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Non spiega, querela

Ha deciso di querelare la ministra al Turismo Daniela Santachè, finita nel ciclone delle polemiche dopo la puntata della trasmissione Report in cui le vengono mosse accuse pesantissime: «Bilanci in rosso – recita il sito della trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci -, lavoratori mandati a casa senza liquidazione e ditte del tanto celebrato Made In Italy messe in difficoltà, o addirittura strozzate, dal mancato saldo delle forniture». I servizio di Giorgio Mottola coinvolge anche l’ex compagno, Canio Mazzaro e gli emolumenti che da questi sarebbero stati incassati e indaga sui rapporti «tra alcune società del gruppo che si è visto assegnare, senza gara, l’appalto per la campagna promozionale del ministero del turismo “Open to Meraviglia”».

La ministra si dice tranquilla ma a Palazzo Chigi il nervosismo è evidente. Come racconta Tommaso Ciriaco su Repubblica la strategia prevede tre possibili passi: “il primo è quello della difesa, come detto. Il secondo servirebbe a gestire l’eventuale ufficializzazione alle parti di un’indagine a carico di Santanché: la ministra verrebbe convocata a Palazzo Chigi dalla leader per un nuovo faccia a faccia risolutivo. Il terzo servirebbe a maneggiare nuove insostenibili rivelazioni. Meloni pretenderebbe un passo indietro.

L’annunciata querela però è un altro segale dell’apolitica con cui questo governo intende il proprio ruolo. In un Paese democraticamente sano, in un Paese qualsiasi dell’Europa occidentale, una ministra travolta da accuse di questo tipo non si affiderebbe (solo) alla giustizia per fare emergere le sue verità. È quel vecchio discorso di politica e giustizia che sono due campi separati: serve una spiegazione “politica”, di fronte ai propri elettori (e anche agli elettori di altri) per sgomberare qualsiasi ombra.

Non le querele ma le spiegazioni sono il passo che tutti aspettano da Santanchè. Se davvero come dice la ministra la trasmissione Report ha costruito la sua puntata su fatti non veri sarà facile e veloce smentirli e dare all’opinione pubblica tutti gli elementi per smontare la tesi giornalistica. Ma non è accaduto, non accade e c’è da scommetterci che non accadrà. Il motivo è facile da intuire: l’obiettivo è aspettare che si posi la polvere e subentri l’oblio, come spesso avviene in questo Paese.

La querela è la risposta sbagliata.

Buon venerdì.

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L’Aventino dei sovranisti disertori

Ieri il testo base del disegno di legge di ratifica del Mes è stato approvato in commissione Esteri della Camera con il solo voto favorevole di Pd, Italia viva/Azione e +Europa. Astenuti il Movimento 5 stelle e Verdi-Sinistra italiana. Assenti tutti (tutti!) i componenti dei partiti della maggioranza, Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia.

La strategia del governo è quella dell’opossum, che alla bisogna si difende, se attaccato, con unghie e denti ma più spesso, quando si vede a mal partito, si finge morto e approfitta dell’attimo di distrazione del suo avversario per darsi alla fuga.

Nonostante Giorgia Meloni faccia di tutto per apparire “l’uomo forte” che tiene le redini del Paese (s’è fatta persino mettere l’articolo al maschile per corroborare la narrazione) questo governo è europeista quando ha bisogno di soldi, sovranista quando vuole sfuggire alle verifiche sui soldi che ha ricevuto, liberale quando deve perdonare gli amici, panpenalista quando deve punire i nemici, conservatore quasi reazionario sui diritti ma progressista quando deve abolire i doveri.

Ieri il capogruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti rispondendo alla domanda sulle assenze della maggioranza ha detto: “Hanno adottato il testo base, no? Il regolamento è rispettato. Il centrodestra era assente? Ce ne faremo una ragione”.

Beati loro che riescono a farsi una ragione di un governo che non governa. Il 30 giugno il testo approda in Aula alla Camera. Ai sovranisti disertori sarà difficile scappare.

