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Detenzione di documenti Top Secret. Donald Trump finisce in arresto

Negli Stati Uniti gli ex presidenti che hanno problemi con la legge li arrestano. In stato di arresto ci è finito Donald Trump, appena arrivato ieri pomeriggio in un tribunale federale per rispondere all’accusa di avere sottratto alla Casa Bianca documenti riservati e di aver ostacolato gli sforzi del Dipartimento di Giustizia americano per recuperarli. L’unico privilegio di cui ha potuto godere è la foto segnaletica evitata. Già fin troppo riconoscibile, a detta del tribunale, Trump è arrivato a Miami accompagnato dal figlio Eric, non prima di avere tentato per l’ennesima volta di aizzare i suoi sostenitori definendo il processo “una caccia alle streghe” e confidando in un’ampia partecipazione all’esterno del palazzo del tribunale che non c’è stata.

In tribunale l’ex presidente Usa Donald Trump si dichiara non colpevole. E aizza di nuovo i suoi fan: “È una caccia alle streghe”

Nelle ore precedenti al suo arrivo le forze di sicurezza e la polizia hanno intensificato le pattuglie intorno al tribunale preoccupate per eventuali scontri. L’atmosfera ricordava la scena di sole 10 settimane fa per un’altra denuncia che pende sulla testa del presidente americano. In un altro processo i pubblici ministeri di New York accusano Trump di aver falsificato documenti finanziari per nascondere il pagamento in nero di una pornostar, Stormy Daniels, affinché non rivelasse di aver avuto una breve relazione con lui nel 2016.

Nelle 49 pagine dell’atto di accusa federale per il processo di ieri vi è l’intera cronologia degli eventi che costituiscono la base dei 37 capi d’accusa. La vicenda ha inizio il 20 gennaio 2021: mentre Trump lascia la Casa Bianca, ordina il trasloco di decine di scatoloni a Mar-a-Lago, affermano i pubblici ministeri. Le scatole, imballate da Trump e dal suo staff della Casa Bianca, contengono ritagli di giornale, lettere, foto e altri ricordi della sua Presidenza, ma anche centinaia di documenti riservati che, in quanto ex presidente, non era autorizzato ad avere. Ai sensi del Presidential Records Act, i documenti presidenziali sono considerati non proprietà privata, ma proprietà federale e devono essere consegnati alla National Archives and Records Administration.

Molteplici leggi federali regolano la gestione di documenti riservati e sensibili, compresi gli statuti che rendono un crimine rimuovere tale materiale e conservarlo in un luogo non autorizzato. Trump è accusato di 37 capi di imputazione, tra cui cospirazione per ostacolare la giustizia, occultamento di documenti e conservazione intenzionale di informazioni sulla difesa nazionale. Il suo assistente Walt Nauta è accusato di sei capi di imputazione, inclusa la cospirazione per ostacolare la giustizia. Il procuratore speciale Jack Smith, che ha guidato l’indagine, ha rilasciato una breve dichiarazione pubblica, affermando: “Le leggi che proteggono le informazioni della difesa nazionale sono fondamentali per la sicurezza e la protezione degli Stati Uniti e devono essere applicate. Violazioni di quelle leggi mettono a rischio il nostro Paese”.

L’ex presidente Usa in aula si è dichiarato “non colpevole”, prima di essere autorizzato a lasciare la Corte di Miami al termine dell’udienza. Non colpevole si è dichiarato anche il suo assistente Nauta, coimputato nel processo. Il giudice ha stabilito che non è a rischio di fuga e può continuare a viaggiare. Non è comunque autorizzato a parlare con i testimoni dell’inchiesta sulle carte segrete a Mar-a-Lago. In serata è tornata a circolare l’ipotesi che Biden possa potenzialmente graziare Trump. Il patto potrebbe anche includere un accordo a non ricandidarsi alla presidenza. La Casa Bianca si è rifiutata di rilasciare qualsiasi commento.

