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Il momento di dire basta è adesso

Dice qualcuno che non serva scendere in piazza oggi. Anche oggi più di 3 milioni di italiani non mangeranno. Lo dice la Coldiretti: oltre 3 milioni di persone si trovano nell’impossibilità di garantirsi il cibo quotidiano. La piaga della povertà nel 2023 si sta allargando a macchia d’olio, complice un’inflazione che non rientra quasi mai nei discorsi della politica. Ogni giorno, oltre 3,1 milioni di italiani si affidano alle mense per i poveri e ai pacchi alimentari per sopravvivere con l’inflazione più alta degli ultimi 40 anni.

Anche oggi il governo lascerà i romagnoli (cittadini e imprese) con i piedi in ammollo, strade inagibili e attività che non riescono a ripartire. L’unica risposta ottenuta è l’arroganza di chi rivittimizza le vittime dicendogli che “il governo non è un bancomat”. Eppure il patto con lo Stato dovrebbe essere – lo dice la Costituzione – di dare quando si può dare per riceve quando si ha bisogno di ricevere. Intanto i soldi per le armi si trovano sempre, quelli se ne fottono di emergenza climatica, di problemi di bilancio o di persone con troppe pretese.

Anche oggi, come negli ultimi 30 anni, c’è un governo che sogna il bavaglio alla stampa e intanto prepara riforme della Giustizia che rendono più difficile il lavoro dei magistrati. Un tuffo nel passato peggiore che si aggiunge alla nostalgia del ventennio esibita con candore, quasi con fierezza. Cosa serve di più per scendere in piazza Alzare la voce in tutti i modi possibili, anche nelle piazze come sancisce la Costituzione, significa riconoscere lo stato di cose, significa rifiutare di essere complici. Il momento è adesso.

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Su Forza Italia c’è una sola certezza. Morto un Berlusconi non se ne farà un altro

“Ti renderemo orgoglioso” è l’ultimo messaggio che la presidente Giorgia Meloni ha voluto lasciare a Silvio Berlusconi. “Sembrava una minaccia” scherza, ma non troppo, un deputato forzista della prima ora. La tentazione del partito unico di Meloni non è un segreto. La “svolta moderata” però è un progetto lungo, immaginabile al massimo per il 2024, sicuramente dopo le elezioni europee. Per questo l’unico progetto realisticamente in campo in questo momento è di riuscire a congelare la situazione in Forza Italia almeno per un anno affidando la direzione del periodo di transizione al ministro Antonio Tajani.

Tajani guiderà la transizione in Forza Italia. Ma nessun figlio dell’ex premier Berlusconi succederà al padre

La sopravvivenza del partito al suo fondatore è uno schema in cui credono in pochi, anche dentro Forza Italia. Anche per questo Giorgia Meloni ha da tempo stretto i rapporti con Marina Berlusconi a cui ha garantito la protezione delle aziende di famiglia qualsiasi cosa succeda. L’impegno di Marina Berlusconi però non ha nulla di “politico”, diversamente da quanto si legge in giro. Per la figlia del fondatore Forza Italia è solo un asset aziendale, per di più improduttivo, e quel ramo secco ha intenzione di tagliarlo il prima possibile.

Nelle ultime ore era circolato il nome di Luigi, il più giovane dei figli di Berlusconi

Certo conteranno anche i pareri dei fratelli (come al solito conteranno pochissimo le opinioni dei parlamentari e degli attivisti) ma l’ipotesi che un Berlusconi possa prendere le redini del partito è remota. “Fantascienza”, dicono da Forza Italia. Nelle ultime ore circola il nome di Luigi, il più giovane dei figli di Berlusconi che porta il nome del nonno che fu impiegato della Banca Rasini, ma che il carrozzone possa stare in piedi solo sulla scia di un cognome portato sulle spalle da un trentaquattrenne è una chimera. Anche perché – riflette qualcuno in Forza Italia – bisognerà vedere se il partito esisterà ancora. È la preoccupazione principale anche di Giorgia Meloni che a rischio vede la tenuta del suo governo.

