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Stati generali della natalità. Nel vuoto di Giorgia tocca al Papa fare lo statista

La fotografia dell’evento potrebbe essere il panel “la natalità produce ricchezza” che si è tenuto nel pomeriggio: Nicola Lanzetta (direttore Italia, Enel), Fabrizio Gavelli (presidente e amministratore delegato Danone), Bernardo Mattarella (Ad Invitalia), Giacomo Campora (Ad Allianz), Matteo Del Fante (Ad Poste italiane), Salvatore Rossi (presidente Tim), Dario Scannapieco (Ad e direttore generale Cassa Depositi e Prestiti) e il ministro delle Imprese e Made In Italy Adolfo Urso che discutono del far figli. Otto uomini, nessuna donna.

Ieri l’ultima giornata degli Stati generali della natalità con Papa Francesco e il premier Meloni uguali nel bianco dell’abito ma distanti nelle prese di posizione

Gli Stati generali della natalità ieri hanno aperto l’ultima giornata con Papa Francesco e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, uguali nel bianco dell’abito ma distanti nelle prese di posizione. Mentre il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte e la segretaria del Partito democratico Elly Schlein hanno scelto un profilo basso nei loro interventi l’altro ieri (consapevoli della retorica patriarcale dell’evento), il discorso di Meloni è la solita ridondanza contro quella che per lei viene considerata la “cultura dominante” degli ultimi anni.

“Vogliamo restituire agli italiani una nazione nella quale esser padri non sia fuori moda”, dice Meloni. Sempre affamata di nemici la presidente del Consiglio punta il dito contro la maternità surrogata: “Vogliamo – dice – una nazione in cui non sia un tabù dire che la maternità non è in vendita e gli uteri non si affittano, che i figli non sono prodotto da banco che puoi scegliere e restituire se non ti piacciono”.

Tocca all’associazione Luca Coscioni ricordare che “dal 2014 sono nati circa 12mila bambini proprio grazie alla tecnica di fecondazione eterologa che ora il suo Governo vuole demolire”: “in nome della natalità e della patria – incalza il tesoriere Marco Cappato – il Governo criminalizza chi vuole concepire un figlio, ma non può farlo con metodi naturali”.

Al fianco di Meloni ha preso parola anche Papa Francesco. “Forse mai come in questo tempo, tra guerre, pandemie, spostamenti di massa e crisi climatiche, il futuro pare incerto», ha detto il pontefice. “E in questo contesto di incertezza e fragilità – prosegue – le giovani generazioni sperimentano più di tutti una sensazione di precarietà, per cui il domani sembra una montagna impossibile da scalare. Difficoltà a trovare un lavoro stabile, difficoltà a mantenerlo, case dal costo proibitivo, affitti alle stelle e salari insufficienti sono problemi reali”.

Nel suo discorso Bergoglio interpella la politica per promuovere interventi che vadano invece a favorire la natalità ma non rinuncia a sculacciare il governo Meloni in tema di accoglienza dei migranti. “La natalità, così come l’accoglienza, che non vanno mai contrapposte perché sono due facce della stessa medaglia, ci rivelano quanta felicità c’è nella società”, dice il pontefice. “Una comunità felice sviluppa naturalmente i desideri di generare e di integrare, di accogliere, mentre una società infelice si riduce a una somma di individui che cercano di difendere a tutti i costi quello che hanno”. Tra i due è il Papa a sembrare il presidente del Consiglio.

Francesca Fiore e Sarah Malnerich (che di maternità si occupano con il loro attivismo) intanto lanciano l’allarme, al di là dei motti “Dio, patria e famiglia”: “Siamo scese in piazza – spiegano per un anno per chiedere espressamente più fondi per i servizi per l’infanzia, abbiamo ottenuto 4,6 miliardi. Per arrivare non a una quota 100 sui nidi, ma almeno al 33% di offerta, come chiede l’Europa. Il Pnrr si impantana proprio sul piano nidi e valutano di ridurre proprio quello”. La realtà oltre la propaganda, appunto.

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Tende, toh il governo ascolta i «viziati» e silenzia i parrucconi

Riassunto della settimana. A Milano una studentessa 23enne, Ilaria Lamera, decide di piantare una tenda in piazza Leonardo Da Vinci, davanti al Politecnico, contro il caro affitti per gli studenti fuori sede. Niente di nuovo sotto al sole, al di là della tenda. Lo sfruttamento del bacino universitario è una storia antica in questo Paese. Ma quello che ci interessano qui sono le modalità. Occhio. Ilaria Camera comincia a essere raccontata dalla stampa, prima quella locale e poi quella nazionale. Il problema che pone è antico ma le modalità sono perfette per una foto in pagina o per un video sul sito.

In Italia l’unico welfare a disposizione degli universitari è la famiglia

Poiché le criticità sollevate sono condivise accade che in tutta Italia, con forme diverse, altri studenti concorrano alla protesta. Anche questo è normale: se qualcuno, uno qualsiasi, riesce a portare alla ribalta nazionale delle difficoltà diffuse inevitabilmente gli altri si sentono parte di una protesta che li rappresenta. Il problema è reale: dopo la pandemia a Milano il costo medio per una stanza ha raggiunto gli 810 euro al mese. In Italia studiare in un’Università di una provincia diversa da quella di residenza è concesso a circa 600 mila studenti, circa un terzo del totale mentre la media europea è di due terzi. Con circa 50 mila alloggi pubblici a disposizione la stragrande maggioranza è costretta a rivolgersi al privato. Le locazioni private si sono impennate. L’unico welfare a disposizione sono i soldi della famiglia. È un tema enorme, che ha a che fare con il diritto allo studio e con la Costituzione. Accade però che quando altri studenti di tutta Italia si accodano alla protesta i cosiddetti “adulti”, anche quelli che stanno al governo, parlano di semplice spirito di emulazione.

Tende, toh il governo ascolta i «viziati» e silenzia i parrucconi
Tende alla Sapienza (da Instagram).

Sfottere la protesta dei giovani è segno distintivo del branco ‘adulto’

Qui si arriva al capitolo di questa brutta storia, quello che ci interessa. Dove una volta era tutto giovanilismo (con presidenti del Consiglio e dirigenti di partito con abiti e atteggiamenti adolescenziali) ora c’è solo paternalismo. Il paternalismo peggiore, quello stupido e tossico che fa di tutto per sminuire i lamenti e per delegittimare i loro portavoce. Da una studentessa che pianta una tenda per simboleggiare un problema si passa alle spassionate analisi sulla gioventù italiana sciorinate nei giornali e nelle televisioni. Il punto di vista ovviamente è sempre lo stesso: privilegiati sconnessi dalla realtà che raccontano di “com’era una volta” dall’alto di posizioni e di garanzie impensabili per queste generazioni. «Se non avete i soldi per vivere a Milano restate a casa vostra o andate a lavorare», berciano affamati i tuttologi dell’Internet. Sfottere la protesta è il segno distintivo del branco: se sfotti i giovani significa che sei entrato nel mondo degli adulti e competenti che serrano le fila. Sale in cattedra a impartire lezioni di merito Andrea Ruggieri, ex parlamentare, nipote di Bruno Vespa, direttore de Il Riformista a spiegarci che questi ragazzi sono solo «viziati» e che quando era giovane lui sì che si faticava.

Il ministro Valditara ha presentato un piano di semplificazione in 20 punti per rendere la scuola più accessibile.
La ministra dell’Università Annamaria Bernini e il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara (Getty Images).

In tv si arriva persino a infantilizzare la protesta con conduttrici con interviste in tenda

Il controcanto del ministro Valditara che, incapace come spesso gli accade di trovare soluzioni, si preoccupa di distribuire le colpe: colpa dei sindaci di sinistra, dice. La sparata è talmente grossa che fa inorridire anche i suoi alleati. Perbenismo, paternalismo, miopia, privilegi rivenduti come merito: gli ingredienti di gente che s’azzuffa su temi serissimi solo per raccontarsi. S’atteggiano a liberali ma sono solo parrucconi conservatori che temono le nuove generazioni per la paura di perdere le proprie posizioni di rendita. Nel frattempo in televisione è tutto un piantar tende, ovviamente per infantilizzare la protesta. Conduttrici che intervistano ospiti in tenda nel disperato tentativo di far credere agli studenti di essere dalla loro parte. «Sono in tenda anch’io! Vedete come vi capisco!». Un circo che in tutta la settimana raccoglie politici e opinionisti che risultano alieni.

Tende, toh il governo ascolta i «viziati» e silenzia i parrucconi
Myrta Merlino all’Aria che tira.

L’esecutivo sblocca 660 milioni di euro per gli alloggi: gli studenti vilipesi hanno colpito nel segno

Poi, a fine settimana, accade qualcosa. Il governo annuncia lo sblocco di 660 milioni di euro per gli alloggi universitari. L’esecutivo dice: la protesta è giusta, il problema esiste, ci mettiamo i soldi che servono per provare a ragionare. Gli studenti vilipesi e le loro tende hanno colpito nel segno. Dopo giorni di delegittimazioni vengono legittimati dal governo. Imbarazzo totale tra i sostenitori di Meloni e compagnia. Non avevano capito gli ordini di scuderia, erano convinti che bisognasse silenziare la protesta con i soliti metodi. Ora che la protesta è accolta quelli con la credibilità piantata in mezzo alla strada sono loro. Non è fantastico?

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Per aiutare le donne basterebbe non farle aspettare due anni per una mammografia

Nel giorno in cui la retorica sulla natalità e sul ruolo delle mamme per la Patria impazza per “Gli stati generali della natalità” i dati irrompono. Due anni per una mammografia di screening, tre mesi per un intervento per tumore all’utero che andava effettuato entro un mese, due mesi per una visita specialistica ginecologica urgente da fissare entro 72 ore, sempre due mesi per una visita di controllo cardiologica da effettuare entro 10 giorni.

Due anni per una mammografia. Mesi d’attesa per interventi urgenti e visite specialistiche. Così il Governo si prende cura delle donne

Sono alcuni esempi di tempi di attesa segnalati dai cittadini che lamentano anche disfunzioni nei servizi di accesso e prenotazione, ad esempio determinati dal mancato rispetto dei codici di priorità, da difficoltà a contattare il Cup, impossibilità a prenotare per liste d’attesa bloccate. Sono alcuni dei dati contenuti nel Rapporto civico sulla salute 2023 di Cittadinanzattiva, presentato ieri a Roma al ministero della Salute.

Nel dettaglio, per le prime visite specialistiche, quelle che hanno una classe B-breve (da svolgersi entro 10 giorni),” i cittadini che ci hanno contattato – riferisce Cittadinanzattiva nel report – hanno atteso anche 60 giorni per la prima visita cardiologica, endocrinologica, oncologica e pneumologica”. Senza codice di priorità si arrivano ad aspettare 360 giorni per una visita endocrinologica e 300 per una cardiologica. E ancora, quanto alle visite specialistiche di controllo, una ginecologica con priorità U (urgente, da effettuare entro 72 ore) è stata fissata dopo 60 giorni dalla richiesta. Per una visita di controllo cardiologica, endocrinologica, fisiatrica con priorità B (da fissare entro 10 giorni), i cittadini di giorni ne hanno aspettati 60.

Per una visita ortopedica, sempre con classe d’urgenza B, ci sono voluti addirittura 90 giorni. Una visita endocrinologica senza classe di priorità è stata fissata dopo 455 giorni, dopo 360 giorni una visita neurologica. Il ‘cahier de doléances’ continua: sono stati segnalati 150 giorni per una mammografia con classe di categoria B breve (da svolgersi entro 10 giorni), e 730 giorni sempre per una mammografia ma con classe di categoria P (programmabile), 365 giorni per una gastroscopia con biopsia in caso di classe non determinata. Per gli interventi chirurgici: per un’operazione per tumore dell’utero che doveva essere effettuata entro 30 giorni (Classe A), la paziente ha atteso 90 giorni, tre volte tanto rispetto ai tempi previsti.

E ancora: per un intervento di protesi d’anca da effettuarsi entro 60 giorni (classe di priorità B), c’è stata un’attesa di 120 giorni, il doppio rispetto al tempo massimo previsto. Terminata la pandemia i cittadini si trovano con una sanità malmessa, nonostante le promesse e i proclami di chi spergiurava di avere imparato la lezione impartita dal Covid: non solo liste di attesa, anche pronto soccorso allo stremo, medici di medicina generale assenti in molte aree non a caso definite ‘deserti sanitari’.

E ancora: il ricorso alla spesa privata aumenta ed è incompatibile con un sistema universalistico, trasformando la salute in ‘privilegio’ per chi può permetterselo economicamente. Così per molti italiani l’attesa si è trasformata in rinuncia alle cure. Il report, alla seconda edizione, integra i dati provenienti dalle 14.272 segnalazioni dei cittadini, giunte nel corso del 2022 alle sedi locali e ai servizi Pit Salute di Cittadinanzattiva, con dati provenienti da fonti istituzionali, accademici o della ricerca. L’obiettivo è mostrare come si traduce oggi il diritto alla salute nel complesso sistema del federalismo sanitario.

Accanto ai mai risolti problemi generali di liste di attesa e accesso alle prestazioni (che raccolgono quasi una segnalazione su tre, 29.6%), i cittadini – dettaglia una nota – denunciano carenze in tutti e tre gli ambiti dell’assistenza sanitaria: quella ospedaliera (15,8%), quella territoriale (14,8) e l’area della prevenzione (15,2%). Al quinto posto la sicurezza delle cure (8,5%). Seguono le segnalazioni su accesso alle informazioni e documentazioni (4,5%), assistenza previdenziale (2,8%), umanizzazione e relazione con operatori sanitari (2,6%), spesa privata e ticket elevati (1,7%) e assistenza protesica e integrativa (1,4%). A crescere rispetto al 2021, sono soprattutto le problematiche che riguardano l’accesso alle prestazioni (+5.8%) e quelle legate all’assistenza in ospedale (+4,4%).

“I dati presentati in questo rapporto, e le storie che le persone raccontano ai nostri attivisti sul territorio, ci mettono nella urgenza di proclamare come cittadini lo stato di emergenza sanitaria e una mobilitazione permanente a difesa del nostro Servizio sanitario nazionale, come annunciamo nel nostro Manifesto e nella petizione su Change”, dichiara Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.

“Per superare l’urgenza sanità – sostiene ancora Mandorino – chiediamo che siano riaffermate cinque condizioni, cinque chiavi di accesso alla casa comune del Ssn: l’aggiornamento periodico e il monitoraggio costante dei Livelli essenziali di assistenza, che devono essere garantiti ed esigibili su tutto il territorio nazionale; l’eliminazione delle liste di attesa attraverso un investimento sulle risorse umane e tecniche, una migliore programmazione e trasparenza dei vari canali, un impegno concreto delle Regioni per i Piani locali di governo delle liste di attesa; il riconoscimento e l’attuazione del diritto alla sanità digitale per ridurre la burocrazia, comunicare meglio con i professionisti e accedere a prestazioni a distanza”.

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Errare humanum est, perseverare autem Lollobrigida

Ci è ricascato, di nuovo. Il ministro Francesco Lollobrigida, a margine degli “Stati generali della Natalità” torna a parlare di etnia, incurante di averci già fatto una pessima figura: “Credo che sia evidente a tutti che non esiste una razza italiana, è un falso problema quello di immaginare un concetto di questa natura. Esiste però una cultura, un’etnia italiana, che la Treccani definisce ‘raggruppamento linguistico-culturale’, che in questo convegno si tende a tutelare“.

Il ministro insiste con i giornalisti. ”Noi parliamo di cercare di avere una prosecuzione della nostra identità culturale, della quale io sono orgoglioso. Abbiamo un incremento demografico di 75 milioni di persone l’anno – ha aggiunto Lollobrigida – quindi la popolazione del mondo cresce e tanti di quelli che nascono nel mondo vorrebbero venire a vivere in Italia. Allora perché preoccuparsi delle nascite in Italia Se la risposta è di incrementare la natalità è per ragioni legate alla difesa di quella appartenenza a cui molti di noi sono legati – io in particolare con orgoglio – la cultura italiana, il ceppo linguistico, il modo di vivere. Così come credo siano orgogliosi tutti i popoli”.

Ad aprile il ministro aveva detto “le nascite non si incentivano convincendo le persone a passare più tempo a casa perché così si intensificherebbero i rapporti – disse  – Il modo migliore è quello di costruire un welfare che permetta di lavorare e di avere una famiglia e non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica, per cui gli italiani fanno meno figli e li sostituiamo con qualcun altro”. Gli avevano fatto notare che si tratta delle stesse teorie dei cospirazionisti di estrema destra autori di stragi negli ultimi anni. Si scusò. Spiegò di avere peccato di ignoranza e non di razzismo.

Ieri ha perseverato nel peccato, qualunque sia.

Buon venerdì.

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Dio, Patria e famiglia. Agli Stati generali la natalità s’è… Destra

Stati generali della natalità. Fino a qualche tempo fa sarebbero sembrati un’assurda accelerazione di un governo estremamente nostalgico e invece è accaduto. Lo spreco della natalità come feticcio in difesa della patria accade a Roma all’Auditorium della Conciliazione per la terza edizione degli Stati generali della natalità, due giorni per discutere di culle vuote e di come riempirle. La brochure si presenta con una domanda quasi apocalittica: “Avete mai immaginato un mondo senza bambini?”. “Senza bambini significa, tanto per fare degli esempi che diano concretezza alla visione, senza la necessità di biberon, di prodotti per l’infanzia”, si legge nel materiale pubblicitario. Verrebbe voglia di sognarlo davvero un Paese così.

Stati generali della natalità. Fino a qualche tempo fa sarebbero sembrati un’assurda accelerazione di un governo estremamente nostalgico e invece è accaduto

Al convegno nazional sono state invitate le più alte cerchie del settore, tipo Lorella Cuccarini e Papa Francesco. Nel secondo giorno di programma sono previsti 12 uomini (Papa incluso) e 3 donne, di cui una è Giorgia Meloni, donna ma tutt’altro che femminista. Un nugolo di uomini che ciancia di maternità è una scena dell’orrore tant’è che Francesca Bubba, attivista femminista anche sulla natalità, ha chiesto all’organizzatore De Palo che senso potesse avere una manifestazione con questi ospiti.

Dice Bubba che De Palo le avrebbe spiegato che Lorella Cuccarini avrebbe quatto figli (quindi sarebbe assolutamente legittimata) e che le influencer non sarebbero state invitate perché avrebbero chiesto un compenso. Bubba ha fatto notare che Lorella Cuccarini ha sì 4 figli ma di certo non può rappresentare le famiglie italiane per la sua posizione di privilegio In effetti aver invitato tutta la destra italiana favorisce di molto la narrazione della maternità come concime della Patria. Ma la manifestazione ha provocato diversi malumori. Le femministe notano il patrocinio del sindaco di Roma Roberto Gualtieri e la presenza di Elly Schlein, che nel femminismo ha un pezzo del suo bacino elettorale.

“Nella presentazione dell’evento, i figli vengono descritti come “un investimento per il Bene Comune”, aggiungendo, poi, che “un figlio è di tutti e per tutti”. Proprio come il nostro utero e la nostra autodeterminazione, per intenderci. In un mix letale tra la ministra Eugenia Roccella (la stessa che parla dell’aborto che “purtroppo” è ancora un diritto), il presidente della Cei Matteo Maria Zuppi e sua santità Lorella Cuccarini, perché “crescerà, forte più di te, questa voglia di vita tra le tue mani”, scrive thePeriodOff, “non sappiamo se gli Stati Generali della Natalità contribuiranno magicamente a riempire i nostri ventri di figli bianchi, cis, eteronormati, borghesi, ma sicuramente ci permetteranno oggi di guardare in faccia alle violente politiche che limitano il diritto di scelta e autodeterminazione a favore del mero finalismo riproduttivo. Quella per la natalità sembra essere una vera e propria ossessione per questo governo. A sentire loro, pare che ci estingueremo nel giro di una settimana. No, non tutta l’umanità, si intenda. Soltanto quella bianca italica, che è l’unica che pare stare a cuore a loro”.

Mentre la giornata di ieri si è svolta secondo i canoni delle donne che dovrebbero risolvere i problemi di denatalità nazionale, come se fosse una loro unica responsabilità, avremmo potuto augurarci che si parlasse anche delle difficoltà di avere un’assistenza medica (ne parliamo nell’articolo qui di fianco) e le altre complesse ragioni che portano le coppie a non avere figli.

“Aiutare le madri, imporre meno tasse a chi ha almeno due figli e colpevolizzare chi non li vuole. Il vecchio approccio adottato dalla maggioranza di centrodestra punta a una maternità predefinita ma non risolve i problemi quotidiani delle famiglie”, scrive Francesca Bubba. Che il welfare sia insufficiente e che le discriminazioni sul lavoro siano un ostacolo non affrontato sembra non interessare a nessuno. Chi non figlia è nemica della patria. Come nei tempi bui della nostra storia.

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Beni confiscati ai clan. La gestione resta scandalosa

Aumentano i beni confiscati alla criminalità organizzata ma lo Stato non riesce a riutilizzarli. Lo ribadisce la Corte dei Conti in una delibera della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, in cui la magistratura contabile ha esaminato le funzioni svolte dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

Aumentano i beni confiscati alla criminalità organizzata ma lo Stato non riesce a riutilizzarli. A ribadirlo è la Corte dei Conti

Era il 17 marzo 1996 quando veniva pubblicata nella Gazzetta ufficiale la legge 109 con l’intento di rendere finalmente protagonista la società civile nella lotta alle mafie attraverso la possibilità di riappropriarsi di spazi e crearne di nuovi. Le ricchezze accumulate illecitamente dai mafiosi, ad esempio coi soldi del traffico di droga o delle estorsioni, espropriate per diventare proprietà dello Stato e luoghi di cittadinanza attiva dovrebbero essere il simbolo della credibilità e della forza dello Stato contro le mafie.

Per questo occuparsi della gestione e della destinazione di questi beni, tra cui immobili e aziende, è l’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alle mafie e alla criminalità organizzata (Anbsc). Già a novembre dell’anno scorso il secondo report nazionale sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali, di Libera promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino evidenziava un problema di trasparenza: su 1073 comuni monitorati destinatari di beni immobili confiscati 681 non pubblicano l’elenco sul loro sito internet.

Zero trasparenza in oltre sei città su dieci

Ciò significa che ben sei comuni su dieci sono inadempienti pari al 63,5 % (erano 62% nel primo report). Il primato negativo in termini assoluti spetta ai comuni del Sud Italia compreso le isole con ben 400 comuni che non pubblicano elenco, segue il Nord Italia con 215 comuni e il Centro con 66 comuni che non pubblicano dati. Non va meglio per gli Enti sovra territoriali: su 10 province e città metropolitane destinatarie di beni confiscati, il 50% non pubblica gli elenchi. Delle 6 regioni, solo 2 (Calabria e Piemonte) adempiono all’obbligo di pubblicazione (il 33,3%).

“Garantire che la filiera del dato sui beni confiscati sia trasparente – spiegava Tatiana Giannone, referente nazionale Beni Confiscati di Libera – vuol dire dare spazio al protagonismo della comunità e della società civile organizzata, che solo conoscendo può progettare e programmare nuovi spazi comuni. Alla conoscenza del patrimonio e del territorio, del resto, è strettamente legata la capacità di utilizzare i fondi pubblici (siano essi di natura europea o di provenienza nazionale) per la valorizzazione dei beni confiscati, nella fase di ristrutturazione e in quella di gestione dell’esperienza di riutilizzi”.

Nel suo documento ora la Corte dei conti ha rilevato che, malgrado le cospicue risorse umane e finanziarie impiegate, il volume delle informazioni raccolte sui beni sequestrati o confiscati non è ancora confluito in un sistema di dati affidabile, completo e pienamente consultabile. Secondo i giudici contabili, inoltre, gli ostacoli maggiori nel destinare a nuovo uso i beni sequestrati alle mafie sono legati, oltreché alla lunghezza dei procedimenti, alla ridotta disponibilità finanziaria dei Comuni e degli enti del terzo settore, che rende difficoltoso l’avvio dei progetti di reimpiego sociale delle strutture sottratte alle organizzazioni criminali, soprattutto nel caso di immobili in cattivo stato manutentivo o soggetti a spese di gestione.

Anche in presenza di adeguate risorse, ha aggiunto la Corte, la scarsa conoscenza della loro esistenza e delle modalità di acquisizione costituiscono significativi elementi di intralcio al riutilizzo sociale dei beni nell’ambito delle politiche di contrasto alle mafie.

Le ulteriori difficoltà nell’elaborare stime affidabili ed attuali sul valore di mercato dei beni e la lunghezza dei tempi necessari alla verifica dei crediti dei terzi in buona fede delineano – ha concluso la magistratura contabile – un panorama complessivo che richiede una rinnovata capacità di concentramento delle energie umane e finanziarie – pur adeguatamente presenti nel sistema – per restituire slancio e credibilità all’azione istituzionale. Mancare l’applicazione di una legge dello Stato a cui è affidato un valore è dannoso due volte.

Al dovere legale di rimettere a disposizione della comunità beni accumulati illegalmente si aggiunge anche il dove morale di liberare queste ricchezze dall’ombra delle criminalità organizzata. Comunicare di averle strappate alle mafie dovrebbe essere un onore, più che un onere, comunicato con la soddisfazione dei giusti. Occuparsi del loro riuso è la vendetta bianca dello Stato. Eppure quella medaglia per qualcuno sembra ancora scomoda.

Leggi anche: Antimafia ferma un giro. “Coi nomi che girano meglio non insediarla”. Parla il giornalista Attilio Bolzoni: “Varchi, Colosimo & C. inadeguati”

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Antimafia, Bolzoni: “Coi nomi che girano meglio non insediarla”

Attilio Bolzoni, lei ha lanciato una provocazione niente male: aboliamo temporaneamente la Commissione parlamentare antimafia. Ne è convinto?
“Una pausa farebbe bene a tutti. Vogliamo mettere qualcuno? Chi? Dopo 30 anni la strage di Paolo Borsellino che non ha colpevoli, la sentenza è dell’anno scorso. Il più grosso depistaggio nella storia della mafia non ha un colpevole. Vuoi mettere Rita Dalla Chiesa Io trovo veramente bislacca la proposta dell’ex procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho. C’è confusione: un procuratore nazionale antimafia che vuole mettere presidente una rispettabile signora che ha sempre difeso Berlusconi, che da sempre dice che le accuse contro di lui sono fesserie. C’è molto disorientamento in quel mondo. Con personaggi che disorientano e sono disorientati solo guai ci possiamo aspettare”.

Cosa pensa dei nomi circolati per la presidenza
“Della Varchi non posso esprimere un giudizio sulla persona ma so che fa la vicesindaca di Lagalla a Palermo, uno che mai una volta ha detto no all’appoggio di Cuffaro e di Dell’Utri. Della Colosimo non so niente, ma non mi pare una grande esperta nel capire le strategie delle mafie. Qui tutti parlano della mafia 2.0, 3.0, 4.0 e non si sono accorti che la mafia è tornata alle sue origini”.

E allora la Commissione antimafia non potrebbe tornare utile?
“Io ho molto rispetto della Commissione antimafia, quella di La Torre, di Forgione, di Bindi, di Chiaramonte (quando sono arrivato a Roma, non sono andato a Palazzo di Giustizia, mi sono letto la commissione di Chiaramonte che dava uno spaccato impressionante decenni prima dei magistrati). Quando sono ben guidate sono un tesoro. Negli atti della prima e della seconda c’è una miniera di informazioni. Se le sai leggere sono ancora attuali, sono nomi che si rincorrono da sessant’anni”.

Invece adesso?
“Di fronte all’aria che tira oggi è tutto spaventoso. Una confusione. Un disorientamento. Non è solo questione di commissione antimafia. Maria Falcone che se la prende con Lagalla e il giorno dopo ne apprezza le qualità. I presidi siciliani di Libera che invitano Lagalla in vista del 21 marzo. L’ex procuratore antimafia che indica Dalla Chiesa”.

E l’opposizione?
“La politica di destra e di sinistra di mafia non se ne occupa. Nel migliore dei casi ne parla sempre al passato, c’è un conformismo dilagante. Lo vedi dalla cattura di Matteo Messina Denaro: un conformismo da asfissia. Io non sono un dietrologo quindi non credo che ci sia stata una trattativa Stato-mafia”.

Si spieghi meglio…
“Credo ci sia stata una trattativa mafia-mafia perché non c’è magistrato, procuratore e carabiniere che mi spiega quello che ho visto con Messina Denaro: l’arresto morbido e facile di uno ossessionato dalla sua sicurezza e intanto si fa selfie, messaggia con le pazienti, porta le latte d’olio. Stiamo scherzando. In 6 mesi ci hanno raccontato solo del viagra e delle calamite. Se la prendono con il tabaccaio, con il fioraio ma là c’era una caserma dei carabinieri, c’era la polizia. Il luogo brulicava di servizi segreti”.

Lei invece che idea si è fatto?
“Le protezioni sono di tipo verticale, non orizzontale. C’è un clima che non funziona. In Sicilia alla Regione c’è Schifani, Il Pd si dice stupito per l’addio di Chinnici ma si dimentica di averla pescata nella Giunta che fu di Lombardo. In Forza Italia i dirigenti sono sempre gli stessi”.

Ma la consapevolezza degli elettori?
“Credo che rispetto a qualche decennio fa ci sia più consapevolezza ma negli ultimi anni c’è molto conformismo. Non basta dire che la mafia fa schifo. Oggi anche i mafiosi gridano la mafia fa schifo. Lo disse anche Cuffaro quando venne incriminato. C’è il poco sapere. La guerra dello Stato contro la struttura militare cortonese è stata stravinta ma quella mafia cortonese rappresenta una straordinaria e spaventosa parentesi. Pensa che verso gennaio hanno arrestato a Palermo dei mafiosi di Mezzomonreale che dicevano intercettati che “Buscetta aveva 6 paia di coglioni così”. Il loro idolo era un pentito. La mafia dei pezzenti e degli emarginati. Anche Messina Denaro è un quasi morto di una mafia già morta”.

E questo ragionamento cosa dovrebbe insegnare all’antimafia
“Il tema è che la cultura della legalità non ha portato ai risultati che speravamo. Non basta la repressione: la testa delle persone non è cambiata perché evidentemente la mia generazione ha sbagliato qualcosa, qualcosa di veramente importante nel proporre una cultura antimafiosa della legalità. L’antimafia ha questo grosso limite: c’è un’antimafia con poco sapere. Se questo lo trasferisci in una commissione parlamentare diventa drammatico”.

