”.

Il Piano Mattei è una variante dell’aiutiamoli a casa loro

Lo chiamano Piano Mattei ma è sempre lo stessa roba, non diversa dall’idea che un altro premier lanciò non troppi anni fa. “Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ripetiamocelo. Ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero a casa loro”: non è la frase del primo Bossi e non è nemmeno uno slogan preparato per Facebook dall’ultimo Salvini. La frase sta in un libro dell’ex leader del centrosinistra italiano, Matteo Renzi, quella parte che per anni, per storia, per temperatura emotiva, aveva la solidarietà sempre in tasca, mica quella pelosa, la solidarietà che è la regola non scritta per cui una mano tesa va raccolta, sempre.

Il Piano Mattei è una variante dell’aiutiamoli a casa loro, che da queste parti funziona da tempo per la propaganda. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha rilanciato: l’Europa deve fare di più per l’Africa, ha intimato. Ma come va questo inizio di Piano Mattei? Non benissimo a giudicare dai dati preliminari per il 2022 da parte del Comitato per l’aiuto allo sviluppo dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

Nel 2022 ben il 14,4% dell’aiuto pubblico allo sviluppo globale (Aps) è rimasto nelle tasche dei Paesi ricchi, anziché essere destinato a migliorare le condizioni di vita nelle aree più povere del pianeta. In particolare esplode la voce “dei costi dei rifugiati nel paese donatore”, arrivati alla cifra record di 29,3 miliardi di dollari, con un più 134% rispetto al 2021. In altre parole, quanto trattenuto dai Paesi donatori per interventi entro i confini nazionali è superiore all’aumento complessivo degli aiuti globali (+13,6%), passati da 186 miliardi nel 2021 a 204 miliardi nel 2022.

Le promesse tradite

Oxfam l’ha denunciato già da qualche mese ma nessuno sembra essersene accorto. “In un momento in cui decine di milioni di persone nei Paesi più poveri e vulnerabili stanno lottando per sopravvivere agli effetti di guerre, della crisi climatica e dell’inflazione, i Paesi ricchi hanno trasformato le loro promesse di aiuto in una farsa. – spiegava Francesco Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia su finanza per lo sviluppo –. Quasi 30 miliardi sono stati considerati erroneamente come aiuto allo sviluppo ‘genuino’, senza esserlo. In realtà si tratta di un aumento scritto sull’acqua. Buona parte è stato destinato a far fronte all’accoglienza dei richiedenti asilo entro i confini nazionali soprattutto dei rifugiati ucraini, senza il doveroso stanziamento di risorse aggiuntive. Un’altra quota è invece stata contabilizzata per il secondo anno consecutivo, considerando il costo delle donazioni di vaccini Covid, costituiti da scorte di magazzino già acquistate per le necessità nazionali ad un alto prezzo di mercato”.

In questo scenario l’Italia è un esempio emblematico di un trend di aumento solo fittizio delle risorse destinate all’aiuto pubblico, ossia a sradicare la povertà nei Paesi in via di sviluppo. Il nostro Paese passa infatti dallo 0,29% del 2021 allo 0,32%del 2022 di Aps in rapporto al reddito nazionale lordo, con un aumento sulla carta del 15%, cioè da 6,085 miliardi di dollari a 6,468. Come sostiene però la stessa Ocse nei giudizi sulle tendenze dell’aiuto dei vari paesi, “si tratta di un aumento esclusivamente dovuto alla quota dei costi dei rifugiati nel Paese donatore, senza il quale l’aiuto allo sviluppo diminuirebbe”.

Altro che Piano Mattei, solo un taglio agli aiuti

Nel frattempo, in termini reali resta un miraggio il mantenimento dei solenni impegni presi oltre 50 anni fa e ribaditi nel 2015 con l’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile. In particolare quello di raggiungere lo 0.70% rispetto al reddito nazionale lordo in aiuto allo sviluppo. Soprattutto perché, al di là delle percentuali, si allontanano gli obiettivi di sostenibilità sociale, ambientale e di lotta alla povertà estrema, considerando che questi indicatori peggiorano in 9 Paesi su 10.