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Agnoletto: “Meloni nel solco di Draghi. Un disastro equiparare sanità pubblica e privata”

Sono arrivati al governo e hanno falciato il rapporto tra la spesa sanitaria e il Pil che si è contratto passando dal 6,9 per cento del 2022 al 6,7 per cento. Questo è solo l’inizio. La volontà di tagliare è evidente, con una riduzione nei prossimi anni di oltre 3,3 miliardi di euro: il governo ha indicato nel Def che a partire dal 2026 la spesa scenderà ancora fino al 6,2 per cento.

Vittorio Agnoletto, medico del direttivo nazionale di Medicina democratica, ci dica la verità era prevedibile?
“Io credo che sia corretto dire le cose come stanno: questo governo per la sanità si è inserito nel percorso indicato dal governo Draghi. Quel governo prevedeva il 6,3%. Il governo Meloni è andato avanti con un ulteriore taglio. Purtroppo l’idea di non finanziare il Servizio sanitario nazionale (Ssn, ndr) nasce da lontano. Le recenti stime internazionali ci dicono che per portare il finanziamento della sanità italiana in termini percentuali nella media dell’Europa occidentale servano altri 50 miliardi”.

Qual è lo stato dell’arte della sanità italiana
“Partiamo da un dato. La spesa sanitari privata 2022 è attorno ai 38 miliardi. Parliamo di una spesa fatta dai cittadini. Questo cosa significa C’è un sotto finanziamento pesantissimo del Ssn che obbliga i cittadini per curarsi a ricorrere al proprio portafoglio oppure a rinunciare a curarsi. Su quanti siano che hanno rinunciato alle cure ci sono stime molto diverse: la più rosea parte da 4 milioni ma si arriva a 11 milioni di italiani che avrebbero rinunciato a curarsi. La sanità italiana ha subito un taglio pesantissimo, negli ultimi 20 anni sono circa 36 miliardi di euro. Tutto questo ha dato uno spazio enorme alla sanità privata”.

A scapito della sanità pubblica
“Sì perché da un parte si è sviluppata la sanità privata ma dall’altra parte – e contemporaneamente – il servizio sanitario ha aperto le porte ai privati con accreditamento nelle varie regioni. Inizialmente avrebbe dovuto essere un’eccezione, perché il Ssn deve fornire tutto quanto previsto dai Lea, i livelli essenziali di cure, visite e esami a cui hanno diritto tutti gli italiani. In via eccezionale dove il Ssn non riesce a fornire tutti i servizi accetta l’accreditamento di strutture private decidendo quali strutture servano, in quale campo e con quale ruolo e per quanto tempo.Noi invece siamo arrivati in una situazione dove la punta dell’iceberg è la Lombardia che indica la direzione: Il Ssn accredita chiunque lo chieda senza studio sui bisogni reali”.

E questo cosa comporta
“Quindi si crea una concorrenza tra privato e pubblico, dove il privato decide in cosa accreditarsi, sceglie gli ambiti più remunerativi in termini di profitto. Quindi no pronto soccorsi, no dipartimenti emergenza, sì a esempio alle patologie croniche. In più il privato non deve rispettare tutti i vincoli del pubblico, come le gare per gli acquisti o i contratti nazionali. Così il pubblico ha portato dentro di sé il privato che cammina sulle gambe del pubblico. Il pubblico fornisce i servizi più costosi dovendo rispettar le regole”.

E poi?
“Poi il tutto precipita quando chi gestisce il pubblico dal punto di vista delle politiche manageriali applica al pubblico obiettivi e regole di finanziamento del privato, che sono antagoniste. Non dimentichiamo che il privato che investe in sanità investe come negli altri settori, con l’obiettivo di raggiungere un profitto. Ma in sanità il profitto lo raggiunge sulle malattie e sui malati, non sulla salute. Più lavora bene la prevenzione e meno il privato guadagna perché guadagna solo sulla cura. Il pubblico invece più investe nella prevenzione più guadagna, cioè risparmia. Non c’è nessun settore dove pubblico e privato hanno obiettivi contrapposti”.