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Cecchini travestiti da prefiche

“Spiace per Bindi e soci, ma il funerale di Berlusconi non è affatto divisivo”, titola oggi un quotidiano che non merita di essere citato. Che aggiunge: “Né il Re Sole né la Thatcher, il Cav. ha unito l’Italia molto più di quanto si creda: anche in politica, è stato il leader più in sintonia con le classi popolari della storia repubblicana”. Sullo stesso quotidiano l’editoriale del direttore titola: “Perché la vera eredità del Cav. è la sua trasversalità. Lo hanno attaccato. Lo hanno combattuto. Lo hanno detestato. Poi gli hanno dato ragione, sulla giustizia e non solo”.

Il “rispetto” intorno a Silvio Berlusconi non esiste. È una truffa tutta politica che politicamente va trattata. L’umana pietà per l’uomo invocata dai suoi sgherri (in Parlamento e sui giornali) e dai suoi aspiranti eredi (in Parlamento e sui giornali) ha cominciato a puzzare dopo i primi cinque secondi. Sta accadendo quello che Berlusconi ha insegnato, inquinando questo Paese: usare qualsiasi cosa, anche la più tragica o fragile, per produrre soldi e consenso. L’eredità morale di Silvio Berlusconi è l’immoralità con cui si pretende che un Paese sospenda il giudizio politico su un leader della maggioranza del governo, sulla maggioranza di governo e quindi sul governo mentre quelli politicamente brigano per trasformare un funerale nell’ennesimo ultimo mendace comizio.

Se qualcuno si permette di riportare la  questione su un piano politico viene impallinato. Ieri Rosy Bindi ha espresso un concetto banalissimo, definendo “inopportuna” la scelta del governo di dichiarare il lutto nazionale per una figura politica così divisiva. È stata attaccata con le stesse spregevoli parole con cui Berlusconi la attaccò offendendo –  come era solito fare –  le donne che per lui e la sua masnada erano solo corpi. Eccola la sua eredità.

Ieri il Rettore dell’Università per per stranieri di Siena Tomaso Montanari ha scelto di non aderire alle bandiere a mezz’asta per i suo ateneo e gli sgherri berlusconiani hanno proposto di farlo condannare. Si professano garantisti e liberali mentre invocano la punizione della libertà di pensiero. Sono gli stessi che hanno assistito silenziosamente allo stropicciamento della Giustizia per salvare il loro padrone.

Se il populismo consiste nella strumentalizzazione degli istinti bassi degli elettori per incamerare consenso allora siamo di fronte a un capolavoro di lutto populista. Il primo lascito di Silvio Berlusconi è già qui, sotto i nostri occhi. Mentre nell’ipocrisia generale la politica nazionale si ferma per corroborare la santificazione di Silvio Forza Italia si riunisce, approva il rendiconto, mette Tullio Ferrante e Alessandro Battilocchio (uomini vicini a Fascina e Tajani) al settore elettorale e al tesseramento e trova il tempo anche di commissariare alcune città. Possibile che non si veda il tranello ipocrita in cui stanno cadendo in molti?

Buon mercoledì.

In foto, ingresso di Villa San Martino ad Arcore, residenza ufficiale di Silvio Berlusconi dal 1974 al 2013 da Wikipedia commons

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Da Dell’Utri al boss Graviano. Su Berlusconi c’è ancora tanto da dire

Perché “Madre natura”, alias Giuseppe Graviano, ora non prende in mano “l’onore” di cui si fregia e una volta per tutte non parla Morto Silvio Berlusconi, che il boss di Cosa Nostra ha sempre lasciato intendere essere stato un buon amico e socio d’affari, ora Graviano non ha più nulla da perdere e nulla da guadagnare. Se fosse vero – come credono alcuni investigatori – che il boss palermitano aspettasse un “favore” dal fondatore di Forza Italia per scampare al 41 bis ormai quel patto è nullo.

La Procura di Firenze indaga sulle stragi del ’93. E spera che il boss Giuseppe Graviano vuoti il sacco su Berlusconi

Se invece quelle accuse sono tutte calunnie potrebbe spiegarci il senso delle sue parole intercettate nel 2016 nel carcere di Ascoli Piceno quando con il suo compagno d’ora d’aria, Umberto Adinolfi, parlava delle stragi del 1993, del 41 bis, dei dialoghi con le istituzioni e ad un certo punto fece riferimento all’ex premier: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. E poi: “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa”. E ancora: “Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”.

