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Cutro, un’inchiesta internazionale dice che non è vero che fecero il possibile per salvarli

È passata piuttosto inosservata l’inchiesta internazionale (a cui hanno partecipato tra gli altri Le Monde, El Pais, Sky News e Domani) sulla 94 persone annegate lo scorso 26 febbraio sulla spiaggia di Steccato di Cutro. “Se avessimo potuto, avremmo salvato i migranti”, disse qualche ora dopo la tragedia la presidente Giorgia Meloni, mentre il ministro dell’Interno Piantedosi inanellava un’impressionante sequela di gaffe disumane.

Un’inchiesta internazionale sul naufragio di Cutro svela che fin dall’inizio furono sottovalutati tutti i segnali di pericolo, facilmente intuibili con gli elementi a disposizione

L’inchiesta evidenzia come fin dall’inizio invece siano stati sottovalutati tutti i segnali di pericolo, facilmente intuibili dagli elementi che avevano a disposizione. Il 25 febbraio Frontex aveva avvistato la nave e messo a disposizione i dati alle autorità italiane. “Non siamo stati avvertiti”, disse Giorgia Meloni. Ha detto il falso: nel centro di controllo di Frontex a Varsavia erano presenti un rappresentante della guardia di finanza e della guardia costiera italiana.

I segni che quell’imbarcazione trasportasse migranti erano evidenti. Erano state individuate circa 200 persone su un’imbarcazione che normalmente ne trasporta 16 e le condizioni del vento erano state descritte come pericolose. Il maltempo, la mancanza di giubbotti di salvataggio e il sovraffollamento sono segni di pericolo, secondo la legge del mare: tuttavia le autorità marittime non hanno avviato un’operazione di ricerca e salvataggio. “Questa decisione ha avuto conseguenze letali”, scrivono gli autori dell’inchiesta giornalistica.

Al quotidiano Domani l’ammiraglio ed ex portavoce della guardia costiera Vittorio Alessandro dice: “Molte situazioni di pericolo conclamato vengono ormai registrate come evento migratorio, mentre prima erano identificati come situazione di soccorso. Quando le imbarcazioni si vedono navigare a galla e con i motori in funzione si ritiene, sbagliando, che non abbiano bisogno di assistenza o addirittura di soccorso. Il caso di Cutro rientra senz’altro fra queste ipotesi”.

La sottovalutazione dell’evento è figlia di una scelta politica chiara adottata da quando nel 2019 si è insidiato al ministero dell’Interno Matteo Salvini. Secondo una serie di accessi agli atti di Altreconomia dal 2019 ai primi due mesi del 2023 i migranti arrivati via mare in Italia sono stati 232.660 attraverso 6.300 eventi. In quasi sei casi su dieci dei sono stati eventi classificati come operazioni di polizia e non di ricerca e soccorso (Sar).

Fatta l’inchiesta giornalistica ora non resta che aspettare gli sviluppi dell’inchiesta giudiziaria. La memoria invece sembra già caduta in prescrizione.

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Il nuovo genere letterario degli evasori eroi

C’era da aspettarselo. Dopo le tasse raccontate come “pizzo di Stato” dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni che promette di inseguire “i grandi evasori” in tutto l’orbe terraqueo per promettere ai piccoli evasori di dormire sonni tranquilli subito certa stampa s’è messa in fila per scovare queste vittime dello Stato che resistono a imposte, tasse, iva e Guardia di finanza.

Un pezzo che potrebbe essere un caso studio ce lo offre il Corriere della sera che racconta la storia di Emanuele Lavezzo, panettiere di Badia Polesine (Rovigo) che – scrive il Corriere – “dal 2019 al 2021 non ha presentato alcuna dichiarazione fiscale, mai un soldo di Iva”. Nell’articolo ci sono tutti i ganci per empatizzare: le foto di lui e il padre in posa davanti al forno («quando vado a trovarlo al cimitero, gli dico: papà, ho combinato un casino…», dice Lavezzo al giornalista), “gli occhi lucidi”, “le mani sporche di farina”.

Passa quasi in sordine che la Guardia di finanza abbia ipotizzato un’evasione per meno 350mila euro. Sembra poco importante anche che il nostro evasori confermi tutto al giornalista, senza battere ciglio. L’evasore racconta che un lutto l’ha spinto a smettere di pagare le tasse perché era la moglie a tenere la contabilità (in 350mila euro evidentemente non ci stava qualche spiccio per un commercialista), ovviamente dà un po’ di colpa al Covid (che, ricordiamo, è stata una pandemia mondiale, mica solo a Badia Polesine) e infine dice «ci mancava solo il controllo della guardia di finanza». Non è il reato la colpa, il focus è la sfortuna di essere stato controllato.