Ma in Lombardia il presidente Fontana dice che vengono da tutta Italia a curarsi…
“È vero ce arrivano in Lombardia per farsi curare, ma non per le visite, solo per interventi chirurgici complicati o terapie oncologiche. È un’eccellenza ma ha sviluppato solo quella medicina. Se devi fare una visita oculistica ti senti rispondere che devi attendere 20 mesi. La medicina quotidiana è stata massacrata. Per una colonscopia in Lombardia puoi dover aspettare 6 o 7 mesi”.

La Lombardia come ispiratrice della privatizzazione nella sanità?
“Nessuna regione è arrivata all’estremo della Lombardia che nell’articolo 2 della legge 23 (di Fontana e Letizia Moratti) ha scritto che dentro il Servizio sanitario pubblico c’è la piena equivalenza tra struttura pubblica e privata. Noi riteniamo che questo sia anticostituzionale. Le leggi regionali devono essere approvate dal Consiglio dei ministri, avevamo chiesto a Speranza di bloccare questo passaggio, l’avevamo chiesto attivando un articolo costituzionale che prevedeva la possibilità di poter bloccare ma il governo non ha fatto nulla”.

Perché secondo lei le lacune della sanità non riescono a diventare un tema prioritario dal punto di vista e elettorale nonostante interessino la vita quotidiana delle persone?
“La gestione della sanità è affidata alle regioni e costituisce l’80% del bilancio regionale. È uno spazio enorme di investimento per il privato. La sanità è il secondo settore come dividendi per azionisti in tutte le borse internazionali e viene solo dopo il settore delle armi. Quindi le pressioni che il mondo politico subisce in quel campo sono fortissime. Aggiungiamo che il potere sanitario oggi controlla gran parte della comunicazione, quotidiani. Oggi criticare la sanità privata con nomi e cognomi, è difficilissimo per il rapporto strettissimo tra potere politico e sanitario”.

 

Leggi anche: Tra assunzioni bloccate e paghe da fame. Nei prossimi sei anni a causa del mancato rinnovamento degli organici mancheranno 7mila medici di famiglia

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I dispersi del Titan sono naufraghi di prima classe

C’è un’imbarcazione in difficoltà in mezzo al mare. A 640 chilometri di distanza dall’isola canadese di Terranova, nel nord dell’Atlantico, il sottomarino Titan è disperso. Si sono, com’è nomale e giusto che sia, attivati tutti i soccorsi da giorni.

Per i ricchi spariti a bordo del Titan copertura mediatica e super soccorsi. Le migliaia di migranti annegati invece sono solo numeri

Una vera e propria armata internazionale di navi e aerei, quella che sta cercando l’imbarcazione di OceanGate, la compagnia proprietaria del sommergibile, con cinque persone a bordo. L’operazione di ricerca e soccorso è mastodontica. Un robot subacqueo scandaglia ogni metro. Giornali e televisioni ogni ora raccontano tutto quello che c’è da raccontare.

Sappiamo chi sono i naufraghi, sappiamo che lavoro fanno, sappiamo come siano composte le loro famiglie, il loro reddito, perfino i loro sogni e le loro aspirazioni. Però non c’è nessun editoriale che accusa i naufraghi di essersi messi in mare a proprio rischio e pericolo. Non c’è nessun politico che accusa i passeggeri di non essere rimasti a casa loro.

Non si trova mezzo articolo che monti una polemica sul costo dei soccorsi che devono pagare i contribuenti. La differenza tra le centinaia di vittime morte qualche giorno fa (e non ancora ritrovate) a Pylos e questa manciata di naufraghi è mostruosa.

La differenza di attenzione è l’indice del nostro razzismo. Qualcuno potrà obiettare che sono stranieri anche i passeggeri del sottomarino, come quelli in Grecia. Non è così: nei paesi razzisti sono stranieri solo i poveri. I ricchi sono cittadini del mondo, i poveri sono numeri da lasciare in fondo al mare.

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I giovani criminali di cui si parlerà pochissimo

Hanno 16 anni i due ragazzini accusati di avere ammazzato a suon di calci, pugni e spintoni Akwasi Adofo Friederick lo scorso 19 giugno a Pomigliano d’Arco. Le immagini registrate dalle telecamere mostrano che la vittima è stata pestata in strada, poi avrebbe camminato per qualche metro fino ad accasciarsi all’interno di una corte condominiale, dove è stato soccorso in fin di vita. Trasportato all’ospedale di Nola, l’uomo è morto al pronto soccorso, nell’ospedale di Nola, in seguito a un grave trauma cranico ed emorragia cerebrale.