E l’Africa I numeri parlano. Gli ultimi dati Ocse-Dac ci dicono che gli aiuti all’Africa diminuiscono del 7% a livello globale e l’Italia li ha più che dimezzati. Si dice “aiutiamoli a casa loro” ma sostanzialmente si bussa alla loro porta per chiedere di aiutarci a chiudere i confini di casa nostra. Accade da anni in Libia, accade ora con la Tunisia. I Paesi africani per Giorgia Meloni sono semplicemente i sicari di una politica che ha bisogno di essere travestita da aiuto umanitario per essere più digeribile. Trovata una maschera decente si può fare di tutto, persino chiamare Piano Mattei un taglio drastico agli aiuti ai Paesi devastati dalla fame, dalla siccità e dalle guerre. Durerà finché regge la narrazione. Quindi durerà poco, pochissimo.

L’articolo Altro che Piano Mattei, dimezzati gli aiuti all’Africa sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Navi alla Guardia costiera libera, così forniamo sostegno agli aguzzini libici

A leggere il comunicato ufficiale vengono i brividi. “Nell’ambito del progetto europeo Sibmmil (Support to Integrated border and migration management in Libya), sono state consegnate ieri presso l’Arsenale militare di Messina due unità navali “Classe Currubia” alla delegazione tecnica della Guardia costiera libica.

Lo riferisce un comunicato dell’Agenzia industrie difesa. Le due imbarcazioni, oggetto di preventive operazioni di refitting e rimessa in efficienza da parte delle maestranze dell’Agenzia industrie difesa, rientrano nell’intesa tecnica stipulata tra il ministero dell’Interno – Dipartimento della pubblica sicurezza – Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere e l’Agenzia industrie difesa”.

L’Italia continua a fornire mezzi, oltre ai soldi, alla cosiddetta Guardia costiera libica, una masnada di criminali (talvolta addirittura trafficanti appena dismettono la divisa) che nel nostro Paese si insite a voler rivendere come imprescindibili alleati nella lotta “all’immigrazione clandestina”.

I diritti violati della cosiddetta Guardia costiera libica

Cosa sia la cosiddetta Guardia costiera libica lo descrive un rapporto dell’Onu che spiega come esistano “fondati motivi per ritenere che il personale di alto rango della Guardia costiera libica, dell’Apparato di sostegno alla stabilità e della Direzione per la lotta alla migrazione illegale abbia colluso con trafficanti e contrabbandieri, che sarebbero collegati a gruppi della milizia, nel contesto di intercettazione e privazione della libertà dei migranti.

La Missione – scrive l’Onu – ha inoltre trovato ragionevoli motivi per ritenere che le guardie abbiano chiesto e ricevuto il pagamento per il rilascio dei migranti. Traffico, schiavitù, manodopera forzata, reclusione, estorsione e contrabbando hanno generato entrate significative per individui, gruppi e istituzioni dello Stato”.

La cerimonia nascosta

Una celebrazione per festeggiare il fiancheggiamento di un gruppo criminale. Sarà per questo che la cerimonia è stata fatta alla chetichella e il comunicato stampa è uscito solo il giorno successivo. La discussione generale sulle missioni internazionali avviata ieri a Montecitorio è stata l’occasione per riprendere il filo.

“Per quanto riguarda la Libia – spiega il deputato del PD, Fabio Porta – il Partito democratico ha espresso la sua contrarietà sul punto riguardante il rifinanziamento della missione di supporto alla guardia costiera libica. Lo ha fatto proponendo degli emendamenti che sono stati respinti dal Governo nel corso della seduta congiunta delle commissioni Esteri e Difesa di ieri. A distanza di anni dal memorandum Italia-Libia, infatti, c’è la concreta necessità di un cambiamento di strategia che tenga insieme la difesa degli interessi italiani e il rispetto dei diritti umani”.