Ma gli scontrini falsi? Colpa della commessa, ovviamente. «Quando mi sono accorto di quello che combinava col registratore di cassa, mi sono arrabbiato, le ho chiesto se era matta» – racconta l’imprenditore. altra caratteristica dell’imprenditoria che piace a certa politica e certa stampa: quelli per cui è sempre colpa dei lavoratori. Imperdibile il passaggio sul fratello: «Uno di loro ha mollato nel 2011, preferendo un contratto da dipendente: la vita da imprenditore gli dava troppi grattacapi». Come dire: ha scelto la via più comoda. Lui, eroico, ha preferito dedicarsi alla sua attività di evasore.

Il movimento culturale è sempre lo stesso: i dipendenti sono solo succhia soldi ai poveri imprenditori, lo Stato è solo un ostacolo all’imprenditoria, gli imprenditori che falliscono o che rubano sono resistenti schiacciati dalla realtà. Tutto si tiene. Ci sarebbe stato bene anche un attacco ai giovani svogliati e ai poveri perché incapaci.

Buon lunedì.

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Femminicidi, se la violenza sulle donne è considerata naturale

Ogni volta parte il coro di “perché” e ogni volta si coglie la fatica di chi il perché ce lo sta raccontando da anni. Giulia Tramontano è la vittima di un femminicidio che per la trama e per gli algoritmi della morbosità starà per giorni sulle pagine dei giornali. Perfetti i protagonisti, entrambi belli, giovani e con un bel lavoro. Sono quelli a cui «non mancava niente», come dicono le comari del giornalismo patriarcale che sanno solo collegare la violenza con l’insoddisfazione. Tramontano era anche in attesa di un figlio, condizione perfetta per urlare lo spreco di una maternità incompiuta. Se la donna è madre l’assassino è più bastardo secondo i canoni della patria basata sulla famiglia. Pierpaola Romano, poliziotta 57enne freddata con tre colpi in testa da un collega nel suo androne di casa, è stata giornalisticamente più sfortunata. La mancata giovinezza, quel mestiere così ordinario la renderanno una notizia poco più che locale. I dati del ministero dell’Interno dicono che dal primo gennaio al 28 maggio 2023 in Italia sono stati registrati 129 omicidi. Le vittime donne sono 45, e 37 di loro sono state uccise in ambito familiare, 22 (nel frattempo sono diventati 23) sono state uccise dai compagni o da ex compagni.

Giulia Tramontano, la giovane scomparsa tra sabato e domenica, al settimo mese di gravidanza, è stata uccisa dal fidanzato.
Giulia Tramontano (foto facebook).

Femminicidi, un elenco senza fine

Giulia Donato, 23 anni, è stata uccisa il 4 gennaio a Pontedecimo (Genova), dall’ex compagno, una guardia giurata, che era arrivato a casa dell’ex fidanzata armato della propria pistola d’ordinanza. Prima le ha sparato, poi si è suicidato con la stessa arma da fuoco. Martina Scialdone, 34 anni, uccisa il 13 gennaio, è stata ammazzata a Roma da un colpo di pistola sparato dall’ex compagno Costantino Bonaiuti di 61 anni. Oriana Brunelli, 70 anni, è morta il 14 gennaio a Bellaria Igea Marina (Rimini), ammazzata dall’ex amante Vittorio Cappuccini di 80 anni. Lui, ex vigile, l’ha uccisa con tre colpi di pistola e dopo si è tolto la vita. Teresa Di Tondo, 44 anni è morta il 15 gennaio a Trani, ammazzata dal marito con diversi colpi di arma da taglio. Lui, dopo averla uccisa, è uscito in giardino e si è impiccato. Yana Malayko, 23 anni era scomparsa nella notte tra il 19 e il 20 gennaio. Ha perso la vita il primo febbraio. Il suo corpo viene ritrovato a Lonato del Garda, in provincia di Brescia, in aperta campagna. La 23enne è stata ammazzata da Dumitru Stratan, un 33enne con il quale aveva avuto una relazione, terminata a dicembre 2022. Antonia Vacchelli, 86 anni, viene ammazzata il 6 febbraio a Lecco dal marito Umberto Antonello, ex ferroviere, che l’ha strangolata a mani nude. Melina Marino, 48 anni, e Santa Castorina, 50 anni, sono due amiche e lo scorso 11 febbraio vengono trovate senza vita a Riposto, in provincia di Catania. A ucciderle è Salvatore La Motta, 63 anni, ergastolano in regime di semilibertà e in permesso premio, che si presenta armato davanti alla caserma dei carabinieri e si suicida. Melina Marino aveva deciso di mettere fine alla relazione con La Motta.

Sui giornali di questi giorni si scorge un profluvio di consigli alle donne su come salvarsi. Poco, pochissimo, sugli uomini orchi che ci si ostina a descrivere come “fragili”

Sigrid Gröber, 39 anni, è stata ammazzata a calci e pugni dal suo compagno. Giuseppina Traini, 85 anni, è stata uccisa a coltellate il 25 febbraio dal marito. Costantina dell’Albani, 52 anni, è stata uccisa il 4 marzo nella casa di famiglia a Ragusa dal cognato. Iulia Astafieya, 35 anni, di nazionalità ucraina, è stata uccisa il 7 marzo a Reggio Calabria dal compagno, Denis Molchanov. Maria Febronia Buttò, 61 anni, è stata uccisa a coltellate il 10 marzo a Gioiosa Marea (Messina) dal marito Tindaro Molica Nardo che poi si è suicidato. Francesca Giornelli, 57 anni muore il 28 marzo strangolata dal compagno Lamberto Roscini che poco dopo si è impiccato. Zenepe Uruci, 56 anni, viene ammazzata dal marito Xhafer Uruci il 30 marzo, nella propria abitazione a Terni. Sara Ruschi di 35 anni e la mamma Brunetta Ridolfi di 76 anni vengono uccise il 13 aprile dal compagno della giovane, Jawad Hicham, di 38 anni, nella loro abitazione di Arezzo. Al femminicidio hanno assistito anche i suoi due figli. Danjela Neza, 29enne di origini albanesi viene uccisa il 6 maggio scorso a Savona dal suo ex compagno che non ha mai accettato la fine della loro relazione.

Il veleno che sta sulle punte di coltelli e pistole è il patriarcato di un Paese in cui la violenza sulle donne è roba quasi “naturale”

Ogni volta parte il coro di “perché” e invece il perché è chiarissimo mettendo in fila le storie: donne che sono considerate di proprietà che vengono punite se decidono di autodeterminarsi. Il veleno che sta sulle punte dei coltelli e delle pistole è il patriarcato di un Paese in cui la violenza sulle donne (fisica, psicologica, economica) è una tradizione, roba quasi “naturale”. Così sui giornali è tutto uno scorrere di “raptus” o di “eccessi d’amore” per non doversi dire che la grande opera di educazione sentimentale dei maschi italiani non è mai partita oppure è fallita. Sui giornali di questi giorni si scorge un profluvio di consigli alle donne su come salvarsi. Poco, pochissimo, si scrive degli uomini orchi che ci si ostina a descrivere come “fragili”. E c’è da scommettere che la narrazione prevalente delle donne come angeli del focolare e strumenti da parto non potrà che ammorbare la narrazione già malata. Istituire una fallocrazia e stupirsi che le donne ne muoiano è un favoreggiamento al femminicidio.

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Mes, un’altra promessa tradita dal governo Meloni

Tra le promesse tradite di Giorgia Meloni e il suo governo se ne può tranquillamente aggiungerne un’altra: alla fine l’Italia, nonostante le parole spese in campagna elettorale, ratificherà il Mes. Per averne contezza basta sfogliare i giornali di destra che stanno già oliando la narrazione di un “atto dovuto”, per indorare la pillola ai loro (e)lettori. L’Unione europea chiede da mesi la ratifica, la premier e Matteo Salvini si sono più volte espressi contro ma non c’è più tempo per tergiversare. “Mai fino a quando ci sarò io al governo”, diceva Meloni.

Il tempo del mai, ora sembra essere già scaduto. Le pressioni europee perché tutti i paesi membri aderiscano al Meccanismo Europeo di Stabilità sembrano avere aperto una breccia nella maggioranza. Già nei giorni scorsi il ministro Giancarlo Giorgetti aveva espresso la volontà di “approfondire” che, tradotto dal politichese, significa prendere tempo per capire come riuscire a raccontare la retromarcia.

Il Mes calendarizzato tra i progetti di legge da discutere in quota opposizione: il 30 giugno approda alla Camera

Ora Terzo polo e Pd hanno fatto calendarizzare il Mes tra i progetti di legge della quota riservata alle opposizioni e il 30 giugno arriverà in aula alla Camera. “Vedremo se ha ragione Giorgetti quando dice che il Parlamento è contrario alla ratifica”, spiega Luigi Marattin. Ma la maggioranza, manco a dirlo, è spaccata. Forza Italia è sempre stata a favore, in Fratelli d’Italia si discute sull’opportunità di andare contro le volontà di Bruxelles proprio mentre si stanno discutendo le modifiche al Pnrr.

Nella Lega Claudio Borghi e Alberto Bagnai promettono che terranno il punto fermo sul no. Secondo Bagnai, il Mes non serve ed è pure dannoso, perché “le cose che non servono spesso sono dannose. E poi c’è anche un’altra cosa, di cui ora si parla tanto”, una sorta di patto di scambio con l’Europa: “Voi ora votate il Mes così poi modifichiamo il Pnrr. A questo proposito vi cito un sonetto di Giuseppe Gioachino Belli che dice ‘dammela, e poi ti sposo’. Direi quindi: dammela, la ratifica del Mes e io ti sposo la riforma…”, conclude Bagnai.

La lista di promesse non mantenute dal governo si allunga: pronta ad aggiungersi la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità

Il Mes andrebbe ad aggiungersi alle promesse volatilizzate. Finisce in coda alle accise che dovevano essere abolite e invece sono lì, ferme, in ottima salute. Si aggiunge a quel “mai la svendita della compagnia aerea di bandiera a Lufthansa” finita con Lufthansa che si è messa in tasca Ita. Si aggiunge al “blocco navale” che Meloni e Salvini ripetevano allo stremo, accusando i ministri degli Interni (degli altri) di non riuscire a “difendere l’Italia” mentre ora i numeri (gli arrivi si sono quintuplicati) li hanno sbugiardati smontando la propaganda di Piantedosi. Avevano promesso un’Italia che avrebbe sbattuto i pugni sul tavolo dell’Unione europea e invece hanno agito con un servilismo che farebbe impallidire perfino Mario Draghi.

Hanno consegnato la politica economica a Bruxelles e la politica estera alla Nato (loro che amavano Putin proprio perché era “indipendente dagli Usa”). Hanno promesso il sovranismo e sono finiti per essere province dei poteri che avrebbero dovuto spaventare. Così non rimane che “spaventare” i deboli, gli indifesi, i poveri e i senza diritti. Sotto la polvere delle sparate dei loro ministri e delle leggine di bandiera questo governo si dimostra la fotocopia (sbiadita) dei governi a cui si sono sempre opposti. Finché dura la narrazione per loro sarà bellissimo. Poi sarà uno schiaffo.

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Armi a Kiev con i fondi del Pnrr

Il voto in Europa è andato come si sapeva che sarebbe andato: un plebiscito ha sancito che per inviare armi e munizioni in Ucraina si potranno usare anche i soldi del Pnrr. Il Pd ha presentato – come da accordi con la segretaria Elly Schlein – emendamenti per escludere l’uso del Pnrr. Sugli emendamenti si è trovato l’accordo con il gruppo dei Socialisti ma l’Aula li ha respinti. A quel punto, com’era facilmente prevedibile, il gruppo dei dem si è spaccato.

Il Pd prima ha presentato emendamenti contrari poi la maggioranza si è espressa a favore dell’utilizzo del Pnrr per produrre armi

Otto eurodeputati hanno votato a favore, sei si sono astenuti (ma due di loro, Alessandra Moretti e Patrizia Toia hanno detto di essersi “sbagliate”) e l’eurodeputato Massimiliano Smeriglio ha votato contro. Il conto finale è chiaro: 446 voti a favore, 67 contrari e 112 astenuti. La legge a sostegno della produzione di munizioni Ue (Asap) potenzierà la capacità produttiva dell’Unione europea per fornire munizioni, missili e componenti.

All’attacco del suo partito si è scagliato l’eurodeputato del Pd Pietro Bartolo: “In questo momento in cui anche la tenuta dei territori è a rischio, come dimostra l’alluvione in Emilia Romagna e Marche, votare a favore della proposta della Commissione che prevede di dirottare risorse del Pnrr o del Fondo di Coesione per la produzione di munizioni, è un delitto contro i nostri figli e contro i cittadini più fragili“, ha dichiarato.

Bartolo ha spiegato di avere votato in dissenso con il proprio gruppo perché “il Pnrr nasce come strumento di resilienza, per uno sviluppo sostenibile e duraturo dell’economia. Uno strumento di pace e non di guerra. Pnrr e Fondo di Coesione sono strumenti essenziali per la sostenibilità del nostro vivere comune e in pace. Da deputato europeo – ha detto Bartolo – auspico dall’inizio del conflitto di essere chiamato a votare in Parlamento una proposta che parli di sforzi diplomatici, ma fino ad oggi non una parola è stata detta dall’Ue in questa direzione.

Il sostegno all’Ucraina che da più di un anno subisce l’aggressione da parte della Russia di Putin in questa assurda guerra, non è in discussione ma non può passare solo dalle armi e deve essere accompagnata da uno sforzo comune per il cessate il fuoco e per la costruzione di condizioni di pace non solo in Ucraina”.

Solo M5S e Verdi contrari

A votare contro tra gli italiani ci sono gli eurodeputati del M5S e i Verdi Piernicola Pedicini e Rosa D’Amato. Nel suo intervento in aula Pedicini ha sottolineato come “il diritto internazionale dice che l’invasione russa è illegale, esattamente come l’invasione Nato in Iraq, in Serbia in Libia e in Siria. Sono tutte guerre illegali, volute da ricchi, combattute da poveri e pagate da cittadini ancora più poveri. Perciò questa guerra, in realtà, è la solita guerra tra poveri”. Secondo Pedicini “questa Unione europea ha il denaro per le banche, ha il denaro per la guerra, ma non ha il denaro per i suoi poveri cittadini.

Per questo motivo ho votato ‘no’ alla risoluzione Asap. Noi in Ucraina non dobbiamo inviare munizioni, dobbiamo inviare soluzioni. Non dobbiamo esportare democrazia – ha concluso Pedicini – dobbiamo esportare diplomazia”. “Il M5S si schiera con fermezza contro la guerra in Ucraina”, ha dichiarato in una nota l’europarlamentare 5 stelle, Sabrina Pignedoli. “Respingiamo categoricamente l’idea di alimentare la macchina bellica: la priorità inderogabile dell’Unione europea, in questo momento, deve essere la promozione della diplomazia come unico mezzo per porre fine a questa follia distruttiva. Eppure, già in sede di voto sulla procedura accelerata il Parlamento europeo ha imboccato la direzione opposta, negando tra l’altro ogni possibilità di discutere estensivamente il testo e di intervenire sul regolamento stesso”.

Una linea ribadita anche dalla capodelegazione M5S, Tiziana Beghin: “L’approvazione al Parlamento europeo del regolamento a sostegno della produzione di armi getta una lunga ombra scura sull’Unione europea e sull’impegno per la promozione del processo di pace in Ucraina. Purtroppo, il nostro voto contrario non è servito a mettere un argine a questo provvedimento folle. Scegliere di finanziare l’economia bellica rappresenta un vero e proprio schiaffo al processo diplomatico: oggi ci allontaniamo ancor di più dal cessate il fuoco”.

Lo scontro s’è spostato in Parlamento dove il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, ha escluso durante il question time la possibilità che l’Italia utilizzi i soldi del Pnrr per le armi. A incalzarlo è stato il capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia che chiede che si voti in Aula: “Signor ministro, – ha detto Boccia – è necessario votare su questo ‘no’. Non ci bastano le sue parole, servono azioni del governo perché è evidente che il voto a favore dato oggi (ieri, ndr) dai gruppi di centrodestra presenti nel Parlamento europeo ci preoccupa, ragion per cui il Pd conferma la necessità di votare al più presto un atto di indirizzo che trasformi l’impegno del ministro Fitto in atti non più reversibili”. Anche il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio (Lega), promette che l’’Italia non userà soldi del PNRR per le armi. Sorge un dubbio: allora perché in Europa non hanno votato l’emendamento?

Leggi anche: Il Governo resta in trincea. Varato il settimo decreto aiuti per l’Ucraina. Bruciati altri miliardi in armi senza neppure un accenno alla pace

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Piano nazionale missili e munizioni

Ci avevano detto che sarebbe stata un guerra rapida e indolore. Si erano sbagliati, era facile da prevedere. Ora la guerra appare ogni giorno più lunga, inchiodata in uno stallo che sembra non preoccupare i governanti. Ci siamo abituati all’idea della convivenza del conflitto. Ci avevano detto che sarebbero state armi “solo difensive”.

L’hanno detto loro, l’hanno ripetuto in ogni dove. Poi con le “armi difensive” ci hanno comunicato che si stava preparando “la controffensiva”. Ma noi ormai ci siamo abituati alle bugie che bombardano tutte le guerre. Ci avevano detto che non avrebbero mai concesso all’Ucraina di allargare il conflitto sul suolo russo. Anche in questo caso: ce l’hanno detto loro.

Poi sono arrivati gli attacchi sul territorio russo – un innalzamento inevitabile e immaginabile dello scontro – e abbiamo avuto un fremito la prima volta, un singhiozzino la seconda e poi ci siamo abituati. Ieri Berlino, Londra e la Nato ci hanno spiegato che “Kiev ha il diritto di attaccare il territorio russo”. Si sono smentiti da soli ma noi ci abbiamo fatto l’abitudine. Ci avevano detto che non ci sarebbe stata “un’economia di guerra”. Anzi andavano ripetendo che le armi agli ucraini “non avrebbero intaccato i bilanci dei Paesi europei”.

Sia chiaro: sono stati loro a garantirlo. Ieri l’Eurocamera ha votato per aprire i cordoni anche del Pnrr che l’obiettivo ce l’ha scritto nel nome: Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ora è diventato anche Missili e Munizioni. Qui non si tratta di ribadire il diritto alla difesa di Kiev. Qui siamo immersi nell’acqua che poco a poco si scalda e sta cominciando a bollire. E noi siamo le rane.

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Nel Terzo Polo riciccia Moratti e riparte la rissa

Facce nuove nel cosiddetto Terzo polo. Lì nel centro dell’ex segretario sconfitto del Partito democratico Matteo Renzi e delle macerie di Carlo Calenda si propone come nome nuovo Letizia Moratti.

Renzi spinge l’ex sindaca di Milano Letizia Moratti in vista delle Europee. Un altro sgambetto all’odiato alleato Calenda

L’ex sindaca di Milano deve avere rimosso in fretta la magra figura alle ultime elezioni regionali lombardi dove ha raccolto meno del 10% con un misero 4% di Italia Viva e Azione che ai tempi fingevano di andare d’accordo. L’obiettivo sono le prossime europee. Con l’ambizione di allargare il campo ben oltre quel perimetro ristretto che è stato il Terzo polo. Letizia Moratti lunedì ha radunato mondi diversi e diaspore varie.

Popolari, riformisti, liberali, civici. Da Claudio Signorile a Giuseppe Fioroni, da Gaetano Quagliariello ad Alessandro De Nicola, dal padre degli arancioni milanesi Franco D’Alfonso a Mario Mauro, dal freschissimo sindaco di Taormina Cateno De Luca a Gianfranco Librandi. Al tavolo anche gli ex amici del Terzo polo. C’era Matteo Renzi. Assente Carlo Calenda.

A rappresentare Azione, Mariastella Gelmini. “Ma nessun problema – sottolinea Moratti – Abbiamo condiviso tutto”. Per adesso, è “un’alleanza” di forze diverse ma di pari dignità. In futuro, “una rete” che potrebbe presentarsi alle elezioni europee. Intervistata dal Corriere della Sera (edizione milanese, nemmeno quella nazionale) Moratti spiega: “Non la definirei un’area di centro, tantomeno in riferimento al Terzo polo. Quella che si è riunita ieri è una rappresentanza molto ampia che fa riferimento a importanti formazioni civiche, a movimenti e partiti di ispirazione popolare, liberale, riformista. Uno schieramento più ampio e diverso rispetto a ciò che viene normalmente definito Terzo polo o centro”.

L’ex sindaca di Milano conferma di voler “costruire una rete di alleanze cha sia capace di dare risposte a una società sempre più complessa. Abbiamo delle sfide epocali davanti a noi – aggiunge Moratti -: una guerra che continua alle porte dell’Europa, i conflitti per le risorse, le diseguaglianze che crescono. Ci sono sfide locali, nazionali ed europee. La necessità di rafforzare l’Europa ma anche la difesa degli interessi nazionali.

Per esempio, un welfare che valorizzi il terzo settore, il tema dell’esplosione demografica africana in parallelo alla denatalità italiana. Abbiamo la responsabilità di dare delle risposte e abbiamo bisogno che ognuno di noi metta di lato la propria provenienza ed esperienza che sono frutto di una politica del secolo scorso. Per un mondo nuovo ci vuole una proposta politica nuova”, dice Moratti.

Come nella migliore letteratura del cosiddetto Terzo polo non passa molto che arriva la prima mezza smentita. “Lavoriamo al rilancio di @Azione_it con proposte, lavoro sui giovani, territorio. Come andare alle elezioni europee lo decideremo a tempo debito discutendo con chi è dentro Renew e ne condivide progetto e valori. Sommatorie di sigle eterogenee non funzionano per nessuno”, spiega Calenda che si sfila immediatamente dall’operazione. Renzi invece sembra soddisfatto. Questo non stupisce: a Renzi interessa un nome – qualsiasi nome – pur di togliere spazio a Calenda. La sfida è concentrata nel debellare l’alleato. A vederla da fuori sembra una noiosa guerra fratricida. Ed è esattamente così.

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Schlein “riparte” ma il Pd si incaglia sul Pnrr in armi. A Bruxelles i dem votano a favore del Piano Asap proposto da Breton

Il giorno dopo del giorno dopo dell’analisi della sconfitta la segretaria del Partito democratico Elly Schlein schiaccia l’acceleratore. “A chi pensa sia finita, abbiamo solo cominciato. Abbiamo davanti un lavoro lungo, la strada è in salita ma non molleremo di un millimetro su quello che è il nostro progetto”, dice in una diretta Instagram che ha il sapore di essere un rilancio.“

La segretaria del Pd Schlein avvisa la fronda degli eurodeputati favorevoli alla proposta di Breton sull’invio di altre armi all’Ucraina

Il cambiamento non è un pranzo di gala, è scomodo. Abbiamo un lavoro lungo davanti. Mettetevi comodi, siamo qui per restare”. C’è un “lavoro lungo da fare – continua – coinvolgendo partito e territori. Andiamo avanti con le nostre battaglie. Non ci spaventano gli attacchi. Siamo qui per fare esattamente quello che diciamo. Noi non ci fermiamo, abbiamo da ricostruire una prospettiva e da dare una speranza a questo paese. Come si dice dalle mie parti: teniamo botta”.

La segretaria del Pd attacca il governo sul Pnrr (“Vengano in Parlamento a riferire cosa vogliono fare sul Pnrr”), sta al fianco di Stefano Bonaccini come commissario per le alluvioni in Emilia Romagna (“Serve un commissario che conosca i territori”, dice) e lo difende dalla destra che “viene fuori con una interrogazione contro l’Emilia Romagna, diffondendo fake news in un bieco tentativo di politicizzare la ricostruzione”.

Ma la segretaria parla anche al suo partito: “Non è per noi accettabile utilizzare i fondi del Pnrr e dei fondi di Coesione per produrre munizioni e armamenti”. La frase è una sfida aperta con la fronda interna dei cosiddetti “riformisti” che dopo le elezioni amministrative è partita all’attacco. Nella testa dell’opposizione interna i punti deboli di Elly Schlein su cui stanarla sono proprio le armi all’Ucraina.

Lei, la segretaria, rilancia: “Noi non abbiamo dubbi sul supporto all’Ucraina – spiega Schlein – così come siamo favorevoli a una difesa comune europea. Non è per noi” possibile “accettare di utilizzare le risorse del Pnrr per produrre munizioni. Soprattutto in Italia dove c’è un governo ambiguo sul Pnrr. I fondi non devono essere sottratti alle finalità previste – come nidi, scuole e case della salute – per andare in un’altra direzione. Domani al Senato chiederemo a Giorgia Meloni un impegno nero su bianco”.

Il messaggio era anche per i suoi a Strasburgo. Oggi c’era da dire sì all’Asap, acronimo di “Act in Support of Ammunition Production”, il provvedimento proposto dal commissario Thierry Breton per aumentare la capacità produttiva europea di materiale bellico da spedire a Zelensky per difendersi dall’aggressione di Putin. L’incontro tra gli eurodeputati e Schlein non aveva sciolto i nodi. Lia Quartapelle già ieri aveva incalzato Schlein: “Leggo dai giornali che ci sono alcuni colleghi che vorrebbero astenersi. Mi auguro che Schlein intervenga per tenere la barra dritta. Il Pd ha sempre votato sì, mutare orientamento non romperebbe solo l’unità dei socialisti europei, schierati decisamente a favore, ma pure l’unità del Pd: significherebbe cambiare la linea del partito sul conflitto in Ucraina senza averlo mai discusso da nessuna parte”, dice. Qui sta il punto.

Alla fine la soluzione è una mediazione che non fa male (né bene) a nessuno. Il Partito Democratico stamattina ha presentato l’emendamento voluto dalla segretaria sapendo che non sarebbe passato e la votazione ha potuto filare liscia. Gli astenuti del Pd, al momento del voto, sono stati sei: Piero Bartolo, Camilla Laureti, Alessandra Moretti, Patrizia Toia e Achille Variati. Moretti e Toia hanno poi detto di essersi sbagliate e che avrebbero voluto votare a favore. A conti fatti: 10 europarlamentari dem hanno votato Sì.

Ma l’unità del Pd di cui parla la minoranza non è nient’altro che un filoatlantismo invocato come un mantra. A Schlein si chiede di rinnovare il Pd tenendolo allineato ai suoi dogmi peggiori: non essere troppo di sinistra, non elaborare un pensiero al di fuori del sistema. Per questo il M5S viene usato come clava: l’avvicinamento ai grillini viene visto come un tentativo di uscire dall’allineamento di quelli che vorrebbero il nuovo Pd come il peggiore Pd di questi ultimi anni. Cambiare perché nulla cambi, fingendo di essere cambiati. Sperando (chissà perché) che gli elettori ci caschino.

 

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L’ex Nar Fioravanti dalle bombe di destra alla penna… sinistra

La firma dell’autore della strage di Bologna su l’Unità? Sì, è proprio così. Valerio Fioravanti è una nuova firma del quotidiano fondato da Gramsci e resuscitato da Alfredo Romeo, sotto la direzione di Piero Sansonetti. Ed è proprio quel Fioravanti, già esponente dei Nuclei armati rivoluzionari, neofascista ed eversivo, condannato per la strage alla stazione di Bologna.

Bolognesi: “È una vergogna che Valerio Fioravanti scriva su un giornale, poi è una vergogna che scriva su un giornale che si chiama l’Unità

Una carneficina che il neo collaboratore de l’Unità ha sempre negato di aver compiuto, nonostante una condanna definitiva all’ergastolo. I primi a non crederci sono i parenti delle vittime di quella strage: “Innanzitutto è una vergogna che Valerio Fioravanti scriva su un giornale, poi è una vergogna che scriva su un giornale che si chiama l’Unità. Ma è ancora più vergognoso che il direttore Sansonetti faccia scrivere uno pseudo giornalista. Più chiaramente: noi siamo schifati”, dice Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage nel capoluogo emiliano.

Federico Sinicato, avvocato dei familiari delle vittime della strage di piazza Fontana a Milano e piazza della Loggia a Brescia, ricorda che “tutti i detenuti e i condannati hanno diritto ad avere una progettualità di vita, secondo i principi costituzionali. Tuttavia – dice il legale – questo non significa che tutti possano fare tutto. Ci sono anche la dignità e i diritti delle vittime che vanno difese. Offrire spazi mediatici a una persona che si è macchiata, tra gli altri, del reato di strage non è accettabile”.

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Quella orrenda tentazione di fare fuori il controllore

Una delle principali preoccupazioni del governo è esautorare la Corte dei conti dal controllo dello stato di avanzamento del Pnrr. È già pronto l’emendamento al decreto Pa che abolisce il “controllo concomitante” dei giudici contabili sull’utilizzo dei fondi del Piano, cioè il meccanismo di monitoraggio “in itinere” da parte della Corte sui “ritardi” e sulle “irregolarità gestionali” nell’attuazione del Piano, introdotto dal decreto Semplificazioni del 2020 e attivabile su richiesta delle commissioni parlamentari.

Contemporaneamente verrà prorogato lo scudo erariale. “La norma – si legge nelle bozze – chiarisce che il dolo va riferito all’evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica”. “Inoltre, fino al 31 luglio 2021, si limita la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità al solo profilo del dolo per le azioni“. Significa che saranno perseguibili le ipotesi di danno erariale sono in caso di dolo, e quindi commessi in modo intenzionale. Gli altri casi, quelli colposi – cioè i reati commessi senza esplicita volontà – non saranno perseguibili. Una misura che secondo l’associazione di giudici e pm contabili “ha aperto uno spazio di impunità che va a vantaggio del funzionario infedele e di chiunque sperperi le risorse pubbliche”.

La baruffa è cominciata quando a inizio maggio il Collegio del Controllo concomitante della Corte dei conti ha messo nero su bianco il “serio pericolo” che il governo non raggiungesse gli obiettivi del Pnrr. Il ministro Fitto aveva risposto scrivendo una lettera a Il Sole 24 Ore in cui non spiegava – come ci si aspetterebbe – il ritardo ma contestava il controllore. Ora hanno fatto di meglio: l’hanno abolito.

Buon giovedì.

Nella foto: il ministro Fitto, frame del video della conferenza stampa sul Pnrr, 31 maggio 2023

 

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