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Riscrivere la storia dell’Antimafia. Ecco il vero piano delle destre

A loro non interessa la Commissione Antimafia. Quello è solo uno dei tanti orpelli che servono per corroborare la narrazione. E la narrazione sulla mafia di questo governo è spaventosa perché nega gli ultimi 30 anni di storia di questo Paese. L’elezione di Chiara Colosimo come presidente è l’ennesimo anello di una riscrittura generale della storia.

Colosimo in sella alla Commissione Antimafia è l’ultimo anello. La macchina della contronarrazione è già al lavoro

Accade in tutti i campi, figurarsi se poteva mancare un tema così sensibile come la criminalità organizzata su cui il centrodestra ha ancora molto da spiegare. Negare gli accadimenti e se possibile ribaltarli. Il primo passo consiste nel sotterrare le notizie: che un ex sottosegretario come Nicola Cosentino, uomo forte di Silvio Berlusconi in Campania e collega di governo di Giorgia Meloni, sia stato condannato in via definitiva come punto di riferimento politico dei Casalesi è passato sotto traccia.

Poco si è parlato anche dell’assoluzione di Roberto Saviano che fu querelato dall’attuale ministro Gennaro Sangiuliano per essere stato definito “galoppino” di quello stesso Cosentino. è solo una delle tante notizie sparite dai radar del dibattito pubblico: l’importante è tenere separata la mafia dalla politica per poterla normalizzare. È una lezione che conosciamo da decenni. È naturale che in uno scenario di questo tipo anche la riabilitazione di Marcello Dell’Utri (e il silenzio sul ruolo di Berlusconi) diventino un gioco da ragazzi.

A ricordaselo sono i giovani che sfilano a Palermo che vorrebbero urlarlo al sindaco Lagalla e al governatore Schifani. Non c’è problema, basta manganellarli. L’altro ieri in Aula il senatore Maurizio Gasparri ha mostrato le coordinate del revisionismo: “C’è chi ha concretizzato l’opera e l’azione di Falcone e chi lo ha contrastato da vivo e lo ha celebrato da morto. E anche su Borsellino, c’è chi ha archiviato l’inchiesta su mafia e appalti, ci sono le firme. Eh, lo so, ce ne sono anche in quest’Aula…”. Il riferimento è chiaro: il campione dell’antimafia sarebbe Berlusconi e il nemico di Borsellino dovrebbe essere l’ex magistrato Roberto Scarpinato, oggi senatore del Movimento 5 Stelle. Anche questo è un veleno che circola da tempo. Per svilire l’antimafia basta delegittimare i simboli.

Peccato che proprio su questa vicenda siano stati condannati per diffamazione lo scorso febbraio i giornalisti Piero Sansonetti e Damiano Aliprandi. Il reato? Lesione della reputazione dello stesso Scarpinato e del magistrato Guido Lo Forte accusati di avere “affossato” un’inchiesta che invece non è mai stata archiviata. La narrazione di questa maggioranza però della verità storica e perfino della verità processuale se ne frega. Quello che conta è occupare i posti per moltiplicare le voci che spandono menzogne.

Così 31 anni dopo accade serenamente che si possa definire il maxi processo istruito da Falcone e Borsellino come simbolo della “perversione di un sistema giurisdizionale trasfigurato in missione sociale, l’aberrazione dell’azione penale che esporta l’ordine costituzionale e la legalità andando a strascico nel territorio-canaglia”. Lo scrive il “riformista” sito de Linkiesta – mica Libero o Il Giornale – spiegandoci che Falcone ”pur in perfetta buona fede, e pur dedicandovisi al costo della vita ebbe del proprio ruolo un’idea molto discutibile: e della giustizia in generale un concetto missionario in nome del quale magari si è fatto male alla mafia, ma sicuramente non si è fatto bene a quel che si dice lo Stato di diritto”. La narrazione anti-anti-mafiosa è servita.

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Dopo razza ed etnia ci mancava il ceppo. Per Lollobrigida non c’è speranza

Razza l’ha detto, etnia pure. Ora ha sputato fuori anche il ceppo. Il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, cognato d’Italia lo immaginiamo curvo sul vocabolario a scorrere i sinonimi. Domani lo immaginiamo mentre parla di stirpe italiana, o casato italico, oppure c’è il ceppo (anche se si presta a facili battute). O potrebbe stupirci con la prosapia o la schiatta.