I due, dopo aver colpito al volto l’uomo, hanno continuato a sferrare calci e pugni. Hanno colpito la vittima con calci alla testa, mentre Akwasi Adofo Friederick era immobile a terra. Sui profili social dei ragazzi si trovano contenuti che esaltano la violenza, con immagini di coltelli e bastoni retrattili.

Akwasi Adofo Friederick è arrivato in Italia, dalla rotta mediterranea, più di 10 anni fa. Aveva conseguito la licenza media. Viene raccontato come uomo buono, sempre disponibile. “È successo già altre volte e nessuno di noi ha mai fatto qualcosa perché non arrivasse il peggio. Purtroppo il peggio è arrivato. Perdonaci se puoi”, dice un biglietto accanto alla panchina dove Akwasi si fermava spesso.

L’omicidio lo inquadra bene Alex Zanotelli. “Il problema è del razzismo che emerge in continuità”, dice il missionario comboniano commentando, nel corso di una manifestazione che si è tenuta davanti al consolato greco di Napoli per ricordare la strage di migranti a Pylos, l’uccisione di Frederick Akwasi Adofo. “Man mano che si va avanti, in Europa, parlo dell’Italia, dell’Ungheria, della Polonia, con governi di suprematismo bianco, noi bianchi – spiega Zanotelli – non vogliamo saperne dell’altro, basta che abbia il volto scuro o sia un musulmano e diventa l’altro, ci fa paura. Dobbiamo uscire davvero da questo, richiederà una rivoluzione culturale, le scuole, le chiese devono davvero giocarsi tutto su una questione ormai di umanità”.

Vedrete che di questo omicidio si parlerà molto meno di altri casi di cronaca giovanile. Del resto un sopravvissuto alle carrette del mare che viene ammazzato di botte qui è una vicenda che pone domande a cui nessuno ha voglia di rispondere.

Buon giovedì.

Nella foto: un biglietto lasciato sulla panchina di Akwasi Adofo Friederick (frame video Fb)

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Il governo è… Mes malissimo

Il Decreto Lavoro era, nelle intenzioni della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il provvedimento simbolo di questo inizia legislatura. Ieri si è impigliato in commissione Bilancio per l’assenza dei due esponenti di Forza Italia, Dario Damiani e Claudio Lotito. Curiosa la loro giustificazione: prima ci hanno detto di essere arrivati in ritardo e poi hanno provato a convincerci che la votazione fosse stata anticipata rispetto all’orario segnato nelle loro foltissime agende.

Mentre la maggioranza si spreme per trovare un tombino da intitolare a Berlusconi, mentre Meloni prepara il copione per le prossime conferenze stampa senza stampa e mentre Salvini cerca sui social la prossima emergenza per inventarsi un nuovo reato, quando c’è da votare un decreto esce tutta l’inconsistenza di un governo che viene benissimo in foto ma si sfalda ogni volta che gli tocca governare sul serio.

Nel frattempo alla Camera si consumava un altro dramma. Il ministero dell’Economia di Giorgetti dà il via libera alla ratifica del Mes e l’unica decisione che sono stati in grado di prendere è stata quella di rinviare la decisione.

La verità è che questa maggioranza si aggrega quando c’è da levare i diritti o bastonare qualcuno, ma ogni volta che si ritrova a dover immaginare il futuro va in ordine sparso, con ogni partito perso nei suoi piccoli cabotaggi. Il leader in pectore di Forza Italia, il ministro Tajani, ha detto che si tratta di una tempesta in un bicchiere d’acqua. Ha ragione: il bicchiere d’acqua è la tenuta di questo governo. Acqua amarissima.

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Ci tocca ancora la Fornero. Altro che in pensione con 41 anni di contributi

Nuova spunta sul taccuino delle promesse mancate del governo Meloni. L’abolizione della tanto citata riforma Fornero – cavallo di battaglia di Giorgia Meloni e Matteo Salvini in campagna elettorale – non ci sarà. Se ne parla, se tutto va bene, per il 2025.