Rassicurazioni che ha chiesto anche il M5S “affinché i diritti umani vengano effettivamente rispettati, anche alla luce delle varie inchieste che abbiamo visto ma anche dell’ultimo report Onu”. “Rassicurazioni che anche in questo caso non ci sono state date, per cui non possiamo votare a favore di questo decreto”, spiega la deputata Vittoria Baldino, vicepresidente del gruppo M5S alla Camera.

Esulta ovviamente la maggioranza. Con sprezzo del ridicolo esulta il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato: “la sinistra sta con i trafficanti”, dice. Non deve aver capito di averli appena armati.

L’articolo Navi alla Guardia costiera libera, così forniamo sostegno agli aguzzini libici sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

La realtà dell’evasione fiscale e la narrazione sui furbetti impuniti – Lettera43

Nei primi mesi di governo si è parlato molto di evasione fiscale, ma non per il motivo che si potrebbe immaginare. È nota la dichiarazione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante il suo comizio a Catania in cui paragonò le tasse a «un pizzo di Stato». In quell’occasione Meloni disse che sono «le banche e le big company» a evadere. Non deve aver letto la relazione annuale del ministero dell’Economia che spiega come sui circa 90 miliardi di euro di evasione fiscale, che salgono a quasi 100 miliardi contando anche l’evasione dei contributi previdenziali, oltre 32 miliardi di euro provengono dall’evasione dell’Irpef dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese. Sono loro a non pagare in media il 69 per cento delle imposte sul reddito che dovrebbero pagare allo Stato ogni anno.

La realtà dell'evasione fiscale e la narrazione sui furbetti impuniti
Guardia di finanza (Imagoeconomica).

La diatriba sul contante e le falsità sbugiardate

Poi abbiamo ascoltato la presidente del Consiglio dirci che negli ultimi anni «l’evasione non è calata». Falso anche questo. Nel 2019 l’evasione delle imposte tributarie e dei contributi era calata di circa 7 miliardi di euro rispetto al 2015. In cinque anni il tax gap è passato dal 5 per cento in rapporto al Pil al 4,1 per cento. C’è stata la diatriba sull’uso del contante che non avrebbe correlazione con l’evasione fiscale. In quel caso Meloni è stata smentita dalla Corte dei conti e dalla Banca d’Italia. Ma non è difficile riuscire a capire che i pagamenti elettronici – quindi tracciati – rendendo più complicata l’evasione. Matteo Salvini (Lega) e Antonio Tajani (Forza Italia) spiegarono che era l’Europa a chiedere l’innalzamento del contante. Falso anche questo.

Le favolette sui turisti stranieri e l’uscita discutibile di Nordio

Quindi Tajani ha rilanciato dicendo che il limite del contante disincentiva la spesa di turisti stranieri. Non sapeva che in Italia esiste già una deroga che permette a quei turisti di spendere fino a 15 mila euro in contanti. Qualche giorno fa il ministro alla Giustizia Carlo Nordio ha detto ai suoi cittadini che pagare le tasse è «un’impresa»: «Questo fisco vessa anche i contribuenti per bene». Per poi chiarire: «Sembra un paradosso, ma anche agli imprenditori onesti è impossibile non trovare violazioni». Tutti ladri quindi nessuno è ladro. Di lotta all’evasione invece manco a parlarne.

La realtà dell'evasione fiscale e la narrazione sui furbetti impuniti
Giorgia Meloni e il comandante generale della Guardia di finanza Andrea De Gennaro (Imagoeconomica).

Solo in Lombardia patrimoni sequestrati per 777 milioni

Poiché prima o poi la realtà irrompe e sgretola la narrazione, il 22 giugno sono arrivati i dati della Guardia di finanza in occasione dei suoi 249 anni in Lombardia, la regione “regina” delle lamentele contro «il pizzo di Stato». Solo negli ultimi quattro anni sono stati recuperati 3,5 miliardi di euro. Fra gennaio 2022 e maggio 2023 sono stati scoperti 2.471 reati fiscali a carico di 3.568 soggetti denunciati e 167 arrestati. I patrimoni sequestrati ammontano a 777 milioni di euro, mentre le proposte di sequestro avanzate alle procure della Repubblica della Lombardia ammontano a oltre 2,5 miliardi di euro. Poi ci sono 2.530 casi di frodi Iva organizzate e basate su fatture false, società fantasma e di comodo, con un’Iva evasa complessiva per 2,1 miliardi di euro.