Neppure lo schiaffo assestato da Mattarella ha sortito effetti. Il ministro Lollobrigida ora s’inventa Manzoni padrino del matrimonio

Ciò che conta è non perdere il collegamento carezzevole con quell’idea malsana e un po’ matta del popolo da difendere dalla futuribile sostituzione etnica. Probabilmente è anche abbastanza sconsolato bel vedere che la cognata Giorgia Meloni e l’alleato Matteo Salvini l’hanno lasciato solo in questa quotidiana battaglia di retroguardia.

Di certo sono rimasti addosso alla maggioranza i segni delle cinque dita lasciati dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che in occasione del centocinquantesimo anniversario della morte di Alessandro Manzoni ha dovuto scartare per un attimo dal campo della letteratura e spiegare che “è la persona, in quanto figlia di dio, e non la stirpe, l’appartenenza a un gruppo etnico o a una comunità nazionale, a essere destinataria di diritti universali, di tutela e di protezione. È l’uomo in quanto tale, non solo in quanto appartenente a una nazione, in quanto cittadino, a essere portatore di dignità e di diritti”.

Siamo certi che Mattarella avrebbe voluto ripetere il discorso tenendo il ministro per l’orecchio ma il Presidente in tema di cortesia istituzionale, anche nel redarguire, è sempre stato un maestro. Dopo essere stato sculacciato dal suo Presidente della Repubblica, dopo avere già guadagnato una pessima figura quando si scusò di aver parlato di sostituzione etnica confessando che era “per ignoranza” e non “per razzismo”, un ministro della Repubblica potrebbe ritirarsi di buon ordine. In una Paese normale ci si aspetterebbe che presenti le dimissioni; nel Paese impudico e impunito che siamo ci si aspetterebbe almeno che il ministro rifletta. E invece no.

Lollobrigida decide di rilasciare un’intervista in cui dice “Ma no, io credo che il Presidente Mattarella, se avesse voluto riferirsi a me, avrebbe fatto in modo che lo sapessi prima”. Il cognato d’Italia ha scambiato Mattarella per l’insegnante di sostegno, il tutor dei membri del governo. Forse ha ragione il ministro: Mattarella ha deciso di scrivere quella parte del suo discorso per rispondere a un passante con cui aveva litigato precedentemente dal salumiere. Dice Lollobrigida: “Io ascolto sempre con deferenza le parole del presidente della Repubblica, come quelle del Papa. Non penso che vadano interpretate. Altrimenti rischieremmo di strumentalizzarle”.

Il ministro non ha voluto sforzarsi di capire a chi si riferisse Mattarella per non strumentalizzare le sue parole. Lo aiutiamo noi: parlava di lui. Nella sagra delle bestialità si aggiunge Manzoni come padrino della famiglia tradizionale (“C’è stato un autore italiano, come colui che ha scritto i Promessi sposi, che più ha trasmesso il concetto di matrimonio e dunque di famiglia”, chiede Lollobrigida) e cultore del “Dio, patria, famiglia”: “L’Italia, per Manzoni, è ‘una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor’. C’era un forte contenuto patriottico nelle sue opere”, ci spiega Lollobrigida che conclude: “Io so solo che mi sono stufato di precisare in continuazione. Anzi, ho proprio rinunciato”. Meglio così, ministro. Ci rinunci.

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Il giorno nero dell’antimafia

Il primo record di cui avremmo volentieri fatto a meno è la presidenza della Commissione antimafia un nome sgradito ai familiari delle vittime di mafia. Le perplessità legate alla fedelissima di Giorgia Meloni sono state, fin dall’inizio, legate alla sua inesperienza sul tema in un Paese in cui di professionalità antimaf ce ne sono moltissime. Poi è arrivata la famosa puntata di Report (che non a caso qualcuno vorrebbe chiudere) sulla presunta vicinanza tra Colosimo e Luigi Ciavardini , l’ex estremista nero dei Nar, condannato a 30 anni per la strage di Bologna. Dalle parti di Fratelli d’Italia avevano spiegato che la foto che ritraeva Ciavardini e Colosimo fosse legata a una serie di eventi di associazioni che si occupano di carcere. Nella maggioranza non hanno trovato un altro nome in grado di rassicurare i familiari delle vittime.

