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“Rifugiati benvenuti”, blitz della Polizia per togliere il manifesto dall’Istituto Universitario Europeo di Firenze

Accade a Firenze. Quattro agenti della polizia (quattro!) entrano nell’Istituto Universitario Europeo e tolgono un manifesto che diceva “I rifugiati sono benvenuti”. Il manifesto è stato riappeso degli studenti. Ma l’onta delle priorità delle forze dell’ordine rimane lì, ben visibile.

Raid in facoltà

Un gruppo di ricercatori racconta “la profilazione razziale” e le “molestie subite (senza nessuna provocazione)” avvenute negli ultimi giorni. “L’Istituto universitario europeo (Eui) – scrivono – e l’evento The State of Union (Sou) pretendono di essere spazi per lo scambio di idee libero e franco. Ciò che è successo oggi, tuttavia, dimostra chiaramente che questo spazio è limitato solo alle forme di espressione pre-sanzionate e pre-approvate”.

I ricercatori (che provengono da tutto il mondo) raccontano di avere sollevato più volte la questione della sicurezza nel campus, dove la presenza massiccia di forze di polizia chiamate direttamente dall’istituto è indice dell’incapacità della direzione di “non sapere gestire la sicurezza dei propri studenti”.

Già qualche giorno fa, in occasione dell’annunciata presenza della vicepresidente spagnola Nadia Calviño in occasione di una sessione Sou (“Intelligenza artificiale responsabile: l’Europa può essere un leader globale?”) i ricercatori spagnoli hanno denunciato un clima di intimidazione. Agenti della Digos erano intervenuti per identificare alcuni di loro che avevano preparato per Calviño un report sulle loro condizioni precarie (basso stipendio, difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria, ecc.). Calviño non si è presentata all’evento ma un agente della Questura avrebbe ripetuto ai ricercatori (che si dicono stupiti dalle modalità della polizia italiana) che “non era quello il posto in cui protestare”.

“Ma non esiste la libertà di espressione, visto che stiamo solo distribuendo volantini?”, ha chiesto incredula una ricercatrice spagnola. “Perché non è questo il posto?”. Nessuna risposta. I presenti raccontano che “il linguaggio e il comportamento del poliziotto comunicavano chiaramente un atteggiamento aggressivo e intimidatorio, e continuava a schivare la domanda”.

I fatti

Ieri un gruppo di quattro agenti (questa volta in divisa) si è recato nella mensa dell’Istituto universitario europeo per rimuovere una locandina dalla bacheca. “Questo poster – raccontano i ricercatori – presentava una grande grafica “Refugees Welcome” e metteva in discussione la legge e la politica su rifugiati e migrazione dell’Ue e dell’Italia”. Solo dopo qualche minuto i 4 poliziotti hanno deciso di rimettere il manifesto al loro posto, accortisi della tensione in sala.

Secondo gli studenti questo episodio fotografa la natura problematica di un evento come “The State of Union” ospitato nell’università che, spiegano, “non solo interrompe il lavoro dei ricercatori, ma crea anche un ambiente ostile e condizioni di lavoro non sicure”. In una nota i ricercatori scrivono: “Il nostro campus dovrebbe essere uno spazio sicuro per tutti i ricercatori, indipendentemente dalla loro cittadinanza o dal colore della loro pelle. Non dovrebbe essere un luogo in cui esprimersi – o anche semplicemente esistere – può portare a discriminazione, profilazione razziale e molestie e intimidazioni della polizia”.

Povera ricerca

Siamo diventati così. Siamo un Paese in cui dei ricercatori universitari (peggio ancora se con la pelle più scura) vengono adocchiati come criminali mentre decidono di esprimere le loro opinioni a margine di un evento che discute proprio dello stato dell’Unione. Siamo un Paese in cui un foglio appeso in mensa che rilancia la solidarietà e che critica le politiche italiane e europee riesce a meritarsi l’attenzione di un nutrito gruppo di poliziotti. All’interno di un’università che si professa aperta e internazionale. L’Istituto universitario europeo per ora ha deciso di non rilasciare dichiarazioni.

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A Firenze 4 agenti rimuovono un manifesto con scritto “I rifugiati sono benvenuti”. L’episodio è avvenuto all’Istituto Universitario Europeo

Accade a Firenze. 4 agenti della polizia (4!) entrano nell’Istituto Universitario Europeo e tolgono un manifesto che diceva “I rifugiati sono benvenuti”. Il manifesto è stato riappeso degli studenti. Ma l’onta delle priorità delle forze dell’ordine rimane lì, ben visibile.

Rimosso dalla Polizia all’Istituto Universitario Europeo di Firenze un manifesto in cui era scritto che i rifugiati sono benvenuti

Un gruppo di ricercatori racconta “la profilazione razziale” e le “molestie subite (senza nessuna provocazione)” avvenute negli ultimi giorni. “L’Istituto universitario europeo (EUI) – scrivono – e l’evento The State of Union (SOU) pretendono di essere spazi per lo scambio di idee libero e franco. Ciò che è successo oggi, tuttavia, dimostra chiaramente che questo spazio è limitato solo alle forme di espressione pre-sanzionate e pre-approvate”. I ricercatori (che provengono da tutto il mondo) raccontano di avere sollevato più volte la questione della sicurezza nel campus, dove la presenza massiccia di forze di polizia chiamate direttamente dell’istituto è indice dell’incapacità della direzione di “non sapere gestire la sicurezza dei propri studenti”.