L’accordo di cui si parla nelle ultime ore prevede che Fratelli d’Italia non accolga nessun eventuale transfugo berlusconiano. Questo sarebbe il succo del patto stretto dalla premier con Marina Berlusconi. Alla Camera il gruppo azzurro conta 44 deputati, determinanti per superare quota 200 voti e avere la maggioranza. I senatori berlusconiani sono invece 17 e anche qui sono fondamentali per avere i 103 voti che garantiscono la tenuta del governo Meloni.

D’altro canto l’altro alleato Matteo Salvini, rimasto in disparte durante questi giorni di lutto, vede nel possibile disfacimento dei forzisti la possibilità di risorgere scalzando la presidente del Consiglio. Di “lista unica” con Forza Italia ne parla da mesi con i suoi, talvolta ne accenna anche in qualche intervista. Chi lo conosce bene sa che dice per lasciare intendere: prendere il posto di Silvio Berlusconi è sempre stato un suo pallino, un sogno accarezzato e mai confessato. Ma anche in questo caso appare complicato: difficilmente l’ala moderata (prevalente tra gli orfani di Berlusconi) potrete accettare le posizioni e i toni del ministro alle Infrastrutture.

Renzi ha politicizzato la morte di Berlusconi per mandare messaggi chiari

Poi c’è l’incognita Renzi. Il leader di Italia Viva ha politicizzato la morte di Berlusconi per mandare messaggi chiari. Nel futuro che ha in mente non c’è lui leader di Forza Italia (uno dei sogni di Silvio) ma il trasloco di Forza Italia nel Terzo polo, qualsiasi cosa sia dopo gli ultimi mesi conclusi che per ora hanno lasciato solo macerie. Ai forzisti Matteo Renzi piace, non è un segreto, ma gli manca un elemento fondamentale per risultare convincente: mantenere promesse. Berlusconi era bravissimo a farlo, manteneva anche le promesse più sconce. “Renzi non è riuscito mai a mantenerne una”, mi dice ridendo un “berlusconiano che non diventerà mai ex”.

Leggi anche: Il nuovo presidente (che sarà pro-tempore), il ruolo di Marta Fascina, la vicinanza di Marina Berlusconi: quale sarà il futuro di Forza Italia

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Cimitero Mediterraneo. Un’altra strage di migranti che si poteva evitare

No, non è vero che non si può immaginare. Forse non è nemmeno vero che sono annegati: probabilmente sono stati lasciati annegare. Quella avvenuta al largo della Grecia è la più grande strage nel Mediterraneo dal 2015 ad oggi, una strage con numeri spaventosi: dei 750 migranti sulla barca capovolto al largo di Pylos, in Grecia ne sono stati soccorsi 104.

Quella avvenuta al largo della Grecia è la più grande strage nel Mediterraneo dal 2015 ad oggi, una strage con numeri spaventosi

I numeri dicono che è un’ecatombe. Ieri la tragedia che avrebbe dovuto occupare il dibattito pubblico è passata come inevitabile “effetto collaterale” delle politiche migratorie, seguendo il corso della narrazione voluta dal governo. Non è servito sapere che la barca fosse in mare da cinque giorni, partita da Tobruk, in Cirenaica, e diretta in Italia verso le coste ioniche, ormai senza più acqua a bordo e con 6 persone già morte, tra cui due bambini. Non basta la giustificazione della Guardia costiera greca che dice “i migranti non volevano essere salvati”, scambiando il prevedibile panico a bordo per una presunta “volontà di continuare la navigazione verso l’Italia”.

Come dice il giornalista Nello Scavo, “se potevano (dovevano) essere soccorsi e non è stato fatto, allora non sono affogati: sono stati fatti affogare. Deliberatamente. Conoscete i nomi dei trafficanti, gli avete stretto la mano, li avete legittimati. Non avete alibi. Siete complici del #Libyagate”.

La Grecia si autoassolve, l’Italia pure. Soliti alibi e scaricabarile sui morti

“È impossibile evitare una considerazione: decine, probabilmente centinaia di persone in entrambi i casi sono morte quasi sotto gli occhi delle autorità di paesi europei”, dice il segretario di Più Europa Riccardo Magi: “è una considerazione che amplifica il dolore e il senso di responsabilità per le vite perdute. E allora stride che, nel complesso delle misure previste all’interno della ipotesi di nuovo Patto europeo per la migrazione e l’asilo, non vi sia una missione europea di salvataggio preposta con l’impiego di mezzi e risorse per il salvataggio delle vite umane”, spiega.