M5s, Pd e Avs hanno fatto muro all’elezione di Colosimo alla presidenza. Poi sono tornati in Aula per leggere vicepresidenti e segretari. Accade così che come vice della probabile peggiore presidente della Commissione antimafia nella storia d’Italia ci sia l’ex procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho, ora deputato del Movimento 5 Stelle. A chi ha sottolineato il controsenso di contestare la presidente per poi farne da vice l’ex magistrato Roberto Scarpinato (senatore M5S) spiega che dovevano «avere uno spazio all’interno dell’Ufficio di presidenza per fare le nostre proposte». Vedremo l’evolversi di questo inizio nefasto. De Raho stamattina spiega che nel suo ruolo vigilerà sui processi sulle stragi. Colosimo intervistata da Libero attacca già la minoranza. Ci sono già tutti gli elementi per l’inopportuno errore politico dell’opposizione.

Ieri, durante la commemorazione per la morte del giudice Giovanni Falcone, alcuni poliziotti hanno bastonato il popolo di Palermo in corteo con la Cgil e altre sigle. In città l’ultimo episodio in cui si usò la forza contro i cittadini palermitani per questioni di mafia e di antimafia risale ai tempi del funerale di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti di scorta. Non proprio un bel presagio. I politici da difendere in questo caso sono il sindaco di Palermo Roberto Lagalla e il presidente della Sicilia Renato Schifani, eletti anche con la spinta elettorale di due condannati per mafia come Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro. 31 anni dopo anche i cognomi sono gli stessi.

È la cronaca cruda di una giornata nera anche nei simboli.

Buon mercoledì.

 

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C’era una volta Prima gli italiani. L’alluvione spazza via l’ultimo slogan delle destre

L’hanno ripetuto allo sfinimento “prima gli italiani”. “Prima gli italiani” era il mantra inserito in qualsiasi discussione per evidenziare la presunta incapacità dei loro avversari politici. Bisognava aiutare una popolazione in difficoltà o bisognava accogliere dei rifugiati? “Prima gli italiani”, urlavano a squarciagola. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni – in buona compagnia del suo alleato Salvini – era pronta a perlustrare i cassonetti della cronaca nera pur di dimostrare che si spendevano soldi per “aiutare gli stranieri mentre gli italiani di casa nostra sono indigenti e i terremotati sono ancora nelle tende”.

Sulle armi all’Ucraina imposte dalla Nato il Governo non bada a spese. Ma per gli sfollati dell’alluvione c’è solo un terzo del necessario

Il benaltrismo funziona, ma solo se si è all’opposizione. Per questo con l’Italia travolta dal fango e con migliaia di sfollati che non riescono a trovare la speranza per dirsi che ce la faranno a ripartire ora quel “prima gli italiani!” ha l’effetto di un boomerang. I romagnoli con la faccia che lacrima terra e pioggia sono l’esempio perfetto delle difficoltà su cui questa destra ha costruito il suo impero di consenso. Se al governo al posto di Matteo e Giorgia ci fosse stato chiunque altro i social vomiterebbero ogni secondo la lista della spesa da sbattere in faccia con l’accusa di mancanza di amore della Patria. Farla ora è facilissimo.

Il decreto del Consiglio dei ministri per l’alluvione è un compitino senza nessuno slancio. Lo sa benissimo Giorgia Meloni che infatti manda in avanscoperta a chiarire che “i risarcimenti per tutto quello che stiamo vedendo ovviamente non si esauriranno con il decreto di oggi. Ci saranno le stime, le quantificazioni, ci sono le strade da ripristinare. Adesso siamo ai primi provvedimenti che riguardano i mutui, i pagamenti da bloccare, le cose che purtroppo conosciamo in queste occasioni che non sono uniche nella storia del Paese”.

Prendere tempo è la strategia, la solita. Non si può non notare però che questo Consiglio dei ministri sia arrivato tardi perché – dicevano – serviva il tempo per riuscire a fare qualcosa di speciale. Di speciale non c’è nulla. Si parte dal nome del decreto, perché i nomi sono importanti: “decreto alluvioni”. L’importante è evitare qualsiasi possibilità di collegamento con la tragedia in Romagna con la crisi climatica. È un tamponare una diga con i tappi di sughero: la politica del raccontare le alluvioni come un fatto “eccezionale” è il primo enorme errore.

Immersi nella loro propaganda dalle parti del governo temono che prevenire sia un sinonimo di presagire e non vogliono essere uccelli del malaugurio. È sostanzialmente la strategia che avrebbero voluto attuare per il Covid: aspettare che passi. Così il famigerato decreto Alluvioni è una lunga lista di soluzioni emergenziali che servono, eccome, ma che tradiscono la mancanza di qualsiasi disegno politico. “Prima gli italiani!”, dicevano ma ora che sono loro al posto di quelli impallinavano rispondono allo stesso modo: “Non ci sono soldi”.

Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha detto che “il governo sta pensando a risorse provenienti da lotterie aggiuntive e dal ricavato delle aste di auto sequestrate alla criminalità organizzata”. Ricostruire una regione in ginocchio con i soldi delle lotterie e con i soldi (che da sempre non si riescono a ottenere) dalle aste di auto rende perfettamente l’idea del navigare a vista senza una traiettoria. “Complessivamente questo primo provvedimento prevede uno stanziamento di oltre 2 miliardi di euro per le zone colpite”, dice la presidente Giorgia Meloni. 2 miliardi di euro nel bilancio dello Stato, cari populisti sovranisti, sono briciole.

Si potrebbe a questo punto stendere un editoriale facile come quelli che appaiono nei quotidiani megafoni di questo potere. Due miliardi di euro sono 1/7 dei costi per il trasognato Ponte sullo Stretto che state regalando a Salvini per farlo giocare a fare il ministro. Due miliardi di euro sono meno di un decimo rispetto a ai 26,5 miliardi stimati di spesa militare per accontentare il ministro della Difesa Guido Crosetto. Compriamo elicotteri con i soldi che basterebbero per rimettere in piedi tutti gli agricoltori, tutti i cittadini, tutte le strutture pubbliche delle prossime 15 alluvioni.

“Prima gli italiani” diventa un “prima i nostri italiani”: persino Stefano Bonaccini rimane in bilico come commissario per l’emergenza, quando da sempre il presidente di Regione è stato il nome indicato. “Prima gli italiani”, urlavate, e ora per non regala uno spicchio di visibilità a quello che voi considerate un avversario (anche con gli stivali pieni di fango) siete pronti a pensare “prima ai vostri amici di partito”.

Siete così preoccupati degli italiani sfollati che avete trovato il tempo di inserire nel decreto anche una bella norma per i rigassificatori: una semplificazione della “disciplina in materia di realizzazione di nuova capacità di rigassificazione nazionale e si qualificano come opere di pubblica utilità, indifferibili e urgenti, quelle a ciò finalizzate mediante unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione“, come riferisce il comunicato di Palazzo Chigi. “Prima gli italiani”, urlavate e invece questo governo è smascherato: gli italiani sono lì a sperare nei riavi del Superenalotto per ricomprarsi la casa.

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La destra accelera sul reato di maternità surrogata

Un’ossessione. Sulla regolarizzazione della maternità secondo i canoni dall’amore tradizionale il governo accelera e si inventa la gestazione per altri (dispregiativamente chiamata “maternità surrogata”) come “reato universale”. La proposta di legge a prima firma di Carolina Varchi (Fratelli d’Italia) che ne è anche relatrice dovrebbe arrivare in Aula i primi di giugno. La pdl è in Commissione Giustizia Montecitorio.

La proposta di legge, a prima firma di Carolina Varchi (FdI), punta a introdurre il reato universale di maternità surrogata

“L’arrivo in Aula alla Camera sarà calendarizzato per giugno, sto lavorando per questo” conferma Varchi. Tra gli emendamenti c’è anche quello di Forza Italia che prevede il carcere da uno a tre anni e una multa da 600mila a un milione di euro per chi, all’estero “in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”. L’emendamento è firmato da Tommaso Antonino Calderone.

“Si userà tutto il tempo e i modi possibili per fermare questo obbrobrio”, attacca Riccardo Magi, segretario di +Europa, rispondendo a chi gli chiede se le opposizioni stiano valutando di fare ostruzionismo sul reato universale di maternità surrogata in discussione in commissione. “Più che fare ostruzionismo – dice – si tratta comunque di fare emergere quanto l’idea di istituire un reato universale per la Gpa sia una bestemmia da un punto di vista del diritto, non solo senza fondamento giuridico ma espressione di una impostazione ideologica che in ultima istanza colpirebbe le bambine e i bambini”.

Il Centrosinistra parla di legge inutile con cui si punta a distogliere l’attenzione dai grandi problemi del Paese

Il dibattito si è acceso lo scorso dicembre quando la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di due papà il cui figlio era nato in Canada. Nel verdetto si legge che solo il padre che ha donato il seme può essere trascritto all’anagrafe come genitore. A cascata la decisione – cavalcata dal Governo – ha attivato gli uffici dell’anagrafe per non trascrivere il genitore non biologico. “In Italia la maternità surrogata è già vietata dalla legge sia per le coppie etero che per quelle gay. La propaganda della destra è solo una fake news”, ricorda il deputato dem e responsabile diritti della segreteria nazionale del Pd Alessandro Zan – che parla di un “tentativo in puro stile Orbán di discriminare i bambini, con lo scopo di criminalizzare i genitori dello stesso sesso”.