Già qualche giorno fa, in occasione dell’annunciata presenza della vicepresidente spagnola Nadia Calviño in occasione di una sessione SOU (“Intelligenza artificiale responsabile: l’Europa può essere un leader globale?”) i ricercatori spagnoli hanno denunciato un clima di intimidazione. Agenti della DIGOS erano intervenuti per identificare alcuni di loro che avevano preparato per Calviño un report sulle loro condizioni precarie (basso stipendio, difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria, ecc.). Calviño non si è presentata all’evento ma un agente della Questura avrebbe ripetuto ai ricercatori (che si dicono stupiti dalle modalità della polizia italiana) che “non era quello il posto in cui protestare”.

“Ma non esiste la libertà di espressione, visto che stiamo dolo distribuendo volantini”, ha chiesto incredula una ricercatrice spagnola. “Perché non è questo il posto?”. Nessuna risposta. I presenti raccontano che “il linguaggio e il comportamento del poliziotto comunicavano chiaramente un atteggiamento aggressivo e intimidatorio, e continuava a schivare la domanda”.

Ieri un gruppo di quattro agenti (questa volta in divisa) si è recato nella mensa dell’Istituto universitario europeo per rimuovere una locandina dalla bacheca. “Questo poster – raccontano i ricercatori – presentava una grande grafica “Refugees Welcome” e metteva in discussione la legge e la politica su rifugiati e migrazione dell’UE e dell’Italia”. Solo dopo qualche minuto i 4 poliziotti hanno deciso di rimettere il manifesto al loro posto, accortisi della tensione in sala.

Secondo gli studenti questo episodio fotografa la natura problematica di un evento come “The State of Union” ospitato nell’università che, spiegano, “non solo interrompe il lavoro dei ricercatori, ma crea anche un ambiente ostile e condizioni di lavoro non sicure”. In una nota i ricercatori scrivono: “il nostro campus dovrebbe essere uno spazio sicuro per tutti i ricercatori, indipendentemente dalla loro cittadinanza o dal colore della loro pelle. Non dovrebbe essere un luogo in cui esprimersi – o anche semplicemente esistere – può portare a discriminazione, profilazione razziale e molestie e intimidazioni della polizia”.

Siamo diventati così. Siamo un Paese in cui dei ricercatori universitari (peggio ancora se con la pelle più scura) vengono adocchiati come criminali mentre decidono di esprimere le loro opinioni a margine di un evento che discute proprio dello stato dell’Unione. Siamo un Paese in cui un foglio appeso in mensa che rilancia la solidarietà e che critica le politiche italiane e europee riesce a meritarsi l’attenzione di un nutrito gruppo di poliziotti. All’interno di un’università che si professa aperta e internazionale. L’Istituto universitario europeo per ora ha deciso di non rilasciare dichiarazioni.

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Diventa legge il disumano decreto Cutro

Il cosiddetto decreto Cutro è legge. L’Aula della Camera, con 179 voti a favore, 11 contrari e tre astenuti ha dato il via libera definitivo. L’emergenza che non esiste l’ha illustrata perfettamente il deputato di +Europa Riccardo Magi nella relazione di minoranza: “La popolazione straniera in Italia all’1 gennaio 2022 è di 5 milioni e 194mila residenti. In quattro anni, è aumentata di meno di 200mila unità”, quindi si legge nel documento “su una popolazione di quasi 60 milioni di abitanti, si tratta di cifre del tutto gestibili”.

Via libera definitivo della Camera al decreto Cutro. Il testo affossa la protezione speciale. Intanto sui migranti è scontro tra Roma e Parigi

Quello che conta per Meloni, Salvini e soci però è sfamare lo stomaco dei loro elettori più feroci, via libera dunque a una legge che nei fatti non risolverà nulla. Lo scopo semplicemente è quello di abbattere ancora di più il sistema di accoglienza: via la protezione speciale (in attesa dei ricorsi che si prospettano numerosi), limitato il diritto di fare ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria contro la decisione della commissione territoriale che si pronuncia sulla richiesta di asilo.

C’è l’inasprimento di pene per gli scafisti (che Meloni ha promesso di inseguire in tutto l’orbe terraqueo ma non pare abbia capito bene che siano), ci sono le modifiche alla durata dei permessi per lavoro e il potenziamento tecnico-logistico del sistema di prima accoglienza e dei controlli di frontiera. “Una risposta disumana, illegale e che scarica sui territori problemi e criticità difficili da gestire”, dice Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera dei Deputati.

Miraglia: “Il Parlamento ha scritto un’altra pagina nera della storia della Repubblica”

Per Roberto Giachetti, deputato di Azione-Italia Viva, si tratta di un provvedimento che “prende in giro anche gli elettori di destra” perché l’unica soluzione sarebbe “coinvolgere l’Europa che il governo prende a calci in bocca dalla mattina alla sera”. Secondo Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione dell’Arci, “il Parlamento ha scritto un’altra pagina nera della storia della Repubblica. Sul territorio verrà scaricata una situazione di maggior disagio sociale e l’aumento della irregolarità alimenterà il lavoro nero, lo sfruttamento e l’evasione fiscale e contributiva. Tutte conseguenze di una miopia del governo e della maggioranza di destra, che mette al primo posto la propaganda e la retorica anti immigrati e non ricerca mai gli interessi delle persone e del Paese”.

Quello che conta, lo si intende dalle parole dei deputati della maggioranza, è “cancellare la riforma della sinistra” e ripristinare “i Decreti sicurezza”. La missione, per ora, è compiuta. Matteo Salvini sorride soddisfatto. La realtà però irromperà. Anzi, una schiaffo di realtà già è arrivato ieri, al di là degli slogan e dei decreti per la propaganda. In un’intervista a Rcm il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, ha detto che l’Italia conosce “una gravissima crisi migratoria” ma la premier Giorgia Meloni che guida “un governo di estrema destra scelto dagli amici della signora Le Pen, è incapace di risolvere i problemi migratori per i quali è stata eletta”.

Poi Darmanin ha proseguito: “C’è un vizio nell’estrema destra, che è quello di mentire alla popolazione”. Il ministro Tajani risentito starebbe valutando l’ipotesi di cancellare la sua visita ufficiale a Parigi. La realtà primo o poi irrompe e non si piega agli slogan. Con chi tratta l’Italia Per ora rimane il generale libico Khalifa Haftar che ieri ha incontrato Giorgia Meloni a Roma. L’”l’uomo forte” della Cirenaica, al di là dei comunicati ufficiali, fa quello che ha sempre fatto: chiede soldi promettendo di arginare le partenze. Che sia un criminale di guerra in questo caso non sembra contare. A proposito: ieri il deputato Scotto (PD-IDP) ha presentato un ordine del giorno che chiedeva la soppressione della parola ‘razza’ da tutti i documenti e gli atti della Pubblica Amministrazione. Bocciato, ovviamente.

Salta il bilaterale tra Tajani e Colonna: “Non è questo lo spirito con il quale si dovrebbero affrontare sfide europee comuni”

E proprio a causa delle esternazioni di Darmanin contro il premier Meloni è saltato il vertice parigino tra il ministro degli Esteri Antonio Tajani con la collega francese Catherine Colonna. “Non andrò a Parigi per il previsto incontro con Colonna. Le offese al governo ed all’Italia pronunciate dal ministro Darmanin sono inaccettabili. Non è questo lo spirito con il quale si dovrebbero affrontare sfide europee comuni”, ha twittato il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani.

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Cambiamento climatico. La vera emergenza che il governo ignora

Lo stato di emergenza che andrebbe proclamato ora, subito, con un comunicato stampa a reti unificate è uno solo: quello per il cambiamento climatico. Si potrebbe cominciare magari facendo un po’ di informazione, quella seria, quella che se ne frega della demagogia e del populismo che soffia forte sulle bocche dei componenti di questo governo.

Lo stato di emergenza che andrebbe proclamato ora, subito, a reti unificate è uno solo: quello per il cambiamento climatico

Sapremmo per esempio che le esondazioni e la siccità sono due facce della stessa medaglia. Accade che in Spagna all’aeroporto di Cordoba nei giorni scorsi si sia tocca la temperatura record di 38,8° mentre in Emilia Romagna si faccia il conto dei danni e dei morti e dei dispersi. In Spagna Fuente de Piedra, un famoso lago dell’Andalusia noto per essere uno scalo preferito dai fenicotteri, è completamente asciutto e in Emilia Romagna sono cadute 20 bombe d’acqua in 24 ore.

Come fa notare (da tempo) Coldiretti siamo di fronte alle evidenti conseguenze dei cambiamenti climatici anche in Italia dove l’eccezionalità degli eventi atmosferici è ormai la norma, con una tendenza alla tropicalizzazione che – continua la Coldiretti – si manifesta con una più elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo, con sbalzi termici significativi. Sapevamo che sarebbe successo. Lo ripete da tempo l’intera comunità scientifica, tranne quello 0,1% di negazionisti che da noi scrivono straziati editoriali su quotidiani nazionali e sono i consiglieri più ascoltati della compagine di governo.

Il fattore scatenante principale delle precipitazioni estreme è il cambiamento del clima di origine umana

Il rapporto dell’Ipcc – il report intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu – solo pochi mesi fa scriveva: “La frequenza e l’intensità delle precipitazioni estreme è aumentata dal 1950 su tutte le terre emerse e il cambiamento del clima di origine umana è il suo fattore scatenante principale”. E poiché l’origine siamo noi è evidente che siamo solo noi che possiamo fermarlo.

La destra pensa a rave e migranti. E sull’ambiente cala il negazionismo

Se Giorgia Meloni e i suoi compagni di governo, in primis il ministro Gilberto Pichetto Fratin, trovassero minuto libero tra l’impoverire i poveri, disperare i già disperati, respingere i respinti che cercano approdo, criminalizzare i giovani che provano a urlare gli stessi contenuti di questo articolo forse potrebbe accorgersi – dopo sei mesi di governo – dell’emergenza più incombente di tutte, quella che interessa ugualmente i ricchi e i poveri che siano bianchi o siano nero indifferentemente dalla loro religione e il loro credo politico: il clima è in tilt, occuparsi di volta in volta del meteo è un errore da ignoranti o da criminali.

Ci sono tra le altre cose anche tutti gli elementi che rendono chiara l’emergenza. Per rimuovere e mitigare le cause però il Governo dovrebbe smetterla di leccare i signori del petrolio e avere il coraggio di avviare un deciso cambio di passo sulle combustioni fossili.

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L’ira dei clan per l’obbligo del Pos. Che il Governo voleva cancellare

L’utilizzo del Pos rende più difficile la vita alle mafie. Chi lo dice? Le mafie. E chissà se la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che non ha ascoltato su questo punto gli esimi pareri di chi conosce bene l’evasione fiscale, ora si convincerà che le sue scelte (fortunatamente non tutte riuscite) siano un gran favore ala criminalità organizzata.

La rivelazione nelle carte dell’inchiesta di Reggio Calabria. I boss intercettati si lamentano del tetto al contante

Dalle carte dell’operazione antimafia di ieri, denominata “Eureka”, si racconta di Domenico Giorgi, il capo di un impero di soldi sporchi accumulato con il narcotraffico che venivano reinvestiti in società dedite alla ristorazione. Che la ‘Ndrangheta abbia messo le mani sui ristoranti come lavatrici dei soldi sporchi lo sappiamo da tempo. Giorgi con la società “Caffè In srl” controllava il ristorante “Antica Trattoria da Pallotta” di Roma mentre con alcune società portoghesi controllava cinque ristoranti in Portogallo.

Le società ovviamente erano solo una copertura. Alla fine del mese i soldi di tutte le attività venivano spartiti tra i soci occulti. Mentre si dividono i soldi però i soci dell’attività di copertura si lamentano proprio dell’utilizzo del Pos: “C’abbiamo perso un milione di euro”, dicono nervosi. Scrive il Gip: “I due si lamentano dei pagamenti effettuati tramite Pos, circostanza che limita notevolmente il margine di manovra per distrarre somme dagli incassi della società”. È il 22 novembre del 2021, quando Domenico Giorgi e Francesco Nirta “offrono ulteriori elementi in ordine alle divisioni mensili tra i soci del contante proveniente sia dal circuito dei ristoranti portoghesi, sia dalla gestione del ristorante romano; i due ripercorrono le spartizioni dei mesi precedenti, fino a giungere a quella più recente del mese di ottobre, mensilità durante la quale i quattro membri del gruppo hanno percepito una quota pro capite pari a 16.135 euro”.

Tra pagamenti elettronici e pandemia non si danno pace: “Nel 2018 – dicono Giorgi e Nirta – erano 29mila euro di spartizione, 116mila abbiamo diviso, 29mila euro a testa. Proprio, in assoluto è stato nel 2017, 48mila euro a testa. Ci siamo divisi 194mila euro”. E sostengono che un risultato analogo avrebbero conseguito anche nel 2021 senza le chiusure dovute alla pandemia: “Ci ha rovinati, che se era con il lavoro normale, ci saremmo divisi un sacco di soldi”.

Torniamo indietro. Vi ricordate “gli appunti di Giorgia”? Avrebbe dovuto essere un appuntamento settimanale di Meloni con i suoi elettori sui social del Governo. Non deve essere andata benissimo la prima puntata, visto che è stata l’ultima. Disse Giorgia Meloni il 4 dicembre: “Abbiamo aumentato il tetto al contante perché il tetto al contante sfavorisce la nostra economia perché siamo in un mercato europeo e, in un mercato europeo, il tetto al contante ha un senso se ce l’hanno tutti, mentre in Europa esistono diversi tetti al contante e molte nazioni che non hanno un tetto al contante”.

A ruota intervenne anche il ministro Salvini: “Le multe vanno previste per altro” disse “se le opposizioni si attaccano alla questione del Pos vuol dire che è un’ottima manovra”. Notevole fu anche l’intervento del ministro Tajani: “Non è lì che si evade, se metti una soglia al pos più bassa basta andare 3 volte in banca e ritirare, non è che lì si combatte la corruzione e l’evasione fiscale”. Le risposte alle loro corbellerie, dopo averle ricevute dall’Europa (la moneta elettronica è negli obbiettivi del Pnrr) ora le hanno avute anche direttamente dai boss.

 

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Le mani insanguinate di Haftar

Per comprendere quali siano i programmi del governo italiano per aiutarli “a casa loro” basta ripercorrere la giornata di ieri, quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni s’è intrattenuta per stringere le mani lordate di sangue di Khalifa Haftar, fresco di condanna come criminale di guerra l’anno scorso in un tribunale della Virginia.

È lo stesso Haftar che fu braccio armato di Gheddafi nel Ciad. Fatto prigioniero dai ciadiani prima di essere liberato dagli Usa dove si trattene giusto il tempo di aspettare la caduta del “dittatore libico” (qui da noi si diventa dittatori solo quando si diventa inutili) per tornare in Libia a tentare golpe a ripetizione.

Il curriculum sanguinario non ha impedito a Haftar di varcare le soglie di Palazzo Chigi. Per il governo italiano “l’uomo forte della Cirenaica” è un “tappo”. Chiedono a lui di bloccare le partenze dalla regione (10mila su 17mila nel 2023 secondo i dati ufficiali del governo). Non è troppo difficile immaginare quali siano i metodi che Haftar sia disposto a utilizzare. Ma questo non conta. Ci si affida alla memoria molle degli italiani che dal 2017 digeriscono il memorandum libico firmato dall’ex ministro del’Interno Minniti. Non sarà difficile firmarne un altro anche con lui.

Non è nemmeno difficile immaginare quali potrebbero essere i dettagli dell’accordo. Al ras libico interessano i soldi e i mesi per “contenere le partenze”, che è la formula diplomatica per condonare le illegittime detenzioni e le violenze. Giorgia Meloni penserà di avere trovato un alleato fedele – lo pensano da anni della cosiddetta Guardia costiera libica – e invece sta semplicemente legittimando l’ennesimo signorotto di una Libia che è una polveriera di autocrati locali che cercano un equilibrio nazionale.

Haftar però non ha nessun interesse nel bloccare le partenze. Haftar, come tutti gli autocrati a cui l’Europa prova ad appaltare il controllo delle frontiere, esiste ed è potente proprio grazie alle partenze. I migranti sono la leva con cui ha potuto fregiarsi di un incontro ufficiale con la presidente del Consiglio italiana e con il ministro degli Esteri italiano.

Può bastare un particolare. Ieri Giorgia Meloni ha stretto le mani insanguinate di Haftar per chiedergli di bloccare le partenze dalla Cirenaica che secondo diverse fonti locali è gestita da Saddam Haftar, figlio del generale. Eccoci qui.

Buon venerdì.

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Ogni anno scompare una pianta da frutto su cinque

Addio a quasi una pianta da frutto su cinque in Italia negli ultimi quindici anni con la scomparsa che riguarda tutte le principali produzioni, dalle pere ai limoni, dalle pesche alle albicocche, dall’uva da tavola alle ciliegie, dalle arance alle clementine.

Tra le specie in via d’estinzione: uva da tavola e pesche nettarine. Difficile produrre anche le pere

Il dato emerge dall’analisi della Coldiretti che denuncia “una strage di piante da frutto” che sta provocando la desertificazione dei territori nelle regioni italiane con drammatici effetti sui consumi nazionali, economia, lavoro, clima, ambiente e salute degli italiani. La situazione peggiore – sottolinea la Coldiretti – si registra per le nettarine con la scomparsa di quasi la metà delle piante (-45%) come per l’uva da tavola (-43%), per le pere (-34%) ma è anche stata estirpata 1 pianta di pesco su tre (-33%), 1 pianta di mandarino su 5 (-20%) e ben il 16% degli alberi di arance mentre crescono in controtendenza solo i kiwi (+11%).

I rincari energetici spingono i costi correnti per la produzione della frutta

Sul settore pesano i rincari energetici che spingono i costi correnti per la produzione della frutta che arrivano ad aumentare del 42% con un impatto traumatico sulle aziende agricole egli effetti dei cambiamenti climatici e il moltiplicarsi degli eventi estremi con danni sui raccolti anche a causa degli insetti e dei patogeni alieni e le difficoltà di reperimento della manodopera. A causa del surriscaldamento sono arrivati parassiti “alieni”, mai visti prima, che si sono accaniti sulle produzioni nazionali.

Quasi un prodotto alimentare su 5 importato in Italia non rispetta le normative

A questo si aggiungono i danni causati dalla concorrenza sleale – denuncia Coldiretti – con quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia che non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese, spesso spinto addirittura da agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea.

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La politica dorme, la ‘ndrangheta No

L’antimafia dorme in Parlamento, le mafie no. Il bilancio dell’operazione “Eureka” coordinata dalla Dda di Reggio Calabria ieri ha restituito le dimensioni della potenza della ‘ndrangheta: quattro ordinanze di custodia cautelare, 108 arrestati di cui 85 in carcere, milioni di euro di beni sequestrati in mezza Europa.

Mentre in Parlamento la Commissione Antimafia è al palo l’ennesima inchiesta contro la ‘ndrangheta prova che i clan sono più attivi che mai

L’attacco sferrato dagli investigatori coordinati dal procuratore Giovanni Bombardieri, (oggi confermato dal Csm capo dell’ufficio), dall’aggiunto Giuseppe Lombardo e dai pm Diego Capece Minutolo e Giovanni Calamita, punta alle cosche Nirta-Strangio di San Luca e ai Morabito di Africo, uscendo dai confini calabresi, fino alle provincie di Pescara, Milano, Salerno, Catania, Savona, Bologna, Vicenza, L’Aquila, Ancona, Roma e Cagliari. Le perquisizioni hanno interessato pure otto Paesi europei.

“Si tratta senza dubbio della più grande operazione mai realizzata contro la mafia calabrese in Europa”, dicono i portavoce della procura federale belga. Dalle indagini si apprende che sei tonnellate di cocaina sono state movimentate tra il maggio 2020 e il gennaio 2022 dalle cosche di ‘ndrangheta, tre delle quali sono state sequestrate dagli investigatori. Nel corso delle indagini sono stati registrati i contatti tra le cosche più rilevanti del mandamento ionico reggino con esponenti del clan del Golfo, l’organizzazione paramilitare colombiana impegnata nel narcotraffico internazionale.

I carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Reggio Calabria, infatti, hanno ricostruito numerosi episodi di importazione della droga che arrivava, via mare, nei porti Gioia Tauro, Anversa e Colon. Accertati anche i flussi dei soldi riconducibili alle compravendite dello stupefacente che venivano gestiti da organizzazioni composte da soggetti di nazionalità straniere, specializzati nel pick-up money, o da spalloni che spostavano denaro contante sul territorio europeo. Le movimentazioni hanno interessato Panama, Colombia, Brasile, Ecuador, Belgio e Olanda.

Complessivamente sono circa 22 milioni e 300mila euro le somme spostate con queste modalità. Soldi che in parte sarebbero stati reimpiegati nell’acquisto di auto e beni di lusso, nonché utilizzati per avviare e finanziare attività commerciali in Francia, Portogallo e Germania, ove venivano anche riciclati sfruttando attività di autolavaggio. Sequestri di società e beni e arresti sono stati eseguiti anche in Germania. L’inchiesta ha anche fatto luce sulla latitanza del boss Rocco Morabito, detto “Tamunga”, già latitante di massima pericolosità inserito nel programma speciale di ricerca del Viminale, arrestato dai carabinieri in Brasile nel 2021 dopo un’evasione nel 2019 dal carcere di Montevideo mentre attendeva di essere estradato in Italia.

Morabito, secondo l’accusa, avrebbe anche offerto un container di armi da guerra a un’organizzazione paramilitare brasiliana in cambio di ingenti quantità di droga verso il porto di Gioia Tauro. “Nel corso dell’indagine – scrive il gip nell’ordinanza – è stata documentata l’organizzazione da parte di Morabito di una spedizione in Brasile di un container carico di armi da guerra, provenienti dai paesi dell’ex Unione Sovietica, fornite che da un’organizzazione criminale operante in Italia e Pakistan”.

“Un’operazione senza precedenti – ha detto il Procuratore capo della Procura di Reggio Calabria, Bombardieri, nel corso della conferenza stampa – che ha registrato la più ampia cooperazione tra autorità investigative, un risultato che rende il sistema giudiziario italiano partner affidabile a livello mondiale”. Chissà quando arriverà anche la politica.

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La Fondazione Gimbe lancia l’allarme: mancano pediatri, le famiglie sono in difficoltà

Secondo quanto riportato sul sito del ministero della Salute, il pediatra di libera scelta (Pls) – cd. pediatra di famiglia – è il medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni. Ad ogni bambino, sin dalla nascita, deve essere assegnato un Pls per accedere a servizi e prestazioni inclusi nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale (Ssn). «L’allarme sulla carenza dei Pls – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione Gimbe – oggi è lanciato da genitori di tutte le Regioni, da Nord a Sud con narrative dove s’intrecciano questioni burocratiche, mancanza di risposte da parte delle Asl, pediatri con numeri esorbitanti di assistiti, sino all’impossibilità di esercitare il diritto d’iscrivere i propri figli al pediatra di famiglia con potenziali rischi per la salute, in particolare dei più piccoli e dei più fragili».

Al fine di comprendere meglio le cause e le dimensioni del fenomeno, la Fondazione Gimbe ha analizzato le criticità insite nelle norme che regolano l’inserimento dei Pls nel Ssn e stimato l’entità della carenza di Pls nelle diverse Regioni italiane. «È bene precisare – spiega Cartabellotta – tre aspetti fondamentali. Innanzitutto le regole sulle fasce di età di assistenza esclusiva dei minori, quelle per definire il “massimale” degli assistiti e quelle per identificare le aree carenti di pediatri sono frutto di compromessi con i medici di medicina generale (Mmg), oltre che delle politiche sindacali degli stessi Pls. In secondo luogo, su carenze e fabbisogno è possibile solo fare stime a livello regionale, perché la reale necessità di Pls viene stimata dalle singole Aziende sanitarie locali (Asl). Infine, sui numeri relativi ai nuovi specialisti in pediatria che intraprendono la carriera di Pls e su quelli che vanno in pensione possono solo essere fatte delle stime». 

CRITICITÀ ATTUALI 

Fasce di età. Sino al compimento del 6° anno di età i bambini devono essere assistiti per legge da un Pls, mentre tra i 6 e 14 anni i genitori possono scegliere tra Pls e Mmg. Al compimento dei 14 anni la revoca del Pls è automatica, tranne per pazienti con documentate patologie croniche o disabilità per i quali può essere richiesta una proroga fino al compimento del 16° anno. «Queste regole – spiega Cartabellotta – se da un lato contrastano con la definizione di Pls come medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni, dall’altro rappresentano un enorme ostacolo per un’accurata programmazione del fabbisogno di Pls». Infatti, secondo i dati Istat al 1° gennaio 2022 la fascia 0-5 anni (iscrizione obbligatoria al Pls) include più di 2,6 milioni di bambini e quella 6-13 (iscrizione facoltativa al Pls) quasi 4,3 milioni: ovvero oltre il 62% della fascia 0-13 anni potrebbe iscriversi ad un Mmg in base alle preferenze dei genitori. 

Massimale di assisiti. Secondo quanto previsto dal ministero della Salute, il numero massimo di assistiti di un Pls è fissato a 800, ma esistono varie deroghe nazionali, regionali e locali che portano spesso a superare i 1.000 iscritti: indisponibilità di altri pediatri del territorio, fratelli di bambini già in carico ad un Pls, scelte temporanee (es. extracomunitari senza permesso di soggiorno, non residenti). «In tal senso – commenta il presidente – le politiche sindacali locali hanno sempre mirato ad innalzare il massimale (e i compensi) dei Pls già in attività, piuttosto che favorire l’inserimento di nuovi colleghi».

Zone carenti. I nuovi Pls vengono inseriti nel Ssn previa identificazione da parte della Regione – o soggetto da questa individuato – delle cosiddette “zone carenti”, ovvero gli ambiti territoriali in cui occorre colmare un fabbisogno assistenziale e garantire una diffusione capillare degli studi dei Pls. Attualmente, tuttavia, la necessità della zona carente viene calcolata solo sulla fascia di età 0-6 anni tenendo conto di un rapporto ottimale di 1 Pls ogni 600 bambini. «È del tutto evidente – chiosa il Presidente – che questo metodo di calcolo sottostima il fabbisogno di Pls: paradossalmente, facendo riferimento alle regole vigenti, i Pls sarebbero addirittura in esubero perché il loro fabbisogno viene stimato solo per i piccoli sino al compimento dei 6 anni. Mentre di fatto assistono oltre l’80% di quelli della fascia 6-13 anni». Va segnalato che la bozza del nuovo Accordo collettivo nazionale propone di rivedere il calcolo del rapporto ottimale tenendo conto degli assistibili di età 0-14 anni, decurtati dagli assistiti di età maggiore ai 6 anni in carico ai Mmg e di innalzare il massimale da 800 a 1.000 assistiti.

Pensionamenti. Secondo le stime dell’Enpam al 31 dicembre 2021 più del 50% dei Pls aveva oltre 60 anni di età ed è, quindi, atteso un pensionamento massivo nei prossimi anni: ovvero, considerando una età di pensionamento di 70 anni, entro il 2031 dovrebbero andare in pensione circa 3.500 Pls.

Nuovi pediatri. Il numero di borse di studio ministeriali per la scuola di specializzazione in pediatria, dopo un decennio di sostanziale stabilità, è nettamente aumentato negli ultimi 5 anni: dai 440 nell’anno accademico 2016-2017 a 841 nel 2021-2022, con un picco di 973 nell’anno accademico 2020-2021 (figura 1). «Tuttavia – spiega Cartabellotta – se da un lato è impossibile sapere quanti specializzandi in pediatria sceglieranno la carriera di PLS e quanti quella ospedaliera, dall’altro è certo che i nuovi pediatri non saranno comunque sufficienti per colmare il ricambio generazionale». In particolare, l’Enpam stima che il numero dei giovani formati o avviati alla formazione specialistica coprirebbe solo il 50% dei posti di Pls necessari. 

CARENZE E FABBISOGNO DI PEDIATRI

Trend 2019-2021. Secondo l’ultimo aggiornamento del report Agenas Il personale del Servizio Sanitario Nazionale nel 2021 in Italia i Pls in attività erano 7.022, ovvero 386 in meno rispetto al 2019 (-5,5%). Inoltre, secondo quanto riportato dall’Annuario Statistico del SSN 2021, i PLS con oltre 23 anni di specializzazione sono passati dal 39% nel 2009 all’80% nel 2021 (figura 2). «Un dato – commenta Cartabellotta – che aggiunge alla carenza di PLS il mancato ricambio generazionale che con i pensionamenti dei prossimi anni rischia di creare un vero e proprio “baratro” dell’assistenza pediatrica».

Numero di assistiti per Pls. Secondo le rilevazioni della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC), al 1° gennaio 2022, 6.921 PLS avevano in carico quasi 6,2 milioni di iscritti, di cui il 42,3% (2,62 milioni) della fascia 0-5 anni e il 57,7% (3,58 milioni) della fascia 6-13 anni, pari all’83,3% della popolazione Istat al 1° gennaio 2022 di età 6-13 anni. In termini assoluti, la media nazionale è di 896 assistiti per PLS e a livello regionale solo Umbria (784), Sardegna (788), Sicilia (792) e Molise (798) rimangono al di sotto del massimale senza deroghe; 17 Regioni superano invece la media di 800 assistiti per PLS di cui Piemonte (1.092), Provincia Autonoma di Bolzano (1.060) e Toscana (1.057) vanno oltre la media di 1.000 assistiti per Pls (figura 3). «Lo scenario – spiega Cartabellotta – è molto più critico di quanto lasciano trasparire i numeri: infatti, con un tale livello di saturazione non solo viene meno il principio della libera scelta, ma in alcune Regioni diventa impossibile trovare disponibilità di Pls, in particolare nelle aree interne o disagiate dove i bandi per le zone carenti vanno spesso deserti».

Fabbisogno di Pls. «Tutte le criticità sopra rilevate – spiega Cartabellotta – permettono solo di stimare il fabbisogno di Pls in base al numero di assistiti attuali a livello regionale, in quanto la necessità di ciascuna zona carente viene identificata dalle Asl in relazione a numerose variabili locali, previa consultazione con i sindacati». Utilizzando i dati della Sisac al 1° gennaio 2022 e ipotizzando una media di 800 assistiti a Pls (pari all’attuale tetto massimo) si stima a livello nazionale una carenza di 840 Pls, con notevoli differenze regionali (figura 4). Ma con una media di 700 assistiti per Pls, che garantirebbe l’esercizio della libera scelta, ne mancherebbero addirittura 1.935.

«La carenza di Pls – conclude Cartabellotta – deriva da errori di programmazione del fabbisogno, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e borse di studio per la scuola di specializzazione. Ma rimane fortemente condizionata sia da miopi politiche sindacali, sia da variabili locali non sempre prevedibili che rendono difficile calcolarne il fabbisogno. Innalzare l’età pensionabile a 72 anni e aumentare il massimale a 1.000 servono solo a mettere “la polvere sotto il tappeto” e non a risolvere il grave problema della carenza dei Pls. In tal senso servono un’adeguata programmazione, modelli organizzativi che puntino sul lavoro di team, grazie anche alle Case di comunità e alla telemedicina, oltre che accordi sindacali in linea con i reali bisogni della popolazione. Perché guardando ai numeri di pensionamenti attesi e dei nuovi pediatri è ragionevolmente certo che nei prossimi anni la carenza non potrà che acuirsi ulteriormente».

Buon giovedì. 

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Panorama lancia il nuovo manifesto della razza

Ieri in edicola è uscito il nuovo numero del manifesto della razza. L’ha scritto, stampato e distribuito per noi il settimanale Panorama, diretto da Maurizio Belpietro. Sulla copertina rosso sangue campeggia il titolo Un’Italia senza italiani accompagnata da foto degli “stranieri” come li intende la peggiore destra bifolca: tutti neri, ovviamente, afrodiscendenti con l’aggiunta di una donna con il velo. A vederla di primo acchito si potrebbe pensare a una sfortunata titolazione. Niente affatto.

Ieri in edicola è uscito il nuovo numero del manifesto della razza. L’ha scritto, stampato e distribuito per noi il settimanale Panorama

“Dai ghetti di Campania e Puglia alle “balnlieue alla francese” di Milano e Roma, dove l’integrazione è ormai impossibile tra degrado e criminalità – si legge sulla copertina -. Al di là delle polemiche sulla “sostituzione etnica” vince la realtà”. All’interno l’articolo è la summa della peggiore televisione che in questi anni ha coltivato il razzismo per spingere la destra radicale. L’immagine è quella di un’Italia tormentata dai reati e dalla sporcizia dello straniero invasore, disturbata dai colori di pelle troppo scura nelle nostre città.

“Ecco la mappa di un Paese in cui l’immigrazione disordinata e clandestina ha strappato il tessuto sociale”, scrive fiero il settimanale. Il tessuto sociale, secondo Belpietro, è “strappato” non dalle mafie che importano quintali di cocaina e reinvestono i soldi sporchi in fiorenti (finte) attività economiche, non è nemmeno la corruzione e l’evasione fiscale che atterrisce le casse dello Stato e nemmeno il tracollo economico che impoverisce anche chi ha un lavoro: è colpa del nero ai bordi delle strade.

Ci siamo abituati al razzismo strisciante e dilagante ma la copertina di Panorama è un punto di svolta sull’argine della vergogna che si sposa qualche metro più in là. Come fa notare la scrittrice Michela Murgia quella copertina andrebbe messa sotto al naso di chi da mesi accusa di “esagerare” quando si parla di un dirompente ritorno del fascismo culturale che ormai sembra essersi sdoganato come pratica quotidiana.

“Ammetto che a volte – scrive Murgia – vorrei chiedere a chi minimizza: ma esattamente come ti aspetti che arrivi il fascismo? Che si annunci in camicia nera alla porta come i testimoni di Geova Che ti gridi “credere, obbedire, combattere in metropolitana”. Nel giro di pochi giorni un ministro e un importante settimanale della sua area politica hanno rilanciato la “sostituzione etnica” (teoria ispiratrice delle stragi di estrema destra) e hanno messo in copertina persone “non italiane”.

La parola “razza” è pronunciata liberamente da ministri e sottosegretari, senza nemmeno un plissé da parte dei giornalisti che raccolgono i loro deliri. Qualche settimana fa l’Organizzazione internazionale per le migrazioni dell’Onu (Oim) ha scritto che nel primo trimestre di quest’anno i ritardi nelle operazioni di ricerca e salvataggio (Sar) nel Mediterraneo sono stati un fattore determinante in almeno sei episodi dall’inizio dell’anno, causando la morte di 127 persone. Qual è il limite? Quanto razzismo e quanta xenofobia siamo disposti a sopportare dalla stampa di destra che batte sui tamburi dell’intolleranza per ingrassare il vitello già grasso della compagine governativa Qual è il limite in cui una parte del Parlamento e della società civile avranno il coraggio di chiamare questo nero agire con il suo vero nome?

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