A seguito di quelle dichiarazioni fu riaperto a Firenze il fascicolo sui mandanti esterni delle stragi. Quell’inchiesta non si chiuderà con la morte di Berlusconi. Rimane indagato Marcello Dell’Utri, fondatore di Forza Italia e a tutti gli effetti uomo di mafia, come sancisce la sentenza di Cassazione che che lo condannò a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Scrivono i giudici che per diciotto anni, dal 1974 al 1992, l’ex senatore Dell’Utri è stato il garante “decisivo” dell’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”.

Inoltre “la sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Cinà (Gaetano Cinà, boss mafioso, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”. Berlusconi, infatti, si era incontrato, come riferito dal collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo (testimone oculare, oggi deceduto), con boss di primissimo piano come Stefano Bontade, Cinà e Mimmo Teresi. Per i giudici della Suprema corte di Cassazione ci fu un “patto di protezione andato avanti senza interruzioni” di cui Dell’Utri era il garante per “la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa, in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore”.

Nel 2020 Graviano, in una lunga deposizione nel processo ‘Ndrangheta stragista (il cui esito è stato definito in appello con la conferma integrale delle condanne per entrambi gli imputati, Graviano e Rocco Santo Filippone) ha aggiunto ulteriori elementi parlando di rapporti di natura economica della sua famiglia con Berlusconi e di incontri, durante la propria latitanza, con l’ex Premier. Rapporti sempre negati dai legali di Berlusconi. Nel 2021, sentito dai magistrati di Firenze, Graviano ha confermato che nelle intercettazioni in carcere i riferimenti erano proprio all’ex Presidente del Consiglio.

In più occasioni Graviano ha parlato di un patto. Ora potrà chiarire se stava soltanto millantando

Con due “Sì” secchi e taglienti Graviano ha confermato il riferimento a Berlusconi quando parlava della sua situazione carceraria (“Non hai fatto niente e ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni e i giorni passano, gli anni passano, sto invecchiando eh no, tu mi stai facendo morire in galera… senza io aver fatto niente. Che sei tu l’autore… io ho aspettato, senza tradirti, ma ti viene ogni tanto in mente di passarti la mano sulla coscienza se è giusto che per i soldi… tu fai soffrire le persone così”) o ancora quando parlava delle stragi (“Lui mi dice: ci volesse una bella cosa”).

Del resto è lo stesso Graviano che secondo l’informativa della Dia del 9 marzo dell’anno scorso risultava essere latitante a Milano al secondo piano del palazzo Alberata, in un appartamento che il proprietario affidava attraverso la consulenza di Edilnord società del gruppo dei Berlusconi che ha costruito Milano 3. Da quelle stesse carte, come racconta il giornalista Marco Lillo per Il Fatto Quotidiano, sappiamo “che nel 1993 Graviano fa il Carnevale a Venezia quando lo organizza il gruppo Berlusconi (Publitalia Grandi Eventi) e – secondo la Dia – c’era in città anche Dell’Utri con altri manager del gruppo; ai primi di agosto è a Forte dei Marmi, dove per la Dia ad agosto in alcuni giorni c’erano i familiari di Dell’Utri; poi va in Sardegna, dove tra fine agosto e i primi di settembre fa capolino Marcello”.

“Con la morte di Berlusconi ora possiamo sperare che i Graviano decidano di collaborare con la magistratura”, ha detto ieri il fratello del giudice Paolo Borsellino, Salvatore. Forza, Graviano, parla, smonta questo castello di accuse (se sono calunnie) o trova il coraggio di dire ciò che hai bisbigliato a mezza bocca.

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Il sistema in ginocchio da Silvio

A seguito della morte di Silvio Berlusconi s’è deciso di rinviare il Consiglio supremo di Difesa, sono stati annullati i lavori del Senato e s’è fissata una celebrazione solenne per il prossimo 20 giugno, alla Camera si è deciso di non votare (chissà per quale strano motivo un voto parlamentare dovrebbe essere una mancanza di rispetto) e si organizzerà presto una commemorazione, il Pd – partito d’opposizione – ha rinviato la direzione nazionale, oltre ai funerali di Stato è stato proclamato il lutto nazionale mai concesso negli ultimi 30 anni a un ex presidente del Consiglio (eccetto Leone e Ciampi, che sono stati però presidenti della Repubblica), le bandiere sono a mezz’asta in tutte le sedi di enti pubblici con annesso sbizzarrimento di alcune regioni che si cimentano in giochi di luci e di proiezioni, le scuole sono invitate a osservare un minuto di silenzio, i negozi potrebbero abbassare le saracinesche mentre saranno Rai, Mediaset, La7 e Sky a trasmettere le esequie in diretta con il prevedibile carrozzone di ospiti contriti.

C’è una via di mezzo tra la barbarie di gioire per la morte di qualcuno e la barbarie di usare un lutto per rimpolpare la propaganda e cancellarne le gravi responsabilità. Quella via non è stata percorsa. Utilizzare l’umana empatia con il dolore di una scomparsa per sospendere la politica e lo Stato e per imporre una falsa narrazione è la messa in opera del più grande lascito di Berlusconi: populismo sfrenato e disinibito. Così anche un morto diventa una buona clava.

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Berlusconi santo dubito

Milionesima puntata in cui la pietà umana – dovuta a Berlusconi come a chiunque muoia in questo mondo – diventa il viatico di una santificazione. “Non è il tempo dei giudizi” dicono in coro a reti unificate e mentre lo ripetono hanno già cominciato a riscrivere la storia degli ultimi trent’anni.

Forse c’è qualcuno davvero convinto che il giudizio su cosa sia stato Silvio Berlusconi per questo Paese abbia bisogno di elementi in più rispetto a quelli che già abbiamo. Silvio Berlusconi è stato il peggiore politico italiano dopo le stragi del 1992 e ribadire il giudizio politico è un dovere civile, anche se con la tristezza che accompagna ogni morte.

Silvio Berlusconi è stato l’anello di congiunzione tra la P2 e la cosiddetta Seconda Repubblica che altro non era che il secondo tempo della Prima. Silvio Berlusconi è stato l’artefice della normalizzazione dei rapporti con la mafia (attraverso Marcello Dell’Utri) raccontati come inevitabili inciampi per un politico di successo. Silvio Berlusconi è stato il peggiore interprete della coercizione della cosa pubblica a fini privati: un rullo compressore che ha demolito leggi per difendere sé stesso e le sue aziende dai processi.

Silvio Berlusconi ha sdoganato i post-fascisti, ha reso pop la bava sui corpi delle donne, ha elevato la menzogna a sistema di governo, ha portato il Paese al tracollo finanziario, ha legittimato l’evasione fiscale. Ricordarlo come un vecchietto indifeso o, peggio, uno statista non possiamo concederlo. È un dovere civile. Come le condoglianze.

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Guerra e armi atomiche: mai così vicini

Le testate nucleari pronte all’uso sono aumentate tra il 2022 e il 2023 di 86 unità a 9.576, con circa duemila tenute in stato di massima allerta, per la maggior parte da Stati Uniti e Russia. È quanto emerge dal rapporto annuale sugli arsenali strategici elaborato dall’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri). Secondo lo studio, a seguito della guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina e del generale deterioramento della situazione della sicurezza su scala globale, le potenze nucleari stanno investendo nella modernizzazione dei loro armamenti.

Mentre aumentano quelle pronte all’impiego, diminuiscono di circa 200 a 12.512 le testate nucleari dispiegate nel mondo. Tale declino è in corso da diversi anni e ora il totale è pari a meno di un quinto di quello al culmine della Guerra fredda negli anni Ottanta. Tuttavia, la contrazione è dovuta principalmente al fatto che Usa e Russia smantellano gradualmente le testate dismesse. Al riguardo, il Sipri osserva che “le riduzioni globali delle testate dispiegate sembrano essersi arrestate e i numeri sono in risalita”. Allo stesso tempo, sia gli Stati Uniti sia la Russia hanno avviato programmi di modernizzazione estesi dei loro arsenali strategici.

Inoltre, “la maggior parte” delle potenze dotate di bombe atomiche “sta inasprendo la propria retorica sull’importanza delle armi nucleari e alcune stanno persino minacciando esplicitamente di utilizzarle”. Come sottolineato da Matt Korda del Sipri, “questa accresciuta concorrenza nucleare ha notevolmente aumentato il rischio” di impiego delle armi strategiche per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale.

Secondo l’Istituto internazionale per le ricerche sulla pace di Stoccolma, sono nove le potenze nucleari: Russia, Stati Uniti, Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Corea del Nord e Israele. I primi due Paesi detengono circa il 90 per cento di tutte le testate atomiche. Segue la Cina con 410 unità, ossia 60 in più tra il 2022 e il 2023.

Buon martedì.

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Forza Italia spaccata in tre. Con Silvio è morto pure il berlusconismo

Un solo punto è fermo: un nuovo Silvio Berlusconi in Forza Italia non ci sarà perché con lui è morto il berlusconismo, quell’intreccio di interessi economici e politici che hanno dettato la linea del partito in questi anni. Forza Italia sprofonda nel lutto ma si interroga sul futuro. Il partito è spaccato almeno in tre blocchi.

Un nuovo Berlusconi in Forza Italia non ci sarà perché con lui è morto il berlusconismo, quell’intreccio di interessi economici e politici che hanno dettato la linea del partito in questi anni

La minoranza interna guidata dalla senatrice Licia Ronzulli (che non ha digerito l’essere stata spodestata per mano della “moglie” di Berlusconi, Marta Fascina) vorrebbe un partito meno genuflesso al governo Meloni e da mesi costruisce ponti con Matteo Salvini. Ora che la gratitudine nei confronti del leader non è più un vincolo Ronzulli, ex coordinatrice del partito in Lombardia, potrebbe radunare la sua truppa di parlamentari e di eletti sul territorio e valutare l’ipotesi di un reale avvicinamento alla Lega, anche in contrasto con l’inevitabile (in Forza Italia lo danno quasi tutti per scontata) emorragia in Fratelli d’Italia.

Il secondo blocco, quello che ha la maggioranza del partito, guidato dal duo Tajani-Fascina seguirà i desiderata dei figli di Berlusconi. I figli, l’asset aziendale, il futuro del patrimonio. Il partito Forza Italia deciderà la sua evoluzione (o la sua fine) nel contesto più ampio delle aziende da difendere e del fatturato da proteggere.

Difficile, praticamente impossibile, che Fascina – come si legge da giorni su qualche giornale – prenda in mano le redini del partito. Più facile invece che Antonio Tajani subentri come leader per “mettere le carte a posto”. La figlia che Silvio avrebbe voluto come succeditrice, Marina, non ha intenzione di intestarsi un partito che per lei e i fratelli è solo un ramo d’azienda, per di più improduttivo.

Il partito è stato l’argine contro la magistratura e il mezzo per favorire le aziende. Ora che la giustizia non è più un problema ciò che conta è coltivare rapporti e Marina Berlusconi lo sa fare benissimo. Sono in molti a suggerire che il filo diretto tra lei e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sia oliato, quasi abitudinario. Mentre Gianni Letta si occupa delle trattative fuori scena Marina Berlusconi avrebbe concordato con la leader di Fratelli d’Italia un “ingresso” morbido e centellinato dei parlamentari che controllano Tajani e Fascina per consentire a Meloni di costruire quel partito dei conservatori e dei riformisti italiani che le garantirebbe il consolidamento del potere.

Il terzo blocco è composto dai deputati che andranno in ordine sparso. Nel cosiddetto Terzo polo (dove gli ex berlusconiani sono già di casa) Renzi e Calenda hanno già aperto le porte dei rispettivi partiti, entrambi terrorizzati dal rimescolamento che inevitabilmente si produrrà al centro. Potrà essere la “grande occasione” o potrebbero essere i loro titoli di coda. Renzi, al solito, da settimane ai suoi ripete di considerarsi l’erede naturale di Silvio. Il leader di Italia Viva sa far fruttare meglio di tutti i suoi parlamentari – anche pochi – e punta a diventare indispensabile per la maggioranza (qualsiasi sia la maggioranza) per tornare alla ribalta.

Rimangono però degli interrogativi impellenti che non sono di poco conto. I voti, innanzitutto. Non è un mistero che la forza elettorale di Forza Italia fosse quasi interamente sulle spalle di Berlusconi. Difficile capitalizzare i voti sul ricordo, per quanto possa essere commosso. Nessuno dei maggiorenti di Forza Italia ha una reale base elettorale, esclusi i due presidenti regionali di Sicilia e Calabria che hanno tenuto Forza Italia su percentuali dei vecchi tempi. Renato Schifani è forte del suo 17% in Sicilia e Roberto Occhiuto in Calabria ha raccolto il 21% nelle elezioni che l’hanno eletto governatore.

Nelle trattative per la successione di Berlusconi e per la composizione dei quadri dirigenti entrambi faranno pesare il proprio consenso. Ma chi sosterrà economicamente il partito? Questa è la domanda più gravosa, anche se irrispettosa, a poche ore dal lutto. I figli di Berlusconi si preparano a una fase di successione che si preannuncia complessa. Forza Italia è costata a Fininvest quasi 110 milioni di euro.

Ogni membro della famiglia ha staccato ogni anno un assegno di circa 100mila euro. Ora che lo “scudo politico” non è più urgente il partito rischia di diventare una tassa che nella famiglia Berlusconi molti vorranno eludere. E qui si torna al punto di partenza: la politica, quella vera, era solo un orpello del governare beni privati infilandoli nella cosa pubblica. Forse Forza Italia non esiste già più.

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Ricordarsi di ricordare chi era Silvio Berlusconi

Il Fatto Quotidiano (che sul tema è uno specialista) ha messo in fila le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi. L’elenco è lungo e piuttosto disgustoso ma vale la pena tenerlo in tasca  quando sentirete dire che “Berlusconi ha ricevuto una sola condanna e ha scontato la pena”. Ben prima se ne è accorto  Left uscito già nel 2020 titolando Berlusconi al Quirinale nemmeno per scherzo.

L’unica condanna definitiva per Berlusconi è arrivata il 1 agosto del 2013 quando la Cassazione confermò il verdetto d’appello a 4 anni per frode fiscale per il processo sui diritti televisivi Mediaset. Pena decurtata di 3 anni grazie all’indulto. L’ex premier ha scontato la pena in affidamento ai servizi sociali facendo il volontario in un istituto per anziani a Cesano Boscone per essere stato, come hanno scritto gli ermellini nella motivazione del verdetto, «l’ideatore del sistema illecito per consentire la perdurante lievitazione dei costi di Mediaset a fini di evasione fiscale».

Però ci sono anche le prescrizioni. Il primo processo è All Iberian dal nome della società capofila della Finivest offshore. Cuore del processo la tangente più alta mai versata a un singolo politico: 23 miliardi di lire in nero a Bettino Craxi, leader socialista e amico di Berlusconi che gli paracaduta il denaro tra il gennaio e l’ottobre del 1991 poco dopo il via libera alla legge Mammì (approvata nell’agosto del 1990) che di fatto si limitava a cristallizzare l’esistente e mettere un sigillo normativo al duopolio Rai-Fininvest senza un vero tetto pubblicitario e spot senza limiti. Condannato in primo grado il 13 luglio 1998 per il solo finanziamento illecito, in secondo grado questo reato è già prescritto e la Cassazione il 22 novembre 2000 conferma ma «non emerge negli atti processuali l’estraneità dell’imputato». C’è poi il caso Lentini-Milan con il clamoroso acquisto del giocatore del Torino. L’ipotesi dei pm milanesi era che i 10 miliardi al presidente granata per agevolare il passaggio non siano mai stati iscritti a bilancio, dunque versati in nero. Il reato viene dichiarato prescritto dalla II sezione del Tribunale grazie alla solita concessione delle attenuanti generiche e alla riduzione dei termini di prescrizione introdotta dalla nuova legge sul falso in bilancio, varato dal governo dello stesso imputato. C’è poi la prescrizione per i bilanci Fininvest 1988 -1992, quella per il consolidato Fininvest sempre grazie alle nuove regole sul falso in bilancio. C’è poi la prescrizione Mondadori (corruzione giudiziaria), il processo sulla cosiddetta guerra di Segrate che oppose Carlo De Benedetti a Berlusconi per il controllo del gruppo. Per l’ex Cavaliere, sempre grazie alle attenuanti generiche e alla contestazione di corruzione semplice e non in atti giudiziari, arriva una prescrizione. In sede civile la Cir dell’ingegnere però incassa 564,2 milioni di euro. Grazie comunque alla sentenza del processo penale che riconosceva che corruzione ci fu. Prescritto anche il processo Mills per corruzione giudiziaria con l’accusa per Berlusconi di aver pagato l’avvocato inglese ideatore delle società offshore con 600mila dollari in cambio di due false testimonianze nei processi Guardia di Finanza e All Iberian. Tra lodi e legge ex Cirielli per il leader di Fi arriva la sentenza di non luogo a procedere, prescrizione anche se solo in Cassazione per il legale inglese. Nel carnet delle prescrizioni c’è poi il caso della compravendita senatori. È del 2 luglio 2018 la conferma da parte della Cassazione sulla corruzione del senatore Idv, Sergio De Gregorio, pagato 3 milioni di euro per passare dal centrosinistra al centrodestra votando la sfiducia al governo Prodi nel 2008. L’ex parlamentare aveva invece patteggiato una condanna a 20 mesi nel 2013. «È del tutto pacifico che Berlusconi abbia agito con assoluta coscienza e volontà di corrompere un senatore della Repubblica» avevano scritto i giudici dell’appello. C’è poi il caso del nastro-Unipol. La VI sezione penale della Cassazione, il 31 marzo 2015, conferma la prescrizione per rivelazione di segreto d’ufficio per Paolo e Silvio Berlusconi per la storia dell’intercettazione della telefonata tra l’ex segretario degli allora Ds, Piero Fassino, e l’ex amministratore delegato di Unipol, Giovanni Consorte, nella quale l’ex sindaco e ministro pronunciò una famosa frase che suonava così: “Abbiamo una banca“ pubblicata da Il Giornale. Gli ermellini avevano scritto che era impossibile assolvere perché era indubbio che il placet dell’ex presidente del Consiglio aveva avuto «efficacia determinante ai fini della pubblicazione della notizia» da parte del quotidiano edito dal fratello sulla tentata scalata alla Bnl in quei mesi in cui era esploso il risiko bancario e le relative inchieste.

Ci sono poi tre processi Ruby (minorenne marocchina – presente alle feste di Arcore e spacciata per la nipote dell’ex presidente Mubarak). Sul tema c’è una sentenza significativa: il 18 ottobre è diventata definitiva la condanna di Gianpaolo Tarantini a 2 anni e 10 mesi per reclutamento e favoreggiamento della prostituzione di donne che venivano accompagnate nelle residenze di Berlusconi.

Berlusconi ha beneficiato di due amnistie. Per il reato di falsa testimonianza ovvero aver mentito al Tribunale di Verona sulla sua iscrizione alla P2. Nell’ambito del fascicolo sui fondi neri Macherio: uno dei falsi in bilancio contestati è stato amnistiato. Altri due andarono prescritti, mentre fu pronunciata sentenza di assoluzione per la frode fiscale e l’appropriazione indebita.

Infine c’è la questione giudiziaria più abnorme: quella condanna a Marcello Dell’Utri per avere fatto da “intermediario” tra Berlusconi e Cosa Nostra.

Questo solo il lato giudiziario. Ma non si tratta solo di giustizia, dentro c’è anche un’enorme questione morale. Poi, con calma, vediamo quello politico. Tanto per capire di chi stiamo parlando come possibile prossimo presidente della Repubblica.

Reprint: articolo pubblicato su left nel 2021

 

 

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La Tunisia e l’Ue ricattate da un autocrate in più

Con qualche giorno di ritardo anche gli altri giornali si accorgono che l’improvviso amore della presidente del Consiglio Giorgia Meloni per la Tunisia e per l’Africa sia figlio di un progetto di scambio: noi le diamo soldi europei e ci diamo da fare per sbloccare i quasi due miliardi da Washington attraverso il fondo monetario internazionale e voi tunisini vi fate carico della partenze di immigrati che vorrebbero entrare in Europa fermandoli in modi più o meno legali. Il tutto condito da una parvenza di ritorno della democrazia in un Paese sprofondato nell’autarchia.

L’improvviso amore del premier Giorgia Meloni per la Tunisia e per l’Africa è figlio di un progetto di scambio

Del resto i 900 milioni di euro promessi dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, accompagnata dal primo ministro olandese Mark Rutte e da Giorgia Meloni, sono un buon prezzo per sporcarsi le mani di sangue facendo il lavoro sporco che l’Unione europea vorrebbe fare ma non può permettersi di fare. Per questo si subappalta la frontiera a Paesi in cui il controllo dei diritti è sfiancato da democrazia latente e da controlli complicati.

Il quadretto sarebbe stato perfetto, per la gioia dei sovranisti europei, se non fosse che che il premier tunisino Kais Saied ha imparato in fretta come si comporta il vero autocrate che ricatta l’Europa per mungere più soldi, ispirandosi probabilmente ai libici o all’Erdogan di turno. “La Tunisia non può fare da guardia di frontiera”, ha detto il presidente tunisino prima di incontrare i leader europei. Ovvero: è disposto a fare il lavoro sporco ma servono più soldi.

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Crosetto, i pirati e Capitan Uncino

Nel caso in cui vi siate persi le gesta del ministro alla Difesa Guido Crosetto in questo ultimo fine settimana ecco un veloce ripasso. Venerdì la stragrande maggioranza dei media si è buttata sulla presunta storia di 15 migranti che avrebbero dirottato la nave Galata Seaways, partita dal porto turco di Topcular il 7 giugno e diretta in Francia. L’Italia ha messo in campo un’unità militare di fanteria in forza alla marina militare (un tempo nota come battaglione): si sono calati sulla nave da due elicotteri per mettere in sicurezza l’equipaggio e individuare i migranti rimasti nascosti nella stiva.

Il ministro, eccitato, aveva twittato: «le forze speciali italiane, di stanza a Brindisi, stanno liberando una nave turca con 22 persone di equipaggio sequestrata da circa 15 migranti che erano a bordo dell’imbarcazione al largo di Napoli». E poi: «I dirottatori della nave sono stati catturati. Tutto è finito bene.  I miei complimenti ai ragazzi del Battaglione San Marco, ai poliziotti ed ai finanzieri, che hanno concluso una splendida operazione in collaborazione. Ognuno per la sua parte. Bravi!».

Quasi tutto falso. La procura di Napoli ha aperto un’inchiesta per associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina per capire come i migranti scoperti a bordo di una nave mercantile turca siano riusciti a imbarcarsi di nascosto. Le prime indagini hanno escluso che i 15 migranti abbiano tentato di dirottare la nave, di sequestrare o aggredire il comandante e l’equipaggio.

Domenica mattina Crosetto ha poi pubblicato su Twitter una nota informativa del suo ministero nel tentativo di dimostrare il dirottamento di cui aveva parlato venerdì. Scrive Crosetto: «Oggi alcuni giornali infangano, raccontando i fatti della nave Galata Seaways come “inventati”. Poiché ministero della Difesa e ministro agiscono con responsabilità ed approfondendo, è giusto dimostrare la verità e l’infondatezza di queste notizie, a tutela del sistema Paese». Peccato che la nota spieghi che la presenza dei migranti costituiva «una minaccia per l’equipaggio» e non fa nessun riferimento a tentativi di dirottamento, di sequestro o di aggressione. L’abbordaggio della nave era stato chiesto dalle autorità turche in seguito all’allarme lanciato dal comandante. Le attività di ricerca delle forze speciali, si legge, non hanno in nessun momento «comportato l’uso della forza da parte dei militari. Nessun danno fisico è stato, quindi, riscontrato a chicchessia durante l’espletamento delle attività descritte».

I migranti sono stati fatti sbarcare a Napoli. Due donne sono state portate in ospedale, una perché incinta e l’altra perché considerata in condizioni fisiche precarie per via del lungo viaggio. Un uomo è stato curato per una sospetta frattura alla caviglia e un altro per ipotermia. Gli altri migranti sono stati accolti in un centro di accoglienza. La nave è ripartita verso il porto di Sète, in Francia. Nel disperato bisogno di inventare nemici che non esistono per offrirsi come protettori (è una tradizionale strategia delle destre in tutto il mondo) qualcuno si è fatto prendere un po’ la mano. «Qui non c’è più avventura», direbbe Capitan Uncino.

Buon lunedì.

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