Nuova spunta sul taccuino delle promesse mancate del governo Meloni. L’abolizione della tanto citata riforma Fornero

Il prossimo 26 giugno riprende il confronto tra governo e sindacati. Sul tavolo la fine di Quota 103, il capitolo giovani e la previdenza integrativa. Ma l’inflazione aumenta l’incertezza all’indecisione: milioni di pensioni dovranno essere rivalutate pesantemente anche l’anno prossimo il che richiede uno sforzo finanziario notevole. Il pensionamento anticipato a 62 anni di età con 41 di contributi, del resto, è una misura che non presenta i costi della quote precedenti stante anche il numero basso degli aventi diritto (circa 44 mila quest’anno).

Servono tra i 10 e i 12 miliardi di euro per la conferma del taglio del cuneo fiscale, più qualche altro miliardo (in parte ricavabile dalla revisione di detrazioni e deduzioni) per la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre. Per il 2024, quindi, si farà ben poco. L’ipotesi più probabile è una conferma della Quota 103 già messa in campo quest’anno. Vuol dire un’uscita anticipata con 41 anni di contributi, ma solamente con almeno 62 di età. Con una netta restrizione della platea rispetto alla Quota 41.

Guardando al Def di aprile le risorse a disposizione del governo sono poche. Nonostante sia necessario aspettare la Nadef in autunno per avere dati più certi, a oggi sembra difficile trovare le decine di miliardi necessarie solamente per confermare le misure già in campo o comunque promesse come quelle su stipendi e pensioni. Il Def prevede un recupero di 1,5 miliardi di euro attraverso il taglio della spesa dei ministeri: di spending review se ne parla da anni, ma alla fine i soldi così rimediati sono sempre stati pochi.

Poi ci sono i 4 miliardi destinati dal Def, per il 2024, alla riduzione della pressione fiscale. Bisognerà capire come verranno utilizzati, a partire da cuneo fiscale e Irpef. Non basteranno per nessuna delle due misure, figuriamoci per entrambe. Il governo puntava tutto su una crescita più robusta del previsto, per poter recuperare risorse extra da investire nella riforma delle pensioni e negli aumenti di stipendio, sperando anche di introdurre un meccanismo virtuoso che potesse ulteriormente incrementare i consumi.

Venerdì prossimo tavolo con i sindacati per fare il punto sulla previdenza. Ancora brucia il taglio a Opzione donna

I dati dell’Istat di inizio giugno hanno gelato l’esecutivo: per la fine del 2023 e il 2024 la crescita sembra meno alta di quanto speravano Giorgetti e Meloni. Ieri l’ufficio parlamentare di bilancio nel suo rapporto ha specificato come “la stabilità dei saldi programmatici di bilancio presentata nel Def 2023 appare appropriata”. Tuttavia “vanno risolte le incertezze riguardanti l’individuazione di adeguate coperture finanziarie degli interventi che si prospettano”.

“Nell’insieme – si legge – sembrerebbero necessarie cospicue risorse che appare difficile poter reperire senza incidere” sui servizi e sulle politiche sociali. Dalle parti di Palazzo Chigi si vuole evitare il rischio che nei prossimi decenni si manifesti quella che la stessa presidente del Consiglio ha definito “una bomba sociale”.

Ma non sarà facile per Salvini spiegare ai suoi elettori che la riforma che aveva previsto “nei primi giorni di insediamento al governo” rimane lettera morte. Non sarà facile nemmeno per la premier Meloni raccontare che il governo che avrebbe dovuto “liberarsi dai lacci dell’Ue” (disse la leader di Fratelli d’Italia negli ultimi giorni di campagna elettorale) sia nei fatti un campione di austerity.