Ma sul tema i partiti si dividono. Mara Carfagna e Elena Bonetti (rispettivamente di Azione e Italia Viva) sono sostanzialmente d’accordo con il Governo ma anche la capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera Luana Zanella si dice “totalmente contraria alla pratica della gpa”, anche se, dice “trovo propagandistico il progetto di legge che ne vuole fare un reato universale”: “laddove esiste un ostacolo insormontabile alla maternità o alla paternità è giunto il momento di trovare una soluzione in un sistema di adozioni che consenta ai single e alle coppie etero, lesbiche e omosessuali di poter accedere in tempi adeguati, sicuramente non biblici”, spiega Zanella. “L’adozione è un percorso bellissimo e giusto ma le procedure vanno snellite e lo dico da persona consapevole”, dice Patrizia Marrocco, deputata di Forza Italia, che invita a “sveltire le procedure”.

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Il silenzio che uccide

Letteralmente è il silenzio che ha ucciso le 43 persone a Genova sul ponte Morandi. Se dice il vero il più potente manager della famiglia Benetton, Gianni Mion, è accaduto che durante una riunione nel 2010 qualcuno abbia deliberatamente deciso di tacere: “Ci fu un incontro sul Ponte Morandi che io ricordo come memorabile. – dice Mion di fronte al pm Massimo Terrile – Una riunione di alto livello in cui si parlò di quel difetto originario di progettazione. I tecnici ci dissero che quel problema creava perplessità sul fatto che il ponte potesse ‘stare su’. Chiesi se qualche ente esterno ne avesse attestato la sicurezza, e il direttore generale Riccardo Mollo mi rispose che la sicurezza del ponte ‘ce la autocertificavamo’. Questa risposta sembrava assurda solo a me, perché constatavo invece che, a tutti gli altri partecipanti, compreso Castellucci, pareva tutto normale, sembrava che nessuno si preoccupasse o avesse dubbi di alcun genere. La cosa mi lasciò allibito e sconvolto, anzi più esattamente terrorizzato. Mi sentivo tutt’altro che tranquillo, non mi fidavo, non condividevo il metodo, pensavo bisognasse coinvolgere il ministero, e anche per questo nel 2013 decisi di lasciare l’incarico nel Cda di Atlantia”.

Una colpa che si trascina anche dopo il crollo: “Ricordo che telefonai a Castellucci, tre giorni dopo il crollo – spiega Mion al magistrato – chiedendogli esplicitamente di chiedere scusa, di stanziare una grossa cifra per i primi risarcimenti e dimettersi. Lui non fece niente del genere e, su questo, trovò l’appoggio iniziale della proprietà che, per me, non si era resa conto dell’entità della tragedia e degli effetti devastanti che produceva sull’immagine loro e delle loro imprese: la reputazione dei Benetton, mi confermò la sondaggista Ghisleri, era morta e sepolta”.

Le parole di Mion smontano in toto la tesi difensiva su cui puntano Autostrade per l’Italia e gli imputati per i 43 morti di Genova, a cominciare dall’ex amministratore delegato, Giovanni Castellucci. Autostrade ripete che il crollo del ponte sia dovuto a un vizio che definiscono “occulto”. Ora non resta che vedere cosa accadrà nel processo. A proposito del processo: secondo il pm, proseguendo con questo ritmo si dovrebbe finire a dicembre del 2025. A febbraio 2026 arriverebbero le prime prescrizioni.

Buon martedì.

Nella foto: frame di un video che riprende il crollo del ponte Morandi (LiguriaOggi redazione)

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Oggi parte la Commissione Antimafia. La peggiore mai vista in Parlamento

Qualcuno dice che sia semplicemente “vox”, uno spiffero che circola ma che non ha nessun riscontro, qualcun altro, un esperto senatore del Pd, dice che sia soltanto “una fake news”. Ieri nei corridoi del Parlamento ha circolato insistentemente la voce che il Movimento 5 Stelle e la maggioranza fossero in trattativa per la vicepresidenza della Commissione Antimafia.