Illeciti sulla manodopera e sfruttamento dei lavoratori

Il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Milano, generale di Brigata Francesco Mazzotta, ha spiegato anche che quello della «somministrazione illecita di manodopera attraverso la costituzione di società cooperative e società filtro che consentono ai beneficiari della frode di poter versare un’imposta inferiore a quanto dovrebbero e in particolare di compensare i propri debiti d’imposta con crediti inesistenti» è un «fenomeno diffuso» in Lombardia che «potrebbe accompagnarsi a fenomeni di sfruttamento dei lavoratori». Parliamo solo di Lombardia, tanto per avere un ordine di grandezza. In Emilia-Romagna sono stati individuati 542 evasori totali, ossia esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo completamente sconosciuti al fisco, nonché oltre 8 mila lavoratori in “nero” o irregolari.

La realtà dell'evasione fiscale e la narrazione sui furbetti impuniti
La Guardia di finanza ha presentato l’annuale report sull’evasione fiscale (Imagoeconomica).

Il trucco delle residenze fiscali fittizie all’estero

Scoperti inoltre, 72 casi di evasione fiscale internazionale, principalmente riconducibili a stabili organizzazioni occulte, a manipolazioni dei prezzi di trasferimento, a residenze fiscali fittizie e all’illecita detenzione di capitali oltreconfine. I denunciati per reati tributari sono 1.663 di cui 31 tratti in arresto. Il valore dei beni sequestrati quale profitto dell’evasione e delle frodi fiscali è di circa 264 milioni. In Sardegna sono stati accertati danni erariali per 47,5 milioni di euro. In provincia di Imperia hanno scovato un’azienda “estero-vestita” che operava in un paese dell’Unione europea ma che, di fatto, aveva il centro decisionale e amministrativo in provincia di Imperia, e per questo avrebbe dovuto pagare le tasse in Italia: è stata scoperta dalla Guardia di finanza che ha segnalato una presunta evasione per circa 12 milioni di euro, da sottoporre a tassazione.

Un’assoluzione culturale che dura ormai da decenni

Potremmo continuare per ore. L’Italia è quel Paese in cui la lotta all’evasione fiscale non merita nemmeno una narrazione. La giornata del 22 giugno ne è stata la fotografia: un movimento culturale di condono morale agli evasori stroncati (che dura da decenni) e numeri che passano tra l’indifferenza generale. Guardando i comandanti della Guardia di finanza che in alta uniforme presentavano alla stampa i risultati della loro attività, avresti potuto immaginare che qualcuno di loro – anche solo uno – chiedesse al Paese di dismettere una narrazione che in fin dei conti svilisce anche loro. Non è successo. Ora basterà aspettare qualche giorno che si posi il dibattito immediato alla cronaca e si potrà continuare con questo continuo elogio alla furbizia di chi ottiene l’impunità.

Governo in modalità Papeete

Sono talmente scarsi che presto perderanno il lavoro tutti i retroscenisti politici. Mentre dalle parti del governo insistono nel ripetere che non esiste nessuna frizione tra i partiti della maggioranza, con la convinzione di Bonolis e consorte che hanno smentito la loro separazione una settimana prima di annunciarla, in esclusiva ieri il capogruppo della Lega Riccardo Molinari ha assestato tre colpi a Giorgia Meloni che lascia pochi dubbi.

Ha aperto le danze definendo il Mes “strozzinaggio sui Paesi che sono più in difficoltà” parlando di “111 miliardi che dovremo mettere dentro il Mes che non potremo mai utilizzare per salvare le nostre”.