Dello stesso avviso anche la segretaria del Pd Elly Schlein che chiede “un’operazione Mare nostrum europea, una missione di ricerca e soccorso istituzionale”. Questo è il punto politico della tragedia. I Paesi europei brigano per evitare il principio di solidarietà monetizzando l’egoismo, da anni si interrogano su come rimpatriare più velocemente le persone anche a costo di soprassedere sui diritti fondamentali e sulle leggi internazionali. Si pensa a Paesi terzi da utilizzare come discarica per ricacciare indietro disperati.

I leader europei (Meloni in testa) cercano in Africa autocrati disposti a fare da tappo

I leader europei (Meloni in testa) cercano in Africa autocrati disposti a fare da tappo. Nessuno valuta la benché minima soluzione per evitare l’ecatombe. “Occorre pensare a un’azione comune di salvataggio di queste persone, come riprendere l’Operazione Mare Nostrum che fu una delle azioni più efficaci degli ultimi anni nel Mediterraneo”, dice Agostino Sella, presidente di Associazione Don Bosco 2000. Aapertura di vie legali all’accesso e affermazione del diritto internazionale ed europeo” chiedono le Acli.

“La linea della ‘difesa’ dei confini genera morti, e non offre soluzioni praticabili a una gestione razionale del fenomeno migratorio. Per quanto ancora si continuerà a seguire questa fallimentare impostazione?”, si chiede la deputata dem Laura Boldrini. Qui siamo molto prima della politica. È una questione umanitaria, prerequisito di qualsiasi politica. La Grecia annuncia un lutto nazionale per tre giorni. Ma ci siamo abituati ai morti, figurarsi qualche giorno di lutto.

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Ma la Romagna

Il post alluvione in Romagna non si è risolto, nonostante sia scomparso dal dibattito pubblico. Molte le case inagibili, molte le infrastrutture fuori uso, molte le attività che ancora non vedono la luce. Poiché non ci sono più foto disperate da usare come corredo di articoli che descrivano la criticità della situazione la notizia scivola nelle seconde pagine, scritta piccola, in basso, come se fosse semplicemente una diatriba politica e lì in mezzo con i piedi nell’acqua non ci fossero ancora le persone.

Ieri il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini ha spiegato che la priorità sarebbe almeno ricostruire le strade comunali. «Ma per queste i soldi non ci sono», ha spiegato. «I fondi per l’emergenza sono già stati spesi tutti», dice Bonaccini  e i sindaci hanno già anticipato migliaia di euro che comunque non sono bastati.

Incredibile ciò che raccontano il sindaco di Cesena Enzo Lattuca e il sindaco di Ravenna Michele De Pascale: «I cantieri che abbiamo aperto – dicono – e per i quali siamo stati oggi redarguiti sono cantieri di somma urgenza”. Lattuca afferma che il governo ha avuto da ridire. «Ci hanno detto che prima di aprire i cantieri dovevamo concordare gli interventi col governo. Noi abbiamo risposto – conclude Lattuca – che questi interventi non si concordano prima, si effettuano perché sono di somma urgenza a prescindere dal fatto che non siano finanziati dal decreto». Sono stato “sgridato”, aggiunge, perché ci siamo permessi di ricostruire.

Sullo sfondo rimane la nomina non ancora arrivata di un commissario che potrebbe sciogliere gli inghippi avendo mano libera. La nomina non arriva perché sulla ricostruzione in Emilia Romagna la maggioranza di governo vuole giocarsi la possibilità di capitalizzare il disastro per le elezioni che verranno. Ma poiché la maggioranza è molto più sfilacciata di quel che dice non riesce o trovare una sintesi nemmeno nello sciacallaggio politico.

Siamo a metà giugno. L’alluvione è iniziata il 2 maggio.

Buon venerdì.

foto di Caterina Spadoni

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L’impunità travestita da garantismo

Possono dormire tranquilli coloro che rimpiangono la dipartita di Silvio Berlusconi come protettore di interessi che hanno a che vedere con l’impunità travestita da garantismo. Prima di una piazza, di una via o di una statua equestre in sua memoria i suoi amici hanno deciso di intitolargli una riforma della giustizia che tra gli effetti collaterali potrebbe provocare alcuni inconvenienti come il “forte rischio che gli indagati fuggano se bisogna avvisarli dell’arresto” (parole del presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia).