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In Senato va in onda la verità calunniata

“Quando Berlusconi decide di scendere in campo, accanto ai grandi successi e cambiamenti che impone alla politica, si crea un problema che lui denunzia come persecuzione, che è un problema non solo giudiziario ma a suo avviso anche mediatico, che durerà parecchi anni. Non si è mai sottolineato, però, che un giudice a Berlino Berlusconi lo troverà sempre, se è vero che tutte le accuse più gravi – tranne una, quella per cui è stato condannato- cadranno nel nulla“. Parole del presidente del Senato Ignazio La Russa. Si è dimenticato di dire che gran parte dei 36 procedimenti penali a cui Berlusconi è stato sottoposto sono stati evitati grazie a leggi ad personam, prescrizioni, codicilli aggiunti pro domo sua.

“Aveva sempre il sole in tasca. Odio e invidia non sapeva dove stessero di casa. La sua mancanza è un vuoto difficile da colmare ma i suoi insegnamenti resteranno un faro. Grazie presidente. Il suo spirito continuerà a vivere nei nostri cuori”, dice Licia Ronzulli. Discorso agiografico al limite del ridicolo di Antonio Tajani: “Berlusconi era un uomo di Stato e di governo che metteva sempre al centro la persona. Era un combattente ma ha sempre rispettato tutti gli avversari”. Del resto come non ricordare quando definì “coglioni” gli elettori degli altri partiti.

“Il ricordo è soprattutto per la sua umanità: la capacità di mettersi in sintonia con i capi di Stato e con la gente più comune. Ha avuto la capacità di essere un combattente senza mai usare parole di odio per nessuno, neanche contro coloro che l’hanno espresso, anche recentemente, nei suoi confronti”, dice invece il capogruppo di Fratelli d’Italia Lucio Malan. Ne sa qualcosa la magistratura italiana, definita di volta in volta “metastasi”, “mentalmente disturbati” e così via.

Il nuovo Berlusconi, Matteo Renzi, come Silvio non riesce a non parlare di sé stesso ogni volta che parla di altri: “Mi viene in mente il primo incontro con lui, il famoso “pranzo di Arcore“, quando andai a chiedergli i soldi per Firenze: lui volle che al pranzo ci fossero anche i figli. Io da lui ho capito che il più grande lusso della vita sono i rapporti umani. È questo che mi porto dietro di Silvio Berlusconi: uno statista, ma soprattutto un uomo capace di rapporti umani“, dice.

Applausi scroscianti.

Buon mercoledì

Nella foto: frame del video di Senato tv, 20 giugno 2023

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Da privatizzare a privare è un attimo

Sono arrivati al governo e hanno falciato il rapporto tra la spesa sanitaria e il Pil che si è contratto passando dal 6,9 per cento del 2022 al 6,7 per cento. Questo è solo l’inizio. La volontà di tagliare è evidente, con una riduzione nei prossimi anni di oltre 3,3 miliardi di euro: il governo ha indicato nel Def che a partire dal 2026 la spesa scenderà ancora fino al 6,2 per cento.

Intanto continuano a diminuire i posti letto negli ospedali pubblici. Curarsi diventa un lusso, la privatizzazione della sanità ci priva giorno dopo giorno della sanità. Sono arrivati al governo e l’ufficio parlamentare di bilancio certifica che dei quasi 1,2 milioni di nuclei familiari beneficiari di reddito di cittadinanza, circa 400mila (il 33,6%) sono esclusi dall’assegno di inclusione perché al loro interno non sono presenti soggetti tutelati. Sono persone già sotto la soglia di povertà.

Tra quelli che lavorano invece ben 3 milioni risultano poveri nonostante abbiano un impiego. Continueranno a esserlo visto che il governo ha dichiarato a più riprese di non avere nessuna intenzione di intervenire sul salario minimo. Niente da fare nemmeno per le pensioni. Si rimane così com’è. Sono arrivati al governo e hanno assicurato che avrebbero modificato il Pnrr.

A oggi non si sa cose e come vogliamo modifiche. Sappiamo in compenso che l’Ue è profondamente scontenta di come stanno andando le cose e le prossime rate sono a rischio. Fino a quando dunque, Meloni, abuserà della pazienza degli italiani?

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Ormai Nordio è il ministro del Terzo polo

Ma chi rappresenta il ministro alla Giustizia Carlo Nordio? Il disegno di legge del Guardasigilli ha riacceso il dibattito tra politica e magistratura. Il dibattito è diventato uno scontro e il ministro, ancora una volta, è solo.

Lega e FdI furiosi per la guerra scatenata contro l’Anm. Ma arriva il soccorso renziano alla riforma del guardasigilli Nordio

Rimbombano ancora le parole del presidente dell’associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Santalucia che aveva criticato la riforma sulla stretta alle intercettazione e sulla cancellazione del reato di abuso d’ufficio. Il ministro aveva parlato di “interferenze” non riconoscendo l’Anm come interlocutore, incassando la reazione dell’associazione che ha ribadito come “i magistrati e l’Anm, che ne ha da oltre un secolo la rappresentanza, hanno non solo il diritto ma anche il dovere di prendere parola, per arricchire il dibattito sui temi della giustizia”.

Così mentre il Csm ieri ha annunciato di essere pronto a dare il suo parere alla riforma aprendo una pratica sulla riforma in Sesta Commissione, quella deputata a esprimersi su leggi e decreti ieri il viceministro della Giustizia e senatore di Forza Italia Francesco Paolo Sisto si è affrettato a smentire tensioni nella maggioranza: “Quando il ddl è stato approvato in Consiglio dei ministri, – ha detto Sisto intervento a Radio24 – mi risulta ci sia stata l’unanimità e un applauso. I retroscenisti fanno il loro mestiere, ma i fatti dicono che il governo è compatto intorno a un provvedimento che ha un solo obiettivo: pensare al Paese reale e non all’intellighenzia che vuole imporre la propria visione talvolta astratta e spesso autoreferenziale”.

Non è così. Le tensioni tra Nordio e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sono tutt’altro che un retroscena. Fin dall’inizio della legislatura il rapporto trai due si è involuto in un duro confronto proprio per le parole del ministro sulle intercettazioni (che già a gennaio Nordio definì un abuso). In quel caso la presidente del Consiglio intimò a Nordio di non arrivare allo scontro con la magistratura per non mettere a rischio le riforme, sostenuta dal leader leghista Matteo Salvini.

Poi ci furono i casi di Artem Uss scappato dai domiciliari in Italia e il caos creato dalle dichiarazioni di Delmastro. Rimane agli atti la convocazione a Palazzo Chigi con cui Giorgia Meloni provò ad arginare il ministro. Missione fallita. Non è un retroscena che la presidente del Consiglio e la maggioranza ritengano lo scontro di questi giorni innescato da Nordio un grosso problema per arrivare alle riforme ritenute più importanti, come la separazione delle carriere. Nella Lega ci si domanda se valesse davvero la pena andare in guerra con i magistrati per un disegno di legge che sostanzialmente non tocca le riforme che stanno più a cuore al governo.

Giorgia Meloni non è intervenuta pubblicamente per difendere il “suo” ministro nella querelle con l’Anm. La riforma intanto arriva alla Camera. Che l’umore del Guardasigilli non sia dei migliori lo fa intuire Enrico Costa di Iv: “Da giorni magistrati vari contestano il ministro, nel silenzio di Palazzo Chigi. Occhio – osserva – che se Nordio si scoccia vi saluta”. L’iter della riforma si preannuncia complicato con le opposizioni che già promettono battaglia: “Noi sindaci con l’Anci chiedevamo una riforma del reato di abuso di ufficio. Non il ‘colpo di spugna’ tipico della politica berlusconiana, che punta all’impunità. Siamo garantisti, non berlusconiani”, ha dichiarato il sindaco di Bologna Matteo Lepore, che ha anticipato la battaglia che il Pd intende fare sulla parte che riguarda l’abuso d’ufficio.

Dura anche la posizione del Movimento Cinque Stelle. “Non vi fate ingannare dal dibattito sull’abuso d’ufficio – ha dichiarato Giuseppe Conte sabato nel corso della manifestazione del suo partito – . Oggi l’abolizione di quel reato significa solo che vuoi rendere legittime le raccomandazioni nei concorsi e nelle assunzioni anche nel pubblico, e chi viene favorito? Gli amici e i soliti ricchi e potenti”. La domanda rimane: chi rappresenta Nordio con la sua riforma

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