In poche righe sostanzialmente ha sgretolato il sogno di Meloni “affidabile agli occhi dell’Ue” con uno slogan degno della propaganda sovranista dei bei tempi, quando anche la presidente del Consiglio giocava a fare la guastatrice.

Poi parlando dell’alluvione in Emilia Romagna il capogruppo leghista ci ha fatto sapere che stanno “aspettando che il governo decida”. Poiché la Lega è partito di governo non ci vuole molto per intendere che l’accusa di immobilismo sia tutta per Giorgia.

Infine assesta la coltellata finale invitando la ministra Santanchè a “spiegare in Aula” le denunce di Report. Con un’aggiunta sibillina col retrogusto di un malaugurio: “Se ci sarà qualcosa saranno altri organismi a dover intervenire non certo Report”. La faccia è di Molinari ma la voce, se ci fate caso, è quella di Salvini. Sarà il caldo, sarà il moijto, sarà il Papeete che si avvicina.

L’articolo Governo in modalità Papeete sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Dal Mes all’Ucraina, le incognite sull’intesa tra M5S e Pd

C’è molto da costruire fuori, molto da sopire dentro e differenze da accorciare per la segretarie del Pd, Elly Schlein, che non nasconde la volontà di trovare un’intesa con le altre forze di opposizione, soprattutto con il Movimento 5 Stelle, perché “il Pd da solo non basta per sconfiggere questa destra”.

Il vero ostacolo all’intesa con il M5S sono i tanti fronti interni aperti nel Pd

La settimana prossima, arriva in parlamento il decreto per il rifinanziamento delle missioni militari. Schlein aveva promesso nella campagna per la segreteria Dem che avrebbe detto no a nuovi aiuti economici alla cosiddetta Guardia costiera libica. Già ieri in commissione il Pd ha votato “compatto contro”, ha spiegato Schlein. Ma i malumori nel partito per una mossa che di fatto sconfessa la linea Minniti non tarderanno a farsi sentire.

L’ex ministro Guerini e il senatore Alfieri (della minoranza interna) temono ricadute sugli accordi bilaterali con la Libia (in tutto sono 6 le missioni nel Paese nordafricano). Un altro nodo è quello della ratifica del Mes che ha messo in subbuglio la maggioranza ma sta scombussolando anche l’opposizione. Il vicepresidente M5S, Michele Gubitosa, ha annunciato il voto contrario del Movimento. Opposta la posizione del Pd.

“Lo strumento del Mes rafforza la credibilità dell’Italia sui mercati finanziari e può convenirci per gli interessi che paghiamo sul nostro debito pubblico”, ha commentato Antonio Misiani, responsabile Sviluppo economico del Pd. La diversa posizione tra M5S e Pd sul Mes sarà un’altra leva della corrente riformista che contesta alla Schlein la rincorsa al partito di Conte nonostante le differenze sull’Ucraina e sulla visione atlantista. Sempre a proposito di differenze, ieri durante l’ennesima commemorazione di Silvio Berlusconi (stavolta alla Camera) l’Aula ha osservato un minuto di silenzio.

Nuovo scontro sui migranti tra Schlein e gli ex renziani. Ieri alla Camera pure Letta tra chi ha applaudito per Berlusconi

Al termine dell’orazione funebre del presidente Fontana non hanno battuto le mani i deputati M5S e AVS e una parte del Pd. Tra gli esponenti dem ad applaudire è stato invece l’ex segretario Enrico Letta. Il dialogo tra Conte e Schlein, pur faticoso, continua. Ieri Conte ha parlato di premesse “che partono da obiettivi politici e mai da vertici stabiliti a tavolino”, “un filo naturale che spesso converge in temi che ci stanno a cuore”.

È vicina, ad esempio, la convergenza tra i due partiti su una proposta comune per un salario minimo. Ma la strada, soprattutto per Schlein, è accidentata. E i nemici, com’è nella natura del Pd, sembrano essere più “dentro” al partito che fuori.

L’articolo Dal Mes all’Ucraina, le incognite sull’intesa tra M5S e Pd sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui