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Elezioni comunali, destre unite in 12 capoluoghi su 13

Non manca molto. Le elezioni comunali sono alle porte – ormai meno di un mese – e le alleanze locali dicono molto anche degli equilibri nazionali. Il centrodestra di governo com’è nella sua natura si rinsalda prima di ogni appuntamento elettorale mentre il “campo largo” del centrosinistra (definizione che già sembra appartenere a un’altra era geologica) va in ordine sparso.

Le elezioni comunali sono alle porte e le alleanze locali dicono molto anche degli equilibri nazionali

L’unica città in cui la compagine di governo non è riuscita a trovare un accordo è Massa, in Toscana. Troppo vicino il voto di Fratelli d’Italia alla mozione presentata dal centrosinistra che lo scorso marzo ha sfiduciato l’allora sindaco Francesco Cipriani sostenuto da Lega e Forza Italia. Persiani è ricandidato sostenuto da leghisti e berlusconiani mentre il partito di Giorgia Meloni ha puntato su Marco Guidi, sostenuto anche dal Nuovo partito socialista e da Noi moderati. Ma è un’eccezione: FdI, Lega e FI si presentano uniti in 12 capoluoghi su 13.

Ad Ancona il centrodestra sostiene la candidatura a sindaco di Daniele Silvetti, a Brescia di Fabio Rolfi, a Brindisi di Giuseppe Marchionna, a Imperia del sindaco uscente ed ex ministro Claudio Scajola, a Latina di Matilde Celentano, a Pisa del sindaco uscente Michele Conti, a Siena di Fabio Nicoletta, a Sondrio del sindaco uscente Marco Scaramelli, a Teramo di Carlo Antonetti, a Terni di Orlando Masselli, mentre a Treviso e Vicenza dei sindaci uscenti Mario Conte e Francesco Rucco.

L’alleanza tra Pd e M5S si ritrova in quattro città capoluogo su 13 (Brindisi, Latina, Pisa e Teramo) a indicare un avvicinamento lento, nonostante i propositi di Giuseppe Conte e Elly Schlein. Il M5S non presenta nessuna lista a Sondrio, in Lombardia, mentre a Brescia, Massa e Treviso ha deciso di correre con Unione Popolare, la lista di sinistra che alle ultime elezioni politiche era guidata da Luigi De Magistris.

A Brescia il candidato sindaco di UP e M5S, Alessandro Lucà, è sostenuto anche da un pezzo di Alleanza Verdi-Sinistra che ha rotto con i vertici nazionali, con tanto di strascico giudiziario dei vertici locali contro il segretario dei Verdi Angelo Bonelli accusato di avere “imposto” l’alleanza con il Pd. Una decisione “infondata e illegittima” secondo la federazione provinciale bresciana dei Verdi. Il Terzo polo che non esiste più presenta comunque una lista unitaria e con il proprio simbolo in 4 di 13 capoluoghi.

A Vicenza e a Brescia le macerie del Terzo polo sostengono i candidati sindaci del centrosinistra Laura Castelletti e Giacomo Possamai, mentre a Pisa e Treviso hanno presentato candidati sindaci autonomi. A Brindisi invece il cosiddetto Terzo polo ha deciso di sostenere il candidato del centrodestra. In quattro città invece la rottura tra Azione e Italia Viva si riflette anche nelle liste: a Siena Azione sostiene il candidato civico Roberto Bozzi, mentre Italia viva il civico Massimo Castagnini; a Massa Azione appoggia il candidato del centrodestra Persiani, mentre Italia viva sostiene quello del centrosinistra Enzo Romolo Ricci.

A Teramo Azione appoggia il candidato del centrodestra Antonetti, mentre Italia viva sostiene Maria Cristina Marroni. A Terni Azione sostiene il candidato del centrosinistra Jose Maria Kenny, mentre Italia viva non si è espressa per nessun candidato. Sullo sfondo rimane il quadro nazionale. È innegabile che l’apertura di credito del Pd nei confronti del M5S (e viceversa) si intraveda, anche se entrambi non vogliono certo siglare vincoli. Il cosiddetto Terzo polo veleggia tra macerie e e abboccamenti a destra e a sinistra. Quelli al governo, come sempre, trovano l’accordo.

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Erano pronti, piacciono ai competenti ma sono una manica di dilettanti

Non era mai accaduto, mai. Basta già questo per descrivere le proporzioni di quello che è accaduto il 27 aprile alla Camera quando la risoluzione sullo scostamento di bilancio da 3,4 miliardi di euro nel 2023 e 4,5 miliardi nel 2024, prevista nel Def, non è passata alla Camera. Nemmeno Giorgia Meloni, abituata a rimodellare i fatti a suo piacimento, ha potuto esimersi dal definirla una «brutta figura, siamo tutti responsabili». La risoluzione aveva bisogno di 201 voti a favore ma la maggioranza è stata mancata per 6 voti. Nella compagine di governo mancavano 11 leghisti, 9 forzisti e cinque deputati di Fratelli d’Italia.

Rimarrà negli annali la scena del vicepresidente della Camera Fabio Rampelli che osserva pietrificato il risultato, chiede a un commesso cosa stia succedendo, rimane disorientato sulla sedia e infine mesto dichiara la risoluzione respinta. L’esame del Def verrà ripreso «nelle modalità che saranno decise dalla conferenza di gruppo acquisite tutte le necessarie informazioni» ha detto nell’aula di Montecitorio il vicepresidente Fabio Rampelli. Durante le riunioni dei capigruppo al capogruppo di Fratelli d’Italia balena una grande idea, ripetere la votazione. Peccato che no, non si può.

Subito dopo che la Camera ha respinto la risoluzione è stato convocato un Consiglio dei ministri con all’ordine del giorno il Documento di economia e finanza 2023. La riunione lampo, su proposta del ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, ha approvato una nuova relazione al Parlamento. Restano confermati i saldi di finanza pubblica già riportati dal Documento di economia e finanza 2023, mentre la nuova relazione sottolinea le finalità di sostegno al lavoro e alle famiglie oggetto degli interventi programmati per il Consiglio dei ministri già fissato per l’1 maggio. L’Aula della Camera è stata quindi convocata questa mattina alle ore 9 per la discussione generale. Le dichiarazioni di voto inizieranno alle 10 mentre il voto è atteso intorno alle 11.30, così come ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Montecitorio: le Commissioni hanno esaminato il nuovo scostamento ieri sera.

«Nessun problema politico, è che i deputati o non sanno o non si rendono conto». Così il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti uscendo dall’aula della Camera, visibilmente irritato. Solo che il fatto che “i deputati non si rendono conto” è un problema politico, eccome. Un nostro problema.

Buon venerdì.

Nella foto: frame del video della votazione alla Camera, 27 aprile 2023

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Che flop la Venere di Santanchè

Fermi tutti, ci siamo sbagliati. La pessima campagna promozionale Open to meraviglia ideata dalla ministra Daniela Santanchè con le (costosissime) idee dell’agenzia Armando Testa rappresenta davvero lo spirito italiano. Anzi, ne è la fotografia esatta. Non tanto dell’Italia, Paese martoriato e svenduto nei suoi beni culturali dai governi di ogni colore, ma del governo italiano.

La pessima campagna promozionale Open to meraviglia ideata dalla ministra Santanchè è la fotografia del governo italiano

Ci sono tutti gli ingredienti fondamentali, dal vittimismo alla mancata percezione della realtà. Il tutto condito con un egocentrismo stizzito che deve essere il requisito essenziale per essere scelti in questo tempo. Dopo le polemiche sulla storpiatura della Venere di Botticelli cartonata come nuova influencer, dopo le osservazioni sulle immagini acquistate a poco prezzo nei siti stock e dopo la brutta figura dell’italianità promossa con un video di un agriturismo sloveno con vino sloveno sul tavolo la storica agenzia ieri ha deciso di acquistare una pagina del Corriere della Sera per rispondere alle critiche e, forse, per difendere il suo prezioso committente, il governo: “La Armando Testa ringrazia – si legge nel messaggio firmato dall’Agenzia -. Quando una campagna di promozione turistica rompe il muro dell’indifferenza e riesce a dar vita ad un dibattito culturale così vivace come quello acceso in soli 5 giorni da Italia. Open to Meraviglia, rappresenta sempre qualcosa di positivo”.

Nonostante 77 anni di onorata attività dalle parti dell’Agenzia (e del governo) non hanno capito che lo scopo di una campagna promozionale è “che se ne parli”. Si sono dimenticati che esiste anche un’altra fondamentale caratteristica: la reputazione che Santanché e agenzia hanno perso facendosi ridere dietro dai giornali di mezzo mondo. “Grazie perché non accadeva da anni che la notizia di una campagna istituzionale suscitasse una eco di tale portata – aggiunge l’Agenzia guidata da Marco Testa -. Quando poi si tratta di una campagna solo presentata ma non ancora uscita, probabilmente di una portata unica. Grazie per le migliaia di visualizzazioni, commenti, meme e per le appassionate discussioni di questi ultimi giorni: ci hanno fatto sentire davvero la più grande agenzia italiana, con un immenso reparto creativo di milioni di persone al lavoro sullo stesso concetto. Grazie anche a tutti coloro che hanno immaginato che il video destinato alla presentazione del progetto, e dunque realizzato con materiale di repertorio, fosse già lo spot ufficiale della campagna – scrive la Armando Testa”.

Questo passaggio è fenomenale. L’agenzia ha comprato una pagina del Corriere della Sera per dirci che la ministra Santanchè ha scambiato un video per uso interno per la campagna che ha lautamente pagato? Questa sarebbe una notizia: un ministero che spaccia come prodotto finito un rozzo prototipo è la fotografia dell’incompetenza. Anche qui, ovviamente, un etto di reputazione s’è persa per strada.

E sul costo della campagna (9 milioni di euro di soldi pubblici) l’agenzia rilancia: “Grazie a chi ci ha fatto sentire milionari! Ma i 9 milioni di euro dell’investimento previsto da Enit sono destinati alla pianificazione media in tutti i principali mercati: Europa, Paesi del Golfo, Usa, Centro e Sud America, Cina, India, Sud Est Asiatico e Australia”. Se cercate nel loro comunicato quanto sia costata la loro prestazione non potete perdere tempo: il prezzo – come accade spesso nelle pubblicità – qui non è nemmeno scritto piccolo in fondo. Non c’è proprio.

In compenso c’è il progetto di esportare la campagna in tutto il mondo (in tutto l’orbe terraqueo, direbbe qualcuno) ma manca l’Africa: probabilmente da quelle parti temono che poi vogliano venire tutti qui da noi. Altra caratteristica notevole della difesa (che riesce a offendere) è il tono. La presunzione mischiata con un pizzico di vittimismo è la reazione costante che questo governo propone in ogni occasione. Torna utile per buttarla in caciara, immaginare scontri anche dove ci sono semplicemente delle osservazioni critiche e evitare di rispondere sul punto.

Perché sul punto l’agenzia Armando Testa avrebbe potuto spiegarci come si possa presentare e vincere l’affidamento di una campagna di tal portata con un filmato talmente brutto, con una creatività così banale e con dei testi così sbilenchi. Ma questo, nonostante avessero lo spazio di una pagina, si sono dimenticati di dircelo. Quello che conta, forse, è semplicemente riciclare il famoso claim “molti nemici molto onore”, che sicuramente piace dalle parti del governo.

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Migranti, Macron dà lezioni di sovranismo alla Meloni

Il problema è che a forza di giocare a fare i sovranisti, i difensori della patria e dei confini alla fine trovi sempre qualcuno più sovranista di te che ti epura. Così il gioco che ha ben funzionato in campagna elettorale al duo Meloni-Salvini oggi mostra la sua ipocrisia e soprattutto la sua inutilità.

La Francia ha deciso di schierare altri 150 poliziotti al confine dell’Italia per controllare il flusso di migranti

Mentre il governo italiano non riesce a chiudere i porti e blindare i confini (semplicemente perché è vietato dal diritto internazionale ed è fisicamente impossibile) la vicina Francia decide di schierare altri 150 poliziotti al confine dell’Italia per controllare il flusso di migranti. La prima ministra francese Elisabeth Borne ha spiegato che “di fronte all’aumento della pressione migratoria al confine italiano, la prossima settimana mobiliteremo 150 poliziotti e gendarmi in più nelle Alpi Marittime”.

Già la settimana scorsa il presidente francese Macron aveva accolto le lamentele per il record di attraversamenti irregolari a Menton con una nuova stretta, largamente appoggiata dal suo ministro dell’Interno, Gérald Darmanin. La preoccupazione del governo francese è quella di evitare il più possibile i cosiddetti “movimenti secondari”, ovvero i flussi di migranti che dopo essere sbarcati nel nostro Paese tentano di raggiungere l’Europa attraversando la Francia.

Ciotti: “Occorre ripristinare i controlli alle frontiere con la massima urgenza”

Nei giorni scorsi il consigliere dei repubblicani francesi Eric Ciotti ha scritto una lettera al ministro dell’Interno: “Occorre ripristinare i controlli alle frontiere con la massima urgenza – ha scritto – e di dispiegare nuovamente i reparti mobili alla frontiera italiana, per evitare che un’ondata migratoria si abbatta sul nostro Paese”. “Nel marzo 2023 – ha aggiunto Ciotti – il flusso di minori non accompagnati entrati in Francia ha battuto un nuovo record con 521 persone prese in carico”.

Lo spostamento al confine di nuovi poliziotti rientra nel cosiddetto “pacchetto immigrazione” (dai contorni per ora piuttosto vaghi) di Macron che non verrà presentato in Parlamento perché manca una maggioranza per approvarlo. La premier francese, Borne, ha annunciato il rinvio per il prossimo autunno: “Oggi – ha riconosciuto Borne a Parigi – non c’è la maggioranza per approvare una tale legge, come ho potuto verificare ieri riunendomi con i responsabili dei Républicains”.

Macron ha pronto un pacchetto di norme sull’immigrazione

Tra i dossier “prioritari” però c’è anche l’immigrazione con una stretta sulle espulsioni ma anche una migliore integrazione dei rifugiati. Oltre all’invio di militari con il confine italiano tra gli altri temi della ‘road map’ macronista c’è anche il rafforzamento dei servizi pubblici, a cominciare da scuola e salute. In assenza di maggioranza assoluta, Borne si è detta “fiduciosa” di riuscire a trovare maggioranze variabili, “progetto per progetto”. Le lezioni – guardando bene – sono due. Giocare a fare i sovranisti disinteressandosi degli altri Stati europei e dei Paesi confinanti è pura propaganda che si schianta contro la realtà.

Sia Macron che Giorgia Meloni sanno bene che senza un accordo condiviso le frontiere diverranno un terreno di scontro sulla pelle dei migranti. Parigi accusa l’Italia di controlli blandi alla frontiera di migranti che secondo il trattato di Dublino, dovrebbero essere presi in carico dall’Italia. Macron ha intanto “disdetto” l’accordo per la redistribuzione di chi sbarca in Italia dopo il caso Ocean Viking, che coinvolse anche il ministro dell’interno Gerald Darmanin. Giocare a fare i patrioti in Europa non paga e non pagherà.

Tra Macron e Meloni, sui migranti, l’unica differenza è l’accento

La questione va risolta a Bruxelles dismettendo i panni dei patrioti e prendendosi la responsabilità di una politica davvero europea, con oneri e onori equamente distribuiti oltre al rispetto dei diritti e dei trattati internazionali. La seconda lezione è che Macron campione di progressismo è una favola molto cara a certi liberali italiani che non ha nessuna attinenza con la realtà. Tra Macron e Meloni, sui migranti, l’unica differenza è l’accento.

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Altra fuga dal Pd a Italia Viva. Ma per la Schlein è una buona notizia

Dice il senatore Enrico Borghi che il Pd con Elly Schlein “è diventato la casa di una sinistra massimalista figlia della cancel culture americana che non fa sintesi e non dialoga”. Riuscire a condensare in una sola frase così tante superficialità era un capolavoro, ma il senatore della corrente dem Base riformista, nostalgica di Renzi e in opposizione alla nuova segretaria, ci è riuscito. È pleonastico aggiungere che Borghi, come avvenuto qualche giorno fa per il suo ex compagno di partito e di corrente, prenda armi e bagagli per trasferirsi al “centro”, tra le macerie del Terzo polo, più precisamente tra le braccia del suo indimenticato leader Matteo Renzi.

Il senatore Borghi sbatte la porta e toglie il disturbo. Una spina nel fianco in meno per la leader del Pd Elly Schlein

Dice Borghi di credere “in un nuovo progetto riformista alternativo alla destra e distinto da questo Pd”. Per Borghi “le prime scelte di Schlein rappresentano una mutazione genetica: da partito riformista a un partito massimalista di sinistra. Io sono convinto che ci sia invece un elettorato moderato che ha bisogno di una casa. Dobbiamo impedire che vada in porto il progetto di Giorgia Meloni di lanciare una opa sui moderati italiani”. Poi il senatore trova un minuto per dirci che no, non si dimetterà, e non lascerà nemmeno il suo posto al Copasir.

Succhiare parlamentari e voti dal Partito democratico è diventato il core business di Italia Viva

In Italia Viva manco a dirlo esultano: succhiare parlamentari e voti dal Pd è il core business del partito renziano che apre anche questa legislatura come ha concluso quella passata, con un’operazione di cosmesi politica che gli permetterà di avere più parlamentari che voti. Secondo Renzi le parole con cui Borghi ha annunciato a Repubblica di lasciare i dem sono “un inno alla politica” perché “spiega il senso di una scelta partendo dalla politica”. Sarà. Di certo Borghi ha avuto un’intensa attività di corrente visto che non molto tempo fa si era allontanato dai cosiddetti “riformisti” del Pd al grido di “basta correnti!” per entrare nella corrente “neo ulivista” a pochi giorni dalle primarie per la segreteria.

L’ex sottosegretaria dem Alessia Morani constata che le “ragioni dell’addio del ‘neo ulivista’ Borghi siano poco comprensibili dette da lui. Le politiche che sarebbero all’origine del suo addio – dice Morani – e proposte dalla nuova segretaria Schlein erano per lo più condivise dalla segreteria Letta di cui faceva parte Borghi stesso”. Qualcuno, come il senatore del Pd Marco Meloni, nota che “quel che afferma Borghi sulla segreteria del Pd somiglia in modo inquietante alla caricatura che ne fanno gli ambienti di destra e non ha alcuna corrispondenza con la realtà dei fatti” e ne invoca le dimissioni.

Dimissioni che, questo è una delle poche certezze di questo Parlamento liquido, non arriveranno mai. Dagli ambienti vicini alla segretaria Schlein non arrivano commenti. La linea è chiara: le parole e le energie vanno concentrate solo sul fare opposizione a questo governo e sul rilancio di proposte su lavoro, scuola, ambiente e diritti. Non c’è spazio per commentare addii o polemiche. Qualcuno però sommessamente fa notare che un po’ di chiarezza nel partito non può che essere salutare.

“Avere un’identità chiara può farci solo bene. È una perdita che ci fa solo guadagnare voti”, bisbiglia un senatore dem. Magari sperando che prima o poi il Partito democratico possa stilare liste che assomiglino veramente alla segreteria e agli elettori. Senza dovere ogni volta sottomettersi al tiro incrociato di chi vive alle spalle del partito, pur essendone fuori da tempo.

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Ddl Cutro, il 28 aprile a Roma “Non sulla nostra pelle”

Hanno deciso di parlare anche loro. Gli stranieri che da noi sono diventati carne da cannone per la propaganda elettorale avrebbero qualcosa da dire. A pensarci bene in un Paese normale dovrebbero essere interpellati per conoscere le storture e le esigenze di un sistema di accoglienza che viene sventolato ma su cui ci si interroga pochissimo.

Per questo la manifestazione di domani a Roma in piazza dell’Esquilino è un evento politico, oltre che umanitario, che andrebbe ascoltato con cura. “Siamo quelli che sono sopravvissuti al Mediterraneo e alla rottabBalcanica, che scappano da fame, guerre, catastrofi ecologiche, dal saccheggio delle nostre terre, dagli effetti delle vostre politiche neocoloniali e delle vostre multinazionali. – scrivono i portavoce delle molte associazioni che hanno lanciato la manifestazione “Non sulla nostra pelle” – Siamo i vostri braccianti, i vostri operai, i vostri badanti, i vostri facchini, i vostri negozianti. Siamo la vostra ricchezza! Siamo quelli che dormono nei ghetti dei campi, che dormono per strada, che non trovano casa, che pagano affitti stellari. Guardati dall’alto in basso, trattati in modo razzista”.

Gli organizzatori denunciano di essere spesso trattati come “come corpi da abusare, sfruttare, violentare”, senza nessuna rappresentanza politica nonostante concorrano alla crescita del Paese. Non manca, inevitabilmente, l’attacco al governo per il cosiddetto decreto Cutro: “Si prova a fermare gli sbarchi pagando criminali libici, appaltando ai campi di concentramento la gestione della frontiera, – scrivono – cercando di impedire alle Ong di salvare vite. Ma tutto questo non serve. Salvini e Meloni avevano promesso meno sbarchi, hanno preso voti sull’odio e la paura, ma gli sbarchi continuano e continueranno. Finché l’alternativa sarà fra morire e provarci, ci proveremo sempre”.

Le loro proposte sono quelle delle molte associazioni che si occupano di diritto di asilo: “No al decreto del governo Meloni; Basta accordi del governo italiano con la Libia; Basta guerra alle Ong che operano salvataggi; Vie di accesso legali e corridoi umanitari;
Per una politica di pace: stop alla vendita di armi e alla partecipazione italiana ai conflitti, sì alla cancellazione del debito per i paesi del sud del mondo; Perché i soldi dell’accoglienza non vadano in sprechi e speculazione, ma siano usati per inclusione e formazione;
Contro i tagli al reddito di cittadinanza, per una sua estensione; Vogliamo la regolarizzazione dei braccianti, dei facchini, dei rider, degli operai e di tutte le lavoratrici e lavoratori immigrati; Vogliamo controlli più rigorosi alle aziende, al fine d’impedire il caporalato e lo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori tutti”.

L’appello è sottoscritto da decine di associazioni di stranieri in Italia, da Ong e da associazioni italiane che si occupano di accoglienza. Chissà se oltre a usarli qualcuno prima o poi, dalle parti del governo, avrà anche il coraggio di ascoltarli e di dargli delle spiegazioni.

Buon giovedì.

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Il fedelissimo della Meloni all’internazionale degli ultra-conservatori

Si chiama Cpac, Conservative political action conference, la conferenza dei conservatori Usa che il prossimo 4 maggio per la seconda volta consecutiva sbarca in Ungheria da uno dei suoi riferimento europei, Viktor Orbán. Non è un caso, il Cpac è diventato uno dei luoghi prediletti da Donald Trump (a marzo è stato presentato come “il prossimo presidente Usa”) in cui ci si sbizzarrisce sulla teoria del Deep State e sul complottismo tipico della destra sovranista. Il viaggio in Ungheria è solo l’ennesimo segnale di un asse internazionale delle destre più radicali che da anni si organizza e si ingrossa.

La conferenza dei conservatori Usa il prossimo 4 maggio per la seconda volta consecutiva sbarcherà in Ungheria

A Budapest sarà possibile sfogliare il catalogo della destra radicale. Ci sarà ad esempio Herbert Kickl, leader della destra radicale austriaca (Fpö) che ha ingrossato le proprie file organizzando manifestazioni no vax. Come racconta Jacopo Di Miceli (autore del libro L’ideologia della paura, edito da People) Kickl aveva consigliato di curare il Covid con un antiparassitario per cavalli e molti finirono intossicati (esattamente come accadde negli Usa con Trump). Parlerà anche Eduardo Bolsonaro, che, come racconta l’account twitter Osservatorio sul complottismo è “figlio dell’ex presidente brasiliano Jair, rappresentante in America Latina di The Movement, l’organizzazione di Steve Bannon, e al centro dei rapporti fra estrema destra brasiliana e trumpiani”.

Altro? Di Miceli spiega che ci sarà pure il repubblicano Paul Gosar, “fra i parlamentari che si sono rifiutati di riconoscere la legittimità di Biden, sostenitore della teoria del complotto delle elezioni rubate. Afferma che l’assalto al Campidoglio sia stato una messinscena dell’Fbi. Promise l’amnistia agli insorti”. Di brogli elettorali (inesistenti) continuano a parlare anche Kari Lake, l’ex candidata repubblicana a governatrice dell’Arizona che chiedeva il carcere per Anthony Fauci accusandolo di avere nascosto la cura per il Covid e il presidente dei giovani repubblicani di New York, Gavin Vax, che nelle ultime elezioni Usa vide una “cospirazione internazionalista ed elitaria della sinistra radicale”.

Tra i partecipanti il consigliere culturale del premier Meloni Giubilei e il presidente del Centro Machiavelli

Tra gli invitati c’è, Ernst Roets, che, spiega Di Miceli, è “fra i leader di AfriForum, un’organizzazione afrikaner sudafricana che sostiene la versione locale della teoria del complotto della Grande Sostituzione, ovvero il genocidio dei bianchi per opera della popolazione nera”. Dalla Spagna arriva Jorge Buxadé, esponente di spicco di Vox (il partito che ospitò Giorgia Meloni poco prima delle elezioni), ammiratore del dittatore militare Primo de Rivera e ha criticato la costituzione democratica redatta dopo la caduta del franchismo. E gli italiani? In prima fila c’è Francesco Giubilei, consigliere culturale del governo Meloni e fenomeno televisivo.

Poi Guglielmo Picchi, ex parlamentare leghista e sottosegretario agli esteri, manager della finanza, che, spiega Di Miceli, è tra i fondatori del Centro Machiavelli, denunciò brogli elettorali contro Trump, avversato da “media, big tech, deep state, internazionale globalista”. Simone Billi è il parlamentare leghista che proponeva bonus a chi si sposa in chiesa. Daniele Scalea invece è il presidente del think tank di destra Centro Studi Machiavelli, schierato con i repubblicani americani “contro le tendenze dittatoriali e marxisteggianti del Partito Democratico”.

Altro che 25 aprile. La natura di certa destra, nonostante si sforzi di apparire illuminata, è quella che si annusa nei ritrovi lontani dall’Italia. Là dove vengono dismessi i panni simulati per apparire potabili e si può dare sfogo alla natura peggiore. Tanto possono sempre dire di essere stati “fraintesi”.

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Chissà se La Russa avrà trovato un minuto per rileggersi il discordo di Mattarella

Mattarella ha pronunciato la parola che per qualcuno dalle parti del governo è indigesta praticamente impronunciabile: antifascisti. Il Presidente della Repubblica lo fa a Cuneo parlando delle montagne dove caddero i partigiani. La Costituzione, dice Mattarella, “frutto del 25 aprile” che “è la festa dell’identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo”.

“Ora e sempre Resistenza”. Chissà se il presidente del Senato avrà trovato un minuto per rileggersi il discordo di Mattarella

Perché “è dalla Resistenza che viene la spinta a compiere le scelte definitive», il coraggio di rigettare «le ambiguità che avevano permesso lo stravolgimento dello Statuto albertino operato con il fascismo”. È nella Cuneo “dei 12mila partigiani, dei duemila caduti in combattimento e delle 2.600 vittime delle stragi nazifasciste” che “la Repubblica oggi celebra le sue radici”, dice.

Mattarella ha anche ripassato “le parole ingannevoli” del fascismo, che spesso sentiamo risuonare ancora oggi: “Dopo l’8 settembre il tema fu quello della riconquista della Patria e della conferma dei valori della sua gente, dopo le ingannevoli parole d’ordine del fascismo: il mito del capo; un patriottismo contrapposto al patriottismo degli altri in spregio ai valori universali, che animavano, invece, il Risorgimento dei moti europei dell’800; il mito della violenza e della guerra; il mito dell’Italia dominatrice e delle avventure imperiali nel Corno d’Africa e nei Balcani. Combattere non per difendere la propria gente ma per aggredire. Non per la causa della libertà ma per togliere libertà ad altri“.

Ed è in questo senso che ha aggiunto: “La Resistenza fu anzitutto rivolta morale di patrioti contro il fascismo per il riscatto nazionale. Un moto di popolo che coinvolse la vecchia generazione degli antifascisti”. Mattarella parla della “tirannia mussoliniana» e della «nefanda oppressione tedesca e fascista”, dei sacerdoti fatti a pezzi e dei civili bruciati vivi. E della Costituzione che fu «la risposta alla crisi di civiltà prodotta dal nazifascismo”: “Chiediamoci dove e come saremmo, se fascismo e nazismo fossero prevalsi allora!”.

E chiude con un motto: “ora e sempre Resistenza”. In prima fila ad ascoltarlo c’erano i ministri Guido Crosetto, Daniela Santanché e Roberto Calderoli. Chissà se hanno capito. Chissà se il presidente del Senato, Ignazio Benito La Russa, avrà trovato un minuto per rileggersi il discordo di Mattarella. Ora e sempre.

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Resistete come la banda di Ceccano

Per il 25 aprile a Ceccano è accaduto un episodio minimo, come in molti altri comuni d’Italia, di una storia che contiene un insegnamento. Il sindaco della città, Roberto Caligiore di Fratelli d’Italia, decide che la banda cittadina non può suonare “Bella ciao” durante la cerimonia.

“Bella ciao” è divisiva, dicono da quelle parti. In effetti “Bella ciao” non piace a chi la guerra di Liberazione l’ha persa. Solo a loro. Solo a loro provoca imbarazzo (non è nemmeno imbarazzo, è solo la memoria della sconfitta) e solo loro credono che si possa sabotare il 25 aprile impedendo di suonarla. È uno dei tanti modi vigliacchi di svuotare il 25 aprile per renderlo il più possibile un rito stanco, sperando che diventi il prima possibile una commemorazione senza intenti e senza slanci per il futuro. Non si fa fatica a capire il perché: c’è nella lezione della Resistenza un foglietto delle istruzioni per capire chi già o meno vigliaccamente decide di rifarsi al fascismo, chi si rifiuta di rinnegarlo, chi vede negli antifascisti dei nemici.

La banda di Ceccano ha seguito in modo impeccabile il cerimoniale deciso dal sindaco. Lui impettito non ha provato nemmeno un pizzico di vergogna mentre “Bella ciao” veniva suonata al cospetto del Capo dello Stato Sergio Mattarella. Quello stesso Mattarella che per questo 25 aprile ha deciso di usare parole chiare, nette: vincitori e vinti del 25 aprile non sono uguali.

Alla fine della cerimonia, quando la piazza ancora non si svuota, la banda di Ceccano ha deciso di suonare ciò che le era stato impedito. Formalmente non ha contravvenuto a nessuna regola dettata dal sindaco. Simbolicamente ha dimostrato il dovere di rispondere colpo su colpo alla provocazione. Così il sindaco che voleva ammorbidire la Resistenza s’è ritrovato la resistenza in piazza, musicale, con fiati e tamburi. Non arretrare di un centimetro, ora e sempre. Grazie, banda.

Buon mercoledì.

Nella foto: frame del video (da facebook) dell’esecuzione di “Bella ciao”

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25 aprile, Ruotolo (Pd): “Provano a riscrivere la storia. Noi non glielo permetteremo”

Quando era giornalista televisivo sui canali Rai Sandro Ruotolo ripeteva sempre di avere in tasca una sola tessera, quella dell’Anpi. Ora Ruotolo è uno degli elementi di punta del nuovo Pd targato Elly Schlein – membro della direzione e della segreteria col ruolo di responsabile Cultura, informazione e memoria – e l’antifascismo rimane uno dei punti imprenscindibili.

Che 25 aprile è quello di quest’anno?
“Un 25 aprile all’insegna della Resistenza. Quindi bello, in tutte le piazze del nostro Paese. Ci sarà il Partito democratico a ribadire un concetto chiaro che la storia ci ha tramandato: è la festa della liberazione dal nazifascismo. È una festa che ricorda centinaia di migliaia di vittime (civili, donne, uomini) che hanno perso la vita per liberarci dalla dittatura, dal ventennio fascista. È importante anche perché c’è chi alla vigilia ha provato a riscrivere la storia. Ha iniziato Giorgia Meloni alle Fosse Ardeatine, poi c’è stata la raffica della seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, poi Lollobrigida con la sostituzione etnica. La verità è che mentre i nazisti in Germania sono scomparsi, da noi i fascisti ci sono ancora. Seriamente lo dico: nessuno di questi che oggi hanno ruoli istituzionali ha mai pronunciato la parola antifascista. E poi abbiamo viceministri e sottosegretari che si fanno fotografare vestiti da nazisti. Il 25 aprile è la festa degli italiani che vogliono chiudere un periodo che questi tengono aperto. Io non dimentico il 9 ottobre di due anni fa con l’assalto alla Cgil di Roma. Oggi Salvini per convenienza è diventato antifascista. Improvvisamente ci dice di essere interessato al 25 aprile. Allora ci deve spiegare quella cena con i leader di Casapound. Mi ricordo molto bene una serie di estremisti di destra, ex di Forza Nuova, confluiti al nord nelle sezioni della Lega, ad esempio in Piemonte. Questo è il punto. Le parole del Presidente Mattarella a Auschwitz ancora una volte sono state molto chiare, ha parlato del rischio dell’oblio. Ancora una volta possiamo solo dire ‘grazie Presidente’. Sembra banale ripetere che ‘senza memoria non c’è futuro’ ma è esattamente così. Ogni anno ha la sua attualità, ogni anno ha la sua legge razziale. E l’odio razziale si riconosce quando si schianta contro i fragili, contro gli ultimi”.

Come ogni anno qualcuno parla strumentalmente di “pacificazione”, qualcuno prova a spostare il punto. Se lo ricorda quando il Pd con Renzi segretario tolse il colore rosso dal 25 aprile spostando la festa sui “patrioti europei”?
“Noi siamo stati chiari. Lo striscione dietro al quale sfileremo a Milano sarà ‘nata dalla Resistenza’. Rivendichiamo la prima segreteria a Riano in memoria di Matteotti. Io oggi sarò al Museo Cervi, poi andrò a Milano. Per noi questi sono i valori, questa è l’identità del nuovo Pd. I valori della Costituzione. Insiste La Russa a dire che la Costituzione non è antifascista: vada a riprendersi Calamandrei nel discorso agli studenti nel ’55. E oggi lo rivendicheremo: se non ci fosse stata la Resistenza non ci sarebbe stata la Costituzione. A parte il divieto della ricostituzione del partito fascista, gli articoli 21 e 3 non sono articoli antifascisti? Non è solo la fotografia della cena con Casapound. Loro al governo provano a imporre una narrazione, provano a riscrivere la Storia dalla parte degli sconfitti. Si comincia addirittura con Dante Alighieri. Dobbiamo invece tutto a quella generazione. È una festa che io ho sempre, da quando avevo i pantaloni corti, onorato. Perché credo molto nei valori. Leggi la storia, leggi le pagine dell’orrore, dell’olocausto, quello che ha significato il nazismo e il fascismo. Mai più”.

Qualcuno sorride quando si parla del pericolo di ritorno del fascismo, forse, però, c’è poco da sorridere…
“Io la vedo da vecchio cronista. Vedo i fatti. Poi è chiaro per me è fondamentale non fare la macchietta. L’assalto alla Cgil c’è stato o non c’è stato? Le abbiamo viste quelle immagini? I giornalisti minacciati e picchiati? C’è un fascismo 2.0. I valori di Casapound, Forza Nuova, ad esempio? Perché non sono state sciolte le organizzazioni di matrice fascista L’assalto al liceo di Firenze cos’è stato? Come si fa a sottovalutare? Andiamoci a rileggere Calamandrei sull’attualità del fascismo. ‘Mai più’, ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella sua recente visita nel campo di concentramento di Auschwitz, perché ‘l’odio, il pregiudizio, il razzismo, l’estremismo e l’indifferenza, il delirio e la volontà di potenza sono in agguato, sfidano in permanenza la coscienza delle persone e dei popoli’. Ricorderemo sempre la Resistenza e il sacrificio di quanti hanno dato la vita per restituire la libertà al nostro Paese. W il 25 aprile! W la Resistenza! Noi dobbiamo convincerci: i valori su cui lavorare sono quelli. E non sono negoziabili”.

L’Antifascismo potrà tornare di moda
“Dobbiamo avere la capacità di tramandarlo alle nuove generazioni. Le iscrizioni di giovani generazioni all’Anpi sono un’ottima notizia. Mi auguro di avere la forza di tramandare la nostra storia. Sono iscritto all’Anpi dal 1994. La mia unica tessera in tasca era quella dell’Anpi. Ognuno di noi ha giurato sulla Costituzione”.

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