 

 

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Il meraviglioso mondo di Valditara

Problema del caro affitti per gli studenti mentre la loro protesta si allarga a macchia d’olio? Colpa della sinistra. Il ministro all’Istruzione e al Merito Giuseppe Valditara è un fenomeno che andrebbe studiato con attenzione. Ha le risposte a tutte le domande, la risposta è sempre la stessa ed è sbagliata.

«Io credo che il problema del caro affitti sia grave ma tocca le città governate dal centrosinistra. Nelle città dove ci sono gli accampamenti degli studenti non sono state attivate dalle giunte comunali politiche a favore dei giovani e degli studenti per offrire loro un panorama abitativo decoroso», ha detto ieri Valditara.

Se la prende perfino la sua alleata, la ministra all’Università forzista Annamaria Bernini. L’Ansa parla di “irritazione” per l’uscita di Valditara, ritenuta “controproducente al raggiungimento di una soluzione efficace e il più possibile condivisa del problema”. La strada da percorrere, dicono dallo staff di Bernini, “deve essere quella del dialogo e del coinvolgimento di tutti”. E la ministra è decisa a proseguire su questa linea “senza alimentare inutili polemiche”.

“Qui ci sono due possibilità, o quella del ministro Valditara è una battuta, peraltro riuscita male, oppure è frutto di una riflessione. Se è frutto di una riflessione profonda, credo che con questa affermazione il ministro Valditara illumini il Paese rispetto a quello che lui è”, risponde il sindaco di Milano Beppe Sala. “Se è una battuta, rispondo con una battuta: magari è così perché gli studenti hanno più voglia di stare nelle città di centrosinistra che non di centrodestra perché accolgono la loro complessità e le loro problematiche”, aggiunge il primo cittadino milanese. “Valditara scarica sulle città di centrosinistra le colpe del caro affitto che grava sugli studenti. Come se dipendesse dai sindaci! Ma il ministro dov’era mentre il suo governo votava a dicembre l’azzeramento del fondo nazionale affitti? Non c’è limite alla vergogna”, dice il sindaco di Firenze Nardella. Per Gualtieri quello di Valditara “è uno scaricabarile penoso, vorrei evitare di scadere a un livello così basso. Tutte le istituzioni dovrebbero fare la loro parte e affrontare questo problema. Tra l’altro gli studentati non sono nemmeno competenza dei Comuni”.

Mentre da noi si svolgeva questo teatrino a Strasburgo Lega e Fdi si sono astenuti sulla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Sarò colpa della sinistra. Sicuro.

Buon giovedì.

 

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La febbre delle consultazioni contagia anche Calenda

Lo sapevamo e infatti sta accadendo. La febbre delle consultazioni per le riforme scatena l’egomania dei dirigenti politici, pronti a credersi nuovi padri costituenti. Non sarà l’ultimo il leader di Azione Carlo Calenda che vorrebbe essere il nuovo sensale dell’opposizione.

Il leader di Azione Calenda vorrebbe fare il perno dell’opposizione. Solo che non lo ascoltano nemmeno nel suo gruppo parlamentare

“Se parli e ti confronti con la maggioranza stando all’opposizione, tanto più devi confrontarti anche con le opposizioni. È per questo che sentirò le altre opposizioni oggi”, ha spiegato Calenda ospite di Agorà a Rai3. Solo che per ergersi a mediatore di un campo preso a cannonate fino a qualche minuto prima servirebbe un’invidiabile autorevolezza e Calenda non fa in tempo a illustrare i suoi propositi che viene stoppato dai suoi ex amici di Italia Viva (con cui comunque condivide i gruppi parlamentari per non perdere i contributi pubblici).

Maria Elena Boschi di Italia Viva precisa che l’iniziativa di Calenda sia del tutto personale, senza nessun collegamento con i renziani. Lui placcato spiega che “è vero, siamo due partiti separati, ho dovuto prendere atto che non c’era la volontà di fare un partito unico. Penso che se ti confronti con la maggioranza stando all’opposizione tanto più ti devi confrontare con le opposizioni, sennò tanto vale che entri in maggioranza”.

Passa qualche minuto e nel dibattito del fu Terzo polo interviene la presidente del gruppo Azione-Italia Viva in Senato (quindi anche di Calenda) a definire “poco dignitoso l’avvicinamento tra Conte e Calenda o Calenda e Schlein”: “noi siamo fedeli alla linea di chi ha votato per il terzo polo: elezione diretta del premier e superamento del bicameralismo. Se Calenda ha cambiato idea anche su questo è un problema suo”, dice Paita.

La giornata del cosiddetto ex Terzo polo era iniziata con l’attacco dalle pagine de Il Riformista (diretto da Matteo Renzi) contro Calenda dell’ex sindaco di Milano. Albertini ospite in un talk show su Rete 3 ha raccontato di una telefonata ricevuta da Carlo Calenda, nella quale non avrebbe risparmiato critiche a Matteo Renzi. Il quotidiano di Renzi titola “Gabriele Albertini smaschera Calenda: “Biasimi e affondi sin dal primo giorno su Renzi”.

Ricapitolando: dopo essersi costruito un’identità politica sparando contro Conte e Schlein oggi Calenda li ha convocati per un the per proporsi come perno dell’opposizione mentre i suoi compagni di Parlamento ne prendono le distanze. Non male come inizio, dai.