Sia chiaro: gli indagati avvisati della possibilità di essere arrestati sono ovviamente solo i colletti bianchi. Per i poveracci invece si prosegue sulla strada dell’abolizione del reato di tortura e del teaser dato in dotazione anche alle maestre d’asilo. Tra gli effetti collaterali ampiamente previsti possiamo già prevedere la pelle d’oca dell’Unione europea che invita tutti i Paesi membri a dotarsi del reato di abuso d’ufficio mentre il Guardasigilli Nordio ha pensato bene di cancellarlo.

Per cancellare gli abusi in effetti basta cancellare il reato di abuso. Come per le torture. E quando il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ha avvisato che spesso l’abuso d’ufficio è un reato spia di fattispecie ben più gravi come la corruzione questi non hanno battuto ciglio. “Non si va a strascico”, ha risposto Nordio. È esattamente la giustizia che sognava Silvio: sei colpevole solo se sei povero, sei troppo ingenuo o hai troppi pochi amici.

Per quanto riguarda il bavaglio alla stampa basti sapere che con la nuova norma non avremmo mai potuto vedere le fotografie delle violenze nella questura di Verona. Non sapremmo le conversazioni degli europarlamentari indagati in Belgio nella vicenda del Qatargate. Buio assoluto sui provvedimenti di fermo giudiziario riguardanti i padrini della nuova mafia quando si infiltrano nella politica e nell’economia.

Sarebbe stata vietata per legge anche la fotografia dell’aggressore della turista israeliana a Termini che è stata necessaria tra l’altro per riconoscerlo e arrestarlo. Tutto questo, sia ben chiaro, intitolato alla memoria di Berlusconi da quelli che per giorni hanno accusato gli altri di usare il dolore per fini politici. Che capolavoro.

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Renzi in gloria del Cav puntando al suo elettorato

Tre indizi non fanno una prova ma suggeriscono un ragionamento. La morte di Berlusconi ha galvanizzato Matteo Renzi e la sua galassia politica e editoriale. Incapace di dissimulare l’acquolina in bocca Renzi ci fa sapere con un’intervista a QN che “nulla sarà più come prima” accusando il Pd (che lui chiama sinistra) di avere “mostrificato Berlusconi agli occhi della gente”.

La morte di Berlusconi ha galvanizzato il leader di Italia Viva Matteo Renzi e la sua galassia politica ed editoriale

Il messaggio in codice alle truppe è chiaro: “è arrivata la nostra occasione, armateci e partite”. Così mentre si intesta la battaglia moralista dei funerali di stato che non vanno contestati (“è una vergogna, polemiche meschine”, declama), confondendo come suo solito il piano politico e personale, il leader di Italia Viva ci tiene a sottolineare che Berlusconi “non ha successori perché uno come lui, nel bene o nel male, nasce ogni cento anni”. Sottotesto: non è in Forza Italia il futuro degli ex berlusconiani.

E poi c’è il solito non detto, ovvero che il futuro di quel campo potrebbe essere solo lui, Matteo. Il quotidiano di cui Renzi è direttore, Il Riformista, concorre per il miglior mausoleo giornalistico in questi giorni di lutto collezionando elogi, agiografie, strazianti ricordi e sguinzagliando i suoi giornalisti alla ricerca della bandiera troppo poco a mezz’asta o della voce discordante da impallinare.

Il leader di Italia Viva invita anche la politica italiana a fare “tesoro dell’europeismo” di Berlusconi (chiedere a Mario Monti) e “la sua lezione sulla tesse” (non male per un pregiudicato per evasione fiscale). Alla fine sbotta perfino il senatore forzista Francesco Paolo Sisto: “Renzi? Da intelligenza a affidabilità ce ne passa”. Ha fatto perdere la pazienza anche ai belusconiani.