Meloni blinda la fedelissima Colosimo alla presidenza della Commissione Antimafia. Voci e smentite di trattative con i 5S per la vice presidenza

Chi è riuscito a parlare con Roberto Scarpinato (senatore M5S che qualcuno indica come possibile vice) assicura che non ci sia nessun margine di trattativa. Scarpinato tra l’altro è anche membro del Copasir e difficilmente potrebbe occupare due posizioni così delicate. Che la voce sia stata ripesa da Il Riformista diretto da Matteo Renzi aggiunge il sospetto che si possa trattare di un’illazione. “Ma allora perché non smentire?”, si domanda qualcuno nel Pd. “Che Giuseppe Conte abbia trattato con il governo, com’è accaduto sulla Rai, è un’evidenza. Speriamo che si tratti davvero solo di retroscena”, dicono i dem.

I giochi sulla presidenza intanto sono fatti: Giorgia Meloni non ha arretrato di un millimetro sulla scelta della fedelissima Chiara Colosimo (nella foto) come presidente. A nulla sono valse le lettere dei familiari di vittime di mafia che chiedevano un passo indietro per la deputata di Fratelli d’Italia per la presunta amicizia tra Colosimo e l’ex Nar Luigi Ciavardini. Tenere il punto su Colosimo a Giorgia Meloni serva anche per sopire i veleni interni, con l’ala rampelliana del suo partito che starebbe usando la presidenza della Commissione Antimafia per un regolamento di conti interno. Sempre a proposito di senso di responsabilità verso l’importanza della Commissione.

Le riunioni nella minoranza si moltiplicano. Anche in questo caso non c’è dialogo e coordinamento tra i partiti all’opposizione. Non si sa quindi se la vicepresidenza possa essere ceduta a un partito di opposizione o se si decida alla fine di puntare su Mauro D’Attis, di Forza Italia. La Commissione Antimafia in questa legislatura è un rischio per tutti. Nella maggioranza sono consapevoli che l’argomento che scotta, come accade da trent’anni in Italia, è quel pezzo di Forza Italia (Silvio Berlusconi in primis) che risulta ancora sotto indagine a Firenze per l’epoca stragista.

Non basterà una poderosa campagna stampa intenta tutti i giorni a ripulire Marcello Dell’Utri e a dileggiare le evidenze riscontrare nel processo sulla trattativa che molti fanno finta di non vedere al di là dell’esito giudiziario. Per la minoranza il rischio è quello di legittimare una Commissione illegittimabile per un misero posto al sole che di fatto imbriglierebbe nella polemica politica.

Oggi alle 13, nel giorno simbolico del 31esimo anniversario della morte di Giovanni Falcone, Colosimo dovrebbe essere eletta presidente. Gli alleati non si opporranno Pd, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra ripetono che non voteranno Colosimo e chiederanno fino all’ultimo al Governo di trovare un altro nome (che non c’è). Italia Viva e Azione invece sarebbero intenzionate a votare l’esponente di Fratelli d’Italia.

Nel giorno della morte di Giovanni Falcone ci prepariamo alla Commissione antimafia che ha tutti i difetti, tutti i nodi politici, tutto l’interesse per essere la peggiore Commissione antimafia mai vista. “L’antimafia potrebbe saltare un giro” diceva su queste pagine qualche giorno fa Attilio Bolzoni. Qualcuno la lesse come un provocazione, in realtà è un auspicio.

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Omicidio Attanasio: stavano scherzando

Diceva Giorgia Meloni lo scorso febbraio: «Ricordare Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci non è solo un dovere istituzionale, ma un atto di giustizia e di amore. Verso le loro famiglie (…) che possono contare sul sostegno delle istituzioni per conoscere la verità su quei tragici fatti. Verso la nostra Nazione, che con orgoglio può rendere omaggio al sacrificio di due servitori dello Stato…». Stava scherzando.

Il prossimo 25 maggio si terrà l’udienza preliminare del procedimento italiano. Palazzo Chigi ha qualche giorno per costituirsi parte civile ma ancora il governo non lo ha deciso. A pesare sul procedimento per la morte di Attanasio potrebbe essere una questione “diplomatica” che riguarda l’immunità (o meno) dei due dipendenti del Pam. E il Pam è un’agenzia dell’Onu, il che vuol dire anche gli alleati americani. Così il sospetto è che Palazzo Chigi stia prendendo tempo per non turbare le sensibilità diplomatiche.

Gli indagati infatti sono due dipendenti del Pam in servizio nella Repubblica democratica del Congo, per i quali la Procura di Roma a novembre scorso ha chiesto il rinvio a giudizio. Sono accusati di non aver predisposto “per negligenza, imprudenza e imperizia, ogni cautela idonea a tutelare l’integrità fisica dei partecipanti alla missione” di quel 22 febbraio 2021. Quando la Procura ha iscritto i due funzionari è stato sollevato un problema di immunità, che però il pm Sergio Colaiocco ha escluso. Sarà il giudice a decidere sull’immunità. «Il governo è ancora in tempo per costituirsi parte civile, non tradisca due servitori dello Stato uccisi mentre erano in sevizio e svolgevano con onore il loro lavoro» ha detto ieri Domenica Benedetto, la fidanzata di Vittorio Iacovacci, il carabiniere che faceva da scorta all’ambasciatore italiano.

Anche il padre del diplomatico italiano ha pochi dubbi: «Sono più importanti le relazioni con le Nazioni Unite o l’onore di un Paese che deve pretendere verità e giustizia per i suoi caduti e per la loro memoria Lo Stato deve far vedere da che parte sta», dice in un’intervista al Fatto Quotidiano. A proposito di avvocatura di Stato vale la pena ricordare che negli ultimi mesi è già stata revocata la costituzione di parte civile nei processi a Berlusconi (a Milano e a Bari), nel caso della strage di Piazza della Loggia invece la richiesta è arrivata in ritardo ed è stata respinta dal giudice. Sul procedimento a carico dei torturatori di Giulio Regeni Giorgia Meloni e il ministro Tajani, convocati dal gup, non si sono presentati, causa “segretezza” dei colloqui con il presidente egiziano Al-Sisi.

Buon lunedì.

Nella foto: l’ambasciatore Luca Attanasio, frame di un video di Unica Tv

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La Roccella e il gran romanzo dei frignoni

La vicenda ormai la conosciamo tutti. La ministra alla Famiglia tradizionale Eugenia Roccella, degna rappresentante del partito di Giorgia Meloni trattata in giro per il mondo come un Orbán qualsiasi, si presenta al Salone del libro di Torino e viene giustamente contestata per le sue posizioni antiabortiste che avrebbero fatto schifo già 50 anni fa.

La ministra Roccella lamenta la mancanza di democrazia mettendo alla pari la sua posizione che le permette di fare le leggi con quelli che le sue leggi le hanno subite

Qui inizia il romanzo dei frignoni, maestri nel genere letterario del vittimismo. Un piccola nota prima di iniziare: lamentarsi di essere censurati mentre si è al governo in qualsiasi tempo e in qualsiasi Paese sarebbe una sindrome da affidare alla psichiatria, non potrebbe mai diventare un elemento serio di dibattito politico. Da noi invece va così.

La ministra Roccella lamenta la mancanza di democrazia mettendo alla pari la sua posizione che le permette di fare le leggi con quelli che le sue leggi le hanno subite. In sostanza dice che questo Paese è antidemocratico perché lei ha potuto fare leggi che impattano tutti i giorni sulla vita reale delle persone ma vorrebbe anche essere applaudita ovunque vada, scambiando il Salone del libro per una lunghissima e vastissima puntata di una trasmissione di Bruno Vespa.

“Avrebbero dovuto farla parlare”, dicono i maestri di democrazia con l’anima nera. La democrazia invece è pienamente esercitata: la ministra Roccella ha democraticamente fatto le leggi con il suo governo e quelli legittimamente le urlano in faccia che le sue leggi fanno schifo. L’autoritarismo di questo governo incapace nel proprio ruolo sta nelle faccette di Giorgia Meloni quando le dicono qualcosa di sgradito e nei peana di destrorsi (anche travestiti da liberali) che rivendicano il diritto per Roccella di fare marchette promozionali indisturbata.

“Avrebbero potuto partecipare al dibattito”, dicono. E già. Il dibattito post legem è l’elemosina che dovrebbe accontentare chi si ritrova ad avere la vita stravolta dall’impudico legiferare di questi? Il dibattito in un Paese democratico avviene prima. Dai, su non scherziamo. Contestare il potere è un dovere democratico. Coloro che in questi giorni stanno denunciando la “violenza” dei contestatori sono gli stessi che bastonano la minoranza, corroborando il gran romanzo dei frignoni. Siamo un Paese in cui molti giornali titolano contro i leader dei partiti che on governano, sentendosi alfieri di chissà cosa, quando sono semplici camerieri del potere.