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Opposizioni in ordine sparso. Pure sulla difesa delle istituzioni

Come sono amate le consultazioni politiche qui da noi. Perfetto lo schematismo dei turni che semplifica il lavoro dei giornalisti e dei commentatori. Un partito alla volta si viene ricevuti dall’autorità più alta e per Giorgia Meloni il caravanserraglio compito dei suoi avversari rimessi in riga è una soddisfazione inimmaginabile. Piace anche all’opposizione. Hanno qualche minuto di insperata visibilità gruppi che solitamente non finiscono nemmeno nei pastoni della cronaca politica ma soprattutto hanno la possibilità di farsi notare quelli che al governo tendono la mano, più o meno sguaiatamente, fin dal primo minuto dopo le elezioni.

Non solo la guerra in Ucraina e l’inceneritore di Roma. Sinistra e M5S non si incontrano più su nulla

Così il cosiddetto Terzo polo, che è in macerie sui giornali ma è in ottima salute là dove serve stare insieme per non perdere i soldi pubblici, si presenta al gran completo con Carlo Calenda per Azione, Maria Elena Boschi per Italia Viva e i capigruppo di Camera e Senato, Matteo Richetti e Raffaella Paita. Se della giornata di ieri dovessimo scegliere una foto come sunto dell’ipocrisia sarebbe quell’amichevole brigata di fratelli coltelli perfetti nel rito, con Meloni a officiare. Perfino l’assenza di Matteo Renzi che dice quello che ha da dire dalle pagine di un quotidiano di cui si è ritrovato direttore è il sintomo di una realtà politica e metafisica, dove l’etichetta si sostituisce alla realtà. Il primo comandamento nella Repubblica delle bicamerali e della consultazioni è fingere di crederci. Non è uno sforzo difficile.

Basta dimenticare quei quaranta tra Camera e Senato che sotto la guida di Aldo Bozzi avrebbero voluto cambiare 44 articoli della Costituzione e si sono arenati nei propri gruppi parlamentari. Non è difficile dimenticare nemmeno la bicamerale De Mita-Iotti che si dissolse in quel 1994 che raccontano come fine della Prima Repubblica. Conviene a sinistra dimenticare in fretta quel “patto della crostata” sconfessato da Silvio Berlusconi nel 1997 in cui Massimo D’Alema cedette alla tentazione del presidenzialismo sull’onda lunga dell’uomo forte che era sempre piaciuto a destra. Dimenticato tutto questo si può fingere di sedersi a parlare di presidenzialismo fingendo di non sapere che il pallino della discussione sia in mano al governo più inaffidabile nella distinzione dei poteri e nella tentazione all’autoritarismo che avessimo mai potuto immaginare.

“Sì al sindaco d’Italia ma Mattarella non si tocca”. “Non abbiamo ancora parlato di riforma elettorale”. Le dichiarazioni di questi giorni si trascineranno per mesi, golose solo per gli addetti ai lavori e per gli appassionati. Verranno limate, ritoccate, contraddette, rovesciate, negate, respinte dal governo e poi accolte e poi respinte ancora. Un gioco estenuante che infiamma gli addetti ai lavori e gli appassionati ma interessa pochissimo ai cittadini là fuori. Anche questo non sarà un problema: accusarli di ignorante populismo sarà un’altra occasione di posizionamento politico.

Un dato però è già chiaro: poco interessa a Meloni il gioco di logoramento (anche sulle riforme) dei suoi invidiosissimi alleati Matteo Salvini e Berlusconi che patiscono il ruolo da comprimari. La tranquillità di Giorgia Meloni è garantita dall’opposizione che non c’è, né sulla carta né sulle idee. La prima giornata di consultazioni sulle riforme, come tutte le altre giornate di questo governo, conferma che i partiti di minoranza vanno in ordine sparso, più preoccupati dal perdere un decimale di voti a favore dei partiti vicini che dal campo regalato a Meloni e compagnia.

Presentarsi al tavolo delle riforme è un’altra occasione persa per far raccontare al Paese che esiste una lontana possibilità di alternativa. Partito Democratico e Movimento 5 Stelle sono più impegnati a difendersi tra loro che a elaborare un piano per il futuro, anche il più prossimo. Nel centrosinistra è una promessa non mantenuta (e nemmeno cominciata) quella di impegnarsi sulla ricerca di punti comuni per lavorarci insieme e incalzare il governo. Dietro l’angolo c’è l’errore di sempre: forzare una comunione politica solo per esigenze elettorali senza prendere in considerazione l’idea di partire da lontano.

Anche sulle riforme Giorgia Meloni ha di fronte la gestione delle sue truppe e il fastidio degli altri alla spicciolata. Mentre questi si fregano le mani sperando di riuscire a guastare la Costituzione l’opposizione che non c’è si imbambola sulle differenze, bombardata dal Terzo polo che delle differenze tra Giuseppe Conte e Elly Schlein ne ha fatto un genere letterario. Così la narrazione del governo è fin troppo facile: noi corriamo e quelli litigano tra loro. È una frase stupida e irreale, certo, ma funziona. E continuerà a funzionare dare la colpa all’opposizione per gli errori di governo. Conte, Schlein, Nicola Fratoianni e tutti quelli che ci vorrebbero stare: ne vale la pena

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