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Mare nostro, dacci oggi la nostra Cutro quotidiana

L’ennesima Cutro, questa volta al largo della Grecia, sta adagiata in fondo al mare a 47 miglia da Pylos, a sud ovest del Peloponneso. Con un giorno in più sarebbero arrivati in Italia se Adriana, quel vecchio peschereccio di 30 metri, non se li fosse mangiati mentre l’Europa ancora una volta ha girato la faccia dall’altra parte.

Poiché quelle rotte fanno rima con la morte ancora prima di affondare la barca conteneva 6 salme, 2 erano bambini. Erano partiti cinque giorni fa da Tobruk, in Cirenaica, e diretti in Italia verso le coste ioniche, erano 750. Ne sono stati salvati 108 portati a Kalamata e i cadaveri ripescati sono 79. È un calcolo semplice. Sono più di 500 morti. Di fronte a una strage del genere cadono le remore sull’usare una sola parola: ecatombe.

L’anima nera dell’Europa si ritrova nella ricostruzione di Frontex. Li avevano avvistati martedì, avevano avvisato la Guardia costiera greca e due mercantili di passaggio. Dicono i greci che “non hanno voluto aiuto perché volevano proseguire verso l’Italia”. La bugia è talmente grossa che la condanna morale non ha nemmeno bisogno di processi: nella foto aerea dell’imbarcazione alcune ore prima di affondare ci sono persone disperate che sollevano le mani implorando aiuto e lanciano bottigliette d’acqua per attirare l’attenzione dei soccorsi.

In quelle ore si ripetevano gli appelli a Italia, Grecia, Malta. L’attivista Nawal Soufi racconta: “Le loro voci sono impresse nella mia mente – si dispera Nawal Soufi rimasta 24 ore a telefono con i migranti a bordo – Decine e decine di chiamate, pianti, urla… Tra questi morti recuperati ci sarà la donna che mi ha chiamato all’inizio? Ci sarà quell’uomo che aveva in mano il Turaya Sembrava assetato. Non riusciva più a pronunciare le parole. Mi supplicava, mi diceva di comunicare a qualsiasi Paese europeo di venirli a prendere”.

È una Cutro ancora peggiore. I morti però sono lontani dalle nostre spiagge e la strage si potrà raccontare come “evento esterno”. Invece quei morti sono l’appendice dello sciagurato patto che l’Europa ha avuto anche il coraggio di festeggiare qualche giorno fa fingendo di non sapere che nonostante il nome di “patto di asilo e immigrazione” sia semplicemente una strategia mortifera di respingimenti e morti conseguenti. Grecia, Malta e Italia sono gli avamposti di questa tortura organizzata.

Siate dannati. Buon giovedì.

Nella foto: il peschereccio nel frame del video di Euronews

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Il partito dinastico al servizio del capo. Solo Marina può tenerlo in piedi

Per comprendere cosa sia stato il partito Forza Italia e provare a immaginare cosa potrebbe diventare sono utili due notizie uscite nella giornata di eri. La prima è un sondaggio di Noto per Repubblica che indica come il 54% degli elettori di Forza Italia vorrebbero fosse Marina Berlusconi a prendere le redini del partito.

La visione dinastica di un partito politico (in barba anche alla Costituzione) aderisce perfettamente alla visione berlusconiana: la compagine politica è soprattutto una corte funzionale alla brillantezza e alla vittoria del leader. Per questo Marina Berlusconi (figlia, ma soprattutto detentrice delle relazioni di suo padre) è il nome che in queste ore invocano in molti, anche dentro il partito, come garante della continuità e come unica speranza di autopreservazione di deputati e senatori.

Secondo un sondaggio il 54% degli elettori vuole Marina Berlusconi leader di FI. Dopo Silvio la figlia è l’unica che può evitare il tracollo

La seconda notizia che rivela la natura politica di Berlusconi e la matrice dei suoi fedelissimi sta nelle parole della (ora) calendiana Mara Carfagna che nella sua intervista a Il Mattino confessa di capire solo ora la scelta di Berlusconi di fare cadere il governo Draghi: “Oggi è chiaro che Berlusconi temeva di non avere più tempo, aveva fretta di andare alle urne per completare la sua straordinaria biografia politica con un’ultima vittoria”, dice candidamente la presidente di Azione confermando lo sdoganamento delle ambizioni private come unico motore politico.