A chiudere il desolante quadretto arriva di corsa la legionaria deputata Fdi Augusta Montaruli che invita il direttore del Salone Nicola Lagioia a “vergognarsi con tutti i soldi che prendi”. Augusta Montaruli è un pregiudicata in via definitiva per avere usato soldi pubblici per fini privati. Passa la buriana e il partito di maggioranza nel Paese sciorina comunicati stampa in cui esulta per essersi tolto di mezzo il direttore Lagioia il prossimo anno. Il prossimo Salone del libro si potrebbe pensare a uno stand dei frignoni, dedicato alla letteratura di genere. In omaggio magari si potrebbe dare un corso accelerato sulla gestione del dissenso.

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WikiLeaks l’aveva scoperto. Per gli Stati Uniti il Pd e la destra sono lo stesso

La Repubblica ne è felice, non è difficile da immaginare. Lorenzo Guerini (ex uomo di punta del Pd caduto in piedi come uomo di punta della corrente dei riformisti del Pd prima di cadere anche da lì, ma sempre in piedi, alla presidenza del Copasir) e il ministro alla Difesa Guido Crosetto “convergono”.

Così il direttore di Repubblica Maurizio Molinari che al Salone del libro di Torino presentava la sua ultima opera attorniato dai due politici può dire con molta soddisfazione che i due esprimono “una convergenza di valori, di contenuti e di approcci strategici sulle questioni di fondo internazionali”.

Repubblica… a stelle e strisce

Il Paese che sognano: un Paese i cui fili siano tenuti insieme da partiti che concordano su tutti i temi fondamentali (per loro): guerre, alleanze internazionali, sistemi economici, equilibri geopolitici e parterre. A nessuno viene il dubbio che se destra e sinistra la pensano allo stesso modo e si assomigliano così tanto sia inevitabile la tentazione di non alzarsi nemmeno dal divano per andare a votare il Guerini e il Crosetto di turno poiché la fine della storia è prevedibile in entrambi i casi.

La questione di fondo, anche in questo caso, solo apparentemente è la guerra in Ucraina: ciò che conta è essere d’accordo sulla posizione atlantica. Ieri sulla questione è intervenuta anche la giornalista Stefania Maurizi (che fin dal 2009 ha lavorato con Julian Assange e il team di Wikileaks): “è esattamente lo scenario politico alla base della genesi del Pd, nella visione dei diplomatici dell’amministrazione Bush”, scrive.

Il riferimento è a un cablo di Wikileaks dell’11 aprile del 2008 in cui l’ambasciatore Usa Ronald Spogli informava delle “prossime elezioni italiane” che avrebbero permesso agli Usa di “spingere sulla nostra agenda con rinovato vigore”.

Scrive l’ambasciatore: “Mentre il nostro rapporto con il governo Prodi era buono, le nostre relazioni con il prossimo governo promettono di essere meglio, forse molto meglio. Prevediamo di fare progressi sulla nostra agenda se Veltroni dovesse vincere a sorpresa e ottimi progressi se Berlusconi dovesse arrivare al potere. Indipendentemente da chi vince, – continua l’ambasciatore Usa – intendiamo iniziare a incontrarci con i probabili membri del nuovo governo il prima possibile dopo le elezioni, durante il periodo di formazione del governo ad aprile e all’inizio di maggio, per rimarcare le nostre principali priorità politiche e la direzione che vorremmo che il prossimo governo prendesse”.

Che il Pd fosse importante per “contenere la sinistra italiana” (almeno nelle opinioni dei diplomatici Usa) è evidente anche nel cablo nel 24 settembre del 2008, quando l’ambasciatore scrive che “a lungo termine, un Pd forte è interessante per gli Usa perché è un partito di centro-sinistra che isola gli elementi di estrema sinistra più populisti e striduli che sono stati e sono costantemente un problema nei governi di centrosinistra”.

“È l’operazione – conclude Stefania Maurizi – su cui hanno puntato gli Stati Uniti fin dall’amministrazione Bush: creare uno scenario politico in Italia per cui se vince Berlusconi con i neofascisti o vince il Pd pochissimo cambia: nella loro visione, l’Italia deve puntare sulla sua missione da paese Top-tier Nato ovvero spesa militare minima al 2% Pil, più soldati italiani e carabinieri che vanno a morire per niente nelle missioni militari” ed “eliminare o comunque marginalizzare i troublemaker di sinistra che si opponevano a F35, missioni militari etc”.

L’articolo WikiLeaks l’aveva scoperto. Per gli Stati Uniti il Pd e la destra sono lo stesso sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

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