La domanda a cui rispondere quindi è principalmente una: quali sono ora le ambizioni da assecondare? Le prime, più basse e pericolose, sono quelle dei parlamentari del partito che hanno un solo chiudo fisso: la loro rielezione. All’incertezza di un partito che oggi è spaccato tra i sostenitori dell’esautorata Licia Ronzulli e i fedelissimi al duo Tajani-Fascina qualcuno potrebbe preferire il porto sicuro di altri partiti più rassicuranti. In primis ovviamente c’è Fratelli d’Italia che si consolida nei sondaggi e ha il non trascurabile pregio di avere dimostrato una certa abilità nell’occupazione bulgara dei posti di potere, alla faccia anche dei suoi stessi alleati. Ma l’irrequietezza della presidente del Consiglio Giorgia Meloni indica che l’operazione non sia così facile.

È vero che accogliendo i forzisti Meloni potrebbe aprire a una collaborazione con il Ppe e darebbe il via a quel grande partito conservatore italiano che molti poteri auspicano ma il risvolto dell’operazione sarebbe una prateria per la radicalizzazione della Lega di Matteo Salvini (con conseguente recupero di voti) e perfino lo spazio per la nascita di un nuovo partito a destra. A Palazzo Chigi si teme che una “svolta moderata” possa non bastare per tenere saldo il governo quando le pressioni interne e esterne con il Pnrr in bilico dovranno essere affrontate con numeri certi.

La corrente di Forza Italia che non vuole appiattirsi sul governo, capitanata dal vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, dall’ex capogruppo Alessandro Cattaneo e dalla capogruppo in Senato Licia Ronzulli potrebbe far pesare i propri voti. Pesano anche i presidenti delle regioni (Renato Schifani in Sicilia, in Calabria Roberto Occhiuto, in Piemonte Alberto Cirio, in Molise Donato Toma e in Basilicata Vito Bardi) che nelle acque agitate degli ultimi mesi hanno dimostrato di andare in ordine sparso.

Esterni al partito ma importanti per gli equilibri futuri sono anche Lorenzo Cesa, Maurizio Lupi, Luigi Brugnaro e Giovanni Toti di Noi Moderati. Qualcuno – Matteo Renzi in testa – ha già sfoderato il pallottoliere sognando un governo tecnico. “Piuttosto le elezioni”, ripete Meloni. E il Pd aveva promesso di non ricadere nell’errore.

 

Leggi anche: “Ormai siamo al paradosso. L’Italia si inchina a chi ha devastato lo Stato”. Parla il rettore Montanari: “Schlein ha sbagliato ad andare al funerale. Meglio Conte che è stato coerente”

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La messa è finita. Ora governate

La messa è finita, andate in pace. Il cerimoniale del lutto (nazionale) per la morte di Silvio Berlusconi si è concluso com’è cominciato. Con il dolore – privato seppur esibito in pubblico – di chi l’ha conosciuto e ha lavorato con lui e con l’indecente politicizzazione di quello stesso dolore per manganellare anche in giorni del genere gli avversari politici.

Così anche i partecipanti al funerale di Stato radunatisi in piazza Duomo a Milano hanno creduto di essere all’ultima finale della coppa della vita e hanno intonato cori da stadio. Cori, sia chiaro, contro “i nemici” per celebrare l’amico. La scena della giornalista di Mediaset che si commuove mentre guarda dall’alto la piazza milanese rimbombare sotto i tonfi della gente che intona il coro “chi non salta comunista è” resta probabilmente l’apice della tragedia diventata inevitabilmente farsa.

Su Canale 5 durante la diretta del funerale qualcuno ha detto, senza che nessuno avesse da ridire, che come l’antiberlusconismo non è servito ieri così oggi non serve più l’antifascismo. All’uomo Berlusconi e al dolore per la morte hanno mancato di rispetto in molti, da entrambe le parti. Forse nemmeno lui – che pur adorava risultare divisivo – avrebbe apprezzato questo spettacolo necrofilo.

Ora la messa è finita, andate in pace e al governo Meloni tocca governare. Tocca dare una risposta ai romagnoli che hanno ancora i piedi nell’acqua e non sanno chi sarà il commissario della loro emergenza. Tocca correre per non perdere il PNRR e convincere l’Europa. Tocca reagire al crollo della produzione industriale.

Tocca trovare un argine credibile alla povertà. Tocca scegliere che collocazione avere nello scacchiere europeo e internazionale, con gli autocrati o con le democrazie. Un governo non è un ufficio del cerimoniale permanente e non è un organo di controllo. Un governo governa, prende decisioni, risolve i problemi. Non basta bastonare l’opposizione e non dura a lungo la giustifica per lutto familiare.

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Migliaia di arresti illegali. La Libia che piace all’Ue finisce nel mirino dell’Onu

Per tastare con mano gli effetti della “collaborazione con i Paesi africani” che l’Unione europea e l’Italia stanno propagandando in queste settimane convulse in cui l’immigrazione è tornata al centro dell’agenda politica basta andare in queste ore in Libia. Le autorità libiche hanno arrestato migliaia di uomini, donne e bambini nelle strade o case oppure in seguito a raid in campi e magazzini di presunti trafficanti. Lo denuncia la missione di supporto in Libia delle Nazioni Unite, l’Unsmil.

Le autorità della Libia secondo l’Onu hanno condotto operazioni di arresto in cui sono state coinvolte migliaia di uomini, donne e bambini

Secondo l’Unsmil, le autorità libiche hanno condotto operazioni di arresto in cui sono state coinvolte migliaia di uomini, donne e bambini, che sono stati prelevati dalle strade, dalle loro case o durante raid nei campi e nei magazzini di presunti trafficanti. In una serie di messaggi su Twitter, l’Unsmil ha denunciato le condizioni disumane in cui molti di questi migranti sono detenuti, comprese donne incinte e bambini.

Le strutture di detenzione sono state descritte come sovraffollate e antigieniche. Inoltre, l’Unsmil ha riferito che migliaia di migranti, compresi coloro che sono entrati legalmente in Libia, sono stati espulsi collettivamente senza alcun controllo o processo legale appropriato. Questa ennesima campagna di arresti arbitrari e deportazioni è stata accompagnata da un preoccupante aumento dell’incitamento all’odio e del discorso razzista contro gli stranieri sia online che nei media. L’Unsmil ha evidenziato la necessità di porre fine a tali azioni e ha sottolineato l’importanza di trattare i migranti con dignità e umanità, in conformità con gli obblighi internazionali assunti dalla Libia.

L’Unsmil ha anche fatto appello alle autorità libiche affinché garantiscano alle agenzie delle Nazioni Unite e alle organizzazioni non governative un accesso senza ostacoli ai detenuti che necessitano di protezione urgente. “È cruciale che gli enti internazionali possano monitorare le condizioni dei migranti detenuti e fornire l’assistenza necessaria per garantire il rispetto dei loro diritti fondamentali. Il rispetto dei diritti umani, compresi quelli dei migranti e dei richiedenti asilo, è un principio fondamentale sancito dalle convenzioni internazionali delle quali la Libia è parte”, ha scritto in una nota la missione di supporto.

“È responsabilità delle autorità libiche assicurare che tutte le persone presenti sul territorio libico siano trattate con dignità e rispetto, indipendentemente dal loro status migratorio. La missione Onu chiede alle autorità di fermare queste azioni, trattare i migranti con dignità e garantire l’accesso a Nazioni Unite e Ong nei centri di detenzione”. Non è la prima volta che in Libia si assiste a una vera e propria operazione di “polizia etnica”.

A ottobre del 2011 le forze di sicurezza libiche e gruppi di miliziani di Tripoli hanno fatto irruzione nel quartiere di Gargaresh, sparando, razziando beni e danneggiando abitazioni e rifugi di migranti e rifugiati provenienti dall’Africa sub-sahariana. L’operazione, nella quale si sono contati almeno un morto e 15 feriti, si è conclusa col rastrellamento di oltre 5000 uomini donne e bambini, parecchi dei quali registrati ufficialmente presso l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Proprio ieri l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha fornito i dati dei morti sulle rotte migratorie: quasi 3.800 persone sono morte sulle rotte migratorie all’interno e dalla regione del Medio Oriente e Nord Africa (Mena) nel 2022, il numero piu’ alto dal 2017. L’11% in più rispetto all’anno precedente. Del resto il lavoro sporco per l’Ue qualcuno deve pur